Gli Shardana e i loro porti.
Articolo di Gustavo
Bernardino
Il titolo di questo articolo mi
è venuto in mente guardando la trasmissione “Freedom” di Roberto Giacobbo
andata in onda in data 24 gennaio.
Premetto che la trasmissione
non mi ha entusiasmato perché sarebbe potuta essere molto più utile, ai fini di
una maggiore e puntuale conoscenza della materia trattata (gli Shardana), se
Giacobbo avesse avuto la bontà di ascoltare oltre al Dott. Usai che appare
nella trasmissione, anche altri personaggi che della materia hanno dato prova
di profonda conoscenza, come ad esempio il Prof. G. Ugas, che ha realizzato un
lavoro enciclopedico e ha riscritto la storia della Sardegna nuragica con il
suo “Shardana e Sardegna” (edito da Edizioni Della Torre 2016). Nella puntata
del 24 gennaio, il conduttore non ha fornito nuovi spunti alla conoscenza degli
Shardana, tranne forse aver dato una informazione interessante relativa alle
affermazioni fatte dal Rettore della
South Valley University di Qena (Egitto) il Dott. Monsour Abbas che
ha confermato quanto sostenuto da Ugas e cioè che gli Shardana provenivano
dalla Sardegna.
C'è però un tema, appena
accennato da Giacobbo in due tempi (il primo al 30',25'' ed il secondo al
32',34'') relativo alla mancanza di porti da cui partivano e arrivavano le navi
da o per l'Egitto.
Per la verità esistono
diverse fonti che danno per certa l'esistenza di opere portuali, anche di
grandi dimensioni, che però si trovano sotto il mare. Ne ha parlato Nicola
Porcu nel suo “Hic Nu Ra” (edito da
Carlo Delfino editore 2013), ne ha dato notizia Sabatino Moscati nel libro
“Fenici e Cartaginesi in Sardegna” edito da ILISSO 2005. In questo lavoro,
l'eminente studioso, racconta di “installazioni portuali scoperte a Mazzacara”
pag. 94, il nome di questa località del
Sulcis (o Šulgi come ho spiegato
in un precedente lavoro dell'8 gennaio) fa pensare ad una triade egizia di
rango elevato nell'olimpo nilotico infatti MAAT(ZA) KA RA sta per “la dea Maat
e lo spirito del grande dio Ra”. Sarebbe quindi logico pensare che
l'installazione portuale citata da Moscati, fosse proprio il porto degli
egiziani che arrivavano in Sardegna per acquistare (o barattare) i ricchi
minerali che si trovavano a poca distanza. Le miniere di rame, piombo, argento
erano a pochi chilometri e questi minerali potevano essere trasportati anche
per via fluviale, considerato il numero di corsi d'acqua della zona circostante
l'area portuale.
Nel museo di S.Antioco si trovano esposti molti reperti rinvenuti negli scavi archeologici della zona che vengono definiti “egittizzanti” forse perché non si ha il coraggio di ammettere che provengano dall'Egitto?. Ma a testimoniare la presenza di persone provenienti dalla terra dei faraoni ci sono le tombe dove sono stati depositati i loro corpi. Prendiamo come esempio la tomba della necropoli di Montessu dove è scolpita la barca che trasportava il defunto verso l'aldilà.
Mi sembra ovvio pensare che in quella tomba,
peraltro l'unica della necropoli ad avere nel suo interno un simbolo
tipicamente egizio, doveva essere sepolto un personaggio di origine nilotica.
I legami che univano gli
Shardana al paese dei faraoni oltre che di natura militare/commerciale era
anche di natura religiosa. Si potrebbe sostenere che questa affermazione è
azzardata ma come spiegare allora le numerose analogie riscontrabili tra
reperti archeologici presenti sul territorio e le peculiari caratteristiche del
culto eliopolitano? Per esempio la barca solare di Sorradile e l'altare
lacustre di “Su Monte”, i toponimi di SIAmanna, SIApiccia, SIAmaggiore (ricordo
che SIA era la dea egizia che stava nella barca solare, vedi l'articolo del 11
luglio “I gioielli eliopolitani di Sorradile” in questa rivista) e che dire del
bronzetto di Teti che, in quanto oggetto votivo, potrebbe benissimo
rappresentare un dono offerto alla divinità egizia Khnum. L'unico dio
conosciuto che aveva il potere di dare la vita e il suo doppio. Creava l'uomo
doppio e quindi quattro occhi e quattro braccia.
Altre divinità di rango elevato che sono legate
a questo dio sono: Neith la quale siede
al suo fianco e Anuqet che gli era
figlia. La prima, secondo gli indizi interpretabili dai documenti disponibili,
sarebbe arrivata da Sais (città egizia del delta del Nilo) proprio nel porto di
Mazzacara e le tracce del suo culto sarebbero riscontrabili nel santuario di
Benanzu di Santadi in cui è stata rinvenuta una montagnola di lucerne e piccoli
contenitori votivi che, come descritto in un precedente articolo del 28 marzo,
servivano ai fedeli che seguivano la statua della dea in processione una volta
all'anno il 13 di Epiphi (luglio) mentre la sua immagine probabilmente è quella
riportata in diverse steli conservate nel museo di S. Antioco e di Cagliari
dove appare un personaggio femminile con l'Ankh tenuto nella mano. Lo stesso
Sabatino Moscati in una sua relazione fatta alla Accademia dei Lincei, l'aveva
intitolata “Dall'Egitto alla Sardegna: il personaggio con Ankh”. Altro dato
importante è che questa dea per sincretismo diventa Tanit e di tale figura
abbiamo molte tracce così come le abbiamo di Astarte che è un'altra identità
della dea egizia acquisita sempre attraverso il fenomeno sincretistico.
La seconda divinità legata al
dio generatore Khnum è la figlia Anuqet, divinità che proteggeva e abbracciava
il Nilo e che è presente in due diversi siti: a “Su Monte”e a “Su Molinu”. In
entrambi si trova un altare lacustre in cui le parti laterali del manufatto
terminano con un corpo a guisa di corona. Una possibile interpretazione è
appunto quella di attribuire ai lati le sembianze delle braccia della dea che
invece è rappresentata dalla corona tipica della divinità. E' significativo il
fatto che entrambi i siti si trovano nelle vicinanze di un corso d'acqua. Il
primo è posto in una posizione dominante il fiume Tirso, mentre il secondo si trova presso il fiume
Mannu. E' plausibile pensare che i nomi egizi delle divinità citate, fossero in
realtà diversi da quelli utilizzati nella terra dei faraoni. E' più probabile e
logico ritenere che localmente tali divinità assumessero nomi differenti anche
se, per la verità, nel caso di Khnum abbiamo la prova che il nome è rimasto
identico tant'è che le comunità che praticavano il suo culto erano conosciuti
come Khnumsitani o Cunusitani.
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