Riflessioni di
Alberto Zei
Ho letto
poco tempo fa le riflessioni di Michelangelo Zecchini sull'ipogeo di Marciana nell'isola d'Elba e le condivido. Fra l'altro mi sembra che nella realizzazione
di quella spettacolare tomba etrusca scavata nel granito, si comincino a
intravvedere influssi sardi, che d'altronde non sono inattesi visti gli
acclarati rapporti Elba-Sardegna già nell IX-VIII secolo a. C. e visto il
toponimo Ilva che l'Elba condivide con la Maddalena.
Talvolta
arriva il caso che le eccessive cure a sostegno di una verità zoppa finiscano
per sciancarla definitivamente. All'Isola d’ Elba
la disputa per il riconoscimento del mausoleo etrusco di Marciana dà ancora
spazio ad imprevedibili negazionismi di questa realtà.
L’
ipogeo etrusco – Si ritiene, ormai, che il travisamento della vera natura di
questo ipogeo sia arrivato al
limite della immaginazione da parte di
chicchessia, tanto da non poter trovare ulteriori supporti, o indebolire le
attuali ragioni a sostegno della sua genesi come tomba etrusca.
Ma quale peso
hanno gli argomenti contrari alla tesi del sepolcro? Cos’altro vi sarebbe da dire per
disconoscerne la natura?
Pareri
professionali
Una disamina contraria all’interpretazione dell’architettura
sotterranea come tomba etrusca è stata recentemente fatta da un insigne cattedratico
di etruscologia. Si parla del Prof. Luigi Donati, già ordinario di etruscologia
presso l’Ateneo fiorentino nonché attuale Segretario generale del prestigioso
Istituto di Studi Etruschi, il quale all'ipogeo ha dedicato un ampio resoconto nella rivista di storia dell’Isola d’ Elba :
“Lo scoglio” del III quadrimestre 2016. Lo studioso, per la vita professionale
dedicata alla ricerca della verifica dei reperti dell’antica Etruria,
sicuramente possiede esuberante esperienza e conoscenza per esprimere il suo
autorevole parere sulla contestata questione. Non resta, quindi, che valutare
la consistenza degli argomenti trattati. Egli non crede che l’ipogeo cruciforme
di Marciana sia una tomba etrusca. Ma contrariamente a quanto ci si attendeva
da uno scienziato come lui, i suoi argomenti si rivelano diciamo...poco
convincenti, e pertanto abbastanza confutabili. Questa inconsistenza
dimostrativa non poggia a sua volta sulle teorie di chi la critica, anche
perché sarebbe presunzione ritenere di conoscere l’archeologia etrusca meglio
del Prof. Donati. Le argomentazioni del Professore sono invece, facilmente
confutabili da parte di chicchessia, solo facendo riferimento per archeologia
comparata, ad altre situazioni analoghe e ripetitive ufficialmente classificate
e confrontabili con quelle dell’ ipogeo di Marciana. Ciò consente infatti, di
rendersi conto della singolarità di
prese di posizioni alquanto fragili e tali da non far evincere quale
condivisibile spiegazione sottenda il parere espresso dall’illustre
cattedratico.
In
teoria…
Se come si suol dire, “Mille teorie non valgono un fatto”, è agevole rispondere proprio con il fatto che altrove i medesimi dettagli hanno consolidate e ufficiali spiegazioni diverse. Vediamo ora di cosa si tratta.
Se come si suol dire, “Mille teorie non valgono un fatto”, è agevole rispondere proprio con il fatto che altrove i medesimi dettagli hanno consolidate e ufficiali spiegazioni diverse. Vediamo ora di cosa si tratta.
Donati
afferma che la porta del dromos di Marciana si apre in un angolo dello sperone
roccioso mentre per essere etrusca dovrebbe trovarsi al centro. Ebbene: l’
ingresso si trova proprio al centro
perché la roccia granitica è visibile sia a destra che a sinistra, come succede
in moltissime tombe etrusche.
Donati
afferma che nelle tombe etrusche i bracci che portano alle celle laterali sono
“sempre” molto corti, mentre Marciana li ha lunghi. Si può osservare che bracci
lunghi esistono in tombe sicuramente etrusche come la tomba orientale di
Castellina in Chianti, come la tomba 2 della necropoli di Colle val d’Elsa e
come, addirittura, il famoso ipogeo dei Volumni a Perugia.
Donati
afferma che la cella di fronte al dromos è “sempre” grande, e non piccola come
quella di Marciana. Non è così: piccola è la cella, in asse con il dromos, di
Castellina in Chianti e piccole sono le celle di almeno tre tombe della
necropoli di Cavalupo a Vulci.
Donati
afferma che la camera destra dell’ipogeo di Marciana ha una pianta
quadrangolare e una parete sghemba, perciò non può essere etrusca. Si può
invece facilmente verificare che celle a pianta quadrangolare con pareti
sghembe ci sono perfino in tombe etrusche molto celebri, come quella Francois
di Vulci, o come quella dei Cai Cutu a Perugia, o come quella dell’Iscrizione a
Chiusi.
Donati afferma che il toponimo ‘La Tomba’, che dà il nome a tutta
l’area e alla via soprastante, non si riferisce all’ipogeo. E’ vero che si
tratta soltanto di una questione lessicale; ma proprio su questo nome due
illustri linguisti, come Remigio Sabbadini e il toscano Silvio Pieri, pensano
invece, che quel toponimo ‘tomba’ significhi proprio sepolcro. Difficile è,
infatti, immaginare una diversa ragione nell’ attribuire secoli prima alla mappa
del catasto Leopoldino significati astratti con quella denominazione, peraltro
lugubre.
Donati
afferma che non solo gli Etruschi ma neppure i Sardi non hanno mai scavato
il granito perché è una roccia troppo
dura. E’ noto il contrario. In Sardegna, infatti, molti sepolcri ancestrali
denominati “domus de janas” furono scavati nel granito, così come gli Etruschi,
disponendo di utensili più raffinati e idonei erano certamente nella
possibilità di ricavare una tomba nell’ambiente interamente granitico del monte
Capanne. E la realizzazione dell'ipogeo di Marciana non è forse priva di
influssi sardi, come mostrerebbe, fra l'altro, la straordinaria affinità
riscontrabile nella concezione figurativa della parete/stele presente nella
celletta di Marciana e dei betili tipo Oragiana e Pischinainos.
Donati
riferisce che che vi è anche l’ ipotesi che in questo ambiente possa
riconoscersi una sorta di “neviera”. Pur apprezzando il pensiero creativo di
questo genere, resta però alquanto difficile condividere la funzione di neviera
riferita ad una struttura architettonica crociforme senza drenaggio, costata
anni di lavoro nel duro granito.
Le
figure qui mostrate mettono in evidenza come erano concepite un tempo le
neviere e anche le zecche. Questa recente storia dell’ipogeo è stata
trasformata, attraverso le critiche a sostegno dell’una o dell’altra ipotesi
sulla sua natura, in una sorta di patologia della verità. Non resta ora da
auspicare che proprio da questo suo massimo aggravamento regredisca il
conflitto e si restituisca ai cittadini e agli appassionati di archeologia il
valore aggiunto dell’ipogeo nella sua autenticità di architettura funeraria
etrusca.
E’
pur possibile che qualche cosa sia sfuggita o sia stata anche fraintesa
riportando in termini sintetici il pensiero altrui; ma sostanzialmente le
divergenze interpretative restano.
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