lunedì 18 ottobre 2021

Archeologia. Sardegna, il segreto etimologico delle Domus De Janas. Etimologia degli appellativi Janas, Bajanas. Articolo di Zoltán Ludwig Kruse

Archeologia. Sardegna, il segreto etimologico delle Domus De Janas.

Etimologia degli appellativi Janas, Bajanas.

Articolo di Zoltán Ludwig Kruse



Com’è noto, le tombe ipogee della Sardegna, scolpite tutte quante nella pietra/roccia, vengono denominate in lingua sarda con il termine Domus de Janas/Gianas che in italiano è stato tradotto in “Case delle Fate”. In tempi passati queste “fate” janas/gianas venivano chiamate ancora bajanas. (“sventatella, cazzona”). Il glottologo Salvatore Dedola ritiene che: «la base etimologica di giàna è il sum. di ‘to shine, to be bright’ + an ‘sky, Dio del cielo’, col significato di ‘Dio del cielo brillante, splendente’. Penso che ai tempi sumerici questa miriade di esserini splendenti non fossero altro che le ‘stelle del firmamento’» (v. su linguasarda.com / Termini più conosciuti / Is Domus de Janas). S. Dedola ha preso la giusta strada della ricerca etimologica di questo termine e con di5 “risplendere” e an “dio, divinità, cielo” (Labat s. no. 86 e no. 13) è arrivato anche molto vicino alla fonte d’origine. A mio avviso però l’appellativo Jana/Giana risale in maniera primaria a šum. di6; in maniera secondaria anche a di5 (Lab. s. no. 86), indicata da S. Dedola. Il segno di6 (Labat, s. no. 206) comprende in

dettaglio le parole-seme arcaiche: DU, GIN “andare, muoversi, andarsene”, DU-DU “via”, “andare qua e là”, MÈN “sorta di tamburo” (presumibilmente uno tubolare, utilizzato durante i “cortei”) e TÚM “(ap)portare, importare”. A šum. DU, GIN, MÈN e TÙM corrispondono le parole-seme magyar/(h)ungheresi djő/győ/jő (f. dialettale), djön/gyön/jön “viene”, mén “va; stallone”, di cui menet “corteo” e menetel “marcia(re)”, rispettivamente töm “riempie, imbottisce, tappa(re), ficca(re)”, di cui tömés “imbottitura, riempimento”, temet “sotterra(re), seppellisce”, temetés “sepoltura”, temető “cimitero”, tömény “denso”, töményes “condensato” (cfr. šum. TEMEN, akk. temennu, Labat, s. no. 376, “terrazza, terrapieno, fondazioni”, di cui gr. temenos), tömör “compatto”, tömeg “massa” (cfr. gr. demos), tömjén “incenso” (profumo “denso”), tömb “blocco”, domb “colle, collina”, sír-domb “tumulo tombale” ecc..

Teniamo a mente, quindi, che in perfetta corrispondenza a šum. DU, GIN – MÈN, con djő/győ/jő, djön/gyön/jön – mén in ungherese si esprime il concetto archetipale di “viene-va” / “venire-andare”. Per quanto riguarda la parola-seme arcaica TÚM / töm, essa è la base etimologica sia dei vocaboli lat. tumba, gr. tŷmba / tŷmbos (= rialzo di terra sopra un tumulo sepolcrale), it. tomba – risultato dell’atto di “importazione / tumulazione” TÚM / töm della salma nella grotta-tomba – sia di lat. templum, it. tempio, ted. Tempel, ingl. fr. temple, rum. templu, finn. temppeli, alb. tempull, lett. templis ecc., il santuario edificato su di un solido “terrapieno/terrazza” TEMEN.

Convalidante la forma retrograda di šum. TÚM | mut > mūtu che in akkadico rende, a ragione, il significato “(la) morte” (cfr. lat. mūtus, it. muto ovvero l’individuo che non è in grado di esprimersi con la voce).


Riguardo alla voce “venire” (in fr. venir, rum. veni, alb. vjen, finn. juna “treno”) nel Dizionario Etimologico Rusconi si legge:

«Venire dal lat. venire, da una radice *gwen- (con il senso generale di muoversi, poi differenziandosi in andare o venire) ampiamente attestata in area indoeuropea; cfr. sanscr. gam, os. kumbened, gr. baino (= io vado), ascan. koma, aated. queman, ted. kommen, ingl. to come (= venire). Dal v. ventare, f. frequentativa di venire, i v. adventare, deventare e inventare; tra i composti ricordiamo advenio, da cui avvenire, e avvento, convenio, da cui convenire e convento, devenio (= divengo), evenio, da cui evento ed eventuale, exvenio, da cui svenire, invenio da cui invenzione, intervenio (= intervengo), praevenio (= prevengo), da cui anche prevenzione e preventivo, subvenio da cui sovvezione; dal part. fut. venturus, l’italiano ventura (dal plurale neutro ventura) e ventura, da cui anche le voci avventura, sventura ecc. Significato: recarsi da un luogo all’altro, arrivare; comparire; in senso fig. provenire, succedere; (volgare:) raggiungere l’orgasmo.»

Stranamente in questa nota l’evidente origine kingir/šumera (Labat, s. no. 206) della «radice *gwen ampiamente attestata in area indoeuropea» viene tralasciata, anzi, completamente ignorata. Presumibilmente ha a che fare con la classificazione della lingua kingir (nat.) / šumera (akk.): «Il sumero è la lingua del popolo dei Sumeri; non ne è ancora stata dimostrata alcuna parentela con altre lingue note, ed è considerata una lingua isolata» (Wikipedia). Tale considerazione veramente assurda di “lingua isolata” formulata da accademici costituisce praticamente un divieto di accesso, d’utilizzo. Di conseguenza coloro che osano oltrepassare questo perfido divieto mettendo in luce delle evidenti e verificabili coincidenze morfo-semantiche, che come in questo caso parlano da sé, da parte degli linguisti accademici vengono considerati superficiali e di solito rifiutati.

Osserviamo che la parola-seme sanscr. gam, indicata nella nota, è una variazione con nasale alternata di šum. GIN (GIN > gam); inoltre che nella cosiddetta «radice *gwen indoeuropea» sono insieme g e w. Si può dire allora che gwen risulta una fusione contratta di šum. GIN “muoversi, andare ecc.” con BAN “Venus/Venere”: gin-ban > gin-van > g(in)van > gwen. Mentre in lingua magyar/ungherese si è mantenuta la parola-seme originaria GIN nelle sue forme palatalizzate gyön/djön/jön, f. dial. djő/győ/jő, nelle lingue anglosassone prevalgono i vocaboli derivati da sanscr. gam: ascan. koma, aated. queman, ted. kommen, ingl. to come; in greco e nelle lingue romanze invece quelli derivati dalla parola-seme originaria šum. BAN (> van > ven): gr. baino, it. venire, fr. venir, rum. veni, alb. vjen ecc.; interessante il vocabolo osco kumbened che rivela la doppia provenienza: GIN/gam/kum – BAN/ben > kum-ben-ed.

Ma ora ritorniamo alla nostra indagine. Il senso generale di “venire” è, quindi, “muoversi” che in seguito si differenzia in “venire” e “andare”, quindi “entrare / (ri)tornare” – “uscire / allontanarsi”. Questa circostanza ci conduce direttamente a Giano/Janus. Le due facce della testa di Giano/Janus, in origine protettore della casa, delle vie, poi dio dell’inizio e di ogni principio il cui mese sacro è januarius/gennaio, stanno a guardare e a rappresentare simbolicamente: ciò che “viene” GIN / djön/gyön/jön/djő/győ/jő e ciò che se ne “va” MÈN / mén, cioè l’avvenire e il passato, e lo fanno dal continuo centrale presente. Sicché i nomi Giano/Janus, Jana ma, come vedremo, anche Djinn/Jinn, lat., it. Juno/Giunone di cui Junonis “sacro a Giunone”, Junius, ingl. June (“mese del Sole”, cioè del solstizio d’estate), e sanscr. jana, lat. iānua “porta” – significato strettamente connesso all’atto di “venire-andare” – risultano dei veritieri nomi parlanti secondo la locuzione latina nomen omen “il destino nel nome” (cfr. mag. jön / jő “viene”, jövő/jövendő “avvenire, futuro”, be-jövő “entrante, (il luogo di) entrata”, be-jövés “(l’atto di) entrata”).

L’antichissimo tema guida, dunque, è “venire” – “andare” / “entrare – uscire”; l’aspetto di “attraversare” (la “porta”) è ovviamente intimamente connesso ad esso. Ne «Il Libro dei Morti degli antichi Egizi» (Boris de Rachewiltz) ricorrono spesso indicazioni come per esempio: Formula per entrare e per uscire dalla Porta degli Occidentali (cap. CVII); Formula per entrare dai divini Giudici di Osiride (cap. CXXIV); Formula per uscire dal Ro-stau (cap. CXXV); Testo per entrare nella Sala della Verità e Giustizia; Formula per attraversare l’Amenti e per passare attraverso la tomba ecc. Le espressioni rese da me in corsivo corrispondono alle voci mag. be-jön / be-mén – ki-jön / ki-mén, “indentro viene / indentro va” – “infuori viene / infuori va”; ki-mén è affine a el-mén “via-va / va via”. “L’andar via” costituisce in fondo l’essenza del “viaggio” út (út “via, strada; viaggio”, át-út “di là – via / via – attraverso”, úti “di viaggio”, utas “viaggiatore, viandante”, utazó “viaggiante” (cfr. gr. Odysseus), utazás “viaggio, corsa, tragitto” (cfr. gr. Odyssea), úti-idő “tempo di viaggio”, idő-út “viaggio di tempo”). Quindi questi significati – in specie be-jön, ki-mén/el-mén e át-mén – risultano di importanza rivelante già ne «Il Libro dei Morti degli antichi Egizi».

Con Amenti, illustrato nel libro dell’Amduat “chi è nella Duat”, viene denominata la dimora delle anime giuste e senza peccato. La voce ment, derivato da mén “va”, in mag. esprime due significati: “andato/a” e ”salva(re), redime(re)”; da ment deriva l’agg. mentő “salvifico”, a mentő “il salvifico” che è assonante ad aeg. Amenti, e la forma prefissale át-ment “oltre/di là-andato” rispettivamente “oltre/di là-redime(re)”. Ecco una frase di applicazione spiegativa: A mentő átmenti az elmentet az odaátba «Il salvifico oltre-redime il via-andato nell’aldilà». La coppia divina Amon – Amonet (“colui che è nascosto” e “colei che è nascosta”) rappresentava l’“ignoto”. La fusione con “aria e vento” comportò i significati di “aria ignota e vento impetuoso” che agitavano il Chaos primigenio da cui generò il Mondo. Com’è constatabile l’espressione mag. oda-át significante “là-oltre” coincide perfettamente con aeg. Duat “aldilà/oltretomba”. Nessun’altra lingua che io conosca presenta questa evidente coincidenza.

Djinn/Jinn

Veniamo adesso all’espressione assonante e semanticamente affine djinn/jinn. Il djinn/jinn è una creatura spesso tradotto, a ragione, come genio e indica un’entità soprannaturale, intermedia fra mondo angelico e umanità. Il djinn/jinn può avere carattere sia maligno che benevolo e protettivo. Il genio djinn/jinn è ben accostabile alla “fata” jana/giana, sia per l’assonanza sia per l’affinità semantica che ne dimostra.

Un tipico esempio di djinn/jinn è l’essere che Aladino, protagonista di una delle fiabe di «Mille e una notte», libera da una lampada al cui interno è rimasto prigioniero, in cambio dell’esaudimento di ogni suo desiderio. Ogni volta che Aladino lo chiama, il djinn/jinn appare, cioè “in fuori/avanti viene”. Orbene il significato “in fuori/avanti viene” in magyar/ungherese si dice, guarda caso, elő-jön/gyön/djön; espressione, questa, che rivela una chiara assonanza ed equivalenza semantica alle voci ori-gin(e) e, in ordine di sequenza inverso, gen-era.

E, nota bene, quando due espressioni risultano sia assonanti sia semanticamente coincidenti o affini non si tratta di una somiglianza casuale bensì di coincidenza morfo-semantica. L’affinità semantica verifica, nel vero senso della parola, l’assonanza dei vocaboli. Cioè nell’assonanza dei vocaboli si manifesta la loro coincidenza o affinità semantica.

Ugualmente ai genii djinn/jinn anche le fate jana/giana appaiono e svaniscono, ovvero “vengono” e “vanno”. Riguardo alla pronuncia dei nomi Jana/Giana – Diana/Djana può esser utile sapere che in ungherese la gutturale sonora g e la dentale sonora d nelle loro forme palatalizzate gy/gj e dj vengono pronunciate pressoché uguali; l’endoetnonimo magyar, per esempio, può essere resa anche con madjar; la pronuncia risulta uguale.

Le palatalizzate gy/gj e dj sono quindi intercambiabili. Ciò chiarisce anche la pronuncia pressoché uguale dei nomi Diana/Djana e Jana/Giana/Gyana.

Bajana

Riguardo alla parte iniziale ba- di bajana il lessico kingir/šumero offre le seguenti fonti d’origine: BA / BA-A (f. breve di BAN / BAN f. ampliata di BA) “donare, dispensare, offrire” / ted. “zuteilen, schenken”; d ZI-BA-AN-NA “divina dispensatrice di vita del cielo”; giš BÁN “misura volumetrica”, mul BAN (Labat, s. no. 439) “costellazione”, “Venere”, akk. banû “formare armoniosamente”, “creare, procreare”, “brillante”, BA-AN-DU8-DU8 “botte” cioè contenitore (Lab. s. no. 5 e 74; cfr. mag. bendő “pancia”, ted. “Wanst, Pansen”, ass. a benti “interno/a”, ted. “binnen-”); [BAN | NAB] NAB (Lab. s. no. 129) “stella”, “brillare”; BA-BA6, d BA-U (Deimel s. no. 5/51) “dea del parto” / ted. “Geburtsgöttin” / BA-U-DUG, bâbu ted. “weibliche Scham” / lat. “pudenda muliebris” (cfr. mag. bába “levatrice”, baba “bebé, neonato”); combinazione, quest’ultima, in cui DUG (Lab., D. s. no. 309) significa “pentola, vaso, barattolo”; la stessa parola-seme dug, sin. di töm, in mag. significa “infila(re), introduce, ficca(re), tappa(re)”, di cui dugó “tappo”, be-dug “inficca(re), infila(re)” (lett. “indentro-ficca”), assonante e semanticamente affine a boldog / dial. bódog “felice”, boldogság/ bódogság “felicità”.

Il tema di fondo “venire” – “andare” – “attraversare” si arricchisce, quindi, con il cerchio di temi “dispensare” – “contenitore” – “essere contenuto dentro” – “stella, Sole, brillare” – “Venere” – “vagina, partorire, rinascere” – “felicità” (v. Juno/Giunone = “dea del parto”).

Il vocabolario magyar/(h)ungherese ha mantenuto queste parole-seme arcaiche e offre ampie e convalidanti coincidenze lessicali: be “indentro” (penetrare), bő “larga/o, generosa/o”, bű “incanto”; báj “grazia, leggiadria”, bű-báj “incantesimo, fascino”; di cui derivano benn/bent/bẽt “dentro”, benti “interna/o”, banda “banda”, a benti “l’interno / l’appartenente / il contenuto”, ingl. “the insider” (cfr. bant., afr. Ubuntu), benne “dentro di essa/o” (cfr. it. pene), pina “vagina”, pince “cantina, scantinato”, bánya “miniera”, bendő “pancia, ventre”. In questa sfera appartiene la sacra pietra chiamata betilo, lat. baetylus, gr. baitylos, che di solito viene spiegata come derivante dall’ebraico Beith-El, composta dalle parole beth “casa”, “santuario”, “sede” ed el “divinità”, che significa “Casa di Dio”. Tuttavia ebr. beth risale ad akk. bītu “casa, dimora”, bītānu “interiore”, bīt (ili) “tempio” che a sua volta corrisponde a šum. É (-DINGIR), Labat, s. no. 324. Ovvia la coincidenza con mag. bent él “dentro vive”. E chi è che vive dentro alla pietra? È l’entità “Vivente”, è “Dio/Dea” ovvero l’informazione vibrazionale, che vive dentro: Élő bẽt él “Vivente dentro vive”.

A kő él “La pietra vive” “Der Stein lebt” “The stone lives”.

A kő élő “La petra è vivente” “Der Stein ist lebendig” “The stone is living”.

Élő bent él “Vivente dentro vive” “Lebendige/r/s drinnen lebt” “The Living inside lives”.

Bent él a kőben “Vive dentro alla pietra” “Lebt drinnen im Stein” “Lives inside the stone”.

Le parola-seme šum. giš BÁN “misura volumetrica” e mul BAN (Labat, s. no. 439) “costellazione”, “Venere”, hanno la loro continuazione nei vocaboli: mag. benn/bent “dentro” (cfr. ingl., ol. pan, ted. Pfanne “padella”, it pentola, ingl. pint “pinta”, ted. Pinte), van “esiste, persiste, c’è” – coincide con aeg. wen, cin. wàn, giapp. man = sanscr. “svastika”  o  – vén “stravecchia/o”, fény “luce”, nap “Sole, giorno”, [NAB | BAN = nap | pan > fény]), fenn/fent “in alto” ecc.;

Dalla parola-seme šum. GIN, alla quale corrisponde mag. jön/gyön/djön dial. jő [jøn/djøn/jø] “viene”, derivano tra l’altro le voci: sanscr. yoni “vagina”, jana “porta,” gr. gynaíka “donna”, Juno / Giunone (l’antica divinità del matrimonio e del parto, spesso rappresentata nell’atto di allattamento; cfr mag. jó nő, jó anya “buona donna, buona madre”, jön ő, jön anya “viene lei, viene madre”), e una moltitudine di vocaboli italiani come: gene, genia, genesi, giungere, genetica, genere, generare, generatore, generatrice, generativo/a, generazione, genealogia, genitore, genitrice, gente, gineceo, ginecologa/o, ginecologia, ginecocrazia ecc.



Ecco alcuni esempi di applicazione spiegativi relativi a Ba-ja-na:

Benn a jó-nő-piná-ban – a baba benn-ben – van a fény; a finom fent fény.

«Dentro alla buona-donna-vagina – all’intimo del bebé – c’è la luce; la fina strofinata luce.»

Bejön a nap-fény. «Indentro-viene la luce solare.»

A nap-fény bejön. «La luce solare indentro-viene».

A nap-fény jön be. «È la luce solare che viene indentro»

Come risulta dagli esempi di agglutinazione prefissale seguenti, l’azione dei due verbi di movimento jön/gyön/djön e mén può essere direzionata:

be-jön/gyön/djön “indentro-viene” (šum. BA.GIN di cui vagina), be-mén “indentro-va”;

le-jön “ingiù-viene” (cfr. ted. Niederkunft “parto” lett. “ingiù-venuta”), le-mén “ingiù-va”;

ki-jön “infuori-viene” (il nascituro), ki-mén “infuori-va” (cfr. kémény “camino/canna fumaria”);

át-jön “attraverso-viene”, át-mén “attraverso-va” (cfr. sanscr. Ātman “anima” ted. Atmen “respiro”);

rá-jön “sopra-viene; è colto da; scopre/ritrova”, rá-mén “sopra-va”;

el-jön “via-viene”, el-mén “via-va”;

fel-jön “insù-viene”, fel-mén “insù-va”;

meg-jön “viene certamente” (meg è prefisso verbale conclusivo frequentemente utilizzato in mag.);

elő-jön “a galla-viene, proviene, origina” (cfr. “l’ori-gine du monde” di Gustave Courbet).

Le aperture di accesso relativamente piccole delle Domus de Janas/Bajanas evocano la vulva-vagina di Madre-terra. Ed è attraverso questa “buca/finestra/fenditura” ovvero yoni/vagina (da šum. BA.GIN) che la “alta luce del Sole” mag. fenni nap-fény “penetra” indentro alla tomba, cioè “viene indentro” be-jön, e il suo brillio stimola e risveglia gli “oltrepassati” nel “aldilà” (aeg. Duat) a nuova vita. Le due combinazioni be-jön “indentro viene” e be-mén “indentro-va” rappresentano praticamente due formulazioni complementari del medesimo atto di penetrazione. La prima è dalla prospettiva accogliente femminile yin; la seconda, invece, è dalla prospettiva dinamica maschile yang. Il celebre quadro di Gustave Courbet l’“origine du monde” mette in bella mostra l’oscura vulva-vagina femminile, sacra fonte di vita dalla quale “fuori-viene/appare/spunta” appunto elő-jön – ass. a ori-gina, gen-era – la “altra/nuova” vita: Más terem / Mysterum “Simile genera”. Orbene, se la vagina è l’origine del mondo, della nascita di creature simili ai genitori, quindi del progresso, dell’evoluzione, allora la tomba (da šum. TÚM) cioè il luogo di tumulazione dei defunti, è la dimora in cui avviene il regresso, il ritorno, l’involuzione all’origine.

Vista l’importanza dell’aspetto át-mén significante “attraverso-va”, “oltre-va”, ecco ancora alcuni particolari al riguardo. Da át-mén derivano tra l’altro át-men-ő “trapassante, attraversante” e át-men-et “attraversamento, oltre-passaggio; cadenza, trasformazione” (át-mén-út lett. “oltre-va-via / via dell’oltre-va”), át-meneti “transitorio, di passaggio”. Mi itt mindannyian átmenetiek vagyunk “Noi qui siamo tutti quanti di passaggio/transitanti”. Átmén è indentico a sanscr. Atman “respiro, anima, anima mundi” e ted. Atem “respiro”, Atmen “respirare”. E che cosa “attraversa” i polmoni vivificando l’essere umano? È l’aria vivificante, il vento ovvero l’(h)alito/anima del mondo di cui Sovrano nel pantheon kingir/šumero è EN.LIIL, a cui corrisponde mag. Én Lehel “Io (h)alita”. In Lehel, che è una parola palindromica, è contenuto Él “vive; guida, punta, spigolo” di cui Élő “Vivente” e élet “vita”, tele | élet “piena vita”. Da qui la coerente equazione: Élet – Lét = Lehelet “vita” – “esistenza” = “(h)alitare”. Ma il defunto che subisce l’“attraversamento”, la “trasformazione” át-men-et dove “va” a finire? “Va” a finire nell’“aldilà”, in mag. oda-át (lett. “là-oltre”), che è identico al aeg. Duat, meta di noi tutti, esseri umani mortali.

Nonostante l’accesso alle Domus de Janas avvenga attraverso aperture/buche relativamente basse e piccole e che non ci siano porte di passaggio, è opportuno parlarne; poiché l’atto di attraversamento, cioè il át-mén “attraverso/oltre-va” è relativo al passaggio tra i mondi che avviene attraverso la “porta dell’aldilà”. L’icona sacra dell’entrata nel regno dell’oltretomba è ben nota dalle tombe monumentali egizie e quelle etrusche. La parola etrusca corrispondente alla “porta dell’aldilà” è Aita.

Tanti autori equiparano Aita con il termine greco Hades, indotti verosimilmente dalla pronuncia italiana Ade che tralascia la h iniziale e la s finale, che etimologicamente non torna però. È vero che nella mitologia greca Hades risulta “Principe del Mondo infero” (Plutone), dopo anche “Mondo infero” e “Regno dei morti”. Tuttavia la giusta e semplice equiparazione etimologica, poiché parla da sé, è Aita = Ajtó [ɒjto:], voce, questa, che in lingua magyar significa, appunto, “porta”. Ajtó ottiene sostegno morfo-semantico dalle parole-seme al- “sotto, inferiore, basso”, alj “parte inferiore”, “sotto, dietro”, “suolo, fondo, fondiglio”, “residuo, sedimento” (cfr. l’aspetto della etrusca “porta” Aita/Ajtó quadrangolare, con l’architrave a becco di civetta fortemente piegato all’“ingiù”), di cui alá “sotto, al di sotto, sottosta(re), catafascio”, alsó “basso, infero”, alant “in basso”, alul “sottostante”, alszik “dorme”, alvó “dormiente”, alvás “sonno”, alvilág “mondo infero” ecc.. La consueta equiparazione Aita = Ade/Hades comporta la confusione della “porta” all’aldilà con “l’aldilà” cioè con il “Regno dei morti”. Difatti il passaggio ovvero la “porta” Aita/Ajtó non corrisponde con la meta dell’estremo viaggio, che è l’“aldilà” Odaát. La “porta” costituisce semplicemente l’entrata, l’ingresso all’“aldilà” Duat.

Le dure pietre/rocce sono le ossa di Madre-terra. E le dure ossa, a loro volta, sono le pietre del corpo umano. Le dure ossa dello scheletro sono la rimanenza dopo la avvenuta decomposizione della salma. Cosicché tramite la antica usanza di tumulazione dei defunti nelle Domus de Janas, rocciose pance nel paesaggio sardo, le ossa umane si ricongiungevano alle ossa di Madre-terra.

Chi è Zoltán Ludwig Kruse.

Studioso e ricercatore poliedrico di origine ungaro-tedesca nato in Romania laureato in musica alla Musikhochschule di Köln/Colonia.

Vive in Toscana con la consorte dal 1987. Concluse da tempo le esibizioni organistiche in pubblico si dedica all’architettura del paesaggio, alla ristrutturazione di vecchi casali toscani e alla scultura. Ascoltatore del vivo silenzio, coltiva il canto armonico e offre trattamenti di armonizzazione col suono primordiale. Ogni tanto si diletta a suonare il violino. Ama la natura; ama cucinare e vivere in buona compagnia.

Etimologo e studioso della cultura e lingua kingir/šumera, nel 2000 inizia il lavoro di ricerca etimologica sul termine Labyrinthos che lo porta a pubblicare nel 2005 il libro Labyrinthos Wortkernschichtung (“Labyrinthos Stratificazione di parole-seme”; ed. privata. www. laberintes.de).

La sua attività intellettuale è controbilanciata dalla concreta vita di campagna su un podere di montagna con i suoi lavori corporei quotidiani.


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