Archeologia. Sardegna, la Civiltà Nuragica: Nuraghi a corridoio e Nuraghi a Tholos.
Articolo di Pierluigi Montalbano
(tratto dal libro: "Popoli del Mare", Capone Editore, 2019)
Nuraghi a Corridoio
La Civiltà
Nuragica, quella dei costruttori di nuraghi, si sviluppò in
Sardegna durante tutta l’età del Bronzo, dal XVII al X a.C., e continuò poi per
altri 5 secoli, attuando una serie di profondi cambiamenti sociali, in un
periodo in cui i sardi non costruivano più torri. Il substrato che consentì il
suo sviluppo si andò formando sul finire del III Millennio a.C., quando la
cultura locale, conosciuta come facies Monte Claro, fu fortemente influenzata
dalle genti del Vaso Campaniforme, portatori d’innovazioni importanti quali
l’architettura dolmenica, nuove tecnologie per la fusione dei metalli e una
forte specializzazione nell’uso delle armi.
All’inizio del II Millennio a.C. i
sardi si dedicavano ad attività agricole, alla pastorizia, alla pesca e alla
filiera dei metalli, soprattutto rame e argento. Fino a quel periodo le
architetture dei vivi erano costituite da piccoli villaggi con capanne in
pietra e frasche nei quali vivere e svolgere le attività quotidiane. I sepolcri
erano di due tipologie: le Domus de Janas, già in uso fin dal Neolitico, e le
Tombe di Giganti, evoluzione delle tombe a galleria introdotte dalla metà del
III Millennio a.C. dalle genti della cultura Monte Claro. Le tracce più antiche
di questa Civiltà sono da ricercare nella cultura Bonnannaro, alla fine del
Bronzo Antico, un periodo in cui si notano ceramiche povere, prive di decori,
portate alla luce prevalentemente in siti funerari. Per circa un secolo, si
nota un decremento demografico, e l’abbandono sistematico dei villaggi, forse a
causa di un cambiamento climatico, o per i conflitti territoriali dovuti alla
carenza di cibo. E’ in questa fase che iniziano a comparire le prime armi
metalliche, con forme derivate dai pugnali dell’età del Bronzo. Nelle fasi
successive, denominate Sa Turricula e Sant’Iroxi, i sardi introducono le leghe,
mescolando al rame piccole quantità di arsenico per indurire il metallo. Il
secolo seguente, alla fine del XVII a.C., si giunge alla lega di bronzo, con lo
sviluppo e la rapida evoluzione di tutte le attività legate alla produzione di
oggetti di bronzo. L’isola, ricca di miniere, ben presto iniziò a collaborare
con i popoli che si affacciavano nel Mediterraneo alla ricerca di metalli. E’
l’epoca dei primi grandi edifici nuragici, denominati nuraghi a corridoio,
bastioni in pietra alti dai 5 agli 8 metri, con ingressi a sezione
quadrangolare, provvisti di un corridoio interno, una scala per salire sul
tetto e caratterizzati da piccoli vani a pianta irregolare, utili per riporre
attrezzi e oggetti funzionali alle attività svolte nel nuraghe. In queste
strutture si nota l’imponente massa muraria che prevale con decisione sui
piccoli spazi interni sfruttabili. Nuraghi a Tholos
Si conoscono un migliaio di nuraghi a corridoio, nelle loro
varie tipologie evolutive, ma si deve aspettare fino al XV secolo a.C. per
vedere le prime torri svettare sul panorama sardo. Inizialmente c’è
un’evoluzione delle strutture con l’introduzione della copertura a doppio
spiovente, sempre in pietra, che sostituisce quella realizzata con grandi lastre
orizzontali. In questo modo, con la tecnica denominata ad aggetto, era
possibile elevare di qualche metro il nuraghe e ampliare lo spazio interno.
Mentre la funzione dei nuraghi a corridoio è prevalentemente quella di
circondare, confinandolo, il territorio di pertinenza di una comunità, con scopi
evidentemente legati alla protezione della vallata, del corso d’acqua, dei
terreni coltivati e del villaggio, i nuovi edifici mostrano caratteristiche che
fanno pensare a un utilizzo misto, con funzioni religiose e sociali che si
mescolano indissolubilmente con quelle di “segni indelebili del possesso di un
territorio”. Il materiale da costruzione è generalmente la pietra locale, ma si
nota la presenza di pietre speciali poste in punti cospicui dell’edificio, ad
esempio l’architrave dell’ingresso e i mensoloni che reggono il terrazzo. I
sardi nuragici arrivano presto ad aggiungere torri a quelle già in essere,
unendole con poderose mura e bastioni, e a specializzare una forma più
rotondeggiante delle camere interne, con il vantaggio di poter elevare l’altezza
degli edifici, giungendo facilmente a superare i 10 metri. Verso la metà del
XIV a.C. le torri sono ormai maestose, con camere interne perfettamente
circolari, ingressi a sezione tronco ogivale e massi sbozzati con cura per
favorirne il posizionamento nelle pareti e consentire lo sviluppo di una
struttura elicoidale tronco conica che punta verso l’alto. All’interno, il
soffitto a tholos rende il nuraghe assai bello da vedere. In questo periodo,
siamo nel 1300 a.C., c’è la svolta architettonica, nella quale si notano tutte
le abilità ingegneristiche, progettuali ed esecutive dei sardi: la
sovrapposizione di torri. Nascono maestosi edifici che vedono fino a tre torri
montate una sull’altra, in uno sforzo edilizio unico al mondo. Si superano i 20
metri di altezza e, in qualche caso, si arriva a sfiorare il tetto dei 30
metri, come nel caso del nuraghe Arrubiu di Orroli e del Santu Antine di
Torralba. Questi prodigiosi nuraghi che sfidano le leggi della statica, furono
per millenni i più alti edifici vivibili del pianeta, secondi solo alle
piramidi che, però, non consentono la vita all’interno. Nei nuraghi è sempre
presente l’acqua, con cisterne che garantivano la possibilità di utilizzo
autonomo per brevi periodi. Le tecniche costruttive dei maestri artigiani sardi
precedono di qualche decennio quelle, più celebri, delle tholos micenee e dei
corridoi a sesto acuto di Tirinto e Hattusa, e testimoniano relazioni culturali
fra la Civiltà Nuragica e quelle prospicienti il Mar Egeo.
bello, ben spiegato e per niente noioso. Complimenti!!!
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