Gli scavi a Mont’e
Prama nel 1975
di Alessandro Bedini
(Tratto da: La Pietra e gli Eroi: Le sculture restaurate di Mont’e Prama – 2011)
Il primo intervento di scavo nell’area monumentale di Mont’e
Prama fu effettuato dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari dal 3 al 16
dicembre del 1975. Fonti locali facevano, infatti, provenire da un terreno di
proprietà della Confraternita della Madonna del Rosario di Cabras i frammenti
di statue recuperati dalla Guardia di Finanza agli inizi del 1974 ed altri
pezzi che successivamente passarono al Museo di Cagliari. Le indagini, durate
in tutto una decina di giorni, furono limitate ad una fascia di terreno
rettangolare, parallela grossomodo alla strada per Riola, ad una distanza da
essa di circa 25 metri verso Ovest, con una lunghezza di una dozzina di metri
in senso Nord-Sud ed una larghezza di poco più di 5 metri, con l’aggiunta di
tre piccoli sondaggi nel mappale limitrofo, uno poco più ad Ovest e due poco
più a Nord. L’area indagata mise in luce una piccola parte di una più ampia
area caratterizzata da sepolture a pozzetto circolare poco profondo, disposte
su più file quasi parallele, con andamento Nord-Sud ed Est-Ovest, in
corrispondenza del suo sicuro limite Ovest, costituito da un allineamento di
blocchi di calcare messi di taglio. Era già evidente che i pozzetti si
estendevano sia a Nord che a Sud e ad Est, ma i limiti del sepolcreto restano
ancor oggi da definire, per quanto possibile, data l’alterazione dello strato
archeologico causata dalle arature profonde e dal dilavamento. Lo strato di
terra superficiale, o humus, sopra il banco vergine, era infatti relativamente
esiguo e la presenza di numerosi frammenti di lastroni di calcare, trovati
accatastati ai bordi del
campo, ne era la prova evidente. Questi lastroni,
infatti, dovevano ricoprire l’area dei pozzetti, già in buona parte manomessi
in epoca antica. In una seconda fase di ristrutturazione dell’area sepolcrale
fu creata una recinzione sul lato Ovest, con andamento non rettilineo ma a
riseghe non pronunciate, per il contenimento di una sorta di massicciata
coperta da lastroni; inoltre furono aperti nuovi pozzetti più profondi,
ritrovati intatti, con le lastre di copertura in posto, nella parte più
meridionale del saggio. Successivamente, in una terza fase furono aperte altre
tombe a pozzetto profondo, addossate al bordo Ovest della precedente recinzione
e allineate in un’unica fila da Nord a Sud, e così ravvicinate da dover
rafforzare, o sostituire, sui lati Nord e Sud, il diaframma fra un pozzetto e
l’altro con lastroni verticali. Ne sono state individuate dieci, tutte prive, tranne
la n. 5 partendo da Nord, delle lastre di copertura, rimosse dalle arature;
conservavano però ancora la deposizione non violata, con, sul fondo, il corpo
in posizione presumibilmente seduta o rannicchiato su se stesso, ed il capo
protetto da una lastrina di calcare.
L’unica tomba scavata integralmente non ha
restituito alcun oggetto di corredo. Questa fila di tombe proseguiva verso
Nord, come fu appurato nei due sondaggi eseguiti nel terreno confinante, mentre
a Sud terminava contro un allineamento trasversale di due lastroni accoppiati,
parallelo ad altro analogo a m 1,60 più a Sud. Essi costituivano le due
spallette di una sorta di passaggio o ingresso, a Sud del quale l’allineamento
di tombe riprendeva, avendo lo scavo già evidenziato la prima delle altre
trenta tombe poi messe in luce dai successivi interventi di scavo del 1977 e
del 1979, diretti da Carlo Tronchetti. In corrispondenza di questo allineamento
di tombe lo strato di terra soprastante, sconvolto dalle arature, ha restituito
diversi frammenti di calcare lavorati, appartenenti sia a modelli di nuraghe
sia a statue, fra cui un frammento di base con parte di piede. Si aveva così la
conferma della provenienza delle statue da questo sito; è possibile che i torsi
e le teste dispersi in precedenza e recuperati in parte dalla Guardia di
Finanza giacessero sopra i lastroni di copertura dell’allineamento di tombe già
rimossi dalle arature, o subito ad Ovest di esse, analogamente a quanto poi
riscontrato nel tratto meridionale. I pochi frammenti ceramici sparsi
nell’area, come risulta dallo studio di Giovanni Ugas, possono essere riferiti
alla prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.), e presumibilmente indicano il
periodo cronologico in cui vanno inquadrati i pozzetti circolari più antichi,
che trovano confronti con quelli di Antas o quelli di Is Aruttas di Cabras.
Alla stessa fase dovrebbero appartenere i cippi e i modelli di nuraghe, mentre
le statue, per il loro posizionamento, si ricollegano alla fila di tombe che
regolarizza il lato Ovest dell’area. Dal momento che queste tombe appartengono,
per motivi stratigrafici, ad una terza fase di ristrutturazione, il complesso
scultoreo troverebbe un inquadramento cronologico più recente e
rappresenterebbe una monumentalizzazione dell’area lungo il suo lato Ovest, sul
fronte prospiciente un percorso stradale, con cui si accorderebbe l’ingresso
individuato nel punto di cerniera fra lo scavo del 1975 e quello del 1977/1979.
Le statue, sia per la struttura a masse geometriche sovrapposte che per i
dettagli stilistici, tradiscono modelli orientali di antica tradizione che
giungono fino in Sardegna, veicolati da artigiani orientali. Sulla base di una
tipologia elaborata nella piccola plastica in bronzo del gruppo Abini a partire
dal IX sec. a.C., si è giunti alla rappresentazione umana monumentale nella
seconda metà inoltrata dell’VIII sec. a.C., in un periodo di affermazione di
gruppi egemoni con una precisa volontà di autorappresentazione, analogamente a
quanto avviene, con modalità e tempi diversi, in altre zone del Mediterraneo ed
in particolare in area etrusca ed italica.
Fonte: http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20140521121030.pdf
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