Archeologia. A Petra, la fragile città dei Nabatei, non temono i terroristi dell'Isis
di Daniela Giammusso
''I terroristi dell'Isis? No,
qui a Petra non ci fanno paura''. A parlare, nei giorni finora più duri e
pieni di interrogativi dello scontro con lo Stato Islamico, è Emad Hijazeen, Deputy
Chief Commissioner del Parco Archeologico della Città rosa del deserto,
l'antica capitale del regno dei Nabatei, oggi luogo simbolo della Giordania.
Un gioiello unico e
fragilissimo, che da più di duemila anni lotta contro la forza del vento e
dell'acqua, sopravvivendo alla corsa delle carovane cariche di merci e saperi,
ai Nabatei che ne hanno scolpito la roccia con imponenti edifici funerari, ai
Romani che vi innalzavano teatri e colonnati, e che ancora oggi si rivela
sempre diversa all'occhio del visitatore per quei colori che cambiano a seconda
della posizione del sole. Tenuta nascosta per secoli dai beduini, riscoperta
nel
1812 dall'esploratore svizzero Johannes Burckhardt, oggi Petra è sito
Patrimonio Unesco dal 1985 e una delle 7 meraviglie del mondo moderno dal 2007.
''Le immagini di quello che è
accaduto a Palmira ci hanno impressionato - racconta Hijazeen all'ANSA in un
perfetto italiano imparato all'Università a Torino - ma non abbiamo paura: qui
siamo in Giordania. Il problema, semmai, è che la guerra con l'Isis e la
questione sicurezza negli ultimi quattro anni hanno dimezzato i turisti. Fino
al 2010 erano un milione l'anno. Oggi sono mezzo milione, perché quando si
parla di Medioriente si fa spesso confusione e si mescolano le regioni: Egitto,
Siria, Giordania...''. Certo, per proteggere il sito e il suo
monumento-simbolo, il Tesoro, ''abbiamo attivato un programma, United 4
Heritage, che unisce il Petra Authority, il Dipartimento per le antichità e
l'ufficio Unesco di Hamman''. Ma per il resto si lavora e si guarda al futuro
come sempre.
''Quando si parla di Petra -
dice Hijazeen - si tratta di 264 chilometri quadrati di territorio. Solo il 5%
è visitabile e solo il 15% scavato''. Come dire, nascosti lì sotto ci sono
ancora secoli di storia da scoprire. ''Gli ultimi ritrovamenti hanno rivelato,
ad esempio, l'importanza e il ruolo della donna nella società dei Nabatei,
completamente diverso da oggi. Il re volle addirittura che il volto della
regina fosse impresso nelle monete del suo conio". "In questo momento
- prosegue il direttore - ospitiamo 20 missioni internazionali, in arrivo da
tutto il mondo, anche dall'Italia. Ma da un anno abbiamo cambiato politica e
chiediamo un progetto più complessivo e articolato del solo scavo. Per noi è
più importante proteggere e tutelare ciò che troviamo, che aggiungere
reperti''. I nemici principali, ''l'acqua e l'impatto dei turisti stessi''.
In questa direzione va anche
il progetto italiano in corso. ''Con l'Ispra (l'Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale) stiamo lavorando per la stabilizzazione del
Sik, con finanziamenti anche dal Governo italiano, per più di un milione di
euro, e dall'Unesco di Hamman. Per noi lavorare con i vostri geologi,
archeologi ed esperti della conservazione, è importantissimo. Abbiamo bisogno
delle vostre conoscenze, in modo che il nostro staff possa proseguire anche
quando sarete andati via. Quanto al futuro - sottolinea - di questo luogo
vogliamo far conoscere non solo l'archeologia, ma anche la cultura, l'arte''.
Come con Petra by night, visite tre volte a settimane per ascoltare canti
tradizionali seduti davanti al Tesoro illuminato solo dalle fiaccole. Si lavora
poi a un Petra Cultural Heritage, ''per un'esperienza reale di contatto con la
popolazione'' e, in un più ampio progetto di promozione reciproca, con la
Turkish Airlines si sta mettendo a punto una app per tour virtuali nel sito.
''Con l'Ambasciata Italiana di Hamman poi - conclude Hijazeen - il prossimo
mese avremo Luca Aquino e la sua tromba a suonare e registrare nel Sik, insieme
a Carmine Ioanna e Sergio Casale e cinque musicisti dell'Orchestra giordana''.
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