domenica 29 dicembre 2019

Archeologia. Sardegna, la Civiltà Nuragica: Nuraghi a corridoio e Nuraghi a Tholos. Articolo di Pierluigi Montalbano


Archeologia. Sardegna, la Civiltà Nuragica: Nuraghi a corridoio e Nuraghi a Tholos. 
Articolo di Pierluigi Montalbano
(tratto dal libro: "Popoli del Mare", Capone Editore, 2019)

Nuraghi a Corridoio
La Civiltà Nuragica, quella dei costruttori di nuraghi, si sviluppò in Sardegna durante tutta l’età del Bronzo, dal XVII al X a.C., e continuò poi per altri 5 secoli, attuando una serie di profondi cambiamenti sociali, in un periodo in cui i sardi non costruivano più torri. Il substrato che consentì il suo sviluppo si andò formando sul finire del III Millennio a.C., quando la cultura locale, conosciuta come facies Monte Claro, fu fortemente influenzata dalle genti del Vaso Campaniforme, portatori d’innovazioni importanti quali l’architettura dolmenica, nuove tecnologie per la fusione dei metalli e una forte specializzazione nell’uso delle armi.
All’inizio del II Millennio a.C. i sardi si dedicavano ad attività agricole, alla pastorizia, alla pesca e alla filiera dei metalli, soprattutto rame e argento. Fino a quel periodo le architetture dei vivi erano costituite da piccoli villaggi con capanne in pietra e frasche nei quali vivere e svolgere le attività quotidiane. I sepolcri erano di due tipologie: le Domus de Janas, già in uso fin dal Neolitico, e le Tombe di Giganti, evoluzione delle tombe a galleria introdotte dalla metà del III Millennio a.C. dalle genti della cultura Monte Claro. Le tracce più antiche di questa Civiltà sono da ricercare nella cultura Bonnannaro, alla fine del Bronzo Antico, un periodo in cui si notano ceramiche povere, prive di decori, portate alla luce prevalentemente in siti funerari. Per circa un secolo, si nota un decremento demografico, e l’abbandono sistematico dei villaggi, forse a causa di un cambiamento climatico, o per i conflitti territoriali dovuti alla carenza di cibo. E’ in questa fase che iniziano a comparire le prime armi metalliche, con forme derivate dai pugnali dell’età del Bronzo. Nelle fasi successive, denominate Sa Turricula e Sant’Iroxi, i sardi introducono le leghe, mescolando al rame piccole quantità di arsenico per indurire il metallo. Il secolo seguente, alla fine del XVII a.C., si giunge alla lega di bronzo, con lo sviluppo e la rapida evoluzione di tutte le attività legate alla produzione di oggetti di bronzo. L’isola, ricca di miniere, ben presto iniziò a collaborare con i popoli che si affacciavano nel Mediterraneo alla ricerca di metalli. E’ l’epoca dei primi grandi edifici nuragici, denominati nuraghi a corridoio, bastioni in pietra alti dai 5 agli 8 metri, con ingressi a sezione quadrangolare, provvisti di un corridoio interno, una scala per salire sul tetto e caratterizzati da piccoli vani a pianta irregolare, utili per riporre attrezzi e oggetti funzionali alle attività svolte nel nuraghe. In queste strutture si nota l’imponente massa muraria che prevale con decisione sui piccoli spazi interni sfruttabili.

Nuraghi a Tholos

Si conoscono un migliaio di nuraghi a corridoio, nelle loro varie tipologie evolutive, ma si deve aspettare fino al XV secolo a.C. per vedere le prime torri svettare sul panorama sardo. Inizialmente c’è un’evoluzione delle strutture con l’introduzione della copertura a doppio spiovente, sempre in pietra, che sostituisce quella realizzata con grandi lastre orizzontali. In questo modo, con la tecnica denominata ad aggetto, era possibile elevare di qualche metro il nuraghe e ampliare lo spazio interno. Mentre la funzione dei nuraghi a corridoio è prevalentemente quella di circondare, confinandolo, il territorio di pertinenza di una comunità, con scopi evidentemente legati alla protezione della vallata, del corso d’acqua, dei terreni coltivati e del villaggio, i nuovi edifici mostrano caratteristiche che fanno pensare a un utilizzo misto, con funzioni religiose e sociali che si mescolano indissolubilmente con quelle di “segni indelebili del possesso di un territorio”. Il materiale da costruzione è generalmente la pietra locale, ma si nota la presenza di pietre speciali poste in punti cospicui dell’edificio, ad esempio l’architrave dell’ingresso e i mensoloni che reggono il terrazzo. I sardi nuragici arrivano presto ad aggiungere torri a quelle già in essere, unendole con poderose mura e bastioni, e a specializzare una forma più rotondeggiante delle camere interne, con il vantaggio di poter elevare l’altezza degli edifici, giungendo facilmente a superare i 10 metri. Verso la metà del XIV a.C. le torri sono ormai maestose, con camere interne perfettamente circolari, ingressi a sezione tronco ogivale e massi sbozzati con cura per favorirne il posizionamento nelle pareti e consentire lo sviluppo di una struttura elicoidale tronco conica che punta verso l’alto. All’interno, il soffitto a tholos rende il nuraghe assai bello da vedere. In questo periodo, siamo nel 1300 a.C., c’è la svolta architettonica, nella quale si notano tutte le abilità ingegneristiche, progettuali ed esecutive dei sardi: la sovrapposizione di torri. Nascono maestosi edifici che vedono fino a tre torri montate una sull’altra, in uno sforzo edilizio unico al mondo. Si superano i 20 metri di altezza e, in qualche caso, si arriva a sfiorare il tetto dei 30 metri, come nel caso del nuraghe Arrubiu di Orroli e del Santu Antine di Torralba. Questi prodigiosi nuraghi che sfidano le leggi della statica, furono per millenni i più alti edifici vivibili del pianeta, secondi solo alle piramidi che, però, non consentono la vita all’interno. Nei nuraghi è sempre presente l’acqua, con cisterne che garantivano la possibilità di utilizzo autonomo per brevi periodi. Le tecniche costruttive dei maestri artigiani sardi precedono di qualche decennio quelle, più celebri, delle tholos micenee e dei corridoi a sesto acuto di Tirinto e Hattusa, e testimoniano relazioni culturali fra la Civiltà Nuragica e quelle prospicienti il Mar Egeo.

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