Archeologia in Sardegna. Le tracce di micenei e fenici indagate dall'archeologo Paolo Bernardini.Riflessioni di Carlo Figari
Nell'antichità la Sardegna fu al centro di traffici e culture che si diffondevano per il Mediterraneo. Il mare (che non era ancora "nostrum") non fu una barriera per gli indigeni isolani. Al contrario fu come un'autostrada che inevitabilmente finiva per portare le navi sulle coste sarde. Una tappa obbligata che ebbe la stessa importanza di Creta, Cipro, delle isole egee, delle città di Turchia, Libano, Africa settentrionale. Gli antichi sardi non avevano paura del mare, così come li descrive la vecchia storiografia che li vedeva contadini e pastori costretti a prendere le armi per difendere il loro territorio dai bellicosi popoli del mare. Anzi, loro stessi furono abili navigatori e commercianti che battevano le
coste della Toscana, del Lazio, della Sicilia per spingersi sino all'Egitto e alla Turchia. Furono, insomma, autentici protagonisti in quel millennio che dall'età del Rame e del Bronzo portò alla civiltà del Ferro. L'epoca che vide nascere le leggende di Ercole, dei Tespiei, di Ulisse e dei personaggi cantati da Omero, ebbe anche gli eroi sardi. Su questo non c'è dubbio. Il problema semmai è capire chi fossero quei "sardi" che accolsero le culture provenienti dal mare e trasferirono agli altri la propria civiltà e quel know how - come si dice oggi - di tecniche nella lavorazione dei preziosi metalli.
Una risposta, per quanto incompleta, arriva dall'archeologia e dalle interpretazioni degli studiosi sulla base delle novità emerse dagli scavi negli ultimi decenni. Paolo Bernardini, ex direttore del museo nazionale archeologico di Cagliari, ricercatore dell'università di Sassari, al di là del mito consolidato dalla vecchia storiografia, prova a ricostruire l'immagine dell'isola a partire dal 1500 sino alla colonizzazione dei cartaginesi. Esplora, cioè, le fasi più discusse e complesse che sinora hanno diviso gli studiosi sulla presenza delle diverse civiltà che si sono affacciate in Sardegna e sul ruolo degli stessi sardi.
Nel corso di lontane e intricate vicende l'isola è Icnussa, l'orma lasciata da un dio, il cui perimetro è esplorato dai curiosi e intraprendenti fenici e greci. L'isola è Sardò, il nome della moglie di Tirreno, capostipite favoloso degli etruschi. Ma anche la terra dei Sherden, quei popoli del mare che come mercenari combatterono in Egitto a fianco ma anche
contro gli stesso faraoni. Ed ancora l'isola è la terra dalle leggendarie vene d'argento, la Sardegna "argyròphleps". Quest'ultimo nome evoca scenari mediterranei occidentali dei primi secoli dell'età del Ferro, quando i fenici e i greci sono intensamente impegnati nella ricerca e nel commercio dei metalli e in particolare dell'argento.
Bernardini mette in evidenza la forte presenza micena nell'isola, diffusa lungo le coste, ma anche nell'interno dove i commercianti greci si spinsero seguendo i corsi fluviali e i sentieri delle pianure. I principali documenti sono rappresentati dai frammenti di ceramica che consentono agli esperti, grazie all'analisi dei materiali, ai colori e allo stile, di rincondurre al luogo di provenienza. Così troviamo testimonianze a Cabras, nel golfo di Palmas, a Pula, Tertenia, Orosei e soprattutto a Sarroch dove lo scavo del nuraghe Antigori (alle spalle della Saras) ha restituito grande abbondanza di ceramica micenea. Ma anche a Monastir, Sanluri, Barumini e più all'intero a Orroli. «Tra il 1300 e il 1050 avanti Cristo lo spessore dei contatti con i naviganti di cultura micenea è molto chiaro» sostiene l'archeologo. I greci interagiscono vivacemente con le popolazioni locali. Lo studio di questi reperti rivela la profondità e l'estensione dei legami tra la Sardegna e il mondo orientale ellenico e, attraverso Cipro e Creta, i contatti con le civiltà delle attuali regioni di Turchia, Libano, Egitto, Libia e Tunisia. Dopo i micenei arrivarono i fenici. E gli etruschi del Tirreno. E dopo ancora i cartaginesi. In mezzo gli indigeni che si confrontarono, dialogarono, commerciarono, si unirono, si mischiarono. Sicuramente si combatterono. Di certo - spiega Paolo Bernardini - c'è che queste civiltà convissero in un intreccio di culture, tradizioni, attività artigianali e artistiche, come testimoniano le indagini stratigrafiche dei siti archeologici e i reperti trovati nelle tombe. La storia non va avanti a balzi e a compartimenti stagni, ma le epoche si succedono con continuità e le civiltà si confondono.
«Per quanto l'origine della "società delle torri" sia ancora oggetto di accesi dibattiti, è ormai chiaro che il profilo socio-politico della Sardegna del XIV e del XIII secolo non ha niente da spartire con l'immagine convenzionale e artificiosa di comunità preistoriche prive di gerarchizzazione sociale e di controllo sui mezzi di produzione e destinate per questa loro natura di "buoni selvaggi" a divenire prede innocenti di evolute civiltà egee e orientali». Al contrario - è questo il convincimento di Bernardini - lo sviluppo delle grandi architetture e di una complessa esperienza tecnologica basata sulla lavorazione del bronzo parlano a favore di una società ben organizzata guidata da persone o gruppi leader che adottano sistemi di controllo del territorio, di gestione delle risorse e di divisione del lavoro. Sarà questa complessità e maturità della cultura autoctona ad attirare l'attenzione dei mercanti egeo-orientali.
Così l'isola assume uno spessore rilevante nell'ambito delle navigazioni micenee in Occidente, verso la Spagna e le coste francesi. Allo stesso tempo ceramiche prodotte nell'isola dagli abitanti nuragici circolano negli empori egei, in Sicilia, nelle Eolie, a Creta e Cipro. La Sardegna diventa il crocevia fondamentale del circuito tra Oriente e Occidente per la trasmissione e la lavorazione dei metalli, principale forma di commercio di quelle età all'alba della storia.
Fonte: http://giornaleonline.unionesarda.ilsole24ore.com
contro gli stesso faraoni. Ed ancora l'isola è la terra dalle leggendarie vene d'argento, la Sardegna "argyròphleps". Quest'ultimo nome evoca scenari mediterranei occidentali dei primi secoli dell'età del Ferro, quando i fenici e i greci sono intensamente impegnati nella ricerca e nel commercio dei metalli e in particolare dell'argento.
Bernardini mette in evidenza la forte presenza micena nell'isola, diffusa lungo le coste, ma anche nell'interno dove i commercianti greci si spinsero seguendo i corsi fluviali e i sentieri delle pianure. I principali documenti sono rappresentati dai frammenti di ceramica che consentono agli esperti, grazie all'analisi dei materiali, ai colori e allo stile, di rincondurre al luogo di provenienza. Così troviamo testimonianze a Cabras, nel golfo di Palmas, a Pula, Tertenia, Orosei e soprattutto a Sarroch dove lo scavo del nuraghe Antigori (alle spalle della Saras) ha restituito grande abbondanza di ceramica micenea. Ma anche a Monastir, Sanluri, Barumini e più all'intero a Orroli. «Tra il 1300 e il 1050 avanti Cristo lo spessore dei contatti con i naviganti di cultura micenea è molto chiaro» sostiene l'archeologo. I greci interagiscono vivacemente con le popolazioni locali. Lo studio di questi reperti rivela la profondità e l'estensione dei legami tra la Sardegna e il mondo orientale ellenico e, attraverso Cipro e Creta, i contatti con le civiltà delle attuali regioni di Turchia, Libano, Egitto, Libia e Tunisia. Dopo i micenei arrivarono i fenici. E gli etruschi del Tirreno. E dopo ancora i cartaginesi. In mezzo gli indigeni che si confrontarono, dialogarono, commerciarono, si unirono, si mischiarono. Sicuramente si combatterono. Di certo - spiega Paolo Bernardini - c'è che queste civiltà convissero in un intreccio di culture, tradizioni, attività artigianali e artistiche, come testimoniano le indagini stratigrafiche dei siti archeologici e i reperti trovati nelle tombe. La storia non va avanti a balzi e a compartimenti stagni, ma le epoche si succedono con continuità e le civiltà si confondono.
«Per quanto l'origine della "società delle torri" sia ancora oggetto di accesi dibattiti, è ormai chiaro che il profilo socio-politico della Sardegna del XIV e del XIII secolo non ha niente da spartire con l'immagine convenzionale e artificiosa di comunità preistoriche prive di gerarchizzazione sociale e di controllo sui mezzi di produzione e destinate per questa loro natura di "buoni selvaggi" a divenire prede innocenti di evolute civiltà egee e orientali». Al contrario - è questo il convincimento di Bernardini - lo sviluppo delle grandi architetture e di una complessa esperienza tecnologica basata sulla lavorazione del bronzo parlano a favore di una società ben organizzata guidata da persone o gruppi leader che adottano sistemi di controllo del territorio, di gestione delle risorse e di divisione del lavoro. Sarà questa complessità e maturità della cultura autoctona ad attirare l'attenzione dei mercanti egeo-orientali.
Così l'isola assume uno spessore rilevante nell'ambito delle navigazioni micenee in Occidente, verso la Spagna e le coste francesi. Allo stesso tempo ceramiche prodotte nell'isola dagli abitanti nuragici circolano negli empori egei, in Sicilia, nelle Eolie, a Creta e Cipro. La Sardegna diventa il crocevia fondamentale del circuito tra Oriente e Occidente per la trasmissione e la lavorazione dei metalli, principale forma di commercio di quelle età all'alba della storia.
Fonte: http://giornaleonline.unionesarda.ilsole24ore.com
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