Archeologia.
Sardegna: prima della scrittura.
Recensione
del libro: “Sardegna, l’alba di una civiltà” di Pierluigi Montalbano, Capone
Editore, Novembre 2017
Articolo
di Felice Di Maro
I nuraghi sono patrimonio dell’umanità.
Sparsi a migliaia in ogni angolo della Sardegna sono un simbolo dell’isola, e
sono importanti non solo perché caratterizzano il paesaggio ma perché sono
testimonianze del passato e documentano la storia dell’isola in età antica. Altrettanto importanti per la storia dell’isola sono i reperti archeologici
delle epoche precedenti come quelle del paleolitico, mesolitico e neolitico, età
del rame e del bronzo, e proprio in quest’ultima si colgono le origini della
civiltà nuragica che si è sviluppata tra l’Età del Bronzo e la Prima età del Ferro, fondendosi in seguito con quella dei fenici.
La Sardegna, con le sue miniere di rame, è
stata protagonista della prima fase della metallurgia nel Mediterraneo e gli
scambi commerciali sono nati e continuamente rilanciati proprio per il rame e
l’argento
e non è da escludere che le navi da carico fossero scortate da quelle militari
per proteggerle dalle azioni della pirateria che hanno sempre caratterizzato il
Mediterraneo. Noti sono i ritrovamenti di lingotti di metallo ciprioti che
testimoniano alleanze commerciali tra la Sardegna e Cipro. Scambi con le
comunità dell’Italia centrale sono documentati dalle tombe etrusche. Bronzetti,
navicelle votive e vasi nuragici testimoniano che la Sardegna con la sua
produzione era inserita in una rete commerciale molto vasta e giocava un ruolo
da protagonista.
Su questi reperti archeologici nel 2017 è
stato pubblicato da Pierluigi Montalbano un libro, edito da Capone Editore. L’opera permette anche a
chi non è mai stato sull’isola di cogliere la cronologia della formazione del popolamento a partire dalla preistoria
fino alla protostoria e anche oltre. Le pagine sono 128 e assicuro, tutte da
leggere e non solo. Le foto e anche la bibliografia (pp.124-125) permettono di
approfondire i lineamenti storici-archeologici, e con le numerose descrizioni
dei reperti archeologici, molto mirate e sono davvero tante, si possono cogliere
agevolmente i reconditi nascosti tra le immagini dei reperti archeologici e le
funzioni che gli stessi avevano nell’uso quotidiano per le epoche precedenti a
quelle storiche intese come tali, s’intende, quelle che sono anche documentate
da fonti letterarie.
Sia chiaro, l’opera ha per titolo: Sardegna, ma ha per sottotitolo L’alba di una civiltà che è davvero
l’obiettivo centrato di questa ricerca che sembra solo descrittiva ma, nell’insieme, è un elaborato molto articolato con il quale l’archeologia si fa essa stessa storia
dell’isola, offrendo informazioni su come questa civiltà si è evoluta ed è
importante perché, com’è noto, per queste epoche non ci sono fonti letterarie. Sull’isola
sono state fatte varie ricerche archeologiche che oggi ci offrono il vero volto della
civiltà sarda, ma mentre è noto che nell’ultimo millennio prima della
nascita di Cristo si è sviluppata grazie a un incontro fondamentale, quello con
i Fenici, una nuova civiltà con una organizzazione del territorio obiettivamente
diversa certo da quelle del Mediterraneo, molta attenzione non c’è stata per le
epoche precedenti. L’opera permette di comprendere pienamente le origini del
popolamento della Sardegna, la religione che imperava e, complessivamente, i
lineamenti del quadro culturale.
Leggendo il libro si è invitati a visitare la
Sardegna e basta fermarsi di tanto in tanto e guardare le foto ed ecco che Montalbano
ci mostra i luoghi dell’archeologia tra i santuari, gli empori commerciali e le
necropoli. Con le foto e le descrizioni dei reperti ci fa anche cogliere le
raffinate evoluzioni dell’arte e, naturalmente, ci fa riflettere sui processi di
produzione nonché su quelli che sono stati gli scambi commerciali che sono,
secondo me, al di là delle descrizioni dei reperti archeologici, gli obiettivi del
libro. Naturalmente si raggiungono gradualmente partendo dalla preistoria fino
all’età storica. Chi studia la protostoria del Mediterraneo non può non
occuparsi della Sardegna. Sappiamo che i primi greci che hanno lasciato tracce in
Occidente furono gli Eubei, la loro presenza è testimoniata nell’isola d’Ischia
a Lacco Ameno. Necropoli, abitato e quartiere industriale documentano la
Pithekoussai dell’ VIII e VII sec. a.C., e siamo all’alba della Magna Grecia.
Penso che Pithekoussai abbia avuto relazioni con la Sardegna perché i metalli
che venivano lavorati sull’isola, probabilmente almeno in parte, se non tutti
s’intende, potrebbero essere stati scambiati con prodotti agricoli che si
coltivano a Ischia, come il vino, nell’ambito dei traffici che coinvolgeva la
Sardegna. A Ischia non ci sono tracce di miniere di metalli e come i metalli arrivavano
sull’isola è un tema di ricerca.
Conoscere l’archeologia della Sardegna è
fondamentale anche per cogliere un quadro degli scambi commerciali nel
Mediterraneo perché dall’Asia verso l’Occidente in generale sono state sempre
state attive due rotte, una che costeggiando le coste del nord-Africa si fermava
in Sicilia, e naturalmente poi proseguiva costeggiando le coste dell’Italia meridionale
e centrale, e l’altra che, facendo inizialmente lo stesso percorso, andava
oltre la Sicilia passando per la Sardegna e le isole Baleari, attraversava lo
Stretto di Gibilterra e volgeva verso la Gran Bretagna. Proprio quest’ultima, in
pratica, ha sempre interessato la Sardegna, e i reperti diffusi sull’isola ne
sono una documentazione eloquente. Queste rotte da quando è iniziata la
navigazione sono state sempre attive.
Le documentazioni archeologiche ci fanno
conoscere come il territorio era organizzato e come il popolamento si è formato
nel tempo ma con le informazioni di reperti provenienti da scavi archeologici
eseguiti fuori dalla Sardegna si coglie molto bene il quadro delle tendenze
artistiche, e non solo. I reperti ci dicono come la religione, con i suoi
riti e con i suoi luoghi di culto, in questa comunità si è evoluta nel tempo e
come ha raggiunto la luce della storia. Ovviamente, si tenga conto che non c’era
ancora la scrittura, ma io penso che per l’archeologia non bisogna mai dire mai perché
si possono sempre riscrivere nuove ricostruzioni storiche con nuove scoperte. Oltre che da iscrizioni vascolari, la
scrittura sull’isola è documentata a Nora, una delle prime città sardo-fenicie. Si tratta di
una stele scoperta nel
1773 conservata nel Museo
archeologico nazionale di Cagliari formata da un blocco di pietra arenaria con una iscrizione in alfabeto fenicio inglobata in un muretto a secco
situato non lontano dalla chiesa di Sant'Efisio nel centro
abitato di Pula. Viene datata tra i secoli IX e VIII a.C.
Chiaramente si tratta di un documento rinvenuto fuori dal suo contesto
archeologico originale, ma è importante perché si tratta di un testo fenicio rintracciato a ovest del Libano che è abbastanza
lontano. Il Libano, com’è noto, fu l'area di frequentazione principale dei fenici, e questa stele dimostra che le comunità
nuragiche e fenice probabilmente convivevano pacificamente sull’isola. Iscrizioni fenice al di fuori
dell’area citata sono state individuate in Cilicia e in Siria fin dall’VIII secolo a.C.,
e sono state trovate in vari luoghi del ma Mediterraneo. Il fenicio aveva diversi
dialetti alquanto diversi, ad esempio come a Sidone e a Tiro.
Importante
segnalare che al riguardo delle relazioni con i vari
reperti archeologici provenienti da altre aree archeologiche situate fuori dalla
Sardegna è da citare il caso della Dea
Madre le cui statuette ritrovate sull’isola hanno corrispondenze
stilistiche-ideologiche con quelle ritrovate nelle Cicladi, nella Sparta
neolitica, nel nord Europa, a Malta, in Anatolia e nella penisola balcanica (p.15).
Ecco come questa relazione viene presentata da Montalbano: “Possiamo definirla
il filo conduttore che unì i popoli neolitici: la sua presenza è ancora
centrale nel sentimento religioso dell’uomo contemporaneo. La Sardegna, su
questo tema, è perfettamente allineata con il resto del mondo” (p.14). Le
sculture in pietra della Dea Madre
della necropoli Cuccuru Is Arrius (3800 a.C.) con le belle foto a (p. 25) sono
documentazioni di rilievo perché ci testimoniano che la comunità o anche -possiamo
dire- l’insieme delle comunità presenti sull’isola hanno avuto relazioni
religiose con divinità femminili. Questa Dea era legata alla vita e si tenga
conto che la donna, com’è noto,ha il potere di generare.
Il libro si articola in sei capitoli. Il
primo, L’età della Pietra, descrive
il paleolitico superiore con la nascita delle religioni e le prime fasi
dell’agricoltura con il culto degli antenati con i sepolcri, segue l’età di
mezzo, mesolitico, e il neolitico con le Domus
de Janas, la cultura Bonu Ighinu,
cultura di San Ciriaco e cultura di Ozieri. Il secondo, L’Età del Rame, è dedicato alla cultura del Vaso Campaniforme e alle genti di Monte Claro, oltre ad approfondire lo sviluppo della
navigazione. Il terzo, L’Età del Bronzo,
presenta la Civiltà Nuragica, le Tombe dei Giganti, la Cultura Bonnannaro e la Cultura Sant’Iroxi. Il quarto, La Civiltà Nuragica, con la Facies Sa Turricula, il nuovo piano
territoriale e i Pozzi sacri. Il
quinto, L’Età del ferro, è centrato
sulle relazioni tra Nuragici e fenici,
Architetture sacre, Economia e traffici commerciali e si conclude con L’epoca dei mercati. Il sesto capitolo,
Le forme artistiche, è dedicato ai reperti archeologici come i bronzetti, le navicelle bronzee, ed è arricchito da considerazioni sugli aspetti formali e simbolici.
L’opera non ha note, ma come ho detto presenta
una bibliografia che permette di approfondire e non solo, con due pagine che delineano i campi di ricerche che si possono fare. Segnalo che su “Le rotonde: governo e
religiosità si incontrano” (pp. 85-92) si colgono delle articolazioni molto
interessanti. Ecco, secondo me, un tratto base: “Nella prima metà del II
Millennio a.C. si assiste a un cambiamento del paesaggio sardo. I primi nuraghi
a corridoio o a bastione, inquadrabili cronologicamente all’inizio del XVII a.C.,
sono caratterizzati dall’assenza di torri, da una planimetria irregolare, da
una massa muraria decisamente prevalente rispetto agli angusti spazi interni, e
da camere con un profilo ellittico. Dal XV a.C. l’architettura sarda, invece,
acquisisce un’idea costruttiva che mira alla verticalità delle strutture e ad
aumentare gli spazi fruibili di questi poderosi edifici: compaiono i nuraghi
con torre tronco-conica. All’interno, gli edifici ospitano una o più camere sovrapposte,
coperte da una volta realizzata con la tecnica ad aggetto” (p.86).
Montalbano presenta, subito dopo, i materiali
archeologici e, naturalmente, i luoghi di rinvenimento. L’evoluzione è davvero
notevole se si pensa che i nuraghi come costruzioni diventano poi, nel tempo, simboli
culturali. L'economia, chiaramente, si riorganizza anch’essa continuamente, anche
con l’uso della moneta. Nel cogliere questi processi l’opera di Montalbano dà un
contributo notevole.
Ciao Pierluigi.E'possibile ordinarlo in libreria?
RispondiEliminaGrazie.
Felicissimo di bere nuova cultura della nostra cara e e amata terra.Chiedo cortesemente se posso ordinare il suindicato libro,in libreria.
RispondiEliminaGrazie.
Si Marco, lo troverai anche in internet con Feltrinelli, Mondadori o amazon.
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