Archeologia della Sardegna. I “NoveArchi”, all'ombra dei
Nuraghi
Articolo di Gustavo
Bernardino
L'ultimo lavoro di Bartolomeo
Porcheddu “ROMA COLONIA SARDA” auto pubblicato, contiene delle assolute
“novità” che potrebbero aprire ulteriori nuovi orizzonti alla millenaria storia
della nostra terra. Già dal titolo si capisce che la materia trattata è come
usare la dinamite in un laboratorio di articoli di cristallo, o come leggere il
cartello affisso nei tralicci dell'alta tensione “Chi tocca i fili muore”. Ma
Bèrtolu Porcheddu, infischiandosi della pericolosità del tema, entra negli
argomenti, li elabora con assoluta padronanza e offre soluzioni innovative e
coraggiose. L'autore spadroneggia nell'uso di citazioni di autori classici
greci e latini e
rimanda ad un elenco bibliografico diviso tra “Autori antichi” e “Autori moderni”. Uno dei
temi che più cattura l'interesse di chi legge è certamente quello che riguarda
l'analisi del significato del termine “Nove Archi” con il quale gli egizi
usavano definire le popolazioni loro nemiche che furono sconfitte e sottomesse
dai faraoni.
Di tale argomento hanno
scritto in tanti e fra questi il fondatore e direttore di questa rivista Pier Luigi Montalbano con un articolo
pubblicato in data 8 maggio 2010. Nessuno però è riuscito a documentare la possibilità
che il termine “Nove archi” possa coniugarsi con le nove etnie di seguito
elencate, presenti sul territorio sardo nel corso della civiltà nuragica. Il
ragionamento di Bèrtolu Porcheddu è
descritto a partire da pag. 169.
“....I “NoveArchi” erano
la trasposizione dal cielo alla terra delle nove stelle che componevano la
figura di Ori[s]one. Le nove stelle chiamate “l'arciere” disegnavano un
perimetro geometrico simile ad una clessidra che riprendeva i contorni della
terra sarda. I “Nove Archi” erano perciò le nove stelle dell'arciere sardo Ori[s]one.
Queste stelle che
tracciavano la figura di Orione sulla volta celeste diedero vita sulla terra di
Sardegna alla “Confederazione dei nove archi” i nove popoli sardi uniti
in una “lega”, quasi come la fusione del rame con lo stagno che produceva il
bronzo. Le bandiere erano tante e differenti, ma il Pan o il Pannu era unico.
Nella stele di Thutmose
III (1457 a.C. ) a Gebel Barkal è
scritto : “Ho legato in fasci i Nove Archi, le Isole che sono in mezzo al mare,
i popoli stranieri ribelli. Come in cielo governano 9 dei [stelle], così in
terra dominano i Nove Popoli. Il mio bastone (tirso)ha colpito i Nove Archi”.
Il sovrano egizio
Merenptah, infatti in una stele del 1200 a.C. circa, fa scrivere:” I principi
prosternati gridano pietà! Nessuno alza la testa fra i Nove Archi. Il
paese di Tjehenu è distrutto, il Khatti è in pace, Canaan è stata saccheggiata
con tutto il male, Ascalon è presa e Gezer catturata, Yenoam è ridotta come se
non fosse mai esistita”.
Le fonti egiziane
associano spesso i Popoli del Mare alla “Lega dei Nove Archi” epiteto questo
originato dai golfi e dalle [B]arche con le quali questi popoli giungevano dal
mare. Anche per gli Egiziani l'Arca sacra era rappresentata da una
imbarcazione.
L'ipotesi che i “Nove
Archi” fossero tutti originari della Sardegna è provata dal toponimo “Arcidano”
in cui è indicato chiaramente che il paese ora chiamato di San Nicolò faceva
parte dell'Arco dei Danu nonché del coronimo Sarcidanu, la regione
storica della Sardegna posta tra la Marmilla e la Barbagia di Belvì. Anche nel
comune di Laconi esisteva il centro medioevale di S'Archidanu....”
L'autore proseguendo nel suo
ragionamento sostiene che :”... In linea di massima, i loro etnonimi erano
sintetizzati in questo modo:
SRDN (Sardanus) o DN
(Danus); PLST (Peddàrgios); TKR (Caralitanus); KS o SKSL (Siculitanus o
Sulcitanus di Ogliastra); LB (Ulbiesos); LQQ (Luchesos o Luchidonesos); TRS
(Turresos o Tarresos);WSS (Lusitanos); SKLS (Sulcitanus del Sulcis).
(la cartina si trova a
pag.171 del volume)
Nelle pagine successive
Bàrtolu Porcheddu conduce il lettore in una sapiente spiegazione del suo
ragionamento e lo trascina lungo un percorso di oltre 500 pagine in cui
sviluppa il suo lavoro di analisi e ricostruzione di fatti storici
interpretandoli e guardandoli sotto una nuova luce colorata di sardità inedita ma
realisticamente accettabile.
Un punto sul quale mi sento
di differenziare il ragionamento fatto dall'autore, riguarda il significato del
sostantivo “Cunnu” che Porcheddu fa discendere dal nome della
costellazione del Cigno.
A pag. 94 l'autore scrive:”..
La costellazione del Cigno illumina il cielo notturno estivo dell'emisfero
celeste boreale costituendo l'asterismo noto come “Croce del Nord”, in quanto è
formata da due assi, orizzontale e verticale, che si intersecano formando una
croce. Questa costellazione disegna un cigno che percorre il cielo in direzione
Sud.
Il Cigno è scritto in
latino Cygnus e si pronuncia Cunnus, in quanto la /Y/ si legge
come una /u/ e la /g/ è il raddoppiamento della /n/. Per
cui, se non si considera la desinenza -s del nominativo, vi è
un'omonimia tra il cigno, cunnu, inteso come volatile, e il “cunnu” vero
e proprio che in sardo e in latino significa “vulva” o “vagina” e, nell'accezione
più vasta del termine, “prostituta”....”.
Il mio ragionamento segue una diversa strada il cui punto di origine è il
bronzetto votivo di Bitti.
Tale manufatto, di cui ancora
oggi ufficialmente non vi è una interpretazione, ho ritenuto di poterlo
attribuire alla divinità egizia Knum. Secondo MarioTosi eminente egittologo
italiano, medaglia d'oro della Pubblica Istruzione, a pag. 77 del suo libro “
Dizionario delle divinità dell'Antico Egitto” Kemet Edizioni 2017 trattando la
divinità Khnum, dice che : ” Il suo nome significa “colui che unisce “ ed
ancora “Dio ariete o con corpo umano e testa di ariete, era considerato un
Demiurgo, un dio-creatore, simile al dio Ptah di Menfi. Ogni uomo che nasceva
era opera delle sue mani e veniva modellato con il fango sulla sua ruota di
vasaio: ogni uomo era seguito dal suo Ka, dal suo doppio, simile in tutto
all'uomo appena creato, quindi le figure formate da Khnum erano sempre due”
la statuina bronzea in effetti rappresenta una figura con quattro occhi e due scudi
(quattro braccia) quindi la rappresentazione di una figura doppia. Il ragionamento è che il bronzetto
votivo probabilmente era stato
commissionato da un guerriero (magari un soldato Shardana rientrato in Sardegna
dopo aver prestato servizio nell'esercito del faraone) devoto alla divinità
dalla quale aspettava qualche favore oppure per ringraziarlo di essere tornato
sano e salvo dal viaggio. In un precedente articolo del 19/11/2018 ho
evidenziato che probabilmente le popolazioni che erano devote a tale dio molto
potente, il culto del quale era molto diffuso,
venivano chiamate “Knusitani” o Cunusitani come sono citati da Tolomeo
(III, 3) e di cui ha ampiamente parlato un autore sardo Mario Cabriolu nel
libro “La Sardegna Tolemaica”. Queste genti vivevano nel territorio in cui oggi
troviamo il paese di Fonni. I Cunusitani quindi al pari dei Balari (adoratori
di Baal) o dei Cristiani attuali, venivano individuati in base alla religione
che professavano. Tra l'altro ritengo che
proprio la differenza tra i vari culti professati, creava le tensioni e
le incomprensioni tra le varie comunità sarde. Porcheddu invece fa discendere
il nome “Cunnu” non dal dio egizio ma dalla costellazione del Cigno.
Il problema è che il latino inteso come
lingua, appare in Sardegna ben dopo la millenaria storia della civiltà
nuragica, caratterizzata tra le altre cose proprio dalla notevole produzione di
statuaria bronzea. In sostanza il “cunnu” derivante dal dio “Knum”
appare in Sardegna molto prima del “cunnu” derivante dal cigno.
interessante....
RispondiEliminaRingrazio Gustavo Bernardino per avermi citato e per aver elogiato nel complesso il contenuto del mio libro. Prima di ogni dibattito sul tema affrontato da Gustavo Bernardino, ovverosia sul significato e origine di Cygnus-Cunnus, tengo a precisare che sono i Romano-Latini i continuatori della lingua sarda antica e non viceversa. Pertanto, il nome alla costellazione del Cigno-Cunnus è da attribuire ai Sardi non ai Romano-Latini. Il dato importante che emerge da questo articolo è che, solo ora, grazie ai miei studi pubblicati sul libro "Roma colonia sarda", si comprende che Cygnus equivale a Cunnu. Poi contestualizzare e capire se siano stati gli Egiziani a coniare questo termine o i Sardi è un altro discorso. Ma anche qui ho da dire la mia. Colgo l'occasione per salutare Gustavo e gli appassionati di storia della Sardegna. A mezus bìdere, Bartolomeo Porcheddu
RispondiEliminaRingrazio Gustavo Bernardino per l'elogio sul mio libro "Roma colonia sarda". Riguardo all'argomento relativo alla costellazione del Cygnus-Cunnu, devo premettere che solo grazie ai miei studi si può capire che il latino Cygnus equivale al sardo Cunnu. Poi, tengo a precisare che sono stati i Romano-Latini a tramandare questo nome fino ai nostri giorni prendendolo dal sardo antico e non viceversa. Per quanto concerne invece la contestualizzazione e comprendere se siano stati gli Egiziani o i Sardi a coniare questo termine, sono dell'avviso che dal Neolitico alla fine del Bronzo siamo stati noi a detenere la tecnologia e quindi anche le scoperte astronomiche. Ne approfitto per salutare Gustavo e tutti gli appassionati di storia della Sardegna.
RispondiEliminaMa, se non ho capito male io, Cunnu (per indicare la costellazione) non ha dovuto aspettare il Cignus latino: sarebbe quindi Cignus (per Bartolomeo Porcheddu) a derivare da Cunnu. Tutto il libro fonda sul principio che in Sardegna si fossero attribuiti i nomi sulla mappa del cielo e della terra secoli prima dei Fenici e dei Greci, figuriamoci dei Romani; nomi che gli altri popoli, irradiati dalla Civiltà Sarda, fecero in sostanza propri.
RispondiEliminaInoltre vorrei chiedere conferma di questo: non è già stato Giuseppe (Pino) Maggiolo ad avanzare nel suo libro (Antica Sardegna - Una storia diversa; Grafica del Parteolla, 2017) la tesi dei Popoli del Mare tutti sardi (effettivamente sempre molto trattenuto quanto all’evidenziarlo fuori dalle sue pagine Interne)? Sarà il caso di dare a Cesare quel che ecc.?
Quest’ultimo di Bartolomeo, tra le migliaia di sfide linguistiche cui offre il petto (davvero troppe per un uomo solo), sarebbe già un’opera capitale se potesse dimostrarsi veritiera la radice di Pelasgi nel sardo Peddargios (poi Pelliti).
Ringrazio tutti per aver letto l'articolo ed in particolare ringrazio e saluto Bartolomeo Porcheddu che con la sua opera ha offerto molti spunti di riflessione.
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