...ancora su Sant'Agostino e la Carta de Logu
di Rolando Berretta
Esiste la Carta de Logu,
codice giuridico, contenente solo articoli di legge. Niente e nessuno ha mai vietato
di indicarla come Carta d’Arborea o Carta di Eleonora o in altro modo.
(Sul sito della Regione
Sardegna Cultura si può scaricare il pdf completo.)
Nel 1845 fece la sua comparsa
una diversa Carta d’Arborea. Nel 1870
una commissione scientifica dell’Accademia
delle Scienze di Berlino,
presieduta da Theodor Mommsen, ne decretò la totale falsità. Quindi, come si sente la
parola, Carte d’Arborea, prestare la massima attenzione. In quelle false sono
riportati una serie di pezzi che “dovrebbero” essere copie di antichi
documenti, andati persi, provenienti, forse, da un archivio di Cagliari. Dopo
il 1870 si aprirono gli occhi ma il danno era stato fatto; studiosi famosi vi
avevano attinto. Occhio alle due date e ai nuovi documenti del periodo.
Torniamo
a sant’Agostino.
(Bullettino archeologico sardo n°2 - anno IV - febbraio 1858 - dal Can. Cav.
Giovanni Spano - pag. 23)
(così) … coi
novelli documenti.
Allorquando Trasamondo, re dei Vandali
(a. 504), mandava in esilio in Sardegna i vescovi africani, che rimasti
incrollabili nella fede di Cristo, aveano ricusato di piegar la fronte alle
dottrine d'Ario, tra questi illustri esuli annoveravansi l' insigne vescovo di
Ruspa S. Fulgenzio, ed il vescovo d'Ippona. Quest' ultimo condusse seco a
Cagliari il sagro corpo di S. Agostino, che tolto avea dal suo santuario, onde
salvarlo dalle vandaliche profanazioni. Non v'ha dubbio che la Sardegna essendo
allora dominata dagli stessi Vandali, il vescovo d'Ippona abbia studiato il
modo di tenere occulte in Cagliari quelle sagre spoglie, onde ivi non
soffrissero quelle profanazioni che aveva inteso cansare, togliendole dal
santuario africano. È perciò che torna naturale il credere che lo stesso sagro
corpo siasi offerto alla venerazione dei pietosi cagliaritani, dopo che, colla
caduta della signoria vandalica, tornò la pace alla chiesa sarda sotto quella
degl'imperatori bizantini. La tradizione non mai interrotta della chiesa
istessa ci chiariva infallantemente che il corpo del Santo veniva depositato
nel sito stesso che poco anzi abbiamo mentovato, e che alla chiesa sovrapposta
stava unito un monastero, i di cui membri tenevano in custodia quelle reliquie.
Ciò trae conferma dal palinsesto (mentovato in questo stesso bullettino, anno
primo, pag. 106) il quale, nei caratteri sottoposti, presenta un brano di
cronaca, scritta dodici anni dopo della prima invasione di Cagliari fatta dagli
Arabi nei primi lustri del secolo ottavo. Ricaviamo, infatti, dalla medesima
che la chiesa ove stava il sagro deposito era prossima alla riva del mare, e
che il monastero vi andava congiunto. Ad un tempo questo palinsesto ci dà altri
preziosi particolari sovra i fatti che accompagnarono il riscatto del corpo del
santo vescovo, operato dai legati di Liutprando, re dei Longobardi. Non sì
tosto per l'orbe cristiano si sparse la memoria della profanazione delle cose
sacre in Sardegna e specialmente in Cagliari, che cadde finalmente sotto la
spada degli Arabi nell' anno 720 circa, il mentovato Liutprando inviò a
Cagliari dei legati, acciocchè riscattassero dagli Arabi le sagre spoglie di
Sant' Agostino e le conducessero in Pavia, sede del suo regno. Regnava allora
in Sardegna il re Gialeto, e tanto per lui quanto pei pietosi cagliaritani ed i
religiosi del monastero che custodivano le venerate ossa, fu un giorno di lutto
immenso quello dell'arrivo dei legati. Gialeto, per conservare quelle reliquie
sul patrio suolo, ne ordinava il rapimento: ma invano. Appena si poterono salvare
le vestimenta del Santo per opera d'un Analogeo, che insieme con certi Giono, e
Laderto (ai quali due ne tornò male) avevano tentato quel pio rapimento. La
stessa cronaca ci narra che fra gli Arabi ed i legati intervenne questo
patteggiare sul prezzo del riscatto. Non contenti gl' infedeli alla
prima offerta , vi aggiunsero i legati altre due libre d'oro ed otto d'
argento: e come queste non bastarono a saziare la ingordigia dei primi, i
legati furono costretti di aggiungere all'offerta altre tre libre d'oro e dodici
d' argento. Rogatosene l’atto di vendita, rimunerato dai legati il lavoro di
chi lo scrisse, e assuntosi anche dagli Arabi venditori l'obbligo di consegnare
ancora entro due mesi le vesti del Santo dottore, i legati sovra i loro omeri
condussero alle navi la venerata urna, e sciolsero tosto le vele per l'Italia.
Ciò avvenne fra mezzo alla straordinaria commozione dei Cagliaritani e
sopratutto dei monaci che si atteggiarono a resistenza per impedire la perdita
delle sante reliquie. Se non che gli Arabi colla potenza delle armi schiacciarono i
tumultuanti: sette monaci perirono nel conflitto ; molti nobili cittadini
furono incarcerati; gran numero d'altri Cagliaritani si salvarono colla fuga,
ed andarono a ripararsi nelle spelonche dove giorno e notte durarono nel pianto
sulle patrie sventure. Unico conforto ebbero nella salvezza delle rapite vesti,
che con molti altri oggetti sacri furono custodite nella spelonca di San
Giovenale, vescovo cagliaritano (1). Rimane ora a vedere l'epoca precisa del
riscatto. Anche questo punto di storia, col conforto degli altri documenti già
mentovati in questo bullettino nel luogo citato, è oramai tolto dalle antiche
dubbiezze. Sappiamo che la morte del re Gialeto segui nel 722, e poco dopo che
il dolore, per l'invasione degli Arabi, e sopratutto per la vendita di quelle
venerande reliquie, avea dato l'estremo crollo al suo corpo sommamente affranto
dalle pene e dalle fatiche per la difesa della patria. Ciò posto, bene si
appose il Muratori quando, seguendo Ermanno Contratto,
credette che il 722 fosse l'epoca precisa in cui si effettuava il riscatto del
corpo del santo dottore della chiesa. Per maggiore dilucidazione dell'
argomento è forza anche di notare che la struttura della chiesa e sacristia
lascia credere che siano opere del sec. XI , o XII. E se lecito è il
conghietturare nelle tenebre di quell'età, crediamo che sia probabile opinione,
che dopo le distruzioni operate dagli Arabi, e specialmente quelle di Musato
nelle sue invasioni ripetute più volte nella prima metà del secolo XI,
essendosi proceduto, come apprendiamo da alcuni monumenti della stessa età ,
alla restaurazione dei sacri templi, anche allora siasi pensato a dare migliori
e nuove forme a quello ove si venerava il loco che una volta aveva accolto le
spoglie di San' Agostino. Ma di questo tempio, dietro ai fatti sopramentovati
dei tempi di Filippo II, solo si mantenne quella parte che corrispondeva al
sito consacrato un tempo alla custodia delle sante OSSA. Crediamo che l'esserci
troppo diffusi in questa materia non verrà a noja di qualunque abbia tenerezza
delle patrie cose, e sovra tutto ponga mente alla dilucidazione che ne nasce
non solo per i fasti della sarda chiesa, ma anche per quelli che ragguardano
all'intero orbe cattolico, che tanto si onora del grande vescovo di Ippona.
(1) Questa memoria viene in appoggio della tradizione che
appartengano alle vestimenta del corpo di S. Agostino, alcune reliquie d'abiti
pontificali, che i minori conventuali di Cagliari serbano nel muro dell' altare
maggiore della loro chiesa, e tanto più hanno in venerazione, in quanto che da
tempi vetustissimi
furono, sempre riputate come avanzi delle vesti del Santo tolte dalla cassa,
prima che i Saraceni ne vendessero il corpo.
Personalmente
non ho mai creduto alla versione longobarda ma, con le “nuove fonti”, si entra
nei particolari del riscatto del corpo del Santo. E’ vero che i saraceni provarono
ripetutamente a conquistare l’isola della Sardegna. Anche Cagliari fu saccheggiata
nel 711 ma la flotta degli arabi affondò tutta. Ci sono tante testimonianze incerte per quel
periodo, anche
quella del Venerabile Beda.
Le
varie incursioni sembra che riguardino, secondo me, Sant’Antioco. L’isola della
Sardegna fu abbandonata dalla flotta bizantina. Fu difesa sotto i Giudicati.
Poi la popolazione si mise al sicuro. Sicuramente fu ostruito ogni accesso
all’acqua potabile. I Sardi si dovettero difendere da soli per diversi secoli. Nel 1615, con la caccia alle reliquie, voluta
dall’arcivescovo di Cagliari Francisco d’Esquivel, si ritrovarono le catacombe
e le reliquie del Santo. Il processo di ripopolamento avvenne in epoca sabauda.
Idem per Carlofoforte.
Questa
era l’Isola ai tempi del Fara ("Chorographia Sardiniae"):
Plumbea,
seu Molybodes insula a Ptolomaeo, Enosin a Plinio, et Sancti Antiochi vulgo dicta…
…Iacet
nunc deserta, solis piratis, qui eam frequenter adeunt, praebens stationem. (1580
circa). (aggiungo io: erano PIRATI di
tutte le razze). Adesso un paio di
considerazioni generali.
Gli
Arabi, solo DOPO aver conquistato, imponevano una tassa agli infedeli. Per
imporla ai Sardi…fa venire il primo dubbio: quando mai l’hanno
conquistata? Non avranno sbagliato Isola?
Anche
il “riscatto” prevederebbe tutta una serie di circostanze completamente diverse
dal raid descritto. C’è una piccola
pista che riguarda le reliquie di Sant’Agostino:
L’ulna,
del braccio destro del Santo, fu mandata al Vescovo di Tunisi...(c’è tutto il
carteggio relativo). Questa volta la commissione medica è stata più attenta. Ci
sono le misure e lo stato d’usura. Era
il 12 ottobre del 1842 Mercoledì.
Le
misure sono riportate con il Piede di Parigi che dovrebbe equivalere a 344 millimetri.
(Il
piede va suddiviso in 12 parti e ogni parte va suddivisa in ulteriori 12 parti;
sono 144 parti).
Cosa
direbbe un Antropologo? nell'attesa che: Santo Sepolcro … vulgo dicto… sveli i
suoi segreti.
Credo che all'inizio ci sia un'equivoco: la Carta de Logu, questo è il suo nome, redatta da Mariano e proclamata dalla figlia Eleonora, è un codice giuridico rimasto in vigore per secoli e non ha niente a che vedere con una inesistente "Carta d'Arborea". In realtà le cd "Carte d'Arborea" (non Carta d'Arborea) sono tutt'altra cosa, non sono codici giuridici, ma una realizzazione ottocentensca, un'accozzaglia di testi letteralmente inventati da alcuni personaggi. Non è possibile confondere le due cose.
RispondiEliminaIl testo dello Spano, che cita l'inesistente re Gialeto, deriva proprio da queste false Carte d'Arborea.
Cordialmente
Alfonso Stiglitz
Grazie Alfonso.
RispondiEliminaIl risveglio culturale dell’Islam si ebbe nella seconda metà del sec. VIII. In quell’epoca vennero fatti venire a Bagdad molti scienziati e filosofi dalla Siria, dall’Iran e dalla Mesopotamia fra i quali v’erano parecchi ebrei e cristiani nestoriani. Ben presto, sotto il mecenatismo di illuminati Califfi, Bagdad diventò una nuova Alessandria. (Piano piano!) I novelli storiografi, per illustrarci le conoscenze geografiche delle prime invasioni, ci propinano la Sardegna di Piri Reis e la carta (tolemaica) di Al Idrisi (Tabula Rogeriana del 1154). Al massimo potevano disporre della charta dell’Anonimo Ravennate o della tavola Peutengeriana.
RispondiEliminaIl pagamento della Giz’yah era prerogativa, solo, di un Califfo. Poi si doveva censire la popolazione e questo presuppone la libera circolazione sul territorio dei funzionari addetti.
Inoltre: con il termine CHARTA, vocabolario Latino alla mano, posso indicare … tante cose: dalle singole pergamene fino alle lamine metalliche; papiri compresi.
Se lo storiografo moderno cita la cd Pergamena di Arborea io posso citare la Charta di Arborea; non è un equivoco.
Exstat in multis una Charta barbaro sermone de donatione Ecclesiae Sancti Nicolai in Regno Sardiniae …
Riguardo l’Ulna…. sarebbe utile avere la circonferenza dell'osso che non è stata presa.
sempre Rolando Berretta
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