venerdì 22 gennaio 2016

Archeologia. Palermo…3000 anni fa, di Pierluigi Montalbano

Archeologia. Palermo…3000 anni fa.
di Pierluigi Montalbano


La città antica si trova sotto l’attuale, quella punica è nota per le fortificazioni e le sepolture. L’area si trova in quella medievale del “Càssaro”, con le mura bizantine, arabe e normanne. La cinta muraria del quartiere ha nove porte, oggi lontane dal mare; in età punica un’insenatura consentiva all’acqua di lambire l’abitato. L’attuale distanza dalla costa è dovuta all’azione di due fiumi, oggi asciutti, che scorrevano ai due lati dell’abitato: il Papireto e il Kemùnia. Un terzo fiume, l’Oreto, anche questo asciutto, si trova a sud e contribuiva al trasporto dei detriti a valle e al conseguente innalzamento di tutta l’area. Palermo aveva una paleopolis (città vecchia) e una neapolis (città nuova) all’interno del Cassaro, nel tratto che oggi si trova fra la Chiesa di San Francesco e Piazza Marina, il quartiere commerciale Trans-kemonia, dove sono stati ritrovati materiali fuori contesto di età ellenistica.I luoghi che hanno restituito contesti di IV e III a.C. sono quelli dell’oratorio di San Lorenzo, del Palazzo Mirto, del Palazzo Bonagìa e del Palazzo Steri. È evidente che questo doveva essere un quartiere di età ellenistica che gravitava intorno al porto. S’ipotizza un’ascendenza punica della città perché nella zona a sud vicina alle mura, a due passi dal Palazzo dei Normanni, in Piazza Vittorio e in Corso Vittorio Emanuele, vi è un
impianto di strade ortogonali, con una divisione in isolati che corrisponderebbe al cubito punico. Anche una torre aggettante mostra la tecnica di realizzazione punica, mentre altri tratti delle mura sono realizzati con la tecnica dei Greci utilizzata nel V-IV a.C. Le fortificazioni del Cassaro e di parte della caserma della Legione dei Carabinieri sono realizzate con blocchi squadrati posti in opera di testa e di taglio, e mostrano una risega di fondazione sporgente e alcune lettere puniche, chiari segnali che l’origine dei blocchi è di cava più antica. Queste tracce si trovano nelle zone di Santa Caterina, di Via dei Candelabri e sotto il Palazzo dei Normanni, sotto il quale, durante
il rifacimento di una cappella cinquecentesca, è stato individuato l’impianto delle mura di fine VI a.C. con una postierla, utilizzata per uscire dalla città in tempo di pace, con la parte sommitale arcuata, difesa da una piccola torre aggettante. Nella stessa area si trova una porta larga 5 m fiancheggiata da 2 torri messe in opera a secco con blocchi di calcare combacianti. In alcuni tratti si notano strutture di fondazione realizzate con blocchi bugnati di stile greco posizionati a secco. Non dimentichiamo che l’elemento greco e quello punico vennero in contatto in modo conflittuale e i punici acquisirono le tecniche costruttive greche proprio per difendersi dagli assalti con gli arieti, specialità del nemico. Il Càssaro non ha restituito materiali precedenti il VI a.C. anche se Tucidide racconta che i Fenici arrivarono in Sicilia prima dei Greci e che, all’arrivo di questi ultimi, si ritirarono a Mozia, Solunto e Palermo. La necropoli si trova a sud, fuori dalla cinta muraria, nell’area dell’attuale Corso Calatafimi. Dall’Ottocento sono state scavate e musealizzate numerose tombe, soprattutto a camera con modulo di accesso a dromos, presso la caserma Tukory dove sono state inserite delle copie dei corredi rinvenuti nei sepolcri, e alcune passerelle per la fruizione del sito. Alcune tombe sono fenicie a incinerazione, scavate direttamente nella roccia nel 700 a.C. ma il tipo più diffuso è a camera, con inumazione dei defunti in posizione supina dentro sarcofagi litici. La roccia è friabile e i moduli a
dromos non si sono conservati bene. La copertura dei sarcofagi è un unicum, realizzata con tegoloni fittili con i margini rialzati, di tipo greco affiancati, mentre in altre necropoli sono chiusi con la tradizionale copertura litica. Nei corredi abbiamo una forte incidenza di materiali greci d’importazione o realizzati in loco ma di gusto greco (ceramica micenea, figurata, skifos e coppe pregiate). Abbiamo anche sepolture a enchitrismòs, di solito poste direttamente nel dromos Dal IV a.C., anche a Palermo ritorna il rito dell’incinerazione secondaria all’interno di pentole in ceramica di vario tipo o in cinerari litici di tipo greco, con cassetta parallelepipeda e copertura a doppio spiovente. I numerosi cippi funerari sono semplici,
con una vaschetta nella sommità, per bruciare gli incensi nei rituali funerari e nelle cerimonie.  Nell’Ottocento, sul Monte Pellegrino, è stata recuperata, fuori contesto, una stele con sommità timpanata, affiancata da acroteri, con un personaggio con la mano alzata in segno benedicente. Presenta un’iscrizione che dice: “Alla signora Tanìt, volto di Baal e al signor Baal Hammon che ha dedicato…e il nome del
dedicante”. Si tratta di un chiaro indizio della presenza di un tofet ancora non individuato. Importante è anche il santuario rupestre localizzato nella Grotta Regina. Fu frequentato per sei secoli a partire dal V a.C. E’ di difficile accesso e presenta sulle pareti laterali, a una altezza di un metro e mezzo, una successione di disegni e iscrizioni, che riportano a brevi tesi religiosi, realizzate con una sostanza nera che si è conservata fino ai nostri giorni. I disegni rappresentano navi, Tanìt e altri simboli.

Fonte:
Porti e approdi del Mediterraneo antico. Pierluigi Montalbano.

Capone Editore, Lecce 2016, in pubblicazione

Immagini: carta di http://www.bestofsicily.com 
necropoli caserma Tukory di https://dgiardina.files.wordpress.com

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