domenica 24 maggio 2020

Archeologia della Sardegna. Da Lascaux alla civiltà Nuragica Articolo di Antonio d’Agostino

Archeologia della Sardegna. Da Lascaux alla civiltà Nuragica 
Articolo di Antonio d’Agostino

Qualche tempo fa durante una visita a scopo culturale legata al mio lavoro d’archeologo ho avuto l’occasione di visitare la caratteristica Grotta di Lascaux, una caverna frequentata nel paleolitico, molto conosciuta a livello mondiale. Le caratteristiche di questa grotta fanno sì che sia considerata la cappella Sistina del Paleolitico. La visione di questo gioiello ha lasciato in me un ricordo indelebile. Ritengo di essere stato un privilegiato perché ho potuto osservare con i miei occhi la bellezza di questo modello d’arte parietale. Oggi per questioni di conservazione del monumento, le visite sono limitate ai professionisti, anche perché esistono due copie conformi realizzate per permettere ai turisti di contemplare questo capolavoro in tutto il suo splendore, anche se, ammirare l’originale è ben altra
cosa. Il grande artista Pablo Picasso quando vide per la prima volta la grotta esclamò: “finalmente ho trovato i miei maestri”.

Tra tutti gli animali rappresentati nella Grotta di Lascaux, uno ha attirato la mia attenzione: il toro. Ma tutto l’insieme è di una bellezza incredibile: tante figure taurine rupestri, dipinte da ignoti artisti vissuti migliaia di anni fa, mi hanno fatto rivivere il simbolismo che questo animale nel corso dei millenni ha rappresentato per molte civiltà. Mi son detto: cerchiamo di capire perché a livello mondiale il peso sacrale e simbolico di questa protome taurina ha lasciato una traccia così importante nella memoria. Devo ammettere che (quasi) casualmente ho avuto la possibilità di leggere una pubblicazione scientifica sul Madagascar legata a certi riti pagani correlati con la protome taurina. Direte voi: come mai queste correlazioni che partono dalla Francia e arrivano al Madagascar? Ebbene sì, la lettura di questo saggio mi ha permesso di capire il legame di certi rituali antichissimi che alcune etnie di questa grande isola svolgevano in passato e alcune di loro praticano ancora oggi. Ed è così che ho fatto alcune scoperte legate a questo animale ed al simbolismo a cui è legata la figura di questo animale, ad esempio che il suo vero nome scientifico è “Bos Taurus Primigenius”. Questo bovino è stato una delle vittime predestinate dei cacciatori paleolitici ma nel corso dei millenni è stato ammansito per esigenze legate all’agricoltura e utilizzato come oggetto di culto in molte civiltà. Il “Bos Taurus primigenius” è una specie conosciuta anche nel Neolitico, grazie ad una recente scoperta archeologica.  Durante uno scavo è stato, infatti, rinvenuto uno scheletro risalente al neolitico (7500 a.C.) e si è appurato che il bovino era stato ucciso dall’uomo, e non morto per cause naturali. Durante un’analisi paleontologica  approfondita sulle ossa sono state riscontrate tracce d’impatto di frecce e di zagaglia.

L’Aurochs (cosi’ è stato chiamato l’esemplare emerso durante lo scavo) è il diretto discendente del” Bos Taurus” e la sua morfologia risulta possente, con un pronunciato sviluppo delle corna e con una conformazione ossea importante. Nei secoli questo animale si è adattato al territorio e la sua morfologia ha subito delle mutazioni diventando domestico. Nel caso del Madagascar, un ceppo originatosi dall’antica specie è stato denominato «Zébus» (che in gergo locale significa gobba) e nelle comunità del Madagascar è ancora oggi considerato un’animale sacro. Ed è qui che si è concentrata la mia curiosità.  Ho voluto approfondire le ricerche sulla sacralità in correlazione alla quantità di simboli legati a questo bovino che sono evidenti in maniera lampante in numerosi siti archeologici della Sardegna dove, anche se collocati in periodi storici differenti, il simbolismo della protome taurina assume caratteristiche importanti.  Ed allora mi sono domandato come mai in tantissimi siti archeologici sono rappresentati animali «taurini» con lunghe corna. Ho pensato anziché ad un Toro, come siamo abituati a considerarlo, ad una raffigurazione che rappresenti il suo antenato, o un bue a grosse corna che era sicuramente presente anche nel Neolitico..

Il Simbolo dell’Auroch, così lo chiamerei, si ritrova in molti siti archeologici della Sardegna, dalle Domus de Janas alle Tombe dei Giganti, e perfino anche nelle statuine del Bronzo finale - inizio del Ferro, come il bronzetto raffigurante il Guerriero corazzato di Senorbi. Rileggendo certe pubblicazioni ho provato la sensazione come di un nastro che si riavvolgeva. Rivedevo il messaggio di cui questo animale è portatore, e con mio grande stupore ho scoperto riti cerimoniali e consuetudini legati ad altre civiltà. Questo cerimoniale mi fa pensare alla funzionalità simbolica che questo animale aveva e che si è trascinato per secoli in Sardegna. Ritengo che la venerazione della «Protome Taurina» avesse il suo spazio di culto nella vita nuragica.

L’Auroch. Toro dalle corna lunghe.
Racchiude in sé molte chiavi di lettura: nella tradizione malgascia è un termine che si utilizza per definire il Madagascar. L’animale sacro Zébus (Zebùs),come raccontano le leggende, è simbolo di saggezza, ricchezza e di fortuna. In certe etnie possedere uno Zébus bovino dalle lunghe corna o possedere una mandria di Zébus  equivale a essere ai vertici delle gerarchie sociali. Questo animale, considerato domestico, oltre che essere venerato è stato ed è ancora oggi oggetto di attività rituali. In certe etnie, per esempio, è simbolo di passaggio dall’età giovanile all’età adulta. È infatti tradizione che i giovani in età puberale devono affrontare una insolita prova per affermare il loro passaggio all’età adulta: devono rubare uno Zébus per mostrare le loro capacità e confermare il proprio coraggio e il loro valore. Bisogna riconoscere che ancora oggi lo Zèbus riveste un ruolo fondamentale nella società malgascia. In effetti dalla nascita alla morte è parte importante nel cerimoniale dell’isola. Si racconta che in certe etnie quando arriva il momento della morte e dei funerali, la mandria del defunto viene sacrificata nella stessa giornata della cerimonia funebre. Inoltre i crani degli Zèbus sono esposti davanti alla tomba del defunto ad indicare il prestigio del personaggio. Simboleggiano il passaggio nell’altro mondo dello zèbus in compagnia del defunto. Tutto ciò che è proprietà del defunto lo accompagna anche nell’aldilà. In questi luoghi non vige il costume di lasciare in dote le proprietà del defunto agli eredi. Chissà che questo tipo di cerimoniale non possa essere simile a quello a cui si poteva assistere davanti all’esedra nelle Tombe dei giganti o all’ingresso (o interno) delle Domus de Janas. Come mai questi monumenti ricordano stranamente la testa di un Auroch? E’ una coincidenza? Era costume in Madagascar, durante questo cerimoniale di passaggio fra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti, coinvolgere la famiglia, gli amici e tutto il villaggio per condividere il pasto dopo il sacrificio degli animali, un cerimoniale che si svolge ancora ai giorni nostri. É risaputo che questo animale durante i secoli si diffonde nelle varie regioni dell’Africa settentrionale fino ad arrivare nella zona del Magreb, praticamente giungendo così sulle sponde del Mediterraneo. E’ conosciuto ed apprezzato anche dagli Egizi e diventa oggetto di scambi. L’animale in qualche modo si diffonde nel resto del bacino mediterraneo e poi in Europa e in Sardegna, come si nota osservando alcune vecchie foto di inizio ‘900 che ritraggono buoi dalle lunghe corna utilizzati per i lavori nei campi.  La vasta e variegata diffusione è dovuta grazie soprattutto alle capacità di adattamento al clima e al territorio. La forma e le dimensioni del bovide nel corso dei secoli e delle migrazioni ne trasformano le peculiarità ma mantengono ancora oggi le peculiarità, ovvero le lunghe corna. Nei secoli della dominazione di Roma, i romani portarono un certo numero di questi bovidi nel sud della Francia, e oggi attraverso gli scavi sono state messe in evidenza alcune caratteristiche diverse tra gli esemplari del sud e quelli del Nord della Francia. Oggi le cosiddette Vachette della «Camargue», per esempio, conservano una tipologia simile e quella dei loro antenati.

Il sacrificio :
Nel corso dei millenni in varie parti del mondo il rituale del sacrificio era parte integrale della vita e della morte. Questo cerimoniale era conosciuto da molte civiltà e credo che ciò avvenisse anche nella nostra civiltà nuragica. In alcune etnie del Sud Africa «l’Auroch» corrispondeva all’animale da sacrificare in onore dei defunti. Alcuni racconti riportano a vecchi riti ancestrali: ad esempio il manifestarsi di una malattia non era mai naturale e non veniva mai per caso, ma era legata alla collera di un defunto, e per calmarlo era consuetudine offrirgli un Auroch come sacrificio. Questo tipo di rituale si tramandava di generazione in generazione. Chi svolgeva la pratica rituale assorbiva una sorta di protezione e di benedizione unita ad una forte capacità di resistenza contro il mondo delle forze invisibili e pericolose. In certe situazioni il rituale assumeva una tendenza sciamanica.  Si suole raccontare che quando appariva un malefico spirito, per mantenere la coesione sociale si svolgeva un rituale chiamato Salamanga, che consisteva nel permettere  al posseduto  di correre su per la montagna, dove era solito concentrare una mandria di Auroch  in un recinto. Una volta arrivato davanti al recinto degli Auroch, doveva sceglierne il più forte, abbatterlo e bere il suo sangue.  Se questo rituale non veniva eseguito in questo modo si rischiava di vivere un periodo di pestilenza, e tutto il villaggio ne avrebbe pagato le conseguenze.

Spesso questi racconti richiamano la memoria a leggende che perdurano nel tempo e voglio pensare che nella vita nuragica questo rituale era simile nonostante si svolgesse a migliaia di chilometri di distanza. C’era un denominatore comune: il mito della venerazione del Bos Taurus. Ancora oggi notiamo nella diversità della scultura parietale, dell’oggettistica e dei siti archeologici in Sardegna che il modello simbolico persiste, come se le lunghe corna del Bos Taurus mantenessero ancora oggi questo filo conduttore. Il simbolismo del «Bos taurus Primigenius» continua a proporsi a noi in una sorta di quesito enigmatico.

                                                                                    

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