mercoledì 10 giugno 2020

Archeologia della Sardegna. Modelli insediativi, organizzazione di villaggio ed evoluzione della società nuragica tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro alla luce delle ricerche nel villaggio nuragico La Prisgiona, in località Capichera (Arzachena). Articolo di Angela Antona, Maria Dolores Marina Corro, Sara Puggioni

Archeologia della Sardegna. Modelli insediativi, organizzazione di villaggio ed evoluzione della società nuragica tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro alla luce delle ricerche nel villaggio nuragico La Prisgiona, in località Capichera (Arzachena)
Articolo di Angela Antona, Maria Dolores Marina Corro, Sara Puggioni

Il superamento del luogo comune che poneva la Gallura in uno stato recesso rispetto al resto della Sardegna sta consentendo la ricomposizione di fasi di sviluppo della civiltà nuragica perfettamente allineate nell’ambito del grande fenomeno isolano. In particolare, gli esiti della ricerca in corso stanno offrendo nuovi elementi di conoscenza in relazione ai modelli insediativi, all’organizzazione del villaggio, all’evoluzione della società tra il Bronzo Finale e il Primo Ferro.
In generale è noto come, durante il Bronzo Recente, l’assetto rigido che caratterizzava l’organizzazione dell’insediamento in tutta l’isola, quasi geometricamente definito per ampi ambiti territoriali, ciascuno dotato di costruzioni poderose, abbia spesso indotto nell’interpretazione in senso militare del modello insediativo. E altresì noto come la dinamicità economica e sociale dei secoli XI-X a. C. abbia portato, in un certo senso, a scardinare l’assetto insediativo suddetto. Sfuggono ancora alla conoscenza gli eventi responsabili di questo cambiamento sostanziale che sembra aver determinato l’esaurirsi dell’istanza marcatamente difensiva e fortificatoria dell’epoca precedente. Di questo importante mutamento è un chiaro indicatore l’abbattimento delle cortine degli antemurali che costituivano una linea di difesa primaria dei nuraghi complessi. Gli scavi in corso nella
regione gallurese stanno evidenziando le tappe di un’evoluzione generalizzata dei villaggi nuragici e della società che, fra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente e poi fra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale, modifica gli equilibri interni ed esterni. Soluzioni di continuità percettibili stratigraficamente trovano precisi indicatori materiali nella distruzione o sostanziale ristrutturazione di certe costruzioni, nella riorganizzazione degli spazi abitativi, nell’individuazione di specifiche destinazioni d’uso degli ambienti di vita, nella nascita di strutture di riferimento politico-religioso. In questo senso, un esempio significativo è offerto dal complesso di Capichera di Arzachena, pertinente al sistema insediativo gallurese dell’entroterra costiero. Situato precisamente sul colle di Punta d’Acu, è contrassegnato dal già noto nuraghe La Prisgiona.

Attorno ad esso si estende un villaggio (FIG. 1) che comprende, nella parte fino ad ora rilevata, una novantina di capanne leggibili in un fitto articolarsi di strutture ancora interrate. Recenti scavi hanno posto in luce gran parte del nuraghe col bastione bilobato (FIG. 2), la cortina muraria che lo circoscrive da sud-est a nord-ovest e la parte del villaggio ad esso più prossima. Lo studio preliminare dei dati culturali emersi fino ad ora sta facendo ricomporre una sequenza di azioni riconducibili ad almeno tre fasi (FIG. 3):
– fase I, riferibile al Bronzo Medio, vede la costruzione di una struttura a grossi blocchi poligonali (verosimilmente un nuraghe a corridoio), attestata da una porzione residua situata alla base del mastio;
– fase II, vede nel Bronzo Recente l’edificazione del mastio, parzialmente sovrapposto alla struttura precedente, e del bastione bilobato ad addizione frontale. Appartiene a questa fase la costruzione di una cortina muraria esterna al bastione e lo sviluppo del villaggio;
– fase III, contraddistinta da una sostanziale ristrutturazione dell’insieme avvenuta nel corso del Bronzo Finale, consistente nell’abbattimento di gran parte della cortina esterna al bastione e nella creazione di un rifascio della parte residua, impiantato su un potente strato di distruzione.

L’abbattimento della torre est e la sua trasformazione in uno spazio ampio, privo dell’originaria copertura a falsa cupola, completa l’imponente trasformazione dell’insieme. Contestualmente una serie di nuovi ambienti si impianta sui resti dell’antemurale. Lo scavo più recente ha interessato, fra l’altro, quest’ultima porzione del villaggio (FIG. 4) adagiata immediatamente a ridosso del nuraghe, nella quale si è definita una serie di ambienti che compongono un piccolo agglomerato, secondo uno schema centripeto che si replica in altre situazioni galluresi recentemente indagate. Le costruzioni sono poste l’una tangente all’altra, affacciate su un viottolo d’accesso comune. Oltre che per la disposizione, si distinguono dalle capanne della fase precedente anche per la caratteristica dell’ingresso preceduto da un breve atrio. Esse rispondono a destinazioni d’uso che attestano lo svolgersi di attività specifiche. Infatti, grossi dolia (FIG. 5) e macine di diverse forme e dimensioni (FIG. 6) attestano lo stivaggio e la lavorazione di derrate. Allo stesso tempo, vani destinati ad attività di tipo artigianale possono indurre nell’ipotesi che nuovi modelli organizzativi del lavoro e della produzione siano sottesi nell’articolazione e nelle caratteristiche dei vani costruiti nell’ultima fase di vita del villaggio. Tra i diversi ambienti esplorati, la capanna 3, di circa 5 m di diametro, conserva al suo interno i resti di una costruzione realizzata in mattoni di fango (FIG. 7). Questi ultimi sono riconducibili a due tipi fondamentali: uno, che rappresenta la gran parte di essi, è di forma prismatica a sezione triangolare, caratterizzato da due facce piane e una scabra, ottenuto con l’utilizzo di una semplice matrice aperta, probabilmente in legno.

L’altro di forma parallelepipeda, attestato in una quantità sensibilmente inferiore rispetto al precedente, presenta facce piane spesso recanti l’impronta della matrice lignea. La colorazione dei mattoni va dal rosso del concotto al nero dovuto al contatto col fuoco. Analisi chimiche e fisiche condotte su campioni delle terre argillose che li compongono hanno dato giustificazione in tale senso, confermando che si tratta di un vano di cottura. Di questo, l’ingombro e la distribuzione spaziale dei resti consentono di ipotizzare la forma circolare, compresa all’interno di un perimetro lastricato funzionale anche all’agibilità dell’ambiente. Un’ipotesi ricostruttiva farebbe plausibilmente pensare che la struttura utilizzasse i mattoni del secondo tipo nello zoccolo inferiore, mentre la grande quantità del tipo triangolare potrebbe aver composto l’alzato (FIG. 8). Diverse le supposizioni relative alla sua utilizzazione. La congerie numerosa di frammenti ceramici rinvenuti sotto il crollo di tale struttura induce nell’ipotesi che si possa trattare di un forno destinato alla cottura delle ceramiche. Una simile interpretazione risulterebbe rafforzata anche dai dati di scavo provenienti dall’attigua capanna 2 (FIG. 9). Anche questa di pianta circolare, è provvista di tre piccole nicchie ricavate nello spessore murario, aperte sulla parete interna a distanze regolari l’una dall’altra. Alla base del muro perimetrale, è presente una fascia lastricata, risparmiata e ben distinta dal resto del pavimento in terra battuta. Una quantità notevole di contenitori fittili sono risultati disposti a gruppi all’interno dell’ambiente, quasi in un ordine stabilito per forme ceramiche. In particolare, lo studio della distribuzione spaziale dei tipi all’interno della capanna 2 mette in luce la presenza massiccia di forme di uso quotidiano, quali, in particolare, teglie e tegami, lungo la fascia perimetrale dell’ambiente, a ridosso del paramento interno. Al centro della capanna, invece, nello spazio sub-circolare definito dalla fascia perimetrale lastricata sopra descritta, sono attestate forme vascolari a pareti maggiormente sviluppate quali vasi a collo, scodelle e scodelloni, questi ultimi concentrati nella zona più prossima all’ingresso. I grandi contenitori, quali dolia e olle, occupano zone perimetrali tra loro simmetriche: in particolare, le olle sono concentrate in due gruppi ubicati uno a nord e un altro, meno numeroso, nella parte sud della capanna. Due capienti dolia con orlo triangolare ingrossato e anse a X, ritrovati in ampi frammenti per il crollo del tetto del vano, occupavano il lato nord dell’ambiente, in posizione opposta all’ingresso, lungo l’asse sud-ovest nord-est (FIGG. 5 e 8). Essi recano una serie numerosa di riparazioni avvenute in antico mediante l’inserimento di grappe di piombo sulle pareti e sul fondo (FIG. 5).

Queste appaiono disposte in ciascun vaso a rafforzare cedimenti strutturali dei grandi recipienti o a interrompere screpolature e filature verificatesi sulle pareti. Nella stessa capanna, il rinvenimento di un frammento di crogiuolo fittile, di due manufatti sub-circolari in piombo in forma di piccole “panelle” (si tratta di fondi di crogiuolo) e di alcuni ciottoli con tracce d’uso fanno ipotizzare che la riparazione dei contenitori possa essersi svolta all’interno dello stesso ambiente. La contiguità dei due vani appena descritti farebbe pensare all’attività di un vasaio. E probabile infatti che al lavoro di quest’ultimo artigiano si affiancasse l’intervento di uno “stagnino” (o magari lo stesso vasaio poteva operare in tale senso) che, ad essiccazione ultimata delle forme ceramiche, doveva intervenire per praticare fori e canalette nei punti deboli o danneggiati dei manufatti ceramici; solo successivamente alla cottura del vaso il piombo fuso doveva essere colato al loro interno. D’altronde, la forte differenza fra il punto di fusione del piombo e la temperatura necessaria per la cottura dell’argilla, ed in particolare di vasi di proporzioni ragguardevoli quali quelli in argomento, non poteva che consentire una simile sequenza delle due operazioni. La riparazione doveva comunque riguardare anche contenitori danneggiati durante la cottura. Potrebbe trovare una spiegazione in questo senso la presenza di frammenti di un terzo ziro rinvenuti nell’area nord-est della capanna, impilati uno sull’altro come se fossero stati disposti con qualche finalità specifica, forse proprio in attesa di un loro assemblaggio. L’insieme degli elementi fin qui esposti richiama l’evoluzione dei sistemi di produzione della ceramica durante l’età del Bronzo recente e finale. Fra l’altro, va evidenziato il fatto che i contatti con il mondo miceneo, protrattisi, come è noto, fin dalla fase corrispondente al Miceneo IIIA2, hanno determinato diverse innovazioni di carattere tecnologico, fra le quali l’utilizzazione di temperature più elevate di quelle tradizionali. Pertanto, nel caso in oggetto, la presenza dei resti del forno in mattoni crudi potrebbe trovare in tale senso una giustificazione plausibile. Strutture simili sono infatti ben documentate anche in ambienti dell’Italia meridionale sottoposti all’influenza del mondo miceneo. Inoltre, le dimensioni duna fabbricazione delle forme ceramiche quantitativamente consistente, certamente superiore alle esigenze di un nucleo famigliare. Questa semplice constatazione potrebbe far pensare ad un mutamento nell’organizzazione del lavoro che muove progressivamente dalla produzione domestica verso un artigianato più specializzato e, magari, centralizzato. In questa ipotesi, ulteriori suggerimenti provengono dal vano 14. Le forme ceramiche qui rinvenute, ancora in corso di studio, si riferiscono ad olle e contenitori in ceramica più raffinata, caratterizzata da impasti maggiormente depurati e superfici meglio trattate rispetto alle forme della capanna precedente. In aggiunta, una quantità di argilla sottile individuata nella parte centrale della capanna fa pensare al suo impiego nella rifinitura delle superfici dei contenitori a pareti sottili. In posizione tangente alla capanna 2, posta a chiudere il viottolo dal quale i diversi ambienti hanno l’accesso, è ubicata la capanna 10 (FIG. 10).
La sua planimetria articolata comprende un piccolo vano (vano 16) accessibile attraverso un ingresso architravato, aperto nella parete ovest dell’ambiente principale, contrapposto all’elemento che caratterizza particolarmente quest’ultimo: un forno con copertura cupoliforme, ricavato nel paramento murario di levante, costruito in pietre di piccole dimensioni, saldamente coese dall’esposizione al calore. Il piano di cottura è costituito da una lastra di granito alla quale se ne affiancava, probabilmente, un’altra rinvenuta fuori posto. A ridosso del muro perimetrale sono inoltre presenti due vasche di caratteristiche diverse: una è in blocchi rettangolari integrati con semplici zeppe, l’altra, di maggiori proporzioni, è costituita da sei lastre infisse verticalmente nel pavimento in terra battuta. Incassata sotto il piano di calpestio, un’olla biansata e a breve colletto distinto era alloggiata in una fossa appositamente scavata nel banco di roccia. Il suo contenuto terroso, protetto anche da una lastra di pietra che costituiva il coperchio del vaso, attende di essere verificato con accertamenti ed analisi specifiche che potranno fornire dati utili anche alla formulazione di un’ipotesi plausibile sulla funzione dell’ambiente del forno insieme alla destinazione di un intero edificio a questa specifica funzione, portano ad ipotizzare. In proposito assume importanza un altro elemento planimetrico che interessa l’insieme di questi vani. Si osserva infatti la presenza di uno spazio (vano 17) compreso fra la torre est e la capanna 10, privo di accesso, reso impermeabile dall’accumulo di una quantità considerevole di argilla. Da questo spazio si diparte una canaletta (FIG. 11) che, insinuandosi fra le capanne 10 e 11 e procedendo sotto il pavimento, si apre in una cisterna (FIG. 12). Questa è situata nel disimpegno sul quale le capanne in questione si affacciano.

All’interno della cisterna, un finestrello di troppo pieno assicurava il deflusso dell’acqua nella canaletta che, sotto il calpestìo del viottolo, entra nel vano 14 per sfociare poi, sempre attraverso una condotta sottostante il pavimento lastricato, all’esterno dell’isolato. Risulterebbe più che probabile che possa trattarsi di un espediente posto in essere per la raccolta di acque anche meteoriche che, raccogliendosi nel vano 17, raggiungevano la cisterna, dalla quale il prezioso elemento poteva essere attinto in quanto utile alla sua utilizzazione nell’ambito delle attività che si svolgevano nell’isolato. Nel generale riassetto degli spazi e nella specializzazione degli edifici si avverte, dunque, un’evoluzione di carattere organizzativo delle attività produttive che, pur con tutta la prudenza derivante dallo stato delle ricerche ancora in corso, potrebbe essere messo in relazione con cambiamenti sostanziali intervenuti nel contesto sociale e politico dell’età del Bronzo Finale. Una conferma a questa ipotesi proviene dalla comparsa di un edificio di particolare significato: la così detta “capanna delle riunioni” 17 (FIG. 13). Edificata sull’adattamento di strutture preesistenti, sfrutta di queste ultime le porzioni residue, impiantandosi nello spazio compreso fra il bastione e una torre dell’antemurale ormai in disuso. La posizione riservata denota il valore speciale dell’edificio. Esso è infatti l’unico ambiente, oltre al nuraghe, accessibile dall’ampio cortile esterno al bastione. L’articolazione delle unità stratigrafiche ha messo in evidenza come l’impianto degli elementi che la caratterizzano come “capanna delle riunioni” (l’aggiunta del sedile e del bancone, la struttura centrale circolare), sia pertinente ad una ulteriore fase di ristrutturazione avvenuta durante l’età del Bronzo Finale. La frequentazione più antica è documentata da forme ceramiche inquadrabili all’interno di un arco temporale che si conclude entro il Bronzo Recente: in questo contesto è opportuno rilevare la presenza di forme da mensa con tracce di esposizione al calore che fanno ipotizzare la destinazione domestica dell’ambiente. I materiali provenienti dagli strati più recenti confermano l’attribuzione della fase di ristrutturazione dell’ambiente in “capanna delle riunioni” all’età del Bronzo Finale. Caratterizzano in particolare il vano e lo riferiscono all’orizzonte culturale suddetto una grande olla biansata con tesa sulla spalla che, per l’eccezionalità della decorazione plastica e la destinazione ipotizzata, verrà, in questa sede, descritta ampiamente, un frammento di boccale con orlo svasato, alcune anse verticali a gomito rovescio, numerose ciotole carenate, un frammento di brocca con collo centrato rispetto all’asse verticale, assimilabile, per tipologia, a quella rinvenuta da Contu all’interno del pozzo, in un contesto riferibile al Bronzo Finale 2, un frammento di ansa verticale a bastoncello e infine una lucerna “a barchetta”. La presenza di alcune aree di combustione fa intuire l’esercizio, in questa fase, di attività particolari che richiedevano l’uso del fuoco. Insieme a questo, anche l’acqua rappresenta un elemento fondamentale nelle azioni e/o nei rituali che dovevano svolgersi in questa capanna, vista la vicinanza del pozzo situato nel cortile dal quale la capanna in questione ha l’accesso. E all’ambito dei riti del vano che si riferisce il vaso ivi rinvenuto, di cui si è fatto accenno sopra, eccezionale per forma e decorazioni fino ad oggi inedite (FIG. 14).



Si tratta di un’olla alta oltre 50 cm, con una stretta bocca dotata di un’ampia tesa provvista di quattro fori passanti. Ma ciò che rende ancora più particolare questo vaso è la decorazione in rilievo, caratterizzata da una sequenza articolata degli elementi che la compongono: presenta un elemento a cerchio non conchiuso, con estremità rastremate, al quale si innesta un listello ad angolo retto che si conclude con un segmento triangolare. A questo se ne accompagna un altro analogo, posto sulla stessa linea, distanziato dal precedente da una marcata depressione sull’argilla fresca. Questo elemento decorativo si ripete per quattro volte sulle pareti del vaso, in altrettanti punti diametralmente opposti: due di essi sono disposti al di sopra delle anse. La decorazione si arricchisce di altri simboli: un insieme di sei bastoncelli applicati sull’argilla fresca, tre dei quali con incisioni oblique che compongono una decorazione a spina di pesce. Un altro elemento è rappresentato da una forma a calice dai contorni morbidi, con la parte superiore ad andamento obliquo e con una protuberanza inferiore. Infine, nello spazio compreso fra quest’ultimo e uno dei simboli “corniformi”, un serpente con testa schiacciata e coda rastremata è reso in modo sorprendentemente naturalistico. Analizzati singolarmente, i diversi elementi decorativi trovano solo confronti generici nella sintassi sarda, ma nessun confronto puntuale. Particolare deve essere anche la funzione di questo vaso, che richiama per la sua forma e per la tesa esterna un’olla proveniente dal Nuraghe Nastasi di Tertenia in provincia di Nuoro, riferita al Bronzo Finale. La particolare foggia ha suggerito la sua funzione di recipiente atto alla distillazione. Anche per il vaso di La Prisgiona si può ipotizzare una funzione simile, o per lo meno una sua destinazione alla produzione di una speciale bevanda, la cui precisazione è affidata alle analisi gascromatografiche. I quattro fori passanti potevano fungere da sfiatatoio durante una bollitura certamente prolungata di qualche alimento; ma potevano anche costituire un filtro, riportando all’interno del vaso il liquido che doveva raccogliersi nella tesa magari durante una prolungata ebollizione e decantazione. Conferma la destinazione comunitaria dell’ambiente e l’esercizio di particolari rituali il rinvenimento – all’interno di una vasca inglobata nello svolgimento del bancone-sedile, a ridosso del muro perimetrale in posizione opposta all’ingresso – di numerosi frammenti pertinenti a 17 ciotole, tra le quali è possibile individuare la prevalenza del tipo carenato. Il rinvenimento delle ciotole e il numero delle unità che lo scavo ha restituito fa ipotizzare il consumo condiviso della bevanda contenuta all’interno dell’olla sopra descritta. In questa ipotesi, potrebbe non essere un caso anche la coincidenza del loro numero con quello dei sedili che costituiscono il bancone. La presenza nella stessa vasca di alcuni frammenti pertinenti a tre diverse brocche e di un attingitoio fittile completa e definisce un contesto materiale legato alla produzione e all’assunzione di sostanze liquide. In prossimità della vasca, a contatto con uno dei sedili del bancone, sono stati rinvenuti i frammenti di un vaso di forma chiusa, ancora in corso di studio, che potrebbe essere interpretato, per caratteristiche formali, come vaso distillatore associato all’olla biansata sopra descritta. In riferimento a quest’ultima, non si hanno elementi sufficienti ad ipotizzare la sua collocazione durante l’uso. La dispersione contenuta dei frammenti sembrerebbe suggerire un luogo non lontano dal punto di caduta, individuabile probabilmente nella stessa vasca della quale si è detto più sopra. Improbabile sembrerebbe, invece, il suo alloggiamento d’origine nella struttura circolare posta quasi al centro della capanna, atta ad accogliere probabilmente, come noto in contesti simili, un elemento legato ai rituali. Nel contesto magico-religioso cui l’edificio ed il suo corredo conducono, anche il pozzo adiacente alla capanna deve aver avuto un significato specifico. Originariamente funzionale all’approvvigionamento idrico per il nuraghe, potrebbe avere assunto una nuova valenza in rapporto alla pratica di precisi rituali della “capanna delle riunioni”. Forse non a caso lo scavo del pozzo non ha restituito recipienti idonei in senso proprio all’attingere acqua, ma piuttosto ceramiche di particolare fattura quali le brocchette askoidi. Il loro legame con la bevanda che doveva essere prodotta nella capanna delle riunioni potrebbe non essere azzardato. La presenza numerosa di fusaiole (in totale 10 unità) all’in-terno dell’ambiente indagato, sia negli strati più antichi, sia in quelli più recenti, sembrerebbe indicare un legame del vano con il mondo femminile: nella frequentazione del Bronzo Recente il loro rinvenimento sarebbe da porre in relazione con l’attività della filatura; in quella pertinente all’impianto della “capanna delle riunioni”, le fusaiole avrebbero assunto, all’interno di un ambiente legato al rituale, una valenza simbolica. Conclusioni Numerose sono le considerazioni e altrettante le problematiche che emergono dai dati sopra enunciati. In linea generale, appare evidente come il dinamismo economico, politico e sociale che, durante il Bronzo Finale, caratterizza la civiltà nuragica abbia interessato anche la Gallura. Infatti, l’osservazione del territorio ha evidenziato come la linearità dell’assetto organizzativo del Bronzo Recente, marcatamente indicato nelle unità insediative (il nuraghe, il bastione, l’antemurale), risulti interrotta, nel Bronzo Finale, dalla sovrapposizione concreta di nuovi elementi strutturali. Questi finiscono per alterare canoni costruttivi ormai considerati inadeguati rispetto a nuovi equilibri evidentemente raggiunti. Nel contempo, all’interno dei villaggi indagati, si constata un modo nuovo nel concepire gli spazi di lavoro. Infatti, l’articolazione e la destinazione d’uso degli ambienti dei quali si è detto, uniti in un unico isolato, farebbe intuire la nascita di nuclei di lavorazione all’interno degli abitati. La creazione di ambienti sempre più caratterizzati in ragione della loro funzione sembra riflettere la maggiore articolazione delle fasi di produzione dei beni di consumo, non più limitata al soddisfacimento dei bisogni interni al nucleo familiare ma volta, probabilmente, ad esaurire le richieste di un numero maggiore di persone: gli abitanti del villaggio. In un’ipotesi per il momento azzardata in quanto non sufficientemente dimostrabile, si potrebbe pensare che si fosse giunti a forme di organizzazione gerarchica dell’insediamento, con una gestione dei beni di consumo allargata all’ambito del comparto territoriale. A questa possibilità dovrebbe accompagnarsi anche una maggiore complessità sociale con un controllo più articolato delle risorse. Come si evince dall’indagine stratigrafica condotta all’interno del villaggio di La Prisgiona, agli aspetti probabilmente egualitari del Bronzo Recente sembrano sostituirsi forme più complesse di differenziazione sociale che presuppongono l’affermarsi, all’interno delle comunità nuragiche, di un’élite economica, politica e forse religiosa preposta al controllo e alla gestione non solo delle risorse, ma anche del culto e dei rituali a questo connessi. Dando per accreditata questa lettura, si può ipotizzare il confluire, all’interno di alcuni villaggi che potremmo considerare “primari” nell’ambito della struttura gerarchica dell’insediamento, di materie prime ricavate dallo sfruttamento di risorse specifiche provenienti da siti periferici secondari; questi ultimi appaiono distinti dai precedenti per la minore articolazione dell’insediamento e per la semplicità strutturale degli edifici. Si tratta di alture fortificate (spesso indicate in Gallura anche come “nuraghi”), legate ad abitati capannicoli poco estesi o a villaggi sotto roccia; tali insediamenti appaiono ubicati in prossimità di aree economicamente vantaggiose di tipo agricolo o pastorale. In funzione di un sistema di produzione così organizzato, il sito primario sembrerebbe dotarsi di zone artigianali articolate e complesse, provviste di spazi di lavorazione, così come è emerso dallo scavo del villaggio di La Prisgiona. Il controllo razionale degli spazi, probabilmente esercitato attraverso un sistema organizzato ed efficiente ad ampio raggio, doveva consentire pertanto alla comunità di sviluppare le sue potenzialità economiche, modificando l’assetto politico e sociale interno. Sembra confermare l’evoluzione avvenuta in questa fase all’interno della struttura sociale e politica del villaggio, l’edificazione delle “capanne delle riunioni”, che le evidenze stratigrafiche, anche nel caso di La Prisgiona, riferiscono ad una fase non troppo avanzata del Bronzo Finale. La nascita di edifici di spicco all’interno dei villaggi sembra essere concomitante all’esaurirsi della funzione di fortezza del nuraghe, ad indicare, probabilmente, una mutazione del luogo e dell’oggetto del potere. Ne potrebbe conseguire l’i-potesi di una sovrapposizione di diverse sfere di quest’ultimo: quella politico-economica e quella religiosa, probabilmente riunite in una sola persona cui fanno corona, nella gestione degli interessi del cantone, capi carismatici dei diversi clan o, forse più verosimilmente, di corporazioni di artigiani operanti in un ambito organizzato delle attività produttive.

Fonte: L’Africa Romana, Carocci Editore.  I luoghi e le forme dei mestieri e della produzione nelle province africane. Atti del XVIII convegno di studio Olbia, 11-14 dicembre 2008. A cura di Marco Milanese, Paola Ruggeri, Cinzia Vismara

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