Articolo
di Giovanni Schioppo.
Mentre i
re etruschi di Roma erano impegnati a costruire la loro città e a fare guerre
contro i latini e i sabini, la vicina Caere, in forte competizione con i greci
di Marsiglia e di Alalia, era interessata al suo commercio marittimo lungo le
coste italiche e con la Sardegna e la Corsica. Secondo molti studiosi la
battaglia di Alalia, detta anche “battaglia
del mare sardo”, combattuta da etruschi e cartaginesi contro i focei di
Alalia fu la prima grande battaglia navale della storia. Le cause più remote
che portarono
Esaminiamo
ora i fatti.
Durante
la prima metà del VI secolo a. C. le marinerie etrusche solcavano quasi indisturbate
le rotte del Mediterraneo occidentale commerciando assieme ai cartaginesi con i
principali centri del grande bacino. Tra i loro prodotti c’erano principalmente
anfore vinarie, vasellame di bucchero, il ferro dell’isola d’Elba e i manufatti
siderurgici di Populonia. Questi ultimi erano per gli etruschi quasi certamente
i più importanti e, probabilmente, anche i più richiesti e remunerativi. In
questa prima fase non c’erano significative rivalità tra etruschi e greci;
infatti dai reperti archeologici ritrovati lungo le coste e i fondali che vanno
da Pisa fino a Marsiglia, si evince che gli etruschi si servivano,
contemporaneamente ai greci, dell’emporio greco per i loro scambi commerciali
con le popolazioni celtiche d’Oltralpe. Negli
stessi anni accaddero fatti che determinarono il corso degli eventi successivi.
Il primo riguardò Cartagine che nel 573 a.C. si affrancò dalla sua madrepatria
Tiro che era stata assoggettata dai persiani di Nabucodonosor II. Da questo
momento la città punica assunse in breve tempo la supremazia su tutte le
colonie fondate dai fenici nel Mediterraneo occidentale e tra le sue mire entrò
il controllo di tutta la Sardegna dove i fenici di Tiro avevano già fondato
Karalis (Cagliari).
Un
secondo evento riguardò la colonia greca di Focea. Questa era stata fondata
agli inizi dell’VIII secolo a. C. nella Ionia (l’odierna Turchia) a circa
sessanta chilometri a nord-est di Smirne da coloni provenienti dalla città
greca Erìtrea e da Teos, antico centro dell’Asia minore. Abili commercianti ed
esperti marinai, i focei avevano allacciato rapporti commerciali con alcuni dei
più importanti empori del Mediterraneo e perfino con la lontana Tartesso
(antico centro iberico situato al di là delle “colonne d’Ercole” probabilmente
presso la foce del Guadalquivir). Alla ricerca di nuovi mercati avevano poi
capito che il Rodano costituiva un’importante via commerciale per l’Europa
centro-occidentale attraverso la quale giungevano nel Mediterraneo molti
prodotti e materie prime tra cui zinco, stagno per la fusione del bronzo e la
ricercata ambra, una resina derivata dalla fossilizzazione degli umori di
alcune piante tra le quali le conifere. Fin da tempi antichissimi veniva
estratta dai giacimenti nordeuropei e da qui raggiungeva, attraverso il Rodano
e il Danubio i maggiori centri commerciali del Mediterraneo e del vicino
oriente. Ancora oggi, come nell’antichità, l’ambra è usata in gemmologia. Da qui la necessità, per i loro commerci, di
fondare Massalia inserendosi nel commercio etrusco e cartaginese con i celti
d’Oltralpe.
Avvenne
poi che nel 546 a. C. Focea perse l’indipendenza ad opera di Arpago, generale
di Ciro II il grande. I suoi abitanti, secondo Erodoto, abbandonarono in massa
la città dirigendosi verso l’isola egea di Chio dove gli abitanti rifiutarono
di vendere loro alcune isolette circostanti. Di qui la decisione di far rotta verso
il Tirreno dove circa venti anni prima, sulla costa tirrenica della Corsica, i
focei di Massalia, avevano stabilito un loro emporio chiamato poi Alalia.
Ricongiuntisi con questi, i nuovi arrivati ampliarono l’emporio con nuove
costruzioni di tipo civile e religioso e si dedicarono poi ad atti pirateschi
contro le coste dell’Etruria.
Le città
etrusche, tra le quali spiccava la potenza marittima e mercantile di Caere che,
quasi certamente, era quella che maggiormente paventava la minaccia del
pericolo greco, videro fortemente compromessi i loro commerci nel Tirreno e,
più in generale nel Mediterraneo. Tra l’altro proprio verso la metà del secolo
Populonia iniziava con i suoi forni la lavorazione dei pani di ferro
provenienti dall’isola d’Elba divenendo in poco tempo il principale centro
siderurgico del Mediterraneo occidentale. È più che evidente, allora, che le
officine e i prodotti metallurgici di questa città etrusca incominciarono a far
gola a tutti i commercianti le cui navi solcavano quelle rotte. Non siamo
lontani dal vero se sosteniamo che gli etruschi nutrivano anche il timore di
eventuali attacchi dei Focei all’Isola d’Elba. In proposito così si esprime il
Cristofani:
«I Focei, secondo Erodoto, avrebbero
intrapreso, primi fra i Greci, viaggi marittimi a lunga distanza, usufruendo di
navi veloci e sarebbero giunti in Adriatico, in Etruria, in Iberia e fino a
Tartesso, oltre le colonne d’Ercole, ove avrebbero instaurato rapporti di
amicizia con il re locale Argantonio. Tali spedizioni, risalenti al VII secolo
a.C., vengono messe in relazione con la richiesta di metalli, una volta che fu
interrotto il loro approvvigionamento tramite le regioni interne dell’Asia
minore, a causa delle invasioni dei Cimmeri (675 a. C. circa)».
A loro
volta i cartaginesi non potevano consentire l’interferenza di questi audaci
greci nei loro commerci, perciò la pacifica coesistenza tra etruschi e
cartaginesi nel bacino Mediterraneo occidentale si trasformò, probabilmente
dopo un’intensa trattativa diplomatica,
in una alleanza di fatto. Per
quanto riguarda l’alleanza tra etruschi e cartaginesi Aristotele (La politica, III, 9, 1280a) ci informa che “gli etruschi e
i cartaginesi … hanno dei trattati per le importazioni e per il reciproco
rispetto, e condizioni scritte per l’alleanza in caso di guerra”. Per la nuova
coalizione il dinamismo dei focei, che si manifestava non solo nei loro
commerci ma anche con frequenti azioni piratesche, dovette rappresentare un
pericolo così grande da indurre etruschi e cartaginesi ad armare una flotta di
ben centoventi navi, delle quali sessanta furono messe in mare da Caere.
L’obiettivo comune era quello di stroncare ogni tentativo dei focei di
attraversare le loro rotte e di minacciare i loro commerci; non solo, ma anche
e principalmente quello di proteggere le attività estrattive nell’Isola d’Elba
e quelle siderurgiche di Populonia che davano agli etruschi il monopolio del
commercio del prezioso metallo. Vennero così concordati i tempi e i modi con
cui sferrare l’attacco al loro comune nemico. I cartaginesi, tra l’altro, con
le loro navi attuarono anche un blocco, presumibilmente nel canale di Sicilia,
per impedire ad altri greci di raggiungere le Colonne d’Ercole attraverso cui
si aprivano altre rotte per l’Europa settentrionale. Si venne a battaglia in un
anno compreso tra il 540 e il 530 a. C. (probabilmente durante il regno di
Servio Tullio) quando la flotta alleata intercettò nei pressi della costa
settentrionale della Sardegna quella dei focei, composta solo da sessanta navi.
La dinamica della battaglia non ci è nota. Sappiamo solo che Erodoto definì
quella dei focei una vittoria di Cadmo (oggi diremmo una vittoria di Pirro) in
quanto ben quaranta delle loro navi furono affondate, mentre le rimanenti venti
furono rese inservibili a causa della rottura dei loro rostri. Questa
informazione che ci fornisce Erodoto è un indizio che ci fa capire come
probabilmente si svolgevano a quei tempi le battaglie navali: l’equipaggio non
andava “all’arrembaggio”, bensì il comandante del naviglio effettuava manovre
volte a speronare la nave avversaria e provocarne in questo modo
l’affondamento. Solo nella prima guerra punica si aggiunse allo speronamento la
tattica dell’arrembaggio introdotta dai romani con l’invenzione del “corvo”.
Questo era una sorta di ponte mobile che permetteva di agganciare la nave
nemica consentendo all’equipaggio armato di invaderla facendo poi strage
nell’equipaggio avversario. Molti furono i prigionieri, e quelli che toccarono
agli etruschi, condotti a Caere, furono lapidati. I loro corpi, lasciati a
marcire, causarono una pestilenza tra la popolazione di quei luoghi, al che,
per espiare il torto di una simile crudeltà, gli abitanti di Caere inviarono
una delegazione a Delfi dove la Pizia sentenziò che i ceriti periodicamente
dovessero fare sacrifici ed indire gare ginniche ed equestri in onore dei focei
lapidati. Circa il luogo dove venivano celebrati questi riti il Torelli ci
informa che
Dopo la
pesante sconfitta, imbarcati i loro compatrioti su quello che restava della
loro flotta, i focei fecero rotta per Reggio e da qui, successivamente, nel
Cilento dove fondarono Elea (Velia) nei pressi dell’attuale Ascea. Le
conseguenze della sconfitta dei focei furono notevoli. I cartaginesi
guadagnarono il controllo della Sardegna e la loro potenza nel Mediterraneo
occidentale aumentò a tal punto da riuscire a cacciare tutti i greci dalle loro
colonie iberiche di Mainake e di Hemeroskopeion
sostituendosi a queste
nei loro commerci con Tartesso. Agli etruschi toccò invece il possesso della
Corsica. Da allora, e ancora per diversi decenni, le rotte tirreniche non
furono più solcate da navi elleniche se non per motivi puramente commerciali.
Infatti i commerci greci con le popolazioni celtiche tramite l’emporio di
Marsiglia non si interruppero
bruscamente e definitivamente ma continuarono ad esistere anche se con
minore intensità. Tra l’altro in quei luoghi etruschi e cartaginesi non
commerciavano solo con i celti, ma anche con gli stessi greci i cui prodotti
(specialmente la ceramica attica e corinzia) erano molto apprezzati in tutti i
principali centri etruschi.
scrive RoBer:
RispondiElimina.. I...Persiani di Nabucodonosor II la dice tutta.
Se come afferma, tra le conseguenze della battaglia vi fu il controllo della Sardegna, mi può spiegare come mai nel 509 i punici ne tentarono la conquista con un esercito guidato da Malco, e uscendone sconfitti ci riprovarono alcuni decenni dopo guidati da Asdrubale e Amilcare.
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