Archeologia della Sardegna. I Guerrieri di Mont'e Prama, decine di statue in pietra a grandezza naturale che vegliavano sul sonno degli eroi nuragici. Erano Shardana?
Riflessioni di Pierluigi Montalbano
A metà degli anni Settanta del secolo scorso, lungo la
strada che collegava il porto nuragico di Tharros nel golfo di Oristano e l’immenso
nuraghe S’Uraki di San Vero Milis, probabile reggia amministrativa della zona, un
contadino che arava il suo terreno a Mont’e Prama si accorse che l’aratro
intercettava pietre lavorate con forme umane. Una serie di campagne di scavo
condotte dagli archeologi Alessandro Bedini prima e Carlo Tronchetti poi,
coadiuvati dai relativi staff di ricerca, portava alla luce una necropoli
nuragica con decine di sepolture a pozzetto di varia tipologia, allineate lungo
un viale funerario che seguiva l’andamento naturale del terreno. Lo scarso
corredo funerario non offriva una cronologia affidabile del sito e gli
archeologi, prudentemente, assegnarono al Primo Ferro l’epoca di realizzazione
dei sepolcri. Indagini più
accurate eseguite in questi anni hanno stabilito che
la necropoli si compone di tombe semplici a pozzetto del X a.C., tombe a cista
litica del IX a.C. e altre dell’VIII a.C., periodo nel quale la necropoli fu
monumentalizzata con l’aggiunta di statue in pietra locale a grandezza naturale
poggiate sulle lastre di copertura dei sepolcri. Arricchivano il cimitero una
serie di piccoli nuraghi in pietra di varie forme, dai monotorre ai più
complessi polilobati.
Fra le oltre 30 sculture antropomorfe ricostruite nel centro
di restauro di Li Punti, assemblate attraverso una minuziosa ricerca stilistica
che ha consentito di selezionare poco più di 5000 frammenti raccolti nel sito,
si notano 4 tipologie di guerrieri in posizione eretta, composta, da parata. Il
vestiario e le armi dei personaggi consentono una interpretazione che li lega
al mondo eroico delle cruente battaglie combattute nel periodo ma, al contempo,
li vede come “guardiani” di un cimitero sacralizzato dai potentati nuragici che
gestivano le risorse del Sinis. Circa 150 nuraghi sono presenti nella zona,
facendo del territorio uno dei più capillarmente occupati dell’intera isola. E’
evidente che le ricche famiglie locali volessero ostentare con questa necropoli
monumentale una serie di peculiarità che li distingueva: capacità economica,
arte sopraffina, potere guerriero, rispetto degli avi defunti, coordinamento
organizzativo. Archi, scudi, spade, ed elementi di vestiario espressi nel
perizoma con coda triangolare dei grossi guerrieri con scudo flessibile e nelle
eleganti vesti, dotate di stola, che abbigliavano gli esili spadaccini con
scudo rotondo. Sono soprattutto gli arcieri a mostrare fluenti trecce che
percorrono il collo e il petto e una decorazione geometrica che caratterizza le
raffinate protezioni in cuoio di braccia e mani. Questi uomini d’arme, specchio
dell’ideologia nuragica dell’epoca, erano posti su piedistalli in pietra,
allineati secondo le tombe presenti nel viale funerario. La mano crudele del
nemico li distrusse con violenza, quasi a volerne cancellare il ricordo, e i moderni
lavori di aratura fecero il resto, smembrando i corpi e devastando il sito
sacro. A noi mortali resta la soddisfazione di poterli ammirare nei musei di
Cagliari e Cabras, destinatari privilegiati di un corpus artistico che
evidenzia la più importante Civiltà dell’intero Occidente fino al sorgere di
Roma.
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