Archeologia. Giovanni Lilliu e i dolmen
Sull’Enciclopedia Treccani, il
nostro massimo archeologo Giovanni Lilliu dimostra ancora una volta di avere
una preparazione fuori dal comune in campo archeologico. In merito ai dolmen
scrisse nel 1960:
Dolmen
è una parola del basso brettone (anche dolmin), significante tavola
(dol) - pietra (men, min), introdotta nella letteratura scientifica dal Legrand
d'Aussy (1797), poi divulgata, insieme con le dottrine celtomani, essendosi
riferito il termine, come altri, alla civiltà gallica. Il significato
corrente di d., cioè di costruzione dall'aspetto di tavola (mensa), non
caratterizza architettonicamente il monumento, riguardando soltanto un
particolare della sua struttura, ossia il tetto. Invece, la forma essenziale
architettonica del d. si fonda sul principio del trilite, cioè del lastrone
orizzontale di copertura sostenuto da due grosse pietre messe per dritto, che
dà una costruzione in cui gli elementi strutturali componenti (di copertura e
di sostegno) si incontrano ad angoli retti e lo spazio interno è cubico. In
questa forma architettonica essenziale rientrano sia il
d. più semplice - dato
da quattro ortostati, due per fianco e uno per capo e per piede, sormontati da
un pietrone orizzontale che ricopre tutta l'ampiezza del vuoto - sia quelli
derivati dall'allungamento e dalla complicazione della primitiva camera. È
probabile che codesta camera fosse quadrangolare in origine, non solo perché
riusciva più facile impostare una copertura orizzontale su uno spazio
rettilineo più che su uno spazio curvilineo ma anche, e soprattutto, perché
meglio si adattava al gusto di chi costruiva lo spazio delimitato da angoli
retti il tracciare una pianta delimitata pur essa da angoli retti. Sezione
quadrangolare del d. e pianta quadrangolare, che è la proiezione in piano della
sezione stessa, rispondevano, coerentemente, al gusto architettonico rettilineo
fondato sul principio del trilite. Successivamente, ma in luoghi e tempi
diversi, saran venute le forme icnografiche circolari e poligonali, che sono
prevalenti in certe regioni ed esistono anche in epoca antica (Portogallo). La
genesi della camera dolmenica a sezione ortogonale può essere stata
"naturale", suggerita da triliti naturali che, ancor oggi, capita di
confondere con d. in territorî a rocce diaclasiche. Poiché il d. (e le sue
dipendenze) si trova, generalmente, in aree dove sono diffuse anche le
grotticelle artificiali - che sono delle costruzioni per morti, nascoste -
appare sempre più ammissibile l'ipotesi di chi ha sostenuto, specialmente
fondandosi sui primitivi d. portoghesi, che il d. fu costruito per essere
"a giorno", con l'intenzione di mantenerne appariscente e suggestiva
tutta la monumentalità. Su d'un simile concetto poggia, del resto, la
conformazione dei d. siro-palestinesi, innalzati su terrazze circolari che li
mettono in chiara evidenza (῾Aglūm; Rās Imnīf). Più tardi, nei d. allungati,
fattasi più complessa e dunque meno stabile l'originaria camera, esigenze
statiche della fabbrica e protettive dei defunti determinarono il nascondimento
del manufatto con un tumulo di terra o di pietre, circolare od ovale (d.
franco-britannici) o rettangolare (Hunnenbetten tedeschi con
corridoio laterale), che, in certe regioni (Bretagna e Irlanda), assume delle
proporzioni colossali (tumulo di Mont Saint-Michel, nel Morbihan: m 115 × 58;
tumulo di New Grange presso Drogheda, in Irlanda: m 115 × 115). Esistono, però,
anche d., di modeste dimensioni e di forma elementare, coperti dal tumulo, il
quale è sorretto, nella parte esterna, da blocchi poliedrici messi ad anello,
talora anche doppio (d. siro-palestinesi, nordafricani, italiani peninsulari,
ecc.). Un tumulo può contenere due, tre e più d., o derivati del d.
(Roknia-Algeria; Kafr Abīl-Palestina; Fontenay-le-Marmion-Francia;
Grundoldendorf-Germania). In definitiva il tumulo è un elemento soltanto
accessorio del d., protettivo e indicativo d'una monumentalità diventata
"sotterranea".
Originatosi in
zone diverse, il d. subisce sviluppi specifici in aree diverse, talvolta
imparentate (d. bretoni-britannici; siro-palestinesi-nordafricani). Il tema
dello sviluppo è dato, in ogni caso, dall'allungamento della camera originaria
e dalla sua partizione. La costruzione dolmenica in cm la camera, più larga, è
preceduta da uno stretto corridoio, si chiama tomba a corridoio: la camera è
rotonda (Mérida, Prado del Lácara, in Estremadura-Spagna), o quadrangolare
(Antequera, Cueva de Viera, in Andalusia-Spagna). Il d. a continuato profilo di
vuoto si chiama galleria coperta: il piano è rettangolare (Presles, La Justice,
Seine et Oise-Francia), o trapezoidale (Nora, in Algarve-Spagna). Il d. con
galleria terminata da una cella con pseudovòlta (a filari: ristretti ad anelli
verso l'alto del tetto sostenuto, talvolta, da pilastro mediano) si denomina
tomba a cupola: in essa di dolmenico si conserva solo il corridoio a sezione
ortogonale di massima con pietre a coltello (Malaga, Antequera, Cueva del
Romeral) e, a volte, anche lo zoccolo ad ortostati della cella circolare (New
Grange-Irlanda), mentre il resto delle strutture accusa una contaminatio,
sia che il differente senso della struttura a filari dipenda da sollecitazioni
della tecnica asianica in mattoni crudi (Patroni), sia che la sua applicazione
nasca, luogo per luogo, dal motivo economico di chiudere il vuoto con piccoli
massi anziché con il dispendio di giganteschi lastroni secondo il modo di
costruire arcaico.
Segnatamente
codeste forme di d., più complesse ed evolute, che indicano almeno scambi
tecnici, se non etnici, fra gruppi e gruppi monumentali, si arricchiscono e si
nobilitano anche con segni dell'arte grafica e pittorica, riproducenti motivi
geometrici puramente lineari retti e curvilinei, a mo' di drappi che velano
l'alcova del morto (Goehlitzsch, Morseburg-Germania; Gavr'inis,
Morbihan-Francia; New Grange, Meath-Irlanda), o armi e strumenti della vita
comune (Soto, Trigueros-Huelva; La Table des Marchands, Locmariaquer-Morbihan)
o figure d'animali, umane (Orca dos Juncaes-Portogallo; Corao Abamia-Asturie) e
simboliche, specie di natura astrale (d. scandinavi e inglesi). In alcune
regioni (Svezia, Germania centro-occidentale, Inghilterra, Dip. Seine-et-Oise
della Francia, Terra d'Otranto in Italia, Siria e Palestina, Tracia, Caucaso e
India) sulle lastre frontali o laterali i d. mostrano dei fori tondi od ovali,
del diametro da 20 a 60 cm chiamati dai Tedeschi Seelenloch (buco
delle anime) - cioè buco per l'uscita delle anime dal sepolcro - e ritenuti
quale prova dell'unità originaria del d., ma che il Patroni, ora, giudica
destinati alla rimozione più agevole delle lastre di chiusura ad ogni nuovo
seppellimento: espediente di genesi autonoma nell'uno e nell'altro caso.
Analogamente, coppelle e cunette, scavate sulle lastre di copertura dei d. (si
trovano anche sul pavimento el-Maslubiyeh; el-Oweqiyeh-Palestina) e credute
segni d'un rituale funerario a base d'offerte e indice di un'unità dolmenica,
possono aver servito a raccogliere le acque sul tetto e a farle defluire al
margine dei lastroni per evitare che penetrassero, ristagnando, nell'interno.
Peraltro, esse provano, ancor di più, che parte dei d. doveva essere all'aperto,
come gli altri argomenti sopra addotti permettono di sostenere.
Ormai
definitivamente sepolta l'idea nazionalista degli altari druidici, si concorda
sulla destinazione di tutti i d. a sepolture d'inumati (i casi di cremazione
sembrano secondarî, d'epoca protostorica e storica). I d. più semplici, specie
quando si mostrano raccolti in vere e proprie necropoli come in Palestina
(300-400 presso Dalma) o in Algeria (3000 a Roknia), contenevano scheletri
singoli, tutt'al più deposizioni duplici (come i cosiddetti d. della Palestina:
Hām; Rās Imnīf). Le tombe a corridoio e a cupola potevano aver raccolte le
spoglie di capi (nella camera) e delle loro famiglie (nel corridoio). Le
gallerie dolmeniche, senza partizioni ambientali, sono da ritenersi degli ossuarî
collettivi, sia per la quantità degli scheletri (40-50 nel d. di Port-Blanc,
Morbihan) sia per il disordine dei medesimi, deposti, più d'una volta, a
successive stratificazioni distinte da piani di lastre. Nessun orientamento
rituale esiste nei d., come si è supposto a torto: ben spesso sono le
condizioni del terreno che suggeriscono la giacitura e l'esposizione
dell'ingresso (valle del Giordano); tuttavia son preferiti i versi N-S ed O-E
(d. siro-palestinesi).
La distribuzione
geografica dei d. segna due fatti importanti: la predominanza presso regioni
marittime (atlantiche, mediterranee, oceaniche indiane pacifiche);
l'aggruppamento pluriareale. Tre aree più vaste possono distinguersi, grosso
modo: a) atlantica; b) mediterranea centrale; c)
mediterranea orientale. La prima (Occidente iberico, Francia nord-occidentale,
territorî anglo-irlando-scandinavi) è caratterizzata dalla presenza di tutti i
tipi dolmenici - genetici e derivati - con le contaminazioni delle false
cupole, i grandiosi tumuli, gli addobbi decorativi. La seconda - il cui centro
d'origine si è riconosciuto nella cultura neolitica sahariana - comprende i d.
nordafricani dal Sudan al Marocco, i siro-palestinesi, i maltesi, i pugliesi, i
laziali, i sardo-corsi, gli spagnoli orientali e, forse, anche quelli del S
della Francia: le costruzioni appartengono a culture marinare, agricole e
seminomadi; si presentano a ciclo abortivo nei territorî supposti d'origine,
sviluppati in allées nelle zone d'espansione con meticciati
architettonici con la tecnica a filari (tombe di giganti della
Sardegna, navetas di Minorca, nelle quali è assente tuttavia,
curiosamente, l'ibridismo della falsa cupola); sono distinti dal prevalere del
gusto delle strutture a giorno (solari) e dall'assenza, o quasi, d'ornamentazioni
e simboli. La terza area comprende la marina bulgara e russo-meridionale
(Crimea); influenza il Caucaso e, forse, l'India (coste del Malabar). Isolato,
finora, il fenomeno dolmenico della Corea, a meno che non si voglia collegare
con i d. nordamericani.
La varietà
geografica e tipologica, lo sviluppo icnografico e tecnico (da massi rozzi a
lastre polite) dei d., indicano che essi non sono tutti d'una stessa epoca e
che la loro costruzione, come il loro uso, durò molto a lungo. Il criterio
della precedenza cronologica delle forme semplici sulle complesse è del tutto
illusorio. Le recenti conclusioni cronologiche del Reygasse sui più elementari
d. nordafricani appaiono sconsolanti, al riguardo: "i documenti
archeologici raccolti nei diversi dolmens non sono mai
anteriori al III sec. a. C., gli elementi più tardi appartengono al III sec.
della nostra èra". Del resto, in nessuno dei d. dell'area mediterranea
centrale (la più lenta nello sviluppo e che non ha mai raggiunto la complicanza
dell'atlantica) si sono trovati oggetti caratteristicamente eneolitici, per non
dire neolitici: invece, documenti delle età del Bronzo e del Ferro. I d.
dell'area atlantica, per converso, attestano una progressione di momenti
cronologici di cui taluni assai ben determinabili: il cosiddetto bicchiere
campaniforme e la decorazione vascolare da esso derivata, l'oro, le pietre dure
preziose (giada, giadeite, callaite), l'ambra significano commerci marittimi
che soltanto la stabilizzazione di tribù neolitiche, avvenuta in tempi eneolitici
nelle diverse regioni, trae con sé. L'adozione della tecnica ad aggetto,
l'assimilazione e la contaminazione del gusto lineare ad angoli con quello
curvilineo, l'ergersi di tumuli e l'affossarsi dell'architettura già a giorno,
sono indici che il processo dolmenico durava, fiorente, anche nell'Età del
Bronzo. Il III ed il II millennio a. C. dovettero essere caratterizzati, dalla
costa andalusa al Mare del Nord, da una vivacità di scambi ideali e materiali
non comune:. i d. ne sono parlanti testimoni.
Monumenti così
grandiosi per la mole dei tumuli e per le dimensioni delle lastre (un lastrone
del d. di Bagneux presso Saumur - Maine-et-Loire - misura m 7,50 × 7 di
larghezza), con lunghe camere sotterranee avvolte di penombra e di mistero e
riecheggianti passi e voci nei penetrali violati, con arcani segni scolpiti sui
blocchi dei corridoi e all'esterno, non hanno mancato di suggestionare, già
dall'antichità, la fantasia del popolo che ne ha tratto leggende e vi ha
costruito superstizioni.
Case di fate o ricettacoli
di streghe e del diavolo sarebbero i d.; o anche tombe, non di comuni mortali,
ma di giganti o di eroi; oppure carnai di nemici uccisi. In qualche parte (O
della Francia) si nutre ancora una specie di venerazione magica per i d., come
per gli altri monumenti megalitici: residuo di antichi culti delle pietre,
vietati in concilî ecclesiastici e da imperatori dal V all'VIII sec. d. C.
Alcuni d. furono scelti per luoghi di culto romani (Mont Saint-Michel,
Normandia) o adattati a cappelle cristiane (Plouaret, Côtes-du-Nord).
Nel sec. XVIII i
celtomani della scuola di Cambry e di La Tour d'Auvergne fantasticarono di
sacrifici cruenti sulle pietre dolmeniche trasformatesi, romanticamente, in are
per sacerdoti gallici. Era invenzione erudita ed interpretazione astratta del
monumento il cui carattere funebre aveva invece intuito ed espresso, anche se
non in termini esatti, la favola popolare.
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