domenica 17 maggio 2020

Archeologia della Sardegna. I “NoveArchi”, all'ombra dei Nuraghi. Articolo di Gustavo Bernardino


Archeologia della Sardegna. I “NoveArchi”, all'ombra dei Nuraghi
Articolo di Gustavo Bernardino

L'ultimo lavoro di Bartolomeo Porcheddu “ROMA COLONIA SARDA” auto pubblicato, contiene delle assolute “novità” che potrebbero aprire ulteriori nuovi orizzonti alla millenaria storia della nostra terra. Già dal titolo si capisce che la materia trattata è come usare la dinamite in un laboratorio di articoli di cristallo, o come leggere il cartello affisso nei tralicci dell'alta tensione “Chi tocca i fili muore”. Ma Bèrtolu Porcheddu, infischiandosi della pericolosità del tema, entra negli argomenti, li elabora con assoluta padronanza e offre soluzioni innovative e coraggiose. L'autore spadroneggia nell'uso di citazioni di autori classici greci e latini e
rimanda ad un elenco bibliografico diviso tra  “Autori antichi” e “Autori moderni”. Uno dei temi che più cattura l'interesse di chi legge è certamente quello che riguarda l'analisi del significato del termine “Nove Archi” con il quale gli egizi usavano definire le popolazioni loro nemiche che furono sconfitte e sottomesse dai faraoni.
Di tale argomento hanno scritto in tanti e fra questi il fondatore e direttore di questa rivista  Pier Luigi Montalbano con un articolo pubblicato in data 8 maggio 2010. Nessuno però è riuscito a documentare la possibilità che il termine “Nove archi” possa coniugarsi con le nove etnie di seguito elencate, presenti sul territorio sardo nel corso della civiltà nuragica. Il ragionamento di  Bèrtolu Porcheddu è descritto a partire da pag. 169.
“....I “NoveArchi” erano la trasposizione dal cielo alla terra delle nove stelle che componevano la figura di Ori[s]one. Le nove stelle chiamate “l'arciere” disegnavano un perimetro geometrico simile ad una clessidra che riprendeva i contorni della terra sarda. I “Nove Archi” erano perciò le nove stelle dell'arciere sardo  Ori[s]one.
Queste stelle che tracciavano la figura di Orione sulla volta celeste diedero vita sulla terra di Sardegna alla “Confederazione dei nove archi” i nove popoli sardi uniti in una “lega”, quasi come la fusione del rame con lo stagno che produceva il bronzo. Le bandiere erano tante e differenti, ma il Pan o il Pannu era unico.
Nella stele di Thutmose III  (1457 a.C. ) a Gebel Barkal è scritto : “Ho legato in fasci i Nove Archi, le Isole che sono in mezzo al mare, i popoli stranieri ribelli. Come in cielo governano 9 dei [stelle], così in terra dominano i Nove Popoli. Il mio bastone (tirso)ha colpito i Nove Archi”.
Il sovrano egizio Merenptah, infatti in una stele del 1200 a.C. circa, fa scrivere:” I principi prosternati gridano pietà! Nessuno alza la testa fra i Nove Archi. Il paese di Tjehenu è distrutto, il Khatti è in pace, Canaan è stata saccheggiata con tutto il male, Ascalon è presa e Gezer catturata, Yenoam è ridotta come se non fosse mai esistita”.
Le fonti egiziane associano spesso i Popoli del Mare alla “Lega dei Nove Archi” epiteto questo originato dai golfi e dalle [B]arche con le quali questi popoli giungevano dal mare. Anche per gli Egiziani l'Arca sacra era rappresentata da una imbarcazione.
L'ipotesi che i “Nove Archi” fossero tutti originari della Sardegna è provata dal toponimo “Arcidano” in cui è indicato chiaramente che il paese ora chiamato di San Nicolò faceva parte dell'Arco dei Danu nonché del coronimo Sarcidanu, la regione storica della Sardegna posta tra la Marmilla e la Barbagia di Belvì. Anche nel comune di Laconi esisteva il centro medioevale di S'Archidanu....”
L'autore proseguendo nel suo ragionamento sostiene che :”... In linea di massima, i loro etnonimi erano sintetizzati in questo modo:
SRDN (Sardanus) o DN (Danus); PLST (Peddàrgios); TKR (Caralitanus); KS o SKSL (Siculitanus o Sulcitanus di Ogliastra); LB (Ulbiesos); LQQ (Luchesos o Luchidonesos); TRS (Turresos o Tarresos);WSS (Lusitanos); SKLS (Sulcitanus del Sulcis).


(la cartina si trova a pag.171 del volume)

Nelle pagine successive Bàrtolu Porcheddu conduce il lettore in una sapiente spiegazione del suo ragionamento e lo trascina lungo un percorso di oltre 500 pagine in cui sviluppa il suo lavoro di analisi e ricostruzione di fatti storici interpretandoli e guardandoli sotto una nuova luce  colorata di sardità inedita ma realisticamente accettabile.
Un punto sul quale mi sento di differenziare il ragionamento fatto dall'autore, riguarda il significato del sostantivo “Cunnu” che Porcheddu fa discendere dal nome della costellazione del Cigno.
A pag. 94 l'autore scrive:”.. La costellazione del Cigno illumina il cielo notturno estivo dell'emisfero celeste boreale costituendo l'asterismo noto come “Croce del Nord”, in quanto è formata da due assi, orizzontale e verticale, che si intersecano formando una croce. Questa costellazione disegna un cigno che percorre il cielo in direzione Sud.
Il Cigno è scritto in latino Cygnus e si pronuncia Cunnus, in quanto la /Y/ si legge come una /u/ e la /g/ è il raddoppiamento della /n/. Per cui, se non si considera la desinenza -s del nominativo, vi è un'omonimia tra il cigno, cunnu, inteso come volatile, e il “cunnu” vero e proprio che in sardo e in latino significa “vulva” o “vagina” e, nell'accezione più vasta del termine, “prostituta”....”. Il mio ragionamento segue una diversa strada il cui punto di origine è il bronzetto votivo di Bitti.
Tale manufatto, di cui ancora oggi ufficialmente non vi è una interpretazione, ho ritenuto di poterlo attribuire alla divinità egizia Knum. Secondo MarioTosi eminente egittologo italiano, medaglia d'oro della Pubblica Istruzione, a pag. 77 del suo libro “ Dizionario delle divinità dell'Antico Egitto” Kemet Edizioni 2017 trattando la divinità Khnum, dice che : ” Il suo nome significa “colui che unisce “ ed ancora “Dio ariete o con corpo umano e testa di ariete, era considerato un Demiurgo, un dio-creatore, simile al dio Ptah di Menfi. Ogni uomo che nasceva era opera delle sue mani e veniva modellato con il fango sulla sua ruota di vasaio: ogni uomo era seguito dal suo Ka, dal suo doppio, simile in tutto all'uomo appena creato, quindi le figure formate da Khnum erano sempre due” la statuina bronzea in effetti rappresenta una figura con quattro occhi e due scudi (quattro braccia) quindi la rappresentazione di una figura doppia.  Il ragionamento è che il bronzetto votivo  probabilmente era stato commissionato da un guerriero (magari un soldato Shardana rientrato in Sardegna dopo aver prestato servizio nell'esercito del faraone) devoto alla divinità dalla quale aspettava qualche favore oppure per ringraziarlo di essere tornato sano e salvo dal viaggio. In un precedente articolo del 19/11/2018 ho evidenziato che probabilmente le popolazioni che erano devote a tale dio molto potente, il culto del quale era molto diffuso,  venivano chiamate “Knusitani” o Cunusitani come sono citati da Tolomeo (III, 3) e di cui ha ampiamente parlato un autore sardo Mario Cabriolu nel libro “La Sardegna Tolemaica”. Queste genti vivevano nel territorio in cui oggi troviamo il paese di Fonni. I Cunusitani quindi al pari dei Balari (adoratori di Baal) o dei Cristiani attuali, venivano individuati in base alla religione che professavano. Tra l'altro ritengo che  proprio la differenza tra i vari culti professati, creava le tensioni e le incomprensioni tra le varie comunità sarde. Porcheddu invece fa discendere il nome “Cunnu” non dal dio egizio ma dalla costellazione del Cigno.
 Il problema è che il latino inteso come lingua, appare in Sardegna ben dopo la millenaria storia della civiltà nuragica, caratterizzata tra le altre cose proprio dalla notevole produzione di statuaria bronzea. In sostanza il “cunnu” derivante dal dio “Knum” appare in Sardegna molto prima del “cunnu” derivante dal cigno.



5 commenti:

  1. Ringrazio Gustavo Bernardino per avermi citato e per aver elogiato nel complesso il contenuto del mio libro. Prima di ogni dibattito sul tema affrontato da Gustavo Bernardino, ovverosia sul significato e origine di Cygnus-Cunnus, tengo a precisare che sono i Romano-Latini i continuatori della lingua sarda antica e non viceversa. Pertanto, il nome alla costellazione del Cigno-Cunnus è da attribuire ai Sardi non ai Romano-Latini. Il dato importante che emerge da questo articolo è che, solo ora, grazie ai miei studi pubblicati sul libro "Roma colonia sarda", si comprende che Cygnus equivale a Cunnu. Poi contestualizzare e capire se siano stati gli Egiziani a coniare questo termine o i Sardi è un altro discorso. Ma anche qui ho da dire la mia. Colgo l'occasione per salutare Gustavo e gli appassionati di storia della Sardegna. A mezus bìdere, Bartolomeo Porcheddu

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  2. Ringrazio Gustavo Bernardino per l'elogio sul mio libro "Roma colonia sarda". Riguardo all'argomento relativo alla costellazione del Cygnus-Cunnu, devo premettere che solo grazie ai miei studi si può capire che il latino Cygnus equivale al sardo Cunnu. Poi, tengo a precisare che sono stati i Romano-Latini a tramandare questo nome fino ai nostri giorni prendendolo dal sardo antico e non viceversa. Per quanto concerne invece la contestualizzazione e comprendere se siano stati gli Egiziani o i Sardi a coniare questo termine, sono dell'avviso che dal Neolitico alla fine del Bronzo siamo stati noi a detenere la tecnologia e quindi anche le scoperte astronomiche. Ne approfitto per salutare Gustavo e tutti gli appassionati di storia della Sardegna.

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  3. Ma, se non ho capito male io, Cunnu (per indicare la costellazione) non ha dovuto aspettare il Cignus latino: sarebbe quindi Cignus (per Bartolomeo Porcheddu) a derivare da Cunnu. Tutto il libro fonda sul principio che in Sardegna si fossero attribuiti i nomi sulla mappa del cielo e della terra secoli prima dei Fenici e dei Greci, figuriamoci dei Romani; nomi che gli altri popoli, irradiati dalla Civiltà Sarda, fecero in sostanza propri.
    Inoltre vorrei chiedere conferma di questo: non è già stato Giuseppe (Pino) Maggiolo ad avanzare nel suo libro (Antica Sardegna - Una storia diversa; Grafica del Parteolla, 2017) la tesi dei Popoli del Mare tutti sardi (effettivamente sempre molto trattenuto quanto all’evidenziarlo fuori dalle sue pagine Interne)? Sarà il caso di dare a Cesare quel che ecc.?
    Quest’ultimo di Bartolomeo, tra le migliaia di sfide linguistiche cui offre il petto (davvero troppe per un uomo solo), sarebbe già un’opera capitale se potesse dimostrarsi veritiera la radice di Pelasgi nel sardo Peddargios (poi Pelliti).

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    1. Ringrazio tutti per aver letto l'articolo ed in particolare ringrazio e saluto Bartolomeo Porcheddu che con la sua opera ha offerto molti spunti di riflessione.

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