domenica 12 luglio 2015

Gli scavi a Mont’e Prama nel 1975

Gli scavi a Mont’e Prama nel 1975
di Alessandro Bedini


(Tratto da: La Pietra e gli Eroi: Le sculture restaurate di Mont’e Prama – 2011)


Il primo intervento di scavo nell’area monumentale di Mont’e Prama fu effettuato dalla Soprintendenza Archeologica di Cagliari dal 3 al 16 dicembre del 1975. Fonti locali facevano, infatti, provenire da un terreno di proprietà della Confraternita della Madonna del Rosario di Cabras i frammenti di statue recuperati dalla Guardia di Finanza agli inizi del 1974 ed altri pezzi che successivamente passarono al Museo di Cagliari. Le indagini, durate in tutto una decina di giorni, furono limitate ad una fascia di terreno rettangolare, parallela grossomodo alla strada per Riola, ad una distanza da essa di circa 25 metri verso Ovest, con una lunghezza di una dozzina di metri in senso Nord-Sud ed una larghezza di poco più di 5 metri, con l’aggiunta di tre piccoli sondaggi nel mappale limitrofo, uno poco più ad Ovest e due poco più a Nord. L’area indagata mise in luce una piccola parte di una più ampia area caratterizzata da sepolture a pozzetto circolare poco profondo, disposte su più file quasi parallele, con andamento Nord-Sud ed Est-Ovest, in corrispondenza del suo sicuro limite Ovest, costituito da un allineamento di blocchi di calcare messi di taglio. Era già evidente che i pozzetti si estendevano sia a Nord che a Sud e ad Est, ma i limiti del sepolcreto restano ancor oggi da definire, per quanto possibile, data l’alterazione dello strato archeologico causata dalle arature profonde e dal dilavamento. Lo strato di terra superficiale, o humus, sopra il banco vergine, era infatti relativamente esiguo e la presenza di numerosi frammenti di lastroni di calcare, trovati accatastati ai bordi del
campo, ne era la prova evidente. Questi lastroni, infatti, dovevano ricoprire l’area dei pozzetti, già in buona parte manomessi in epoca antica. In una seconda fase di ristrutturazione dell’area sepolcrale fu creata una recinzione sul lato Ovest, con andamento non rettilineo ma a riseghe non pronunciate, per il contenimento di una sorta di massicciata coperta da lastroni; inoltre furono aperti nuovi pozzetti più profondi, ritrovati intatti, con le lastre di copertura in posto, nella parte più meridionale del saggio. Successivamente, in una terza fase furono aperte altre tombe a pozzetto profondo, addossate al bordo Ovest della precedente recinzione e allineate in un’unica fila da Nord a Sud, e così ravvicinate da dover rafforzare, o sostituire, sui lati Nord e Sud, il diaframma fra un pozzetto e l’altro con lastroni verticali. Ne sono state individuate dieci, tutte prive, tranne la n. 5 partendo da Nord, delle lastre di copertura, rimosse dalle arature; conservavano però ancora la deposizione non violata, con, sul fondo, il corpo in posizione presumibilmente seduta o rannicchiato su se stesso, ed il capo protetto da una lastrina di calcare.

L’unica tomba scavata integralmente non ha restituito alcun oggetto di corredo. Questa fila di tombe proseguiva verso Nord, come fu appurato nei due sondaggi eseguiti nel terreno confinante, mentre a Sud terminava contro un allineamento trasversale di due lastroni accoppiati, parallelo ad altro analogo a m 1,60 più a Sud. Essi costituivano le due spallette di una sorta di passaggio o ingresso, a Sud del quale l’allineamento di tombe riprendeva, avendo lo scavo già evidenziato la prima delle altre trenta tombe poi messe in luce dai successivi interventi di scavo del 1977 e del 1979, diretti da Carlo Tronchetti. In corrispondenza di questo allineamento di tombe lo strato di terra soprastante, sconvolto dalle arature, ha restituito diversi frammenti di calcare lavorati, appartenenti sia a modelli di nuraghe sia a statue, fra cui un frammento di base con parte di piede. Si aveva così la conferma della provenienza delle statue da questo sito; è possibile che i torsi e le teste dispersi in precedenza e recuperati in parte dalla Guardia di Finanza giacessero sopra i lastroni di copertura dell’allineamento di tombe già rimossi dalle arature, o subito ad Ovest di esse, analogamente a quanto poi riscontrato nel tratto meridionale. I pochi frammenti ceramici sparsi nell’area, come risulta dallo studio di Giovanni Ugas, possono essere riferiti alla prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.), e presumibilmente indicano il periodo cronologico in cui vanno inquadrati i pozzetti circolari più antichi, che trovano confronti con quelli di Antas o quelli di Is Aruttas di Cabras. Alla stessa fase dovrebbero appartenere i cippi e i modelli di nuraghe, mentre le statue, per il loro posizionamento, si ricollegano alla fila di tombe che regolarizza il lato Ovest dell’area. Dal momento che queste tombe appartengono, per motivi stratigrafici, ad una terza fase di ristrutturazione, il complesso scultoreo troverebbe un inquadramento cronologico più recente e rappresenterebbe una monumentalizzazione dell’area lungo il suo lato Ovest, sul fronte prospiciente un percorso stradale, con cui si accorderebbe l’ingresso individuato nel punto di cerniera fra lo scavo del 1975 e quello del 1977/1979. Le statue, sia per la struttura a masse geometriche sovrapposte che per i dettagli stilistici, tradiscono modelli orientali di antica tradizione che giungono fino in Sardegna, veicolati da artigiani orientali. Sulla base di una tipologia elaborata nella piccola plastica in bronzo del gruppo Abini a partire dal IX sec. a.C., si è giunti alla rappresentazione umana monumentale nella seconda metà inoltrata dell’VIII sec. a.C., in un periodo di affermazione di gruppi egemoni con una precisa volontà di autorappresentazione, analogamente a quanto avviene, con modalità e tempi diversi, in altre zone del Mediterraneo ed in particolare in area etrusca ed italica.

Fonte:  http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20140521121030.pdf

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