Archeologia. Il Vino,
la Vita e la Morte nella Sardegna Punica.
Articolo di Carlo Tronchetti
Il consumo del vino ed
il valore conferito alla bevanda in Sardegna durante il periodo punico
differisce totalmente da quello che aveva nel precedente mondo fenicio, e che è
stato ben illustrato da Paolo Bernardini, in linea con quello che possiamo
chiamare il Mediterraneo delle aristocrazie.
Si va a perdere il
valore sacrale che accompagnava l’assunzione della bevanda, con il suo rituale
di strumenti particolari, quali il piccolo tripode per triturare le essenze che
aromatizzavano il liquido.
Il vino mantiene
sempre la sua valenza di bevanda peculiare, che unisce in sè l’aspetto edonistico
e quello più oscuro che deriva dall’inebriamento provocato dalla smodatezza nel
bere, ma il suo uso diviene generalizzato. Il dettagliato e fondamentale esame
del materiale anforico di Cartagine compiuto da B.Bechtold, in
particolare, per quel che ci riguarda, per i suoi periodi Middle Punic I e II, mostra
chiaramente l’importanza e la mole del traffico di anfore vinarie verso la
metropoli africana; la sua veloce disamina della situazione sarda, basata sui
materiali editi e notizie ancora inedite, unitamente ad altre recenti
pubblicazioni, conferma anche per la Sardegna, sia pure in
misura quantitativamente
più ridotta, questa tendenza.
Di estremo interesse è
l’osservazione del repertorio formale utilizzato per il consumo del vino
durante il V ed il IV sec. a.C., che esaminerò in massima prevalenza sotto il
profilo del materiale ceramico di importazione.
E’ già stato notato
come l’assortimento del vasellame per bere punico si caratterizzi per l’assenza
di anse (figg. 1-2), tranne che negli esemplari che imitano o si ispirano a
fogge importate. Gli studi di Bartoloni, generali e di dettaglio e analisi di
situazioni locali mostrano come questo aspetto sia generalizzato.
Al contrario nel mondo
“classico” sono stati considerati specifici recipienti per l’assunzione del
vino i vasi per bere ansati, specificazione che io ritengo possa essere sicuramente
valida per l’ambiente in cui è stata proposta, ma che considero non pienamente applicabile
quando ci si sposti in un altro e diverso ambito culturale, quale quello del
mondo punico e punicizzato d’occidente, come ho già avuto modo di puntualizzare
in altra sede. Questo è un fenomeno interessante, perché consente di
individuare un approccio al consumo del vino che si configura diverso da quello
che troviamo ben attestato in ambito ellenico o fortemente
ellenizzato. Altro aspetto rilevante è la marcata diversificazione tra contesti
di abitato e contesti funerari.
Al di là
delle differenziazioni che si possono agevolmente evidenziare tra centro e
centro della Sardegna punica,
aspetto già ben indicato da tempo da Bartoloni, si può notare costante la
dissomiglianza della facies dei vasi potori di importazione tra i
reperti degli abitati e quelli delle necropoli. Il fenomeno inizia ad apparire
nel V secolo, anche se in questi decenni il materiale importato non appare in quantità
rilevantissima. Se esaminiamo, ad esempio, Cagliari, possiamo vedere come lo
scavo dell’abitato di Via Brenta abbia restituito una buona quantità di forme
per bere importate, tra cui skyhpoi attici a figure rosse (fig. 3), da
un settore indagato di non grande estensione. Al contrario le centinaia di
tombe a camera scavate dall’800 ad oggi non hanno restituito che un unico ed
isolato esemplare di skyphos, decorato a figure rosse. Per Sulci,
rimanendo ad esaminare i centri in cui sono stati scavati sia settori
dell’abitato che della necropoli,
possiamo dire che la ceramica attica potoria figurata è in quantità abbastanza
ridotta sia nell’abitato che nella necropoli dove appaiono, da vecchi scavi avvenuti
poco dopo la metà del novecento, sporadici esemplari
(fig. 4) di coppe-skyphoi e mastoidi delle tarde figure nere, e poco
più; in concreto gli esemplari potori figurati importati sembrano concentrarsi
nella prima metà del V secolo. Al contrario gli skyphoi a vernice nera
sono attestati nell’abitato in misura rilevante, ma praticamente del tutto
assenti nelle tombe. Per Nora
il discorso è parziale, in quanto la necropoli è stata indagata ed edita, ma
dell’abitato restano ancora da individuare le stratificazioni di età punica ed
abbiamo fondamentalmente solo pochi materiali residui nelle Unità
Stratigrafiche formatesi in epoca romana o successiva.
Considerazioni simili possono
portarsi per Tharros, i cui dati contestuali editi delle tombe conservate nel
British Museum appaiono largamente incoerenti, sussistendo la più che
ragionevole e verosimile ipotesi che si tratti di contesti creati ad arte al
momento della vendita al Museo londinese nel XIX secolo. Anche a Tharros le stratificazioni
pertinenti alla città punica sono ancora da individuare, scavare e pubblicare,
tranne che nel caso del tophet, un sito particolare con reperti particolari,
che esulano dalla casistica esaminata in questo lavoro. Si può riscontrare, a
livello di considerazioni generali sull’intera Sardegna, che il vasellame di
importazione è attestato in misura abbastanza ridotta e l’unica preferenza
percepibile è quella rivolta ai piccoli contenitori di olio profumato, lekythoi
e soprattutto lekythoi ariballiche che sono la forma maggiormente
attestata, soprattutto nella seconda metà del secolo. Anche le lucerne hanno
una buona diffusione, e queste due fogge costituiscono in assoluto la
maggioranza della ceramica attica importata. Tra le coppe la prevalenza è
data dalle Castulo cups (fig. 5), che, secondo una felice intuizione di
Shefton, devono essere intese come principalmente destinate al commercio
transmarino e come tali trovano una larghissima diffusione in Sardegna e nella Penisola
Iberica. Oltre che i vasi potori si riferiscono al consumo del vino anche i
recipienti per versare, le oinochoai. Ma in questo settore i risultati
sono sconfortanti. Le oinochoai attiche sono presenti in misura
ridottissima: due a Nora ed una a Sulci, tutte da necropoli, ed un frammento dall’abitato
cagliaritano, anche se si devono riscontrare imitazioni (fig. 6) nella
necropoli di Tuvixeddu a Cagliari.
I crateri, rivolti alla preparazione della bevanda, sono altresì conosciuti da pochi frammenti
riportabili a questa forma, di area oristanese.
Si può affermare che
durante il V secolo non si riesce a percepire l’esistenza nell’isola di un
“servito da vino” qualificato da vasellame di importazione. Quando ampliamo
l’indagine al IV secolo vediamo che la situazione si modifica parzialmente.
Adesso le forme importate presentano una maggiore standardizzazione orientata verso
il vasellame da mensa con un numero più ristretto di fogge, attestate in un
numero maggiore di esemplari. Questo è
un evidente riflesso della produzione attica, che si concentra in massima prevalenza su tale
tipologia di forme, ma il mondo punico di Sardegna opera una precisa selezione riguardo al repertorio
a disposizione. Il vasellame potorio biansato attestato ad Atene si concentra sugli
skyphoi, le bolsal, le coppe-kantharos ed i kantharoi; in
Sardegna la forma preferita è senza dubbio la bolsal, seguita dalla outturned
rim (fig. 7), e questo possiamo estenderlo anche a Cartagine, dove la coppa
ansata è presenta in buon numero e gode di rilevanti produzioni di imitazione.
Gli skyphoi, invece, sono attestati in misura largamente minore.
Ribadisco anche in questa sede che io considero la coppa attica outturned rim
(L. 22) come un vaso polivalente, destinato cioè sia per il consumo di alimenti
semiliquidi, che per quelli liquidi, come il vino. Non è fuor di luogo
osservare che le diverse città puniche di Sardegna offrono facies
differenziate per
quanto riguarda la ceramica da mensa importata, sia come attestazioni numeriche
che come distribuzione
tra abitati e necropoli. La recente analisi della discarica che colmava la
cisterna US 500 nell’abitato di Sulci ci consente di avere un buon punto di
partenza per queste considerazioni, unitamente alle risultanze degli scavi
urbani di Cagliari, per le quali, però, per correttezza metodologica,
limiteremo le osservazioni ad un singolo contesto analogo a quello di Sulci, e
cioè la discarica che riempiva la cisterna 7/618 (figg. 8-9).
Come si percepisce dai
grafici, le differenze sono rilevanti. Sulci offre una maggiore varietà di
fogge, quattro rispetto alla singola di Cagliari. In assoluto si può dire che
la bolsal è la forma maggiormente rappresentata. Se dovessimo, però, allargare
la disamina anche alle risultanze degli scavi genericamente dei due abitati,
potremmo notare che a Cagliari la coppa L. 22 è maggiormente attestata rispetto
alla bolsal (20 rispetto a 15) ed appare anche la forma, assolutamente
episodica in Sardegna, della coppa-kantharos, presente in 2 esemplari.
Per Sulci, purtroppo, non possediamo ancora un’analisi dettagliata dei
ritrovamenti di ceramica attica dello scavo dell’abitato, per cui è impossibile
prospettare confronti, proponibili solo, come abbiamo fatto, per i contesti
chiusi provenienti dalle due cisterne. Esaminando
le necropoli degli stessi centri, le diversità diventano macroscopiche, dal
momento che a Sulci i pur numerosi e ricchi corredi tombali non presentano
praticamente materiale di importazione, se non sporadiche lucerne. Il vasellame
importato è assente. A Cagliari, invece, è attestato, sia pure in misura
ridotta, e converrà confrontare la sua situazione con quella norense, aiutati
dal fatto che in entrambi i siti è stato identificato ed edito un eguale numero
di
tombe di IV secolo,
precisamente diciannove (fig. 10).
Come si vede bene, a
livello quantitativo assoluto esiste una marcata distinzione tra le due
necropoli, con Cagliari che praticamente ha un quinto dei vasi di Nora. Da
notare, anche, l’attestazione a Nora di skyphoi in un numero
ridottissimo di esemplari, del tutto assenti a Cagliari. Ma se esaminiamo i
medesimi reperti dal punto di vista percentuale interno, le cose cambiano (fig.
11).
Difatti la forbice tra
Nora e Cagliari si riduce notevolmente ed il rapporto tra bolsal e coppe L. 22
è abbastanza simile, anche se Nora sembra privilegiare, sia pur di poco, la
prima forma rispetto all’altra, come mostra in modo più evidente il grafico
successivo (fig. 12). Un altro fattore che si evidenzia con l’esame del
vasellame importato nelle necropoli è che non esiste una combinazione di forme
che possa essere intesa come costituente un “servizio per bere”. Mancano in
assoluto le forme per versare. L’oinochoe attica di IV secolo
maggiormente diffusa, denominata chous (shape 3 Sparkes-Talcott), è
totalmente assente. Come, del pari, è assente il cratere, destinato a mescolare
il vino con l’acqua, da dispensare successivamente ai convitati. Un piccolo
quadro riepilogativo consentirà di riassumere brevemente le attestazioni di vasellame potorio
importato nei tre centri presi in esame: Cagliari, Nora e Sulci, sia negli
abitati che nelle necropoli (fig. 13). E’ agevole da questa sinossi osservare
come il trend delle importazioni del vasellame potorio da mensa sia
orientato con una precisa selezione che esclude pressochè totalmente alcune
forme prodotte ad Atene, come i kantharoi, e le fogge connesse con il consumo
del vino destinate a presentare e servire la bevanda.
Bevanda che comunque, abbiamo visto, veniva consumata, sia con vasi importati
che locali, che anche di imitazione o derivazione dalle forme importate. Queste
in Sardegna si limitano alla outturned rim (fig. 14), con una vastissima serie
di produzioni che si addentrano ampiamente nel secolo successivo. A
Cartagine (fig. 15) e nell’area gaditana è agevolmente percepibile il medesimo
fenomeno, riscontrabile anche nelle Baleari, ma possiamo apprezzare anche una
rilevante produzione locale di bolsal (figg. 16-17). I
materiali attici provenienti dai recenti scavi del Decumanus Maximus della metropoli
africana eccellentemente editi dalla Bechtold, indicano una prevalenza minima delle
outturned rim rispetto alle bolsal, con gli skyphoi in netta minoranza,
ma solo nella produzione a vernice nera. Se prendiamo in esame i vasi
figurati, gli skyphoi saltano prepotentemente in testa, con
l’attestazione di esemplari del Pittore Fat-Boy, mentre sempre a figure rosse
abbiamo una coppa del Gruppo di Vienna 116. La Sardegna brilla per l’assenza di
vasi potori figurati di IV sec. a.C.: solo sporadiche coppe del Gruppo di
Vienna 116 da Sulci, Tharros
e Terralba. Mancano gli skyphoi del Pittore Fat-Boy ed anche i crateri
del Tirso Nero, ampiamente diffusi, invece, nella penisola iberica e molto ben attestati
nel relitto di El Sec.
Come ho già rilevato
in altra sede, indubbiamente la Sardegna punica non offre una particolare
attenzione alla ceramica figurata e questo, a mio avviso, è un portato anche
del fatto che il consumo comunitario del vino non riveste un significato
peculiare. Ciò è ben percepibile dall’esame degli abitati, come si è visto, ed
ancor più risalta dalla disamina delle necropoli. Difatti la composizione del
corredo funerario è un atto di precisa selezione
dei materiali che lo compongono, in ragione del risalto da dare allo status del
defunto, attraverso gli aspetti ed i momenti topici ed eclatanti della sua
figura come individuo sociale. Con ogni evidenza il consumo comunitario del
vino non rientra tra questi aspetti e questi momenti.
Ho creduto di trovare
un spiegazione al riguardo, come già proposto in altra sede, nell’analisi dedicata
da Domenico Musti al simposio. Dopo il periodo arcaico lo studioso nota come il
simposio si indirizzi verso una pratica sostanzialmente intellettuale di
conversazioni filosofiche e morali di impronta socratica e platonica. Il
fenomeno è quindi strettamente connesso ad una fase ben determinata della
cultura ellenica. Così, invece, palesemente, non è per il mondo punico di
Sardegna, dove mi sentirei di proporre che la mancata valenza ideologica del
servito per bere sia determinata dalla diversa concezione del banchetto nei due dissimili
ambienti culturali.
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