Launeddas,
il suono della Sardegna, stasera da Honebu con Dante Olianas
Le launeddas, anima dei sardi, saranno protagoniste oggi, venerdì 13
Novembre, nella sala conferenze dell’associazione culturale Honebu, in Via
Fratelli Bandiera 100 a Cagliari/Pirri. Dante Olianas sarà relatore sulla
storia di questo arcaico strumento musicale. La sala aprirà alle 18.45 e si inizierà alle ore 19 in punto. Ingresso libero.
Uno dei suoni che rappresentano meglio la Sardegna è quello delle
launeddas. Ancora oggi si discute sulla loro data di origine ma è certo che,
sia nella musica sacra che in quella profana, è lo strumento che infonde
emozioni uniche. Il suono forte e metallico, ricorda le voci dei tenores
barbaricini. Sono composte da tre canne legate fra loro con spago cerato. La
canna che sta alla sinistra è chiamata Su Tumbu, produce il suono più basso, ha
una sola nota e funge da basso continuo dall’inizio al termine del brano. La
canna che sta al centro si chiama Sa Mancosa Manna, offre un suono di contralto
e infonde una melodia con toni diversi. La canna di destra, la più sottile, è
Sa Mancosedda, che produce i toni più acuti. La parte che viene introdotta in
bocca e dalla quale si soffia è fornita di ancia, così come alcuni strumenti a
fiato quali il clarino e il sax. Lo strumento sardo assomiglia dal punto
di vista sonoro alla cornamusa scozzese ma si differenzia per la sua più
complicata esecuzione dei brani. Mentre infatti il suonatore di cornamusa
sfrutta una sacca d’aria fatta di pelle di animale, che permette allo strumento
di continuare a suonare anche mentre il suonatore prende fiato, per suonare le
launeddas il musicista deve essere in grado di utilizzare una difficilissima
tecnica respiratoria. Caratteristiche soprattutto nel sud Sardegna, le
launeddas hanno in ogni paese il loro suonatore professionale. Considerato un
vero e proprio maestro, il suonatore di launeddas si esibisce durante le feste,
nelle manifestazioni religiose, durante le funzioni della messa e nelle
processioni, riunendo aspetti sacri e profani della cultura sarda.
Launeddas
di Ermenegildo Lallai
Lo scrittore francese Gaston Vuillier raccontando nel libro
“La Sardaigne par Gaston Vuillier” il viaggio compiuto nell'Isola nel 1890
scrive di aver sentito, durante un trasferimento tra i paesi del Campidano di
Cagliari, “une musique charmante” che “ me fit detourner la tete. Un
tableau superbe ètait devant mes yeux”.
La musica che tanto aveva colpito Vuillier proveniva dallo strumento
musicale tipico della Sardegna, le launeddas, che da tremila anni è presente
nell'Isola ed ha accompagnato col suo suono bello e sofisticato (secondo la
traduzione della parola charmante) la storia tribolata e la vita stessa
dei sardi. Al IX a.C. risale il bronzetto nuragico esposto nel Museo Nazionale
di Cagliari, meglio conosciuto come “aulete itifallico”, che riproduce, con
dovizia di particolari, un uomo che
suona uno strumento musicale identico
alle launeddas che ancor oggi vengono utilizzate in Sardegna.
“Is sonus de canna”, così come sono anche chiamate le launeddas,
appartengono alla “famiglia” dei clarinetti e più specificamente degli aerofoni
risonanti nei quali il suono è ottenuto dal fiato del suonatore che, attraverso
le ance, produce la vibrazione dell'aria nelle cavità degli strumenti.
Relativamente al fiato è necessario ricordare che i musicisti utilizzano
la tecnica del fiato continuo che consiste nell'inspirare l'aria dal naso,
accumularla nelle guance e alimentare senza pausa il suono.
Le launeddas costruite con canne palustri, sono
composte di tre calami di differente lunghezza: il bordone (basciu o tumbu)
che emette la nota che è alla base dell'accordo, la mancosa con
cinque fori, usata per accompagnare la melodia che viene suonata con la mancosedda,
anche questa con cinque fori. I fori mediante la loro apertura e
chiusura da parte delle dita del suonatore consentono la
interpretazione dei brani musicali.
E' da precisare che i 10 fori della mancosa e della mancosedda emettono,
con la sola eccezione di due, note tra di loro differenti, il che consente al
musicista di disporre di ben nove note diverse.
Quest'ultima caratteristica dimostra che le launeddas, al contrario
dell'arghul egiziano, sono sicuramente il primo strumento polifonico apparso
nel Mediterraneo in quanto il suonatore può emettere
simultaneamente note differenti, di diversa altezza, ma capaci di
produrre un suono armonioso.
Ma come uno strumento risalente a tremila anni può essere ancora attuale
e capace di suscitare nei sardi, ancora oggi, forti emozioni?
Le launeddas devono essere inserite nel vastissimo mondo della musica
popolare che interpreta, come sostiene Bela Bartok, la sensibilità musicale e
il carattere stesso di una comunità.
La musica popolare, in particolare, attiene alla vita, alla storia, alle
tradizioni di un gruppo etnico, ha quasi sempre origini anonime e non è perciò
riconducibile all'impegno artistico, all'estro o alla preparazione tecnico
culturale di un compositore.
Tale musica proprio perché espressione “istintiva” dell'anima popolare predispone,
come scriveva Cervantes nel Don Chisciotte, “los animos descompuestos e
alivia los trabjos que nacen del espiritu” (la musica rasserena gli animi
turbati e allevia i travagli dello spirito).
Ogni comunità o territorio ha una sua musica che sintetizza il carattere
del popolo e dell'etnia di cui è espressione.
Gli “jodle” fotografano la riservatezza dei Tirolesi e i
canti richiamano l'effetto eco delle montagne, il “Fado” esprime il
carattere melanconico dei Portoghesi, il “Flamenco” il sangue caliente degli
Spagnoli, la “Tarantella” l'allegria e la vivacità dei Campani, dei Calabresi e
dei Siciliani.
Le musica popolare della Sardegna e le launeddas, esprimono mirabilmente
il carattere riservato, moderatamente allegro ma non chiassoso dei sardi, hanno
una loro specifica fisionomia che le fanno apparire uniche e che le
differenziano da altre espressioni della musica tradizionale.
Le launeddas riescono a suscitare, come già detto, nel cuore dei Sardi
straordinarie emozioni e sensazioni, forse perché, come è stato osservato da
Gavino Gabriel, hanno uno straordinario legame con l'ambiente della
Sardegna: il loro caratteristico suono può essere considerato, infatti, una
sintesi delle voci della natura dell'Isola. È possibile percepire i richiami
degli animali al pascolo, il cinguettare degli uccelli, l'ululato del vento, il
crepitio del fuoco e lo scorrere dell'acqua.
Si tratta probabilmente di una componente inconscia e di un richiamo
alla natura insiti nell'animo e nel DNA dei sardi che giustifica la continua
presenza nei secoli e l'attualità delle launeddas.
A testimonianza di quanto detto è necessario ricordare che le launeddas
compaiono intorno al 1280 nelle Cantigas de Santa Maria. Opera straordinaria
dovuta al re Alfonso X “El Sabio” nella quale le 412 composizioni
mariane, comprendenti inni e descrizioni di miracoli attribuiti alla
intercessione della Madonna, sono accompagnate da 2640 miniature molte delle
quali riproducono gli strumenti musicali allora esistenti e utilizzati in
Spagna e in Europa.
Nella miniatura della Cantiga 60 sono dipinti due suonatori di
launeddas. E' doveroso sottolineare per capire l'importanza della stessa
miniatura che i catalani aragonesi sono sbarcati in Sardegna dopo
43 anni dalla pubblicazione delle Cantigas.
Ma l'aspetto che forse più di ogni altro colpisce delle launeddas
è che attraverso lo studio delle stesse è possibile acquisire notizie veramente
importanti sulla civiltà nuragica e in particolare su chi suonava
lo strumento.
Si può dire che dopo aver analizzatoi sonus de canna il
suonatore non è più un'anonima e lontana comparsa della nostra storia.
L'uomo che tremila anni fa suonava lo strumento aveva innanzi tutto una
grande manualità: riusciva infatti a dare ai tre calami la giusta
lunghezza e nella mancosa e nella mancosedda ricavava
i fori per la digitazione distanziandoli tra di loro, secondo regole empiriche,
in modo tale da ottenere armoniose sequenze musicali.
Costruiva, inoltre, con un lavoro di grandissima precisione, le ance,
che con le loro vibrazioni producono il suono degli
strumenti.
Ma oltre alla giusta distanziazione dei fori era ed è ancora necessario
che le tre “canne” vengano tra di loro accordate mediante il dosaggio di
piccole quantità di cera vergine che vengono posizionate sulle linguette
delle ance in modo tale da rendere il suono più basso o più alto.
L'accordatura delle launeddas è ancora oggi uno dei problemi che
preoccupano i suonatori in quanto l'umidità, il freddo, il caldo e il variare
della temperatura rendono molto spesso l'operazione molto complicata.
Per capire meglio quanto detto si deve sottolineare che tremila anni fa
non esistevano naturalmente gli accordatori elettronici e che quindi il
difficile accordo tra i tre calami, di fatto tre diversi ed autonomi strumenti,
veniva ottenuto solo ed unicamente attraverso la sensibilità dell'orecchio del
costruttore suonatore che, proprio per la complessità stessa dello strumento,
aveva una conoscenza, sicuramente empirica, dei principi della polifonia.
Significativo al riguardo è il fatto che ancora oggi per indicare “is
sonus de canna” si usa l'espressione “cunzertu” che meglio di
ogni altro concetto rende l'idea della completezza musicale dello stesso.
La manualità e l'orecchio del costruttore suonatore non erano
naturalmente fine a se stessi ma la naturale premessa che gli
consentiva di esprimersi musicalmente.
Quanto detto porta a dedurre che il musicista nuragico, oltre ad
essere riuscito nel sempre difficile compito di dominare il suono
era inoltre capace, grazie ad una evidente capacità musicale, di
esprimersi con lo strumento interpretando motivi e sequenze musicali che quasi
sicuramente egli stesso componeva.
Ci si chiede perché l'uomo di tremila anni fa sentisse la necessità di
suonare. Si può molto razionalmente pensare che il pastore cercasse di
superare la solitudine, la monotonia e il silenzio della sua vita
utilizzando uno strumento completo (Cunzertu) e non uno più semplice
come su “sulittu” che gli desse però la sensazione di essere in
compagnia.
Ma forse il suonatore riprodotto nel bronzetto nuragico poteva essere un
sacerdote o anche lo stesso pastore che intendeva con la sua musica mettersi in
contatto con il suo Dio.
In ogni caso nell'uomo nuragico emerge una straordinaria capacità di
comunicare, di esprimere i suoi sentimenti e la sua creatività attraverso la
musica e questo nonostante i millenni lo rende a noi molto vicino.
Fonte:
www.galuse.com
Nessun commento:
Posta un commento