venerdì 12 gennaio 2018

Archeologia. Sardegna: prima della scrittura. Recensione del libro: “Sardegna, l’alba di una civiltà” di Pierluigi Montalbano, Capone Editore, Novembre 2017. Articolo di Felice Di Maro

Archeologia. Sardegna: prima della scrittura.
Recensione del libro: “Sardegna, l’alba di una civiltà” di Pierluigi Montalbano, Capone Editore, Novembre 2017
Articolo di Felice Di Maro

I nuraghi sono patrimonio dell’umanità. Sparsi a migliaia in ogni angolo della Sardegna sono un simbolo dell’isola, e sono importanti non solo perché caratterizzano il paesaggio ma perché sono testimonianze del passato e documentano la storia dell’isola in età antica. Altrettanto importanti per la storia dell’isola sono i reperti archeologici delle epoche precedenti come quelle del paleolitico, mesolitico e neolitico, età del rame e del bronzo, e proprio in quest’ultima si colgono le origini della civiltà nuragica che si è sviluppata tra l’Età del Bronzo e la Prima età del Ferro, fondendosi in seguito con quella dei fenici.
La Sardegna, con le sue miniere di rame, è stata protagonista della prima fase della metallurgia nel Mediterraneo e gli scambi commerciali sono nati e continuamente rilanciati proprio per il rame e
l’argento e non è da escludere che le navi da carico fossero scortate da quelle militari per proteggerle dalle azioni della pirateria che hanno sempre caratterizzato il Mediterraneo. Noti sono i ritrovamenti di lingotti di metallo ciprioti che testimoniano alleanze commerciali tra la Sardegna e Cipro. Scambi con le comunità dell’Italia centrale sono documentati dalle tombe etrusche. Bronzetti, navicelle votive e vasi nuragici testimoniano che la Sardegna con la sua produzione era inserita in una rete commerciale molto vasta e giocava un ruolo da protagonista.     
Su questi reperti archeologici nel 2017 è stato pubblicato da Pierluigi Montalbano un libro, edito da Capone Editore. L’opera permette anche a chi non è mai stato sull’isola di cogliere la cronologia della formazione  del popolamento a partire dalla preistoria fino alla protostoria e anche oltre. Le pagine sono 128 e assicuro, tutte da leggere e non solo. Le foto e anche la bibliografia (pp.124-125) permettono di approfondire i lineamenti storici-archeologici, e con le numerose descrizioni dei reperti archeologici, molto mirate e sono davvero tante, si possono cogliere agevolmente i reconditi nascosti tra le immagini dei reperti archeologici e le funzioni che gli stessi avevano nell’uso quotidiano per le epoche precedenti a quelle storiche intese come tali, s’intende, quelle che sono anche documentate da fonti letterarie.
Sia chiaro, l’opera ha per titolo: Sardegna, ma ha per sottotitolo L’alba di una civiltà che è davvero l’obiettivo centrato di questa ricerca che sembra solo descrittiva ma, nell’insieme, è un elaborato molto articolato con il quale l’archeologia si fa essa stessa storia dell’isola, offrendo informazioni su come questa civiltà si è evoluta ed è importante perché, com’è noto, per queste epoche non ci sono fonti letterarie. Sull’isola sono state fatte varie ricerche archeologiche che oggi ci offrono il vero volto della civiltà sarda, ma mentre è noto che nell’ultimo millennio prima della nascita di Cristo si è sviluppata grazie a un incontro fondamentale, quello con i Fenici, una nuova civiltà con una organizzazione del territorio obiettivamente diversa certo da quelle del Mediterraneo, molta attenzione non c’è stata per le epoche precedenti. L’opera permette di comprendere pienamente le origini del popolamento della Sardegna, la religione che imperava e, complessivamente, i lineamenti del quadro culturale.
Leggendo il libro si è invitati a visitare la Sardegna e basta fermarsi di tanto in tanto e guardare le foto ed ecco che Montalbano ci mostra i luoghi dell’archeologia tra i santuari, gli empori commerciali e le necropoli. Con le foto e le descrizioni dei reperti ci fa anche cogliere le raffinate evoluzioni dell’arte e, naturalmente, ci fa riflettere sui processi di produzione nonché su quelli che sono stati gli scambi commerciali che sono, secondo me, al di là delle descrizioni dei reperti archeologici, gli obiettivi del libro. Naturalmente si raggiungono gradualmente partendo dalla preistoria fino all’età storica. Chi studia la protostoria del Mediterraneo non può non occuparsi della Sardegna. Sappiamo che i primi greci che hanno lasciato tracce in Occidente furono gli Eubei, la loro presenza è testimoniata nell’isola d’Ischia a Lacco Ameno. Necropoli, abitato e quartiere industriale documentano la Pithekoussai dell’ VIII e VII sec. a.C., e siamo all’alba della Magna Grecia. Penso che Pithekoussai abbia avuto relazioni con la Sardegna perché i metalli che venivano lavorati sull’isola, probabilmente almeno in parte, se non tutti s’intende, potrebbero essere stati scambiati con prodotti agricoli che si coltivano a Ischia, come il vino, nell’ambito dei traffici che coinvolgeva la Sardegna. A Ischia non ci sono tracce di miniere di metalli e come i metalli arrivavano sull’isola è un tema di ricerca.   
Conoscere l’archeologia della Sardegna è fondamentale anche per cogliere un quadro degli scambi commerciali nel Mediterraneo perché dall’Asia verso l’Occidente in generale sono state sempre state attive due rotte, una che costeggiando le coste del nord-Africa si fermava in Sicilia, e naturalmente poi proseguiva costeggiando le coste dell’Italia meridionale e centrale, e l’altra che, facendo inizialmente lo stesso percorso, andava oltre la Sicilia passando per la Sardegna e le isole Baleari, attraversava lo Stretto di Gibilterra e volgeva verso la Gran Bretagna. Proprio quest’ultima, in pratica, ha sempre interessato la Sardegna, e i reperti diffusi sull’isola ne sono una documentazione eloquente. Queste rotte da quando è iniziata la navigazione sono state sempre attive.
Le documentazioni archeologiche ci fanno conoscere come il territorio era organizzato e come il popolamento si è formato nel tempo ma con le informazioni di reperti provenienti da scavi archeologici eseguiti fuori dalla Sardegna si coglie molto bene il quadro delle tendenze artistiche, e non solo. I reperti ci dicono come la religione, con i suoi riti e con i suoi luoghi di culto, in questa comunità si è evoluta nel tempo e come ha raggiunto la luce della storia. Ovviamente, si tenga conto che non c’era ancora la scrittura, ma io penso che per l’archeologia non bisogna mai dire mai perché si possono sempre riscrivere nuove  ricostruzioni storiche con nuove scoperte. Oltre che da iscrizioni vascolari, la scrittura sull’isola è documentata a Nora, una delle prime città sardo-fenicie. Si tratta di una stele scoperta nel 1773 conservata nel Museo archeologico nazionale di Cagliari formata da un blocco di pietra arenaria con una iscrizione in alfabeto fenicio inglobata in un muretto a secco situato non lontano dalla chiesa di Sant'Efisio nel centro abitato di Pula. Viene datata tra i secoli IX e VIII a.C.
Chiaramente si tratta di un documento rinvenuto fuori dal suo contesto archeologico originale, ma è importante perché si tratta di un testo fenicio rintracciato a ovest del Libano che è abbastanza lontano. Il Libano, com’è noto, fu l'area di frequentazione principale dei fenici, e questa stele dimostra che le comunità nuragiche e fenice probabilmente convivevano pacificamente sull’isola. Iscrizioni fenice al di fuori dell’area citata sono state individuate in Cilicia e in Siria fin dall’VIII secolo a.C., e sono state trovate in vari luoghi del ma Mediterraneo. Il fenicio aveva diversi dialetti alquanto diversi, ad esempio come a Sidone e a Tiro.
Importante segnalare che al riguardo delle relazioni con i vari reperti archeologici provenienti da altre aree archeologiche situate fuori dalla Sardegna è da citare il caso della Dea Madre le cui statuette ritrovate sull’isola hanno corrispondenze stilistiche-ideologiche con quelle ritrovate nelle Cicladi, nella Sparta neolitica, nel nord Europa, a Malta, in Anatolia e nella penisola balcanica (p.15). Ecco come questa relazione viene presentata da Montalbano: “Possiamo definirla il filo conduttore che unì i popoli neolitici: la sua presenza è ancora centrale nel sentimento religioso dell’uomo contemporaneo. La Sardegna, su questo tema, è perfettamente allineata con il resto del mondo” (p.14). Le sculture in pietra della Dea Madre della necropoli Cuccuru Is Arrius (3800 a.C.) con le belle foto a (p. 25) sono documentazioni di rilievo perché ci testimoniano che la comunità o anche -possiamo dire- l’insieme delle comunità presenti sull’isola hanno avuto relazioni religiose con divinità femminili. Questa Dea era legata alla vita e si tenga conto che la donna, com’è noto,ha il potere di generare.  
Il libro si articola in sei capitoli. Il primo, L’età della Pietra, descrive il paleolitico superiore con la nascita delle religioni e le prime fasi dell’agricoltura con il culto degli antenati con i sepolcri, segue l’età di mezzo, mesolitico, e il neolitico con le Domus de Janas, la cultura Bonu Ighinu, cultura di San Ciriaco e cultura di Ozieri. Il secondo, L’Età del Rame, è dedicato alla cultura del Vaso Campaniforme e alle genti di Monte Claro, oltre ad approfondire lo sviluppo della navigazione. Il terzo, L’Età del Bronzo, presenta la Civiltà Nuragica, le Tombe dei Giganti, la Cultura Bonnannaro e la Cultura Sant’Iroxi. Il quarto, La Civiltà Nuragica, con la Facies Sa Turricula, il nuovo piano territoriale e i Pozzi sacri. Il quinto, L’Età del ferro, è centrato sulle relazioni tra Nuragici e fenici, Architetture sacre, Economia e traffici commerciali e si conclude con L’epoca dei mercati. Il sesto capitolo, Le forme artistiche, è dedicato ai reperti archeologici come i bronzetti, le navicelle bronzee, ed è arricchito da considerazioni sugli aspetti formali e simbolici.
L’opera non ha note, ma come ho detto presenta una bibliografia che permette di approfondire e non solo, con due pagine che delineano i campi di ricerche che si possono fare. Segnalo che su “Le rotonde: governo e religiosità si incontrano” (pp. 85-92) si colgono delle articolazioni molto interessanti. Ecco, secondo me, un tratto base: “Nella prima metà del II Millennio a.C. si assiste a un cambiamento del paesaggio sardo. I primi nuraghi a corridoio o a bastione, inquadrabili cronologicamente all’inizio del XVII a.C., sono caratterizzati dall’assenza di torri, da una planimetria irregolare, da una massa muraria decisamente prevalente rispetto agli angusti spazi interni, e da camere con un profilo ellittico. Dal XV a.C. l’architettura sarda, invece, acquisisce un’idea costruttiva che mira alla verticalità delle strutture e ad aumentare gli spazi fruibili di questi poderosi edifici: compaiono i nuraghi con torre tronco-conica. All’interno, gli edifici ospitano una o più camere sovrapposte, coperte da una volta realizzata con la tecnica ad aggetto” (p.86).
Montalbano presenta, subito dopo, i materiali archeologici e, naturalmente, i luoghi di rinvenimento. L’evoluzione è davvero notevole se si pensa che i nuraghi come costruzioni diventano poi, nel tempo, simboli culturali. L'economia, chiaramente, si riorganizza anch’essa continuamente, anche con l’uso della moneta. Nel cogliere questi processi l’opera di Montalbano dà un contributo notevole.      





3 commenti:

  1. Ciao Pierluigi.E'possibile ordinarlo in libreria?
    Grazie.

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  2. Felicissimo di bere nuova cultura della nostra cara e e amata terra.Chiedo cortesemente se posso ordinare il suindicato libro,in libreria.
    Grazie.

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  3. Si Marco, lo troverai anche in internet con Feltrinelli, Mondadori o amazon.

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