Archeologia. Un episodio di antisemitismo
nella Sardegna Romano-Bizantina?
Riflessioni di Massimo Pittau
Durante una ricerca sui nuraghi
dell’Altipiano di Abbasanta fatta circa 50 or sono, il collega ed amico Carlo
Maxia, professore di Antropologia e preside della Facoltà di Scienze di
Cagliari, ebbe modo di dirmi che la malaria, dato che era una malattia
tropicale, era stata importata in Sardegna dai Cartaginesi. Mi convinsi in
breve tempo della giustezza della tesi del prof. Maxia per la seguente mia
considerazione: in zone tristemente famose in Sardegna, per lungo tempo, fino
alla sconfitta della malattia subito dopo la II guerra mondiale per merito precipuo
della statunitense Fondazione Rockefeller, quali i bassopiani del Sulcis, la vallata
del Cixerri, la piana dell’Oristanese, la Baronia, la Piana di Chilivani, la
Nurra di Sassari, esistevano numerosi e importanti monumenti della civiltà dei
nostri antenati, cioè “nuraghi”, “tombe di giganti”, “pozzi sacri”, ecc., i quali
non si spiegavano affatto con una popolazione degradata e debilitata dalla
malaria in termini fisici e pure economici. Dunque il numero e l’imponenza di
quei monumenti nuragici erano una prova certa ed evidente che all’epoca della
loro costruzione i Sardi nuragici non conoscevano ancora il flagello della
malaria.
I Romani conquistatori della
Sardegna conobbero molto per tempo la malaria e i suoi effetti disastrosi: nel
234 a. C. gran parte dell’esercito romano – compreso il suo comandante, il
pretore P. Cornelio - inviato nell’Isola per reprimere una grande rivolta dei
Sardi, morì a causa della malattia. Il flagello fu ricordato da Cicerone e in
seguito da Marziale e da Claudiano. E l’intera Sardegna fu definita dai Romani
terra pestilens e per questo motivo essi per stabilire i loro presidi o
stazioni militari di controllo, evitavano di sistemarli nelle posizioni basse e
piane, mentre li ponevano sulle cime di colline e di altopiani.
Dall’epoca romana fino a tutto il
Medioevo ed oltre si determinò in Sardegna tutta una fuga dai bassopiani verso
le alture, perché si riteneva che la malaria od “intemperie” od i “miasmi”, come
allora si diceva, dipendesse dall’aria malsana che si respirava, non da un parassita
del genere Plasmodium. La fuga verso le alture si ritrova nella storia dei
centri abitati di Benetutti, Bono, Codrongianus, Elini, Giave, Laconi, Lanusei,
Nuoro, Orani, Orotelli, Osini, Ottana, ecc.
In questo quadro
storico-antropico dell’Isola si inserisce alla perfezione un episodio
abbastanza noto nella storia della Sardegna romana: nell'anno 19 dopo Cristo, a
seguito di una delibera del Senato romano, l'imperatore Tiberio mandò in
Sardegna 4.000 liberti o figli di liberti che professavano culti egiziani e
giudaici, col duplice intento sia di sbarazzare Roma da quegli agitati
fanatici, sia di reprimere gli atti di ribellione dei Sardi o - nella mentalità
legalista dei dominatori romani - gli atti di banditismo (coercendis illic latrociniis).
Ed è nota la cinica considerazione espressa da Tacito: se quei liberti fossero
periti per l'inclemenza del clima – cioè della malaria - sarebbe stato un danno
di poco conto, vile damnum!
Io sono dell’avviso che quei
liberti di origine ebraica siano stati sistemati nel cosiddetto Eteri praesidium
(propriamente *Guteri), di fronte all’odierno Ozieri, per difendere dagli
attacchi dei sempre ribelli e razziatori Sardi delle montagne la più importante
strada romana che andava da Cagliari ad Olbia e a Turris Libisonis (= Porto
Torres) attraversando anche la Piana di Chilivani. La lunga presenza dei Romani
nella zona di Ozieri è chiaramente dimostrata dal vicino ponte romano (Ponte
‘Etzu) a sei arcate che valica il riu Mannu.
Ma anche nella Piana di Chilivani
e di Torralba, già carica di numerosi e imponenti nuraghi e resti nuragici e
quindi intensamente abitata e fiorente e ricca di uomini, bestiame e colture
agricole, arrivò il flagello della malaria. E ci fu tutta una fuga generale
degli abitanti verso siti più elevati, quali, in primo luogo l’abitato di Ozieri.
A proposito di questa cittadina
c’è un importante costatazione da osservare: essa in un primo tempo, in età
bizantina, fu capoluogo di una importante diocesi, quella di Bisarcio, che però
per il solito pericolo della malaria fu trasferita nel 1502 ad Ozieri. Ebbene risulta
chiaro dai documenti storici che la diocesi di Ozieri ha avuto una sua storia
tutta particolare: essa è stata un centro di grande attività religiosa e di
grane potere ecclesiastico. Sia sufficiente dire che la cittadina, che conta
appena 11 mila abitanti, ha un numero enorme di chiese (circa 40!): 1. SS. Rosario,
2. Vergine del Carmelo, 3. Vergine di Monserrato, 3.Immacolata, 4. Madonna
delle Grazie, 5. Madonna di Loreto, 6. Sant’Agostino, 7. Sant’Antioco di
Bisarcio, 8. Sant’Antonio di Butule, 9. San Bachisio, 10. Santa Caterina,
11. SS. Cosma e Damiano, 12. San Cristoforo,
13. Santa Croce, 14. San Francesco Borgia, 15. San Filippo Neri, 16. San
Francesco, 17. San Giorgio, 18. San Gavino, 19. San Giovanni, 20. Sant’Isidoro,
21, San Lorenzo, 22. San Luca, 23. Santa Lucia, 24. San Lussorio, 25. Santa
Maria, 26. San Matteo, 27. San Mauro, 28. San Michele, 29. San Nicola di
Butule, 30. San Pantaleone, 31. San Pietro in Vincolis, 32. San Pietro di Planu
‘e Lizu, 33. San Quirico, 34. San Sebastiano, 35. Santa Sofia, 36. Santo
Stefano di Vigne, 37. Santo Stefano di Monte.
Ed inoltre, di tempo in tempo, ci
sono stati ben 14 ordini religiosi: Cistercensi, Vittorini, Francesccani,
Cappuccini, Minori Osservanti, Carmelitani Scalzi, Gesuiti, Suore Clarisse, Benedettine, di Cotolengo,
Filippine, della Carità, Celestine, della Redenzione.
Oltre a tutto ciò nessun’altra
diocesi della Sardegna, neppure le Archidiocesi, hanno mai avuto un così forte
potere di comando e di direzione: essa ha sempre dato all’Isola Vescovi ed
Amministratori di diocesi e di recente ha pure avuto un Cardinale e molto
probabilmente ne avrà un secondo fra poco (come tutte le caste, anche il clero
tende a conservare il suo potere e possibilmente a rafforzarlo!).
Ad Ozieri,
nella chiesa dei santi Cosma e Damiano, si trovano anche reliquie
di San Valentino di Terni, che sarebbero state portate nel 1838 da un frate benedettino ozierese.
Una cittadina di soli 11 mila
abitanti ha avuto questo lungo elenco di personaggi illustri, antichi e
recenti:
Maestro di
Ozieri, pittore rinascimentale; Leonardo Tola
(XV secolo),
condottiero;
Giacomo
Camilla (Ozieri, XVIII secolo), scultore
ed ebanista;
Gavino Cocco
(Ozieri, 1724
- Cagliari,
1803), reggente
della Reale Cancelleria di Sardegna;
Matteo Madao
(Ozieri, 1733
- Cagliari,
1800), scrittore;
Francesco Ignazio Mannu (Ozieri, 1758 - Cagliari,
1839), autore
dell'inno Su patriotu sardu a sos feudatarios
(1796); Salvatore Saba (Ozieri, 1795 - India, 1863), 55º ministro
generale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini;
Giuseppe Garibaldi (Nizza, 1807 - Caprera,
1882), deputato
di Ozieri al Parlamento del Regno d'Italia (1867-68 e
1870); Giovanni Matteo De Candia noto come Mario
De Candia (Cagliari,
17 ottobre 1810
- Roma,
11 dicembre 1883),
tenore
e patriota
risorgimentale; Salvatore Ghisaura (Ozieri, 1823 - 1889), pittore;
Giuseppe Pirastru (Ozieri, 1859 - 1931), poeta; Antonio
Cubeddu (Ozieri, 1863 - Roma, 1955) poeta; Giuseppe
Altana (Torino,
1886 - Ozieri, 1975), pittore
e incisore;
Maria Rosa Punzirudu (Ozieri, 1887 - 1964), cantadora;
Giovanni Luigi Satta (1892 - 1962), Medaglia d'oro al valor militare:
Lorenzo Basoli (Ozieri, 1895 - Lanusei,
1970), vescovo
dell'Ogliastra; Sebastiano Fraghì (Ozieri, 1903 - Oristano,
1985), arcivescovo
di Oristano; Orazio Satta Puliga (Torino,
6 ottobre 1910
- Milano,
22 marzo 1974),
ingegnere
e progettista
Alfa Romeo;
Pietro Tinu
(Ozieri, 1923
- Cagliari,
1999), pittore
e incisore;
Franco Emanuel Solinas (Ozieri, 1925 - Santa Margherita Ligure, 2005), poeta e pittore;
Mario Francesco Pompedda (Ozieri, 1929 - Roma, 2006), cardinale;
Francis Lai
(Nizza,
26 aprile 1932),
compositore,
musicista.
Ebbene, come si può spiegare
questo imponente fenomeno di carattere religioso, culturale ed anche
genericamente politico? A mio avviso si può spiegare col fatto che gli antichi
Ebrei deportati nella zona, certamente si romanizzarono e certamente finirono
con l’abbracciare il cristianesimo, anche perché favoriti sia dalla nuova
politica più conciliativa e accomodante adottata da Tiberio nei riguardi degli
Ebrei sin dall’anno 31 d. C. , sia dal
frequente arrivo di missionari bizantini. Ma pur romanizzati e cristianizzati,
sempre Ebrei erano e restavano, e cioè sempre aperti e perfino ossessionati
dall’idea del divino o del sacro!
L’antisemitismo iniziò subito tra
i Romani non appena gli Ebrei vennero a Roma. Lo dimostra già l’episodio su
citato del vile damnum di Tacito. I Romani vedevano molto male gli Ebrei per il
loro fanatico attaccamento alla religione di un solo Dio e per il loro
disconoscimento degli Dèi pagani, per il loro giudicare impuri molti usi dei Romani,
per la loro disubbidienza alle leggi dell’Imperatore, cioè dello Stato.
Ed è pure probabile che ci sia
stato un episodio di antisemitismo anche in Sardegna da parte dei Sardi
originari o dei Romani sardizzati che erano rimasti pagani nonostante la
predicazione dei missionari bizantini.
Dunque nel periodo della fuga degli
Ebrei del presidio militare romano verso le zone elevate per sfuggire alla
malaria ormai imperante anche nella Piana di Chilivani e di Torralba, una parte
si rifugiò – come abbiamo già visto - nel costone di altezza media di 300 metri
sul livello del mare dove si trova Ozieri e dove si cristianizzò ben presto,
un’altra parte, rimasta ancora fedele alla religione giudaica, si rifugiò nella
vicina altura dove adesso si trova il villaggio di Giave. Per il vero il noto Itinerarium
provinciarum (compilato sotto l'imperatore M. Aurelio Antonino, 211-217 d. C.) presenta
la stazione col nome di Hafa, ma le attestazioni medioevali del villaggio
confermano la connessione Iafe/Giave: quelle del Condaghe di Trullas (CNST² 46,
122, 186, 218) Iafe, Iaphe, Iafphe, Campu Iafesu; e quelle delle Rationes
Decimarum Italiae, Sardinia (RDS 112, 2040) Iaffes, Jafes.
Orbene il toponimo Giave/Jafe
riporta immediatamente e chiaramente all’ebraico JAHVÈ che è il nome dell’unico
Dio degli Ebrei. Però è un fatto ben conosciuto che gli Ebrei non pronunziano
mai questo nome, per cui non si intravede altra soluzione che questa: il nome
di JAHVÈ è stato dato a Giave dai Sardi originari o dai Romani sardizzati, rimasti
ancora pagani, a titolo di dileggio o derisione degli Ebrei del villaggio.
Quasi esattamente come in epoca
molto più recente gli Ozieresi, ancora a titolo di dileggio, diedero ad un
rione di casette che stava sorgendo a Chilivani negli anni Trenta il nome di Macallè,
che era quello di un villaggio di capanne di paglia nell’Abissinia od Etiopia
durante la conquista fascista; e la stessa cosa fecero i Nuoresi per un rione
di casette che stava sorgendo su un basso spiazzo a settentrione della città.
Ed ancora esattamente come i Sassaresi in epoca più recente hanno chiamato,
sempre per dileggio, un loro rione di case popolari appena nascente col nome irridente
di Corea ed i Dorgalesi a un loro rione il nome di Biafra... !
Ma il nome derisorio di Jahvè/Giave
si fissò e rimase sia perché ne fu dimenticata l’origine sia perché i suoi
abitanti diventarono anch’essi cristiani ed ebbero le loro 5 chiese, troppo numerose
per soli 500 abitanti: Sant'Andrea Apostolo la chiesa
parrocchiale, Santa Croce, San Sisto, Santi Cosma e Damiano. Nelle
campagne poi, in località Santa Maria, in passato esisteva l'omonima chiesetta
di cui ora rimangono solo alcune rovine.
A settentrione di Giave esiste un
molto caratteristico cucuzzolo roccioso di origine vulcanica, chiamato Pedra
Mendalza, che significa «Pietra emendatrice». Sembra una denominazione sacrale,
che forse potrebbe risalire anch’essa agli antichi abitanti ebrei di Giave, in
maniera analoga del loro odierno “Muro del Pianto” di Gerusalemme.
recita l’articolo:
RispondiEliminaAd Ozieri, nella chiesa dei santi Cosma e Damiano, si trovano anche reliquie di San Valentino di Terni, che sarebbero state portate nel 1838 da un frate benedettino ozierese.
A proposito del San Valentino, nato, vissuto e morto a Terni….
(wikipedia): Fu consacrato Vescovo di Terni nel 197 a soli 21 anni…
L'impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori la città di Terni, lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell'imperatore Aureliano. E li fu sepolto e li fu fatta la chiesa dove è custodito.
(….mentre il corpo santo giunto in Sardegna, fu estratto dal cimitero di Sant'Ippolito sulla via Tiburtina». A tale verdetto, che rende più esile la prospettiva di aggiungere Ozieri all'elenco delle città che ritengono di custodire i resti del patrono degli innamorati, è giunta la commissione canonica a suo tempo nominata dal vescovo Sanguinetti. Etc. Etc)