Storia del commercio: dono e baratto, i traffici economici primitivi.
(Parte prima)
Riflessioni di Pierluigi
Montalbano
Il
commercio è un’attività economica che con atti
di compravendita consente di trasferire i beni, nel tempo e nello spazio, dal
produttore al consumatore o da un produttore all'altro. Il commercio può
avvenire verso l’estero o entro i confini di uno stesso stato e si distingue in
importazione, se una comunità riceve i beni da un altra, di esportazione se
li destina invece ad altra, di transito se i beni provenienti
da un luogo e diretti ad altro attraversano il suo territorio. Il commercio è all'ingrosso,
se il trasferimento ha luogo per grandi quantità di beni dal produttore ad
altro commerciante che esercita un’attività economica più limitata, e al
minuto, se il trasferimento ha luogo per piccole quantità che vanno
direttamente al consumatore.
Le prime forme di commercio
La pratica del commercio è
presente fin dall’alba dei tempi in tutte le comunità primitive pur se con
usanze profondamente diverse da quelle attuali. Lo scambio dei prodotti della
caccia, della pesca e della raccolta, iniziò quando in due o più territori
vicini si verificavano condizioni ambientali diverse, o quando erano differenti
le capacità tecnologiche dei gruppi umani. Possiamo pensare a quei particolari prodotti
che non si trovano ovunque: ossidiana, sostanze bituminose, avorio, rocce,
metalli, sale e narcotici. Ogni comunità viveva una sua economia, utilizzando
un territorio dal quale non poteva uscire senza incontrare il pericolo di conflitti
con i gruppi circostanti. Lo scambio di
oggetti o di prodotti con i gruppi
limitrofi deve sempre avvenire con il consenso del gruppo nel quale si vive e
con quello del ricevente. Ad esempio, nel Paleolitico inferiore e medio, non ci
sono tracce archeologiche di provenienze esterne, infatti, le materie
utilizzate sono sempre quelle che si trovavano nelle vicinanze, ma nel Paleolitico
superiore questo isolamento economico è meno evidente. Nel Neolitico è evidente
il moltiplicarsi di commerci, anche lontani. Vediamo di capire come si arrivò alla
fase di baratto. Ancora oggi, certi gruppi di Pigmei dell'Africa centrale
visitano di notte le piantagioni dei villaggi vicini rubando banane e altri
prodotti ma lasciano in cambio selvaggina. Altri gruppi di Pigmei piantano una
freccia in alcuni caschi di banane, lasciando intendere che dovevano essere
loro riservate. Altre testimonianze riferiscono d’individui che vanno di notte
davanti alle capanne dei fabbri per deporvi della selvaggina, ma si attendono
di trovare in cambio le punte di ferro per le loro frecce. Queste tipologie fanno
parte del cosiddetto commercio muto. Ne parla Erodoto (IV, 196),
riferendo che i Cartaginesi lo utilizzavano per gli scambî con le tribù della
Libia occidentale. E per l'Africa lo descrive Alvise Cadamosto, trattando del
traffico del sale che avveniva nel 1450 d:C. ai confini fra il deserto e le
terre sudanesi, sulle rive del Senegal. Così scrive: “i mercanti del sale ne
fanno monti alla fila, ciascuno segnando il suo, e poi tutti della carovana
tornano indietro mezza giornata; poi arrivano gruppi di Negri che non si
vogliono lasciar vedere né parlare; e giungono da isole con alcune grandi barche
e valutato il sale mettono una quantità d'oro all'incontro d'ogni monte; e poi
tornano indietro, lasciando l'oro e il sale; e partiti che sono, vengono i
Negri del sale e tornano indietro: e poi vengono gli altri Negri dall'oro: e
quel monte che trovano senza oro, lo levano, e agli altri monti di sale tornano
a mettere più oro, se li pare, oppure lasciano il sale. E a questo modo
svolgono il commercio senza vedersi l'un l'altro, né parlarsi, per una lunga e
antica consuetudine" (R. Caddeo, Le navigazioni atlantiche di N. da
Recco e A. da Ca' da Mosto, Milano 1928, p. 197).
Altri esempi di commercio muto
sono stati osservati da viaggiatori moderni fra le tribù dei cacciatori della
foresta equatoriale e le genti culturalmente più evolute che le circondano. I
Pigmei e i Boscimani dell'Africa australe desertica, vivono in uno stato di
soggezione rispetto ai loro vicini più civili (Bantu, Singalesi, Malesi, ecc.),
dai quali ottengono il ferro per le armi e i frutti delle coltivazioni, mentre
cedono a essi l'avorio, i veleni e altri prodotti della foresta, ma i loro
contatti sono radi e ostacolati da reciproco timore e da diffidenza.
Vediamo altre forme primitive
del commercio. Presso alcuni popoli ha importanza il dono fra
gli individui di un gruppo e fra i gruppi vicini. Generalmente sono le
collettività che entrano in rapporti organizzando incontri collettivi in cui famiglie,
clan, tribù sono presenti in massa o sono rappresentate dai loro capi. Fra i convenuti
si scambiano oggetti, cortesie, feste, banchetti, donne. Il sistema degli scambi
sotto forma di doni è probabilmente il mezzo con cui i primitivi iniziarono a frequentarsi
senza distruggersi. In questo sistema si osservano alcune regole fondamentali profondamente
diverse da quelle che regolano il nostro commercio. Vi è l'obbligo di dare e
l'obbligo di ricevere: rifiutare l'oggetto offerto significa rifiutare l'alleanza,
e ciò equivale a una dichiarazione di guerra. Naturalmente vi è poi l'obbligo
della restituzione, ma non si chiede mai nulla e non si discute sul valore
della cosa ricevuta, anzi si cerca sempre di dare più di quello che si è avuto,
perché ne dipendono l'onore, la dignità, la considerazione dei gruppi che si
scambiano i doni. In questa tipologia di rapporti compare anche il credito
perché lo scambio di doni non è simultaneo ma avviene a distanza di tempo. C’è
da osservare che siccome ogni gruppo è sostanzialmente autosufficiente, i doni
non hanno lo scopo dei comuni scambi commerciali: il fine è soprattutto morale,
e tende a stabilire un sentimento reciproco di amicizia e l’oggetto donato ha
in sé qualche cosa del donatore e dell'anima di questo, ha un valore magico e
non soltanto economico. Lo scambio dei doni è connesso anche con i concetti e
le pratiche dell'ospitalità.
L’evoluzione commerciale avvenne
quando dallo scambio di doni si passò al baratto di prodotti attraverso un
contratto che determinava il valore delle cose. Gli scambi commerciali comprendevano
la ricerca di prodotti rari, con spedizioni anche in luoghi lontani, e il
traffico di materiali che richiedevano una tecnologia di produzione, ad esempio
i metalli o le armi. Nascono i primi
commercianti, ai quali il clan assegna, a volte con formule rituali, l'incarico
delle transazioni. Questi individui diventano, al contempo, ambasciatori del
clan di provenienza, e godono di una specie d'immunità personale negli incontri
con le tribù straniere. Nasce l’esigenza di realizzare luoghi particolari per
svolgere gli scambi, ad esempio le foci dei fiumi, gli approdi favoriti dalla
presenza di acqua potabile e le aree che offrivano condizioni di messa in
sicurezza. In assenza della moneta, si utilizzavano prodotti come il grano, le
lenticchie o altri prodotti agricoli facilmente smerciabili. La cessione dei
frutti del lavoro agricolo può svolgersi solo in luoghi determinati e a
intervalli regolari. In questa fase entrano in gioco anche le donne, cui spetta
la fatica della produzione e di alcune industrie domestiche. Il momento di
scambio più semplice è quello fra le comunità di agricoltori e quelle
pastorali. Naturalmente le tribù che si spostavano facilmente, come i naviganti
e i pastori nomadi, divennero intermediari nel commercio di regioni lontane, e
si assicurarono il monopolio attraverso l'attività dei movimenti e con la
conoscenza dei bisogni e dei mercati. Si andò formando una casta di commercianti.
Immagine di
https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5mNzmmig6AIQCmhNFQDhp0WqO68JjbKAQJVAiu0dR-fkatsGRKHfQjiukEGjjTjMHLUHIab5lZk1oBYYqhZu3RfumWuwJ0igKb8soW5FmnWJhB5UAlAIjbN1GXpfKuRb1oB5IZKgv2Yoh/s1600/IMG_5506.JPG
Nessun commento:
Posta un commento