Archeologia. Haghia Triada, l’insediamento a
Creta dei minoici, legato a Festos, che ha fornito le prime tavolette in Lineare
A, un sistema di scrittura dell’inizio del II Millennio a.C. non ancora decifrato.
L'altura di Haghia Triada è
situata nei pressi del corso dello Ieropotamos (antico Leteo), a non molta
distanza dal mare, a 1,5 km in linea d’aria da Festòs. La prima ricognizione
del sito fu nel giugno del 1900 da Pernier e Gerola, guidati dal primo
responsabile delle antichità nell’isola appena liberata dal giogo ottomano, il
medico Chatzidakis. Nel sito, ad una distanza di poco più di 200 m l’una
dall’altra, erano presenti due chiesette: quella di Haghios Gheorghios,
risultata poi proprio a ridosso dell’edificio minoico più importante, e quella
di Haghia Triada (la Santa Trinità), che aveva dato il nome al villaggio
moderno e alla contrada. Halbherr, considerando completata l’esplorazione del
palazzo di Festòs, decise di intraprendere dei saggi preliminari nel 1902, che
fruttarono dei rinvenimenti eccezionali: tavolette in lineare A (la scrittura
tipica dei palazzi minoici, non ancora decifrata), impronte di sigilli su
cretule di argilla, resti di affreschi figurati, vasi in pietra con fregio di
figure a rilievo, vasi di bronzo etc. (una suppellettile, cioè, assai più ricca
di quella restituita dagli scavi di Festòs). Paribeni portò a termine quasi per
l’intero lo scavo della c.d. Villa Reale, e identificò l’area della necropoli
(portando alla luce la tholos B e la tomba del celeberrimo sarcofago dipinto).
La pubblicazione dello scavo andò avanti, con difficoltà sempre crescenti, e l’ultimo
appunto nei taccuini risale al 1925. Poi, più niente fino alla morte (nel
luglio del 1930). I vecchi scavi rimasero sostanzialmente inediti fin oltre la
metà degli anni ’70, quando L. Banti consegnò il manoscritto della prima parte
dell’opera (relativa soltanto al periodo neopalaziale), apparsa postuma nel
1978, con i nomi anche di F. Halbherr ed E. Stefani. Proprio a seguito della
consegna del manoscritto, la Scuola Archeologica Italiana di Aten e, che aveva
ereditato dalla Missione cretese la concessione di scavo, decise di
intraprendere un nuovo ciclo di saggi. Il Direttore della Scuola A. Di Vita, ne
affidò la responsabilità scientifica, nel 1977, a V. La Rosa, che ha continuato
l’esplorazione del
sito fino al 1999. Il criterio fondamentale è stato quello
di non uscire dall’area già esplorata e di ricercare lembi di terreno ancora
intatti che permettessero una più certa cronologia degli edifici monumentali,
onde proporre una vera e propria storia urbanistica del sito. L’interrogativo
più pressante, dal punto di vista storico, era invece quello di mettere a fuoco
i rapporti intercorsi, nei diversi periodi, con il vicino centro di Festòs.
L’importanza del problema era già stata intravista da F. Halbherr che aveva
proposto, per giustificare la vicinanza dei due centri, una “città bassa” (H.
Triada) ed una “città alta”(Festòs), nel l’ambito di un’unica realtà
politico-amministrativa. I nuovi scavi hanno dimostrato la stretta
complementarità di ruoli fra i due centri i quali, proprio per questa loro
caratteristica, costituiscono un osservatorio privilegiato per lo studio delle
dinamiche del potere nell’intera isola di Creta. Le testimonianze più antiche
del centro, del quale si ignora il nome antico, iniziano intorno al 3000 a.C.
(periodo prepalaziale, Antico Minoico I). Un santuario, con una grande quantità
di ceramiche e resti delle pratiche rituali, è stato di recente identificato
nel terrapieno a Nord-Est della chiesetta di S. Giorgio Galata, proprio
nell’area del cimitero di età veneziana. Nella fase successiva (Antico Minoico
IIA) viene edificata una grande tomba a tholos, del diametro di 8,70 m, usata
per parecchi secoli come sepoltura collettiva, cui furono (nel corso del Medio
Minoico IA) accostati dei piccoli vani per accogliere le offerte ai defunti ed
anche, sistemato a Sud della tomba, un gruppo di una diecina di camerette
destinate allo stesso uso. Un quartiere di abitazione della fase Antico Minoico
IIB è stato individuato, e solo in piccola parte scavato, a 200 m ca. in
direzione Nord-Est rispetto alla tomba.
Il momento Medio Minoico I A
(2200-2000 a.C. ca.) è documentato soprattutto dalla pratiche rituali che si
svolgevano presso la grande tomba e che prevedevano la conservazione dei vasi
usati per le libagioni ed i pasti, all’interno di specifici spazi. Le cerimonie
si svolgevano davanti ad un lungo muro nel quale erano verticalmente incastrati
due betili (due grossi massi vagamente in forma di falli) che rappresentavano
idealmente (con il loro netto richiamo alla sfera della fecondità-fertilità) la
porta e la soglia verso l’oltretomba, il confine fra il regno dei vivi e quello
dei morti. Il controllo della sfera del sacro da parte di figure eminenti
nell’ambito delle diverse famiglie del clan, documenta in nuce il sorgere delle
oligarchie palaziali. In questo periodo Medio Minoico IA l’abitato era
probabilmente articolato in piccoli nuclei; il più lontano finora noto era
situato ca. 150 m. oltre la chiesa di Haghia Triada. Del periodo dei Primi
Palazzi (2000-1700 a.C.) non conosciamo nessun edificio di prestigio, né
possediamo documenti di tipo amministrativo (segno evidente che il centro
egemone del territorio era Festòs). La floridezza del nostro insediamento è in
ogni caso documentata da abbondanti depositi ceramici (anche in bella fabbrica
di tipo Kamares) e persino da strade lastricate. Una nuova tomba circolare, di
dimensioni più piccole della precedente (diam. m 5,40 ca.; conservatasi
soltanto per metà) viene costruita una trentina di metri più a Sud di essa. In
uno scarico di età protopalaziale è stato recuperato, purtroppo in condizioni
assai frammentarie, un modellino con sei figure femminili di adoranti con le
braccia protese in alto, per invocare l’epifania della divinità. Verso la fine
del periodo Medio Minoico III (1600 a.C. ca., età neopalaziale) viene edificata
la c.d. Villa Reale, costruzione monumentale a forma di elle (equivalente alla
metà di un palazzo!). Si prolungava ad Est con il c.d. Avancorpo Orientale
(forse una grande terrazza all’aperto per la celebrazione delle liturgie di
natura epifanica) ed era delimitata a Sud dal Piazzale dei Sacelli (forse
impiantato già in questo momento) e da una area vuota, per la quale si è
pensato ad un bosco sacro. La Villa, della quale è stato identificato nel 1977
il deposito di fondazione, rappresentava l’edificio del potere nel circondario
(in un momento nel quale era in rovina il palazzo di Festòs), verosimilmente
sotto il controllo di Cnosso, che nell’età dei Secondi Palazzi aveva acquistano
un ruolo egemone almeno su tutta la fascia centrale dell’isola. La Villa Reale
ebbe almeno due fasi costruttive, forse in rapporto ad una prima distruzione
per sisma, che qualche studioso vuole mettere in rapporto con i fenomeni
secondari legati all’esplosione del vulcano di Santorini e all’affondamento di
una parte di quell’isola. Il doppio episodio edilizio è evidente anche
nell’area dell’abitato, sia attraverso i diversi livelli delle strutture, sia
sulla base dei differenti orientamenti. Nella fase più recente le principali
case dell’abitato erano tutte orientate allo stesso modo della Villa Reale.
Quest’edificio, con quartiere signorili e di rappresentanze, ma anche con vaste
aree di magazzini, con uffici ed archivi amministrativi, ha restituito un ricco
ed intatto strato di distruzione (nel quale spiccano i ca. 600 kg. di rame di
19 lingotti, vasi di steatite con decorazione figurata a rilievo, affreschi,
tavolette in lineare A, cretule, statuine e vasi di bronzo etc.).
Un grande muro (c.d.
“muraglione a denti”) attraversava da Est ad Ovest l’intero abitato nella
seconda fase dell’età neopalaziale. Le case più importante (Casa del Lebete,
con archivi di tavolette in lineare A; Casa delle Sfere Fittili; Casa del
Pistrinum, ma anche il c.d. Bastione) erano situate tutte a Sud di quel
muraglione, e quindi più vicine alla Villa Reale. L’abitato doveva avere, sia
nella fase neopalaziale che nella successiva, dimensioni relativamente
ristrette, forse a riprova della natura particolare e della specifica funzione
di capitale “amministrativa” del circondario. La distruzione della Villa Reale
e dell’abitato avvenne alla fine del Tardo Minoico IB (1450-1430 a.C. ca.);
secondo un’ipotesi recente, sarebbe di natura sismica. Un periodo di relativo
abbandono è rappresentato dal Tardo Minoico II (fino al 1400 a.C. ca.),
rappresentato finora da qualche deposito ceramico e forse da qualche isolato
edificio; corrisponde al momento nevralgico nel quale una dinastia micenea
prese il controllo (ricostruendolo) del palazzo di Cnosso. L'attività
costruttiva riprese nel Tardo Minoico III Al (fine XV- inizi XIV sec. a. C.;
età postpalaziale o micenea) e proseguì per tutto il corso del TM III A2 (XIV
sec. a. C.), con una progressiva monumentalizzazione che si concretò, nella
fase finale in un progetto urbanistico unitario e completo, con almeno cinque
edifici “pubblici” ed una serie di costruzioni di pianta regolare e funzionale.
Sul terrapieno della chiesetta di S. Giorgio Galata venne sistemato il nucleo
politico-religioso, rappresentato dal c.d. megaron (proprio sulle rovine della
Villa Reale, funzionalmente equivalente ad essa), il sacello, ed una stoà.
Nell’area dell’abitato, situata ad un livello inferiore rispetto al terrapieno,
venne invece creato il nucleo “commerciale” ed amministrativo, dominato dalla
grande stoà con otto ambienti (per una lunghezza di poco meno di 50 m), che si
apriva su uno spiazzo sistemato con calce e ciottolini. Qualche studioso ha
visto nella particolare organizzazione topografica e funzionale di Hag hia
Triada in età micenea una realizzazione in nuce dei nuclei dell’Acropoli e
dell’agorà, che costituiscono i caratteri distintivi di una città greca. Le
analogie con l'impianto di età neopalaziale sono, in ogni caso, notevoli, ma
appare evidente una maggiore decentralizzazione, dal momento che la Villa Reale
sembrava riunire in sé tutte le funzioni politiche, religiose e amministrative.
Le indagini recenti hanno
permesso di stabilire un evento assolutamente al di fuori della norma, intorno
alla metà del XIV sec. a.C. In seguito alla caduta del palazzo miceneo di
Cnosso, un contraccolpo di tipo politico (con una sostituzione dell’oligarchia
dominate) dovette verificarsi anche nel nostro centro. La manifestazione più
eclatante di questo nuovo corso è rappresentata dal rifacimento integrale
dell’impianto urbano su scala più monumentale (con una intenzionale rasatura
delle strutture e con il distacco volontario dalle pareti e il seppellimento in
una fossa di una quantità di affreschi con scene figurate). Il momento di
inizio di tale rivoluzione politica e urbanistica (che dovette coinvolgere
l’intera isola!) è rappresentato dalla violazione e dal rioccultamento (in un
vicino edificio già in rovina) del corredo della tomba c.d. del sarcofago
dipinto, certamente relativa alla oligarchia allora dominante. Questo caso di
damnatio memoriae, l’unico finora documentato per il mondo miceneo, è stato
evidenziato nel 1997, riportando alla luce (per la quarta volta!) quella tomba
scavata nel 1903 e attribuendole finalmente una precisa cronologia (1370-1360
a.C.), sulla base dei resti di un paio di tazze trovate nella trincea di
fondazione. Del corredo del principe (che giaceva in quel sarcofago di pietra,
con le pareti tutte decorate da scene relative alle cerimonie in onore dei
morti) dovevano verosimilmente far parte i numerosi ori che era stati
recuperati anch’essi nel 1903 in un edificio vicino, che era stato per questo
indicato come “la tomba degli ori”. Le nuove cronologie e l’interpretazione dei
vecchi dati di scavo, fanno quindi di Haghia Triada un centro di primaria
importanza per la ricostruzione delle vicende politiche nell’intera Creta durante
il corso del XIV sec. a. C. Il nuovo piano urbanistico e la damnatio memoriae,
agevolmente riconducibili ad una cambiamento politico nel centro fino ad allora
egemone di Cnosso, rappresentano una precisa indicazione anche per la
distruzione di quel palazzo. La sua cronologia ha da sempre oscillato fra la
proposta “alta” degli archeologi inglesi (fra il 1400 e il 1370 a.C.) e quella
“bassa” di altri studiosi (1200 a.C.), preoccupati soprattutto di renderla
contemporanea alla distruzione del palazzo di Pylos in Messenia (in modo da
giustificare l’omogeneità linguistica e di contenuti fra gli archivi in lineare
B dei due palazzi). La situazione ora ricostruibile per il nostro centro
consiglia, insomma, di accettare la cronologia “alta” per la distruzione di
Cnosso e di ipotizzare il passaggio, per la Creta di età micenea, da un potere
“monocentrico” ad uno policentrico, nel quale almeno Haghia Triada nel
centro-sud e Chanià-Ku-do-ni-ja ad Ovest, rappresentavano le capitali
territoriali.
L’organicità del piano
regolatore e, verosimilmente, la forza delle strutture di potere chiamate a
gestirlo, iniziano a sfaldarsi a Haghia Triada verso la fine del XIV sec. a.C.
(inizi del Tardo Minoico III B). L'area del piazzale antistante la grande Stoà
viene parzialmente invasa da abitazioni; qualche decennio dopo termina, per
motivi non ancora completamente chiari, “l’utopia di una capitale”, rimasta
centro territoriale di potere sia in periodo neopalaziale che nella fase
micenea. Capitale alla quale mancano ancora, nonostante la monumentalità dei
suoi edifici pubblici e l’organizzazione dell’abitato, le testimonianze di tipo
amministrativo (tavolette in lineare B), che in anni recenti sono state invece
recuperate, al di fuori di Cnosso, anche nel centro di Chanià- Ku-do-ni-ja.
L’assenza, se continuerà a rimanere tale, potrebbe essere comunque attribuita
alla mancanza di un incendio (che non avrebbe cotto le tavolette in argilla
cruda, consentendone in tal modo la conservazione) Con l’abbandono (piuttosto
che con la distruzione) dell’abitato, probabilmente intorno alla metà del XIII
sec. a.C., il sito di H. Triada cessò di essere occupato in maniera stabile
fino al medioevo (con la sola, verisimile, eccezione, del periodo ellenistico
nel III-II sec. a. C.). Un grande santuario all’aperto fu sistemato, già nel
XII sec., nell’area subito a Sud della Villa Reale (indicato dagli scavatori
come “Piazzale dei sacelli”). Centinaia di statuine (sia in terracotta che in
bronzo) soprattutto di torelli (ma anche di animali fantastici come le sfingi
ed in centauri) o di simboli sacri come le doppie corna, documentano le offerte
dei devoti dell’intero circondario e testimoniano anche l’introduzione di culti
diversi rispetto a quelli rappresentati nel vicino sacello dai vasi a tubo o dalla
dea con le braccia alzate. Quando già l’area sacra sistemata sul c.d. Piazzale
dei sacelli aveva già conosciuto il suo massimo splendore, un nuovo spazio
cultuale, con caratteristiche ideologiche differenti, venne significativamente
creato (in età protogeometrica, fra l’XI e il X sec. a.C.) presso la grande
tomba a tholos, ormai sicuramente in rovina. Si trattava verosimilmente di un
culto agli antenati, idealmente rappresentati dagli inumati di quasi due
millenni prima. Una frequentazione sporadica dello stesso Piazzale dei sacelli
è documentata per l’età protogeometrica e poi orientalizzante (X e poi metà
IX-VII sec. a.C., con nuovi tipi di offerte e quindi, verosimilmente, con nuovi
culti), mentre ancora più irrisorie sono nel sito le testimonianze per l’età
arcaica (VI sec. a.C.). Un vero e proprio villaggio si sistema sulle rovine di
età minoica in età ellenistica ( forse già nel IV sec., ma sicuramente nel
III-II sec. a.C.), con un vero e proprio altare all’angolo nord-est del
piazzale dei sacelli e con un santuarietto dedicato al giovane dio
Veuchanos-Velchanos nell’area vicina al c.d. Bastione. Tale villaggio (le cui
strutture sono state quasi completamente rimosse in occasione dei vecchi scavi)
fu probabilmente distrutto per le stesse motivazioni e nello stesso periodo del
centro di Festòs, sempre ad opera di Gortina.
Una fattoria con un pigiatoio
per l’uva si sistema sui ruderi in età augustea; una seconda, anch’essa romana,
è stata individuata nell’area a Nord della grande tomba a tholos. La nuova
frequentazione sistematica del sito può farsi risalire agli inizi del XIV sec.
Un vero e proprio casale, col nome di Santa Trinita è attestato nelle fonti
veneziane a partire dal ‘500, facente parte della Castellania di Pirghiotissa.
Il suo cimitero, scavato per un buon tratto nelle campagne del 1987 e 1988, era
sistemato sul terrapieno della chiesetta attigua alle rovine minoiche, quella
di S. Giorgio Galata. Il suo uso è attestato anche ai tempi della dominazione
ottomana (successiva alla presa di Candia del 1669), come dimostrano alcune
monete recuperate fra le tombe. Di particolare interesse è risultata,
all’interno del cimitero veneziano, l’identificazione dei locali presso i quali
venivano, dopo le cerimonie funebri, consumati dei brevi pasti da parte degli
intervenuti. Si tratta di un’usanza tuttora viva in Grecia.Il casale
veneziano-ottomano rimase in vita fino ai cruenti moti del 1896-1898, quando i
Cretesi di religione ortodossa riuscirono, grazie anche all’avallo delle
potenze occidentali (Inghilterra, Francia, Russia ed Italia), ad ottenere
l’autonomia dalla Sublime Porta di Costantinopoli. Gli ultimi abitanti
sopravvissuti a quegli scontri abbandonarono il casale e si rifugiarono nel
vicino villaggio di Timbaki. Solo quattro anni dopo, sfidando le api delle
numerose arnie sistemate intorno alla chiesetta di S. Giorgio Galata, F.
Halbherr apriva, in perfetta solitudine, le sue numerose “fosse di scavo”.
Fonte:
http://www.cac.unict.it
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