Articolo di Antonio d’Agostino
Qualche tempo fa durante una
visita a scopo culturale legata al mio lavoro d’archeologo ho avuto l’occasione
di visitare la caratteristica Grotta di Lascaux, una caverna frequentata nel
paleolitico, molto conosciuta a livello mondiale. Le caratteristiche di questa
grotta fanno sì che sia considerata la cappella Sistina del Paleolitico. La
visione di questo gioiello ha lasciato in me un ricordo indelebile. Ritengo di
essere stato un privilegiato perché ho potuto osservare con i miei occhi la
bellezza di questo modello d’arte parietale. Oggi per questioni di
conservazione del monumento, le visite sono limitate ai professionisti, anche
perché esistono due copie conformi realizzate per permettere ai turisti di
contemplare questo capolavoro in tutto il suo splendore, anche se, ammirare
l’originale è ben altra
cosa. Il grande artista Pablo Picasso quando vide per la
prima volta la grotta esclamò: “finalmente ho trovato i miei maestri”.
Tra tutti gli animali
rappresentati nella Grotta di Lascaux, uno ha attirato la mia attenzione: il
toro. Ma tutto l’insieme è di una bellezza incredibile: tante figure taurine
rupestri, dipinte da ignoti artisti vissuti migliaia di anni fa, mi hanno fatto
rivivere il simbolismo che questo animale nel corso dei millenni ha
rappresentato per molte civiltà. Mi son detto: cerchiamo di capire perché a
livello mondiale il peso sacrale e simbolico di questa protome taurina ha
lasciato una traccia così importante nella memoria. Devo ammettere che (quasi)
casualmente ho avuto la possibilità di leggere una pubblicazione scientifica
sul Madagascar legata a certi riti pagani correlati con la protome taurina.
Direte voi: come mai queste correlazioni che partono dalla Francia e arrivano
al Madagascar? Ebbene sì, la lettura di questo saggio mi ha permesso di capire
il legame di certi rituali antichissimi che alcune etnie di questa grande isola
svolgevano in passato e alcune di loro praticano ancora oggi. Ed è così che ho
fatto alcune scoperte legate a questo animale ed al simbolismo a cui è legata
la figura di questo animale, ad esempio che il suo vero nome scientifico è “Bos
Taurus Primigenius”. Questo bovino è stato una delle vittime predestinate
dei cacciatori paleolitici ma nel corso dei millenni è stato ammansito per
esigenze legate all’agricoltura e utilizzato come oggetto di culto in molte
civiltà. Il “Bos Taurus primigenius” è una specie conosciuta anche nel
Neolitico, grazie ad una recente scoperta archeologica. Durante uno scavo è stato, infatti, rinvenuto
uno scheletro risalente al neolitico (7500 a.C.) e si è appurato che il bovino
era stato ucciso dall’uomo, e non morto per cause naturali. Durante un’analisi
paleontologica approfondita sulle ossa
sono state riscontrate tracce d’impatto di frecce e di zagaglia.
L’Aurochs (cosi’ è stato
chiamato l’esemplare emerso durante lo scavo) è il diretto discendente del” Bos
Taurus” e la sua morfologia risulta possente, con un pronunciato sviluppo
delle corna e con una conformazione ossea importante. Nei secoli questo animale
si è adattato al territorio e la sua morfologia ha subito delle mutazioni
diventando domestico. Nel caso del Madagascar, un ceppo originatosi dall’antica
specie è stato denominato «Zébus» (che in gergo locale significa gobba)
e nelle comunità del Madagascar è ancora oggi considerato un’animale sacro. Ed
è qui che si è concentrata la mia curiosità.
Ho voluto approfondire le ricerche sulla sacralità in correlazione alla
quantità di simboli legati a questo bovino che sono evidenti in maniera
lampante in numerosi siti archeologici della Sardegna dove, anche se collocati
in periodi storici differenti, il simbolismo della protome taurina assume
caratteristiche importanti. Ed allora mi
sono domandato come mai in tantissimi siti archeologici sono rappresentati
animali «taurini» con lunghe corna. Ho pensato anziché ad un Toro, come siamo
abituati a considerarlo, ad una raffigurazione che rappresenti il suo antenato,
o un bue a grosse corna che era sicuramente presente anche nel Neolitico..
Il Simbolo dell’Auroch,
così lo chiamerei, si ritrova in molti siti archeologici della Sardegna, dalle Domus
de Janas alle Tombe dei Giganti, e perfino anche nelle statuine del Bronzo
finale - inizio del Ferro, come il bronzetto raffigurante il Guerriero
corazzato di Senorbi. Rileggendo certe pubblicazioni ho provato la sensazione
come di un nastro che si riavvolgeva. Rivedevo il messaggio di cui questo
animale è portatore, e con mio grande stupore ho scoperto riti cerimoniali e
consuetudini legati ad altre civiltà. Questo cerimoniale mi fa pensare alla
funzionalità simbolica che questo animale aveva e che si è trascinato per
secoli in Sardegna. Ritengo che la venerazione della «Protome Taurina» avesse
il suo spazio di culto nella vita nuragica.
L’Auroch. Toro dalle corna lunghe.
Racchiude in sé molte chiavi di
lettura: nella tradizione malgascia è un termine che si utilizza per definire
il Madagascar. L’animale sacro Zébus (Zebùs),come raccontano le
leggende, è simbolo di saggezza, ricchezza e di fortuna. In certe etnie
possedere uno Zébus bovino dalle lunghe corna o possedere una mandria di
Zébus equivale a essere ai
vertici delle gerarchie sociali. Questo animale, considerato domestico, oltre
che essere venerato è stato ed è ancora oggi oggetto di attività rituali. In
certe etnie, per esempio, è simbolo di passaggio dall’età giovanile all’età
adulta. È infatti tradizione che i giovani in età puberale devono affrontare
una insolita prova per affermare il loro passaggio all’età adulta: devono
rubare uno Zébus per mostrare le loro capacità e confermare il proprio coraggio
e il loro valore. Bisogna riconoscere che ancora oggi lo Zèbus riveste un ruolo
fondamentale nella società malgascia. In effetti dalla nascita alla morte è
parte importante nel cerimoniale dell’isola. Si racconta che in certe etnie
quando arriva il momento della morte e dei funerali, la mandria del defunto
viene sacrificata nella stessa giornata della cerimonia funebre. Inoltre i
crani degli Zèbus sono esposti davanti alla tomba del defunto ad indicare il
prestigio del personaggio. Simboleggiano il passaggio nell’altro mondo dello zèbus
in compagnia del defunto. Tutto ciò che è proprietà del defunto lo accompagna
anche nell’aldilà. In questi luoghi non vige il costume di lasciare in dote le
proprietà del defunto agli eredi. Chissà che questo tipo di cerimoniale non
possa essere simile a quello a cui si poteva assistere davanti all’esedra nelle
Tombe dei giganti o all’ingresso (o interno) delle Domus de Janas.
Come mai questi monumenti ricordano stranamente la testa di un Auroch? E’ una
coincidenza? Era costume in Madagascar, durante questo cerimoniale di passaggio
fra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti, coinvolgere la famiglia, gli amici
e tutto il villaggio per condividere il pasto dopo il sacrificio degli animali,
un cerimoniale che si svolge ancora ai giorni nostri. É risaputo che questo
animale durante i secoli si diffonde nelle varie regioni dell’Africa
settentrionale fino ad arrivare nella zona del Magreb, praticamente giungendo
così sulle sponde del Mediterraneo. E’ conosciuto ed apprezzato anche dagli
Egizi e diventa oggetto di scambi. L’animale in qualche modo si diffonde nel
resto del bacino mediterraneo e poi in Europa e in Sardegna, come si nota osservando
alcune vecchie foto di inizio ‘900 che ritraggono buoi dalle lunghe corna
utilizzati per i lavori nei campi. La
vasta e variegata diffusione è dovuta grazie soprattutto alle capacità di
adattamento al clima e al territorio. La forma e le dimensioni del bovide nel
corso dei secoli e delle migrazioni ne trasformano le peculiarità ma mantengono
ancora oggi le peculiarità, ovvero le lunghe corna. Nei secoli della
dominazione di Roma, i romani portarono un certo numero di questi bovidi nel
sud della Francia, e oggi attraverso gli scavi sono state messe in evidenza
alcune caratteristiche diverse tra gli esemplari del sud e quelli del Nord
della Francia. Oggi le cosiddette Vachette della «Camargue», per
esempio, conservano una tipologia simile e quella dei loro antenati.
Il sacrificio
:
Nel corso dei millenni in varie
parti del mondo il rituale del sacrificio era parte integrale della vita e
della morte. Questo cerimoniale era conosciuto da molte civiltà e credo che ciò
avvenisse anche nella nostra civiltà nuragica. In alcune etnie del Sud Africa
«l’Auroch» corrispondeva all’animale da sacrificare in onore dei defunti.
Alcuni racconti riportano a vecchi riti ancestrali: ad esempio il manifestarsi
di una malattia non era mai naturale e non veniva mai per caso, ma era legata
alla collera di un defunto, e per calmarlo era consuetudine offrirgli un Auroch
come sacrificio. Questo tipo di rituale si tramandava di generazione in
generazione. Chi svolgeva la pratica rituale assorbiva una sorta di protezione
e di benedizione unita ad una forte capacità di resistenza contro il mondo
delle forze invisibili e pericolose. In certe situazioni il rituale assumeva
una tendenza sciamanica. Si suole
raccontare che quando appariva un malefico spirito, per mantenere la coesione
sociale si svolgeva un rituale chiamato Salamanga, che consisteva nel
permettere al posseduto di correre su per la montagna, dove era
solito concentrare una mandria di Auroch
in un recinto. Una volta arrivato davanti al recinto degli Auroch,
doveva sceglierne il più forte, abbatterlo e bere il suo sangue. Se questo rituale non veniva eseguito in
questo modo si rischiava di vivere un periodo di pestilenza, e tutto il
villaggio ne avrebbe pagato le conseguenze.
Spesso questi racconti richiamano
la memoria a leggende che perdurano nel tempo e voglio pensare che nella vita
nuragica questo rituale era simile nonostante si svolgesse a migliaia di
chilometri di distanza. C’era un denominatore comune: il mito della venerazione
del Bos Taurus. Ancora oggi notiamo nella diversità della scultura parietale,
dell’oggettistica e dei siti archeologici in Sardegna che il modello simbolico
persiste, come se le lunghe corna del Bos Taurus mantenessero ancora oggi
questo filo conduttore. Il simbolismo del «Bos taurus Primigenius» continua a
proporsi a noi in una sorta di quesito enigmatico.
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