Archeologia. Haou Nebout (
Honebu): Atlantide degli Egizi.
Riflessioni di Fabio Marino
Il geroglifico qui sopra è uno
dei più antichi del sistema egizio; ciononostante, il suo significato è tuttora
dibattuto. Sotto il profilo grammaticale e sotto quello del significato. Prima
che qualcuno si chieda se anche io sono stato colpito dalla sindrome di Atlantide, rassicuro tutti: no, non ancora.
Tuttavia, il problema di questo geroglifico mi affascina da parecchio tempo, e
perciò, anche se ci sono su questo tema ancora parecchi “lavori in corso”, ho
deciso di scrivere qualche riflessione su alcuni aspetti particolarmente
interessanti.
Partiamo dal significato: il
simbolo riportato nell'immagine sopra è quello con cui gli Egizi, fin dai primordi dello
Stato faraonico, indicavano il misterioso territorio dello «Haou-Nebout»,
e nel contempo anche i suoi abitanti. Lo stesso termine viene utilizzato per
indicare gli altrettanto misteriosi “Popoli del Mare”, fronteggiati da Ramsete III intorno
al 1.150 a.C., ma il
termine medesimo esiste fin dai tempi di Unas (V
dinastia), ed è presente in parecchie formule dei Testi delle Piramidi. Queste iscrizioni, insieme ai Testi dei Sarcofagi, mantengono spesso un significato oscuro,
per via dell’arcaicità sintattica e dei contenuti, per cui molte volte sono
soggetti a traduzioni variabili; l’estrema antichità di parecchie delle formule
è riconosciuta anche dall’Egittologia più tradizionale, che riconosce in esse
la “messa per iscritto” di espressioni rituali trasmesse inizialmente per via
esclusivamente orale e di gran lunga anteriori all’unificazione dell’Egitto:
un’origine, dunque, pienamente predinastica.
Se non esistono praticamente
dubbi in merito al significato di Haou-Nebout all’epoca del
Nuovo Regno (generici “Popoli del Mare”, che in più ondate tentarono di
invadere la terra del Nilo, vennero sconfitti da Ramsete III, e oggi vengono
identificati fra gli altri come i precursori
dei Filistei), molto più “intrigante” è la valutazione del
geroglifico all’epoca dell’Antico Regno (2.800 a.C. circa–>2.200 a.C. circa)
e nella fase proto e predinastica precedente. Esistono poco meno di duecento varianti ortografiche
del geroglifico, composto dall’elemento maschile plurale Haou e da quello, con
desinenza femminile, Nebout,
che, in unione fra di loro, assumono il significato di “ciò che sta oltre
(oppure intorno, o anche dietro) il Nebout”. Tuttavia, per estensione, il
simbolo può anche avere il significato puramente geografico de “i Paesi
Haou-Nebout” (un po’ come il contemporaneo “Tutte le Russie”) come pure
quello etnografico de “le genti Haou-Nebout”. All’inizio, gli Egittologi
interpretarono tout court la parola come “Tutti quelli del
Nord, i Settentrionali”. Perché? In effetti, esiste un frammento oscuro nei
Testi delle Piramidi, probabilmente
risalente a ben prima del IV-V millennio a.C. e solo successivamente
trascritto: un gioco di parole poco comprensibile, apparentemente
rivolto a Osiride, che traccia un preciso riferimento geografico in relazione a
Haou-Nebout:
“Tu sei grande e verde, nel
tuo nome di Wad-wur; ecco, tu sei grande e rotondo come il Sin-wur; ecco,
tu sei ricurvo e rotondo come il cerchio che percorre Haou-Nebout”.
Chiariamo subito che per gli
Egizi il Wad-wur (spesso tradotto come “Grande Verde”)
era il “Grande Mare”, posto all’estremità Nord-Ovest del mondo. Ogni
indizio al riguardo sembra condurre alla conclusione che questo non possa essere il Mediterraneo (della
cui relativa “finitezza” gli Egizi sembrano essere stati sempre pienamente
consapevoli), ma l’Oceano
Atlantico, inserito nella cornice del Sin-wur, equivalente
invece del greco fiume Oceano, il quale in parecchie mito-geo-grafie (come ad
esempio quella, di gran lunga più recente, di Ecateo di Abdera)
circonda l’intero globo
terracqueo. I dati raccolti in relazione a Haou-Nebout, nel corso delle dozzine
di volte che il geroglifico viene utilizzato, dimostrano una costante presenza
del concetto dai tempi predinastici e protodinastici, fino al Nuovo Regno (iscrizioni risalenti ai regni di Tuthmose
III, Thutankhamon e Ramsete III) e addirittura al Periodo
Saitico (VII-VI a.C.). A File esiste l’esplicita affermazione che il Grande
Mare circolare “porta
agli Haou-Nebout”. Probabilmente, però, la cosa più interessante è il
rilievo rinvenuto nel Tempio funerario di Cheope. Qualunque cosa si creda a
proposito delle piramidi, i Testi che decorano le pareti di quella di Unas
(fig. 4) risalgono circa al 2.400 a.C., e in essi, come abbiamo visto, si
parla esplicitamente di
Haou-Nebout e traggono origine verosimilmente da un’epoca assai remota, affondata nel Predinastico; il complesso
di Cheope a Giza, invece, è certamente anteriore a Unas anche per l’Egittologia
di Hawass e Lehner, e può essere datato al 2.550 a.C. Ebbene, nel tempio esiste
una scultura che raffigura tre
tori (probabilmente del tutto congrua con il marcatempo
precessionale, che all’epoca
di Cheope vedeva il Toro come costellazione-principe), sormontati
ciascuno da un’iscrizione. La seconda recita: “Colui (NdA: Cheope) che
percorre l’Haou-Nebout”. Secondo l’egittologo Jean
Vercoutter, il significato completo e corretto sarebbe: “Colui
che percorre le rive che sono oltre i Nabout”: il significato e la presenza
del termine sostanzialmente non cambiano. Ora è giunto il momento di puntualizzare
che in epoca saitica appare indubbio che “Haou-Nebout” fosse riferito ai
Greci; da questa osservazione, l’Egittologia classica, pur se con un certo imbarazzo, ritiene
che la parola indicasse, fin dai primordi, la Grecia e le Isole Egee.
Il problema è che la civiltà
greca in quanto tale compare compiutamente, al più presto, dopo l’invasione
dei Dori (essi
stessi sospettati di essere parte dei “Popoli del Mare”), posteriormente dunque
al 1.200 a.C. Se così è, e se è corretto considerare “non civilizzata” la
Grecia prima di quella data, sembra arduo sostenere questa tesi. Anche a voler
considerare la Civiltà Micenea(sorta pienamente intorno al XVIII-XVII secolo
a.C.), le cose non combaciano; solo la Civiltà
Minoica (databile all’inizio del III millennio
a.C.), anche per la suggestività
delle immagini dei tori, riesce a sovrapporsi quasi correttamente in termini
cronologici al Tempio di Cheope, tant'è che alcuni ne fanno risalire l’origine
a profughi egizi, fuggiti subito dopo l’unificazione.
Inutile dire che la distanza
culturale fra le due civiltà è, per svariati motivi, decisamente notevole, e
questa idea pare poco sostenibile. Bisogna poi aggiungere che il flusso
migratorio dall’Haou-Nebout secondo gli Egizi termina con il tentativo di penetrazione in epoca ramessica, ma era stato presente per secoli a partire
dall’inizio dei tempi, e che una seconda perifrasi con cui queste popolazioni
venivano identificate era (traduzione di Màspero) “Coloro che vivono nelle isole del cuore del
Grande Mare”. Inoltre, non è
secondaria la collocazione, sebbene generica e vaga, degli Egizi per
quanto riguarda l’Haou-Nebout: in
parecchi frammenti, si coglie chiaramente l’eco di una localizzazione posta in
un gruppo di isole, grandi e piccole, in un mare poco profondo all’estremità
nord-occidentale del Grande Verde. Come giustamente osservano Berni e Chiappelli nel loro fondamentale testo:
“Dato che i Greci appaiono con
i Micenei (Achei) verso il 1.700 a.C. circa, com’è possibile che gli Egizi
conoscessero e utilizzassero il termine «Haou-Nebout», che equivarrebbe a
«Greci», prima del 3.000 a.C.?”
L’enigma posto
dall’Haou-Nebout non finisce qui. Una caratteristica frequente dei panegirici
dei vari Faraoni è l’auspicio augurale che il Sovrano tenga sotto i piedi i «Nove Archi». Anche l’interpretazione
di questi ultimi è dibattuta: se
da un lato è possibile che essi rappresentino le principali
popolazioni assoggettate dagli Egizi, dall’altro sembra più verosimile, alla luce degli scritti di
Vercoutter e non solo, che gli Archi raffigurino (se letteralmente o
simbolicamente non è chiaro) le Nove
Razze in cui secondo il popolo nilotico era suddivisa l’Umanità.
L’elenco, in ogni caso è chiarissimo: il geroglifico è nella immagine
introduttiva, con una traduzione semplice. E chi troviamo al primo posto della
lista?
“Haou-Nebout, Shat, Ta Shemà
(cioè l’Alto Egitto), Sekhet Iam, Ta Mehou (il Basso Egitto), Pedjitiou Shou,
Tehenou (la Libia), Iountiou Sethi (la Nubia), Mentiou Nou Sethet (l’Asia)”.
Che l’origine dell’elenco sia
arcaica è fuor di dubbio; la formula 202 dei Testi delle Piramidi recita: “Possa
tu fare che questo… governi i Nove e provveda con le offerte all’Enneade (NdA:
il noto pantheon supremo della teologia eliopolitana)”. Per quanto nei
medesimi Testi e durante l’Antico Regno non esistano liste dettagliate (o
comunque non sono ancora state rinvenute), a partire dalla metà circa del Medio
Regno fino alla XIX-XX dinastia ne esistono molte, e Vercoutter afferma che, a
suo giudizio, l’ordine in cui
compaiono i nomi non è casuale, essendo confermato dalle iscrizioni in
quattro diverse tombe e in svariate iscrizioni di diverse epoche. In ogni caso,
prima di pensare che uno stimato egittologo ortodosso potesse avere idee
“eterodosse”, è oppurtuno segnalare che lo stesso Vercoutter (resosi in ogni caso conto che
l’«identificazione greca» regge solo a partire dal Periodo Saitico, e che
l’Haou-Nebout deve necessariamente indicare una realtà geografica ben precisa)
conclude che la sede della misteriosa località sia il Delta del Nilo. Una
conclusione che non può che lasciare sconcertati: l’egittologa Alessandra
Nibbi, la quale studiò approfonditamente il problema posto dai
“Popoli del Mare” di Ramsete III e dal Nebout, ebbe ad affermare, piuttosto
perentoriamente, che la massa
complessiva delle iscrizioni riferentisi all’Haou-Nebout ne parla come se si
trattasse dei luoghi più remoti della Terra.
E con questo, naturalmente,
ogni pretesa di identificarlo con la Grecia, Creta o il Delta del Nilo sembra
proprio cadere. Tra l’altro, suppongo che gli Egizi ben conoscessero il delta e
i suoi abitanti, per cui una confusione sul luogo di origine dei “Popoli del
Mare” mi sembra piuttosto difficile… Né si deve dimenticare che accanto a
tipiche espressioni a un tempo enigmatiche e stupefacenti (“Tutte le
pianure, tutti i monti, il Grande Circolo e il Grande Cerchio, le Isole in
mezzo al Grande Verde, sono tutti ai piedi di questo grande Re”: immagine estremamente suggestiva,
oserei dire “platoniana”, più che platonica) esistono chiari riferimenti all’Haou-Nebout come
patria di popoli ad oggi sconosciuti.
È notevole il fatto che, in
questo senso, ripetutamente gli Egizi si riferiscano AGLI Haou-Nebout(“Tutti
gli Haou-Nebout…”), fornendo l’impressione che la parola possa
indicare non solo un luogo, ma anche una serie di popoli. E infatti,
un’iscrizione recita: “Tutti i Pat, tutti i Rekhyt, tutti gli Haou-Nebout,
tutti gli Henmemet sono sottomessi a questo Re”; i caratteri grammaticali
dell’incisione lasciano pensare seriamente che la formula sia un retaggio di tempi remotissimi, ben anteriore alla
codifica dell’alfabeto geroglifico. Si ha insomma la sensazione che:
1) – l’ignoto scriba non comprendesse affatto (e
non è l’unico caso…) quello che stava scrivendo;
2) – il senso sia che i popoli nominati volessero,
nelle intenzioni originali, rappresentare la globalità, l’universo delle razze
umane;
3) – come affermano, con un alto grado di
verosimiglianza, Berni e Chiappelli:
“Ma nell’evidenza deve
trattarsi di un universo umano molto remoto, poiché, a parte gli Haou-Nebout,
le altre tre razze sembrano dissolte nel mito già all’inizio della storia
egizia”, il che porta i due Ricercatori a concludere che la «descrizione in
stile platoniano» “sia più antica (…) di quella dei Nove Archi, (la quale)
elenca popoli viventi negli stessi tempi in cui i monumenti (furono costruiti)
e i testi furono redatti, mentre i Pat, i Rekhyt (NdA: termine che pare –ma non
è certo- di origine predinastica) e gli Henmemet fanno parte della fase più
arcaica e in diretta continuità con i mitici antenati appartenenti allo Zep
Tepi (Primo Tempo)”.
In effetti, può essere un caso
se, nel Primo Tempo, la terra d’Egitto era governata dagli Shemsu Hor (Seguaci
di Horus), e il significato di Henmemet dovrebbe essere “gli scintillanti”?
Insomma, mi pare che
proseguire con citazioni sul tema rischi di diventare stucchevole. Il punto è
univoco: Haou-Nebout è uno spazio piuttosto
esteso, situato nelle zone nord-occidentali del mondo, da cui potrebbero aver
avuto origine svariate popolazioni. L’invasione (bloccata) dei “Popoli
del Mare” nel corso del XIII secolo a.C. rappresenterebbe soltanto l’epilogo di
un lunghissimo processo migratorio, che condusse probabilmente alla
colonizzazione da parte dei “Nordici” (in senso lato) di buona parte del bacino
del Mediterraneo.
Non solo: per circa un secolo,
sotto l’influsso del pensiero di Flinders Petrie e prima della moda odierna
della “genesi nera” dell’antico Egitto, si è ritenuto che una spinta
fondamentale e decisiva per la nascita della civiltà unificata sulle sponde del
Nilo fosse dovuta a un’imprecisata e non identificata “razza dinastica”.
Petrie basò le sue conclusioni sui ritrovamenti nell’Alto Egitto, nella zona di
Nekhen, Nekheb (qui scavò principalmente J. E. Quibell),
Coptos e soprattutto Naqada, di
ceramiche e architettura radicalmente trasformate rispetto al periodo
precedente; notò altresì una somiglianza della nuova cultura con
l’emergente civiltà mesopotamica. Il che, ovviamente, non risolve il problema, in quanto la prima civiltà riconosciuta come
compiutamente tale è, come si sa, quella dei Sumeri, la cui terra d’origine è
ignota. È notevole rilevare che il grande Gardiner, ancora agli inizi
degli anni ’70 del secolo scorso, scrisse, sul problema delle origini della
Civiltà egizia:
“Nessuno più di D.E. Derry
ebbe la possibilità di esaminare crani e altri resti anatomici provenienti dalle
due parti del Paese, ed egli afferma con vigore che «oltre alla razza
rappresentata dai resti ritrovati in tutte le tombe di sicura data
predinastica, un’altra occupò l’Egitto all’inizio dell’età dinastica»”
E allora? Parliamoci chiaro:
anche per un seguace dell’idea di Jordan in merito ad Atlantide le
suggestioni sono molteplici. Abbiamo una vasta zona, posta a Nord-Ovest
rispetto all’Egitto, oltre le cosiddette “Colonne d’Ercole”, caratterizzata da
isole, “circoli” e “cerchi”, apparentemente patria di svariati popoli e civiltà
di cui sembra essersi persa la memoria. L’aspetto più importante, a mio
giudizio, non è costituito tanto dalle apparenti analogie “rotondeggianti” con
la mitica capitale del continente platoniano scomparso, quanto dalla tambureggiante
insistenza degli Egizi nell’indicare un complesso civile, costituito da
numerosi popoli, che riconosceva un’origine comune. Un’origine chiaramente
indicata, sebbene a tratti in maniera nebulosa, in una sconosciuta località
atlantica, non necessariamente sprofondata sotto i mari.
Tra l’altro, va sottolineato
che seguendo le pur scarne indicazioni degli Egizi e tenendo conto della
origine sicuramente settentrionale di gran parte dello stagno necessario per
alimentare l’Età del Bronzo nel Mediterraneo (Egitto incluso), nonché
considerando che tutti i “Popoli del Mare”, dall’inizio alla fine, sembrano
essere stati profondi conoscitori della metallurgia, la conclusione sembra
davvero inequivocabile. E in questa conclusione non sono affatto solo: a parte
gli Autori dello splendido libro (pressoché irreperibile) che ho citato (Widmer
Berni e Antonella Chiappelli), esiste il libro del 2011 di Pierluigi Montalbano “Antichi
Popoli del Mediterraneo” che, pur insistendo sulla matrice greca della leggenda
di Atlantide, la associa esplicitamente all’Haou-Nebout. Mi pare dunque
assolutamente evidente e probabile che l’idea della civiltà egizia quale
“retaggio” (in ordine anche, ma non solo, alla non più procrastinabile ridatazione
dei suoi monumenti principali a Giza e dell’Uovo di Aswan) acquisti, grazie agli studi sull’Haou-Nebout,
nuovo vigore. Certo, con ogni probabilità qui non stiamo parlando
dell’Atlantide presente nell’immaginario collettivo, ormai autentico archetipo;
oltre tutto, come detto, gli stessi Egizi non mancano di sottolineare come le
migrazioni da quei luoghi ignoti siano continuate per parecchie centinaia di
anni. Tuttavia, considerando ad esempio che la religione egizia, essenzialmente
solare, appare, da un certo punto in poi, “inquinata” da elementi stellari; che
questi elementi sono presenti ab originibus nelle culture che
affacciano a Ovest direttamente sull’Oceano Atlantico; che queste culture
stellari sono le responsabili di strutture megalitiche quali
Stonhenge e dei dolmen, menhir e cromlech della Cornovaglia (guarda
caso primo produttore, nell’Antica Età del Bronzo, di stagno…), di tutte le
Isole Britanniche, della Francia, Spagna e Portogallo; che esiste una sottile
linea rossa che sembra legare la cultura “celtica” dei massi monumentali con
quella (definita genericamente “pelasgica“) dei nuraghi sardi e delle mura
megalitiche specialmente nel Lazio; che tutte queste culture sembrano, di volta
in volta, adattarsi molto bene alla descrizione delle genti Haou-Nebout diventa
veramente difficile non prendere almeno in considerazione l’ipotesi di una non
scomparsa, ma attualmente misconosciuta, “Atlantide egizia”. Anche perché a mio
giudizio questa ipotesi non è inficiata né da improbabili catastrofismi di
qualsiasi natura (nessun cenno è presente nelle iscrizioni della Valle del
Nilo), né condizionata da elementi archetipali (l’Haou-Nebout egizio non
riveste mai il ruolo di “età dell’Oro” precipitata dalla rabbia degli dèi).
E si badi: l’eventuale
riconosciuta veridicità dell’ipotesi non rafforzerebbe affatto l’ormai desueta teoria
diffusionista basata o no sul dogma: “Ex Oriente Lux”; un dogma
che già Pierre Carnac (e non solo) fin dall’inizio degli anni ’70 ha
contribuito a far vacillare fortemente, prima che di fatto crollasse sotto i
colpi dei ritrovamenti archeologici e dei sequenziamenti genetici.
Quindi, pur se sono pienamente
convinto che si tratta solo di una ipotesi speculativa (con forte connotazione
di verosimiglianza, in ogni caso), sono altrettanto convinto che la Ricerca,
magari attraverso studi genetici, debba continuare. Perché forse stavolta ci
troviamo di fronte ad un’Atlantide vera, in carne e ossa ma in incognito, che
abbiamo guardato tante volte e che aspetta solo di essere riconosciuta.
Devo un ringraziamento al
co-Fondatore di ASPIS Simone Barcelli, che in una conversazione privata, tempo
addietro, fece riaffiorare alla mia coscienza l’Haou-Nebout ormai sbiadito;
devo dedicare questo breve e modesto lavoro a Maria Ranieri, che oggi avrebbe
95 anni esatti.
Fonte: http://www.associazioneaspis.net/latlantide-degli-egizi/
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