La storia delle
strade
di Alberto Bucchi
Delle strade si possono dare diverse definizioni. Tuttavia
ritengo che la strada propriamente detta nasca, in linea generale, nel momento
in cui un gruppo sociale conclude il suo processo di insediamento e di
controllo su un certo ambito territoriale. L’avvento dell’”homo sapiens”
attorno a 40.000 anni fa accelera la diffusione migratoria e la scoperta del
primo mezzo di trasporto: la slitta, trainata da buoi, cani e poi cavalli. Con
la slitta non era ancora iniziata la storia della strada, ma la slitta,
cominciando la vicenda dei trasporti terrestri, va considerata la progenitrice del
carro, nella linea evolutiva culminata con l’invenzione della ruota. La ruota
costituisce un salto di civiltà nella storia dell’uomo, realizzando il moto
rotatorio. L’applicazione delle ruote alla slitta ha come primo riferimento
archeologico il tempio di Inama nella bassa Mesopotamia, dove alcune tavolette,
risalenti al 3.200 a.C., ne riportano uno schizzo esplicito. L’evoluzione della
ruota dalla forma massiccia alla geometria a raggi, fino al suo svincolarsi
dalla solidarietà con l’asse attraverso il mozzo, si sviluppa nel secondo
millennio a.C. estendendosi dalla valle dell’Indo all’Egitto. I ritrovamenti
nelle tombe dei re e dei notabili di queste regioni ci hanno tramandato interi
carri funebri a testimoniare il
concetto di prestigio connesso al nuovo
veicolo. La ruota, oltre a rappresentare il primo passo nella rivoluzione
tecnologica dei trasporti, impose l’avvento di due nuove tematiche: la
creazione della strada e l’addomesticamento del cavallo. Tali eventi
caratterizzeranno nei secoli successivi la vita dell’umanità e lo sviluppo
della civiltà. I Persiani, essendo il loro impero esteso su gran parte del
Vicino Oriente, dovettero affrontare organicamente il problema delle strade,
essenziali per consentire ad eserciti e funzionari un rapido collegamento con
il potere centrale. Ciro il Grande (590-529 a.C.), fondatore dell’impero,
promosse la costruzione di una razionale rete viaria. Piste in terra battuta ed
a volte anche lastricate congiungevano varie località della Persia. La più
lunga (detta Via Regia) univa la capitale Susa in Iran a Sardi nella Turchia
Occidentale superando una estesa di 2.699 km che i corrieri impiegavano 20
giorni per percorrerla. Nel tratto tra Susa e Babilonia, sotto il dominio di
Dario il Grande (550-485 a.C.), le condizioni delle piste battute consentivano
ai corrieri a cavallo di percorrere fino a 160 km al giorno con cambi di monta
ogni 25 km. Tutte le strade erano dotate di stazioni di posta e di locande che
erano sorvegliate da guarnigioni militari per rendere sicuro il transito e fare
manutenzione. Due secoli dopo Alessandro Magno (356-323 a.C.) realizzò il suo
immane cammino di conquista dalla Macedonia e quindi dal Mediterraneo, fino
all’Oceano Indiano ed ai piedi dell’Himalaya, utilizzando le strade costruite
dai Persiani. L’impero persiano si colloca quindi come punto di arrivo della
primitiva civiltà stradale nonché quale punto di partenza per il successivo
impero romano, che proprio sulle strade fondò l’organizzazione ed il controllo
del territorio. Nell’antichità si trovano contrastanti testimonianze di strade
in relazione alle comunità allora dominanti. Consideriamo le tre civiltà che
maggiormente hanno inciso sul bacino del Mediterraneo: l’egiziana, la greca e
la romana. Gli egiziani ed i greci non hanno fatto molto nel settore delle
strade. Gli egiziani hanno lasciato debolissime tracce di strade non perché
fossero un popolo che non si muoveva e che non aveva scambi commerciali, ma
principalmente per due 3 motivi : Il primo è determinato dal fatto che la
civiltà, e quindi anche gli scambi, si sono sviluppati fondamentalmente lungo
l’asta del fiume Nilo. Il secondo è derivato dalla circostanza che,
allontanandosi dal grande fiume, si incontrano terreni desertici che offrono
buone condizioni di percorribilità. Una innovazione tecnologica molto
interessante introdotta dagli egiziani e riscontrata nelle zone urbane, è
costituita dalle prime applicazioni di materiale bituminoso utilizzato per
fissare strati superficiali di mattoni di laterizio. Anche i greci, all’infuori
di lastricati in prossimità delle città, non hanno lasciato significative
tracce di strade, in quanto essi hanno sviluppato la loro civiltà all’interno
dei loro insediamenti o l’hanno esportata via mare.
Le strade romane
Tra le antiche civiltà Roma fu la prima e l’unica ad ideare
e sostenere con continuità una politica stradale per quasi otto secoli dal 300
a.C. fino alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.). I Romani
restano i più grandi costruttori di strade che la storia annoveri, raggiungendo
con la rete delle consolari, nel periodo dell’imperatore Domiziano, un insieme
di 372 arterie maestre per una estensione di quasi 80.000 km (53.000 miglia
romane). La storiografia più recente aumenterebbe ancora questa estensione.
Nella penisola italiana, le strade romane seguirono i tracciati di vie più
antiche come la via Salaria, di origine etrusca che congiungeva le coste del
Tirreno a quelle dell’Adriatico; la via Claudia Valeria raggiungeva le regioni
dei Marsi e degli Equi; la Campania era attraversata dalla via Latina e dalla
via Appia, costruita nel 312 a.C.. L’Italia del Nord era collegata a Roma
tramite la via Flaminia del 220 a.C., la via Aurelia del 241 a.C., la via
Cassia e la via Clodia; la via Emilia fu costruita nel 187 a.C.. Anche fuori dalla
penisola italiana i Romani tracciarono nuove strade o riadattarono vecchie vie
già esistenti nei territori conquistati. Tutto il bacino del Mediterraneo era
costeggiato da una lunghissima via lungo la quale si articolavano gli assi
provinciali: da Cartagine verso Limbesi e Sitifis; da Antiochia verso Palmira,
Trebisonda e la Mesopotamia, ed anche in direzione dell’Asia Minore e della
Siria. Parallelamente alla via costiera che congiungeva Antiochia all’Egitto,
venne costruita all’interno una strada importante che metteva in comunicazione
Palmira con Petra. La via Egantia congiungeva l’Italia a Tessalonica. Altre
strade partivano da Aquilea e valicavano le Alpi per raggiungere le province
Danubiane. A queste vie si aggiunsero quelle tracciate nella Bretannia, in
Francia, in Germania e in Spagna con lunghe diramazioni anche nelle regioni
occupate dai barbari. Roma divenne padrona del mondo allora conosciuto in virtù
delle sue strade che consentivano di controllare i vasti territori conquistati.
Le strade imperiali, estese su tre continenti, costituivano il supporto
fondamentale all’espansione della potenza e della cultura civilizzatrice,
riducendo i vincoli di spazio e tempo tra genti differenti e lontane. Roma,
consapevole del valore fisico, istituzionale e civilizzatore delle sue strade
le celebrava anche. Augusto (23 a. C.- 14 d. C.), il primo imperatore, aveva
fatto erigere nel Foro Romano il “miliarium aureum”, una enorme colonna
rivestita di bronzo dorato con incisi i nomi delle principali città dell’impero
e l’indicazione delle loro distanze dall’Urbe. Lì era materializzato il
caposaldo iniziale delle 19 consolari che si irradiavano dalla città eterna e
lì era, racconta Svetonio, il vero “ombelicus Romae”. 4 Lungo le strade, ogni
1.000 passi romani, venivano eretti i “miliaria”, imponenti cippi di pietra di
forma cilindrica con diametro 30/50 cm ed altezza fino a 2,0 m. Sui cippi,
all’iniziale funzione di marcare le distanze progressive, si aggiunse una vera
e propria azione di propaganda con lunghe epigrafi che ricordavano ai viandanti
i nomi e le gesta dei costruttori. Al termine delle strade più importanti,
opere ancora più maestose celebravano la gloria degli imperatori che avevano
realizzato l’itinerario. I Romani distinguevano due tipi di strade: la “via
silice strata” e la “via glarea strata”, cioè la via munita di lastricato e la
via provvista di semplice massicciata. La larghezza delle strade romane era
variabile, e solo quelle più importanti dell’impero furono completamente
lastricate rendendole idonee al transito di carri e mantenendo ai lati due
banchine laterali (margines). La parte centrale doveva consentire almeno il
transito affiancato di due carri larghi solitamente 1,20 m; quindi la misura
minima della carreggiata centrale (8 piedi) corrispondeva a 2,40 m. La
larghezza aumentava fino a 16 piedi in curva, generalmente di piccolissimo
raggio, anzi quasi ad angolo acuto, per consentire l’incrocio dei veicoli. La
Via Appia, che viene considerata la più antica delle strade e che collegava l’Urbe
a Terracina già nel 312 a.C., considerata la sua importanza, aveva una
larghezza di 3,60 m e margini ai lati larghi 60 cm. Nei campi a lato era
ammesso l’accesso per consentire agli animali il riposo ed il pascolo. Le
strade venivano costruite con una massicciata formata da diversi strati di
materiali lapidei. Su di un primo strato di pietre grosse poste in taglio
(statumen), si gettava un secondo strato di ghiaia e ciottoli (ruderatio) su
cui appoggiava un terzo strato di pietrisco (nucleus). Su questo infine veniva
posato il pavimento in lastricato per le strade più importanti, oppure una
inghiaiata finale (summa crusta) per le strade meno importanti. La selce era il
materiale comunemente usato per lastricare la strade romane grazie alle sue
caratteristiche di durezza e resistenza; quando questo materiale non era
disponibile si usavano calcari, graniti, arenarie. La costruzione, la
manutenzione e la gestione delle strade romane erano devolute alle maggiori
cariche dello Stato e precisamente ai “censori” e talora anche ai “consoli”;
alcune vie ne portano anche il nome come la Via Appia, la Via Flaminia, la Via
Emilia, la Via Cassia ed altre. I Romani evolsero anche i veicoli stradali.
Dalla ruota piena si passò a quella più leggera con quattro o otto raggi fino a
giungere, quando si usarono i metalli, alle ruote con una fascia di ferro
attorno al cerchio di legno, certamente più pesanti, ma, nell’impiego
specialmente su strade accidentate, più resistenti. I veicoli maggiormente
utilizzati erano il “currus”, o biga, per le persone, il “carpentum” e il
“plaustrum” per le merci. Augusto organizzò anche un servizio postale, il
“cursus publicus”, riservato ai corrieri imperiali e governativi che venne a
sostituire i “tabellari”, schiavi e liberti incaricati di trasmettere messaggi
e notizie. Ogni 5 o 10 miglia lungo gli itinerari principali si trovavano
stazioni per il cambio degli equipaggi, dette “mutationes”, e ogni 50 o più
miglia sorgevano le “mansiones” per il ricovero durante la notte. Nelle
“mansiones” dovevano mantenersi almeno 40 animali da tiro, mentre nelle
“mutationes” almeno 20. Le strade chiaramente condizionarono anche
l’organizzazione delle città. L’impostazione corrente della città si basò sulla
rigorosa trasposizione del concetto di “castrum”, trattando lo spazio 5 urbano
in modo del tutto simile ad un accampamento militare: la città doveva essere
ordinata e chiara da percorrere. Le due arterie principali, il cardo da Est
verso Ovest ed il decumano da Sud verso Nord, determinarono la tipica configurazione
a scacchiera di tutte le città di nuova formazione o di colonizzazione
dell’impero. La larghezza delle strade in città era generalmente superiore
rispetto all’ambito extraurbano raggiungendo spesso 10 m per le arterie
principali e mai inferiore a 4 m per le secondarie. La pianta di Roma forse
originata da un primo nucleo quadrato, si espanse al di fuori degli schemi
classici, seguendo piuttosto i vincoli e le opportunità morfologiche dei sette
colli. I Romani furono anche dei valenti costruttori di ponti. I primi ad
utilizzare l’arco a tutto sesto furono gli Etruschi; i Romani successivamente
ne divennero maestri usando gli archi per la costruzione di ponti ed
acquedotti. Nelle arcate dei ponti si incontrano tutte le esperienze sviluppate
nel mondo antico con molteplici materiali da costruzione: pietre, mattoni,
legname. Il ponte romano non ha uno schema ripetitivo, ma contempla una
sostanziale varietà di forme compositive e di equilibrio strutturale. Nel corso
dei secoli furono oltre 2.000 i ponti costruiti dai Romani. L’architettura dei
ponti romani è semplice, sobria, ottenuta con archivolti, cornici, nicchie e
trofei. Le pile e le spalle hanno forti spessori a volte alleggeriti da
finestre e aperture. Le fondazioni si realizzavano con barche che venivano
riempite di pietrame fino a farle affondare.
Le strade nel Medioevo
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d. C. con
l’ultimo imperatore Romolo Augustolo) segna un lungo regresso della viabilità
in Europa dove non si costruiscono più nuove strade e si lasciano decadere fino
alla inagibilità le antiche arterie romane. A Bisanzio nell’Impero Romano
d’Oriente, invece, per l’opera di Giustiniano (527-573 d.C.), l’attenzione alla
rete viaria costituiva uno dei punti salienti della riforma amministrativa; quando
secoli dopo i crociati arrivarono in quelle terre, ebbero la ventura di trovare
strade ben mantenute. Non così in Europa dove la mancanza di un potere centrale
e la decadenza economica determinarono ben presto la scomparsa della rete
imperiale, nonostante non mancasse la sporadica opera di sostegno dei re
barbari. Nel VII° secolo una precisa disposizione della legge visigota puniva
con cento sferzate il reo di avere chiuso una strada; anche le leggi burgunde e
bavare salvaguardarono con severità alcune importanti strade. Soltanto nel
periodo definibile come “età di Carlomagno” si verificò una effimera inversione
di tendenza nel decadimento viario. Si ricordano di Carlomagno (741-814 d.C.)
alcuni specifici capitolari (o decreti) sulla viabilità: nel 793 si ordina ai
“missi” reali di obbligare la popolazione a mantenere in efficienza ponti e
strade, nell’anno 805 si prescrivono i pedaggi su alcune strade. Dopo la morte
di Carlomagno (814), i successori promulgarono altri capitolari nella stessa
linea di intervento (anni 823, 829, 854). Carlomagno si interessò del sistema
viario perché trascorse la sua esistenza in viaggio da una regione all’altra
del suo immenso impero, senza una città vera capitale. Egli vide nel ripristino
della viabilità romana un sicuro strumento per unificare i territori,
salvaguardare le frontiere, giungere alla costruzione di un grande impero in
Europa come aveva sempre sognato e che non realizzò mai. 6 Nell’Alto Medioevo
venne a mancare ogni coordinamento fra le varie regioni e le singole città
dovettero lottare da sole prima contro gli attacchi degli Unni, degli Arabi e
dei Normanni, poi dei Turchi, dei Francesi e degli Spagnoli. In tali condizioni
l’unica difesa era l’isolamento e la inaccessibilità; quindi venne a cessare
ogni interesse per la conservazione della rete viaria. Con l’eclissarsi della
meteora carolingia nel IX° secolo, si instaurò un sistema feudale, in cui il
potere dei vassalli di imporre dazi e pedaggi, nonché di limitare la libertà
dei viaggi, portò la rete viaria ad un ulteriore stato di crescente abbandono.
Ragioni politiche e di sicurezza spingevano i grandi feudatari a governare “a
cavallo” e quindi a percorrere itinerari discosti dalla vecchia viabilità
romana e costituiti da sentieri e mulattiere. Anche il traffico commerciale era
circoscritto nel feudo, si muoveva su piccole distanze e quindi non aveva
bisogno di strade ben percorribili in quanto diventava determinante la brevità
del percorso piuttosto che la comodità del viaggio. Le città non erano
collegate da un sistema viario preciso ma attraverso un gran numero di
itinerari locali, sentieri e percorsi alternativi alle vie maestre. Quindi le
strade medioevali non erano vincolate da un tracciato unico, ma da fasci più o
meno paralleli di percorsi destinati ad offrire ai viaggiatori varie
opportunità. Anche la geometria della strada peggiora in modo sensibile: l’asse
si piega per seguire l’andamento del terreno e per contornare i confini delle
proprietà. Viene seguita pedissequamente la quota del terreno con minima
attrezzatura di pavimentazione; l’altimetria, non sempre curata nelle strade
romane, assume, nei percorsi di montagna pendenze molto forti. Dopo le
devastazioni barbariche si riebbe particolare interesse per i ponti praticando
un perfezionamento strutturale rispetto all’antichità classica e sviluppando
opere di maggiore arditezza e di concezione statica più razionale . Si ottenne
questo utilizzando il legno, materiale più lavorabile, di semplice messa in
opera, di flessibilità costruttiva e facilmente rinforzabile e sostituibile
rispetto alla pietra. Purtroppo il legno è degradabile e infiammabile e quindi
pochi esemplari sono giunti fino a noi. Grandi viaggiatori medievali furono gli
ecclesiastici che fondavano nuove abbazie e portavano la parola della fede
cristiana spostandosi da un luogo di culto all’altro non solo per motivi
religiosi ma anche per motivi culturali. Contemporaneamente anche le
popolazioni sentirono il bisogno, segno premonitore delle crociate che
arrivarono nel secolo XI, di intraprendere viaggi di culto; nacque così il
fenomeno dei pellegrinaggi. Le grandi vie di pellegrinaggio medioevale
costituirono un sistema organico che collegava i santuari della cristianità a
centri devozionali minori. I pellegrini erano viaggiatori che godevano di uno
statuto speciale. Ogni Codice Penale prevedeva pene severe per chi molestava
questi viaggiatori e i Sinodi dei Vescovi promettevano severe sanzioni
ecclesiastiche per chi commetteva delitti contro di loro. Per i primi cristiani
la Palestina e quindi Gerusalemme furono richiami di folle di fedeli. Due erano
le strade per Gerusalemme. La via di terra attraversava la penisola balcanica
per poi entrare nel territorio bizantino; di questa via rimangono poche tracce.
L’altro percorso seguiva invece la via del mare, dove Venezia esercitò una
sorta di monopolio. Con la caduta di Gerusalemme in mano degli arabi (640) Roma
divenne l’unica “città santa” dell’Occidente. La più nota strada per Roma è la
Via Francigena, così chiamata perché parte dalla Francia. In Italia questa via
aveva diversi itinerari, ma comunque attraversava il Passo della Cisa, passava
per Lucca, percorreva la Valle dell’Elsa sino a Siena e proseguiva verso 7
Bolsena, Viterbo e Roma. Un altro itinerario proveniente da Nord costeggiava il
mare Adriatico ricalcando il percorso odierno della Via Romea. Un itinerario
molto importante per i pellegrinaggi fu quello di Santiago di Campostela che
costituì il terzo grande polo di attrazione dei pellegrini. Anche questo
itinerario parte dalla Francia, attraversa i Pirenei e prosegue per la costa
Nord della Spagna. Malgrado l’insicurezza dei luoghi determinata dalle
incursioni musulmane, la rinomanza del pellegrinaggio crebbe nel X° secolo, e
Santiago divenne luogo di convergenza di grandi masse da tutta Europa.
Fonte: http://www.biblioteche.unibo.it/
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