Archeologia e storia della
Sardegna. L'occupazione romana della Sardegna
Riflessioni di Attilio Mastino
Il basso impero.
Con Diocleziano e poi con Costantino il
sistema dei governi provinciali fu radicalmente trasformato e subì forse un
impoverimento, a causa del progressivo accentramento burocratico: il potere
imperiale fu attribuito a due Augusti e a due Cesari, secondo il sistema della
Tetrarchia; furono allora costituite quattro prefetture del pretorio (Oriente
con capitale Nicomedia, Balcani con capitale Sirmio, Italia con capitale
Milano, Gallia con capitale Treviri), con tredici diocesi affidate a vicari dei
prefetti del pretorio; le province furono divise, ridotte come territorio con
oscillazioni di confini e con suddivisioni successive e collocate sotto la
responsabilità di presidi equestri o di funzionari senatori; la penisola
italiana rientrò nell'organizzazione provinciale. Al di là degli aspetti di
dettaglio, la riforma dioclezianea segnò una svolta profondissima, creando una
sorta di piramide ed una catena di comando al cui vertice erano gli imperatori
ed i loro prefetti del pretorio. Le province diventarono uno snodo periferico
del governo imperiale ma, aumentate di numero, persero quella configurazione
"nazionale" storicamente radicata nelle tradizioni locali che le
aveva caratterizzate fin dalla loro prima costituzione. Infine le città
provinciali, collocate alla base della
La Sardegna fu inserita allora nella diocesi italiciana e poi (con Costantino) nella prefettura del pretorio d’Italia, alle dipendenze del vicarius urbis Romae che risiedeva nella capitale. L’isola fu amministrata da un praeses, certamente diverso da quello che soprintendeva alla Corsica. Sul piano fiscale, l’isola con la Sicilia e con la Corsica costituivano un unico distretto, affidato dal 325 ad un rationalis trium provinciarum, inizialmente per la gestione del patrimonio imperiale. Più tardi il rationalis acquisì una competenza più ampia, occupandosi anche delle imposte che andavano a beneficio dell’erario (sacrae largitiones), sostituendosi così all’exactor auri et argenti provinciarum III, attestato in epoca precedente, nell’anno dei decennali di Costantino.
Nel corso dell’impero è possibile osservare le vicende dell’isola negli anni di crisi: in genere la Sardegna seguì le sorti della vicina provincia africana, come durante la prima tetrarchia, quando, pur essendo garantita l'unità sostanziale dell'impero, fu affidata a Massimiano Augusto, che controllava anche le province africane, eppure Galerio Cesare e gli altri tetrarchi venivano onorati con statue a Turris Libisonis forse in occasione del 350° anno della colonia; nel 305, con il ritiro dalla scena politica di Diocleziano e di Massimiano, la situazione si mantenne invariata e la Sardegna passò a Severo prima ed a Massenzio poi: quest’ultimo, oniibus insulis exanimatis, dissanguata anche l’Africa, si asserragliò a Roma, dove accumulò una quantità di viveri sufficiente per resistere per un tempo infinito. Così almeno si esprime un panegirista nell’età di Costantino.
Ancor più notevole è poi il riconoscimento solo in Sardegna dell'usurpatore africano Lucio Domizio Alessandro, vicario della diocesi dell'Africa, proclamatosi imperatore contro Massenzio e sostenuto da Costantino; si discute sulla durata della rivolta, che taluni limitano al 310, altri estendono al periodo 308-311; il riconoscimento in Sardegna (ed in Tripolitania, in Africa Proconsolare, in Byzacena e nelle due Numidie) è alquanto sorprendente; un ruolo decisivo dovette forse essere svolto dal governatore sardo Lucio Papio Pacatiano, poi premiato da Costantino, che lo nominò a partire dal 332 prefetto del pretorio. Sconfitto e ucciso in Africa (forse a Cirta) l'usurpatore Domizio Alessandro, la Sardegna tornò sotto il controllo di Massenzio e, dopo la battaglia del ponte Milvio del 28 ottobre 312, passò subito a Costantino e successivamente a Costantino II ed a Costante.
Una situazione simile si verificò successivamente con Magnenzio, l’uccisore di Costante, sconfitto da Costanzo II a Lugdunum. Seguì il breve regno di Giuliano e la nomina di Valentiniano I a partire dal 364: il figlio Graziano sarebbe stato ucciso nel 383 dall’usurpatore Magno Massimo, riconosciuto sui miliari della Sardegna e del Nord Africa.
Più tardi, nell’età di Teodosio, abbiamo un’eco della precedente adesione dell’isola al partito di Magno Massimo, se nel 390 a conclusione della rivolta Aurelio Simmaco scriveva una lettera al cugino Nicomaco Flaviano, prefetto del pretorio per l’Italia a proposito di Ampelio e di un gruppo di altri senatori sardi incriminati e processati in modo irrituale anziché come dovuto con un giudizio adeguato al loro rango affidato al tribunale competente.
Un’iscrizione di Turris Libisonis datata al I giugno 394 con i nomi dei consoli Arcadio ed Onorio sembra confermare che la Sardegna non riconobbe, a differenza di quanto fin qui supposto, l’usurpazione di Eugenio e rimase perciò fedele a Teodosio, per quanto l’atteggiamento ambiguo del comes Africae Gildone abbia fatto pensare ad un’analoga presa di posizione del preside sardo: l’iscrizione infatti non ricorda il consolato di Eugenio e di Virio Nicomaco Flaviano, ancora qualche mese prima della sconfitta (4 settembre 394) e della morte di Eugenio (6 settembre).
Qualche anno dopo durante il regno di Onorio nel 397, nel corso della crisi annonaria legata alla rivolta di Gildone in Africa, sappiamo da Aurelio Simmaco che il nipote Benigno aveva governato la Sardegna in modo encomiabile, occupandosi con energia dell’approvvigionamento granario della capitale e tornando dalla provincia senza essersi arricchito ed anzi ammalato: nihil enim de Sardinia reportavit nisi bonam conscientiam et malam valetudinem, horreis autem tantum frugis invexit, quantum illi provinciae anni fortuna contulerat.
Nello stesso anno del resto l'isola appoggiò il principe mauro Mascezel nella sua impresa contro il ribelle comes Africae Gildone, conclusasi con la vittoria del corpo di spedizione inviato da Stilicone; in quell'occasione Carales ospitò per un inverno i soldati diretti in Africa. Conosciamo la rotta seguita dalle navi di Mascezel lungo la costa orientale della Sardegna, diretta contro il comes Africae, che tra l'altro aveva bloccato in precedenza i rifornimenti granari tra l'Africa, la Sardegna e la capitale: la flotta, che trasportava una legione e sei auxilia palatina, partita da Pisae, toccò l'isola di Capraia e quindi costeggiò la Corsica, tenendosi lontano dalle pericolose secche a Sud di Porto Vecchio; all'altezza dei Montes Insani, lungo la costa orientale dell'isola, a causa di una violenta tempesta, le navi furono disperse ed alcune trovarono rifugio a Sulci, altre ad Olbia. Più tardi la flotta si ricostituì a Carales, ove il corpo di spedizione (oltre 5000 uomini) passò l'inverno, per poi partire per l'Africa nella primavera successiva. La battaglia decisiva, dopo lo sbarco a Cartagine, fu combattuta sul fiume Ardalio, tra Ammaedara e Theveste, dove Gildone fu sconfitto. Ha sorpreso la dispersione della flotta nei due porti, molto lontani tra loro, di Sulci sulla costa sud-occidentale sarda e di Olbia sulla costa nord-orientale: la difficoltà può essere però superata, se si pensa alla Sulci orientale presso Tortolì, ove Tolomeo colloca i Solkitanòi. È evidente che, se le navi si rifugiarono in parte ad Olbia ed in parte a Tortolì, la tempesta deve essere avvenuta in un punto intermedio della costa orientale: ne deriva di conseguenza la localizzazione dei Montes Insani di Claudiano già a Capo Comino a Nord del Golfo di Orosei; l'identificazione con i monti tra Dorgali e Baunei, nella parte meridionale del Golfo, come ipotizzato da Michel Gras, ci porterebbe troppo a Sud, per quanto la denominazione antica può forse essere generica e comprendere un vasto sistema orografico di monti e colline che dalla costa si spingevano all'interno verso il Gennargentu ed addirittura verso il Marghine e il Montiferru. Un'altra conseguenza di questa localizzazione deve essere ugualmente segnalata: tra Olbia e Tortolì non dovevano esistere nell'antichità degli approdi capaci di ospitare la flotta da guerra romana, composta di molte navi: lo stesso Portus Luguidonis, il cui nome farebbe pensare ad un approdo adeguatamente protetto al servizio dell’accampamento di Luguidonec, doveva essere insufficiente per le esigenze della flotta da guerra romana.
Pochi anni dopo, alla vigilia del sacco di Roma dell’agosto 410 voluto da Alarico, non pochi italici si rifugiarono in Sardegna, in Corsica ed in Africa, mentre Onorio si affannava ad arruolare a spese delle aristocrazie isolane giovani reclute valutate a 30 solidi aurei ciascuna per la difesa della penisola dall’attacco visigoto: erano esentati soltanto i clarissimi costretti a lasciare l’Italia e la capitale Roma barbara vastitate depulsi. Claudiano fotografava in quegli anni la fuga dei ricchi romani di fronte ai Visigoti che nel 401 avevano preso Aquileia e minacciavano Ravenna e la stessa Roma: iamiam conscendere puppes / Sardoniosque habitare sinus et inhospita Cyrni / saxa parant vitamque freto spumante tueri.
Negli anni successivi la Sardegna dové riprendere la sua funzione tradizionale, se il poeta spagnolo Prudenzio poteva rintuzzare il pessimismo del pagano Simmaco, ricordando che ancora la flotta continuava a riempire fino a farli scoppiare i granai di Roma con il frumento dei Sardi, aggiungendo con sarcasmo che non era vero che l’isola esportava nella capitale solo ghiande di quercia o pietrose corniole come alimento per i Quiriti. Le difficoltà nei collegamenti marittimi dovettero essere numerose, come testimonia un curioso episodio raccontato nei primi decenni del V secolo in una famosa lettera di Paolino di Nola, inviata forse all'ex vicario di Roma Macario, riferita ora all'estate del 411, nella quale si racconta che l'inverno precedente (hieme superiore) i navicularii sardi furono costretti (compulsi) dalle pressanti necessità dell'annona (collegate probabilmente con l'invasione visigotica) ad inviare navi cariche di grano ad Ostia, anche se la stagione invernale aveva obbligato a dichiarare il mare clausum, l'interruzione nei collegamenti marittimi: il rischio di naufragio sarebbe stato poi compensato da un maggiore guadagno. In quest'avventura il navicularius Secundinianus, considerato dai più di origine sarda, perse la nave e tutti i marinai tranne uno, a causa di una tremenda tempesta che scoppiò, ritengo, sulla costa nord-orientale della Sardegna, presso la località Ad Pulvinos, poco dopo che la nave era uscita da un porto sardo, forse Olbia; l'unico superstite, Valgius, lasciato sulla nave dagli altri marinai, che avevano sperato di salvarsi imbarcandosi su una scialuppa, riuscì a sbarcare sul litorale lucano dopo alcuni giorni di terribile navigazione. È stato recentemente dimostrato che l'armatore Secundinianus non era sulla nave al momento del naufragio e che di conseguenza il navicularius non va confuso con il comandante della nave.
Il passaggio dei Vandali in Africa, avvenuto nel 429, e soprattutto la conquista di Cartagine e la nascita dieci anni dopo di un potente stato vandalo, resero indifendibile anche la città di Roma (saccheggiata per la seconda volta nel giugno 455) e ancor più la Sardegna, che tentò di resistere all’invasione costruendo mura e fortificazioni a protezione dei porti; ancora nel 450 una costituzione imperiale lamentava il ritardo con il quale pervenivano nella penisola i tributi dovuti dalla Sardegna, evidentemente utilizzati in loco per organizzare la resistenza; per tale ragione l’isola non fu esentata, a differenza delle altre province, dal pagamento dei tributi arretrati. Il 29 giugno 452 l’imperatore Valentiniano III prendeva atto degli incombenti rischi per la navigazione che limitavano il trasferimento dalla Sardegna di carne suina e autorizzava il pagamento in denaro dell’imposta dovuta.
Dopo essere stata ripetutamente attaccata, l'isola fu infine occupata attorno al 458 e restò all'interno del regnum Vandalorum con capitale Cartagine, per poco meno di un secolo, con una breve interruzione tra il 468 ed il 476. In questo periodo i rapporti tra l'Africa e la Sardegna dovettero intensificarsi: a parte le deportazioni di Mauri e di vescovi africani nell'isola, si deve ricordare la partecipazione di cinque vescovi sardi al concilio di Cartagine del 484.
Fonte: Sardinia Antiqua,
articolo del 9 Settembre 2017
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