Archeologia. Porti e approdi della Sardegna Nuragica: Olbia
di Pierluigi Montalbano
Le popolazioni nuragiche
erano in contatto con genti d’oltremare, penisola iberica, nord Africa, Grecia
e altri luoghi dell’Egeo. Evidenze di commercio fra la Sardegna e le sponde
orientali del Mediterraneo, come i lingotti di rame ox-hide, ossia a forma di
pelle di bue, che circolavano anche a Cipro, testimoniano che fin dal XIV a.C.,
i contatti fra popoli distanti erano praticati.
Anche Arzachena e Olbia
mostrano tracce di questi commerci, evidentemente alcune di queste navi
risalivano la costa orientale fino alla Corsica e al sud della Francia. Secondo
la letteratura, i greci descritti da Omero nell’Iliade sono i primi che
arrivano in Occidente percorrendo tutto il Mediterraneo. Ciò è testimoniato dal
materiale miceneo trovato nelle coste, da oriente fino alla Spagna. Possiamo
affermare che a quei tempi si diffuse un concetto mentale che vedeva il “Lago
Mediterraneo” nella sua interezza. Questi navigatori capirono la geografia
complessiva delle sponde del Mediterraneo e svilupparono una rete di traffici
commerciali che consapevolmente attraversavano l’intero bacino, dal vicino
oriente fino allo Stretto di Gibilterra. La storia della stratificazione di
evidenze culturali fenicie nella Gallura, comincia nell’VIII a.C.
Un’àncora trovata a Posada
conferma che i levantini sono ospiti presso i villaggi nuragici per sviluppare
vicendevolmente proficui rapporti commerciali. Un’altra modalità di approccio
dei fenici consiste nell’attrezzare al meglio gli approdi nelle
aree oggi
occupate dalle città, ed è il caso di Olbia. Si trova alla radice di un golfo,
riparato dai venti, che si apre su una piana difesa da una corona di colline,
un sito ideale per l’antropizzazione.
Il materiale archeologico è
stato trovato fuori contesto, nella zona dell’insenatura portuale. Fino a quel
momento, l’area nella quale lasciarono tracce era sempre presso i villaggi dei
locali. Furono ospitati dai nuragici, come a Sant’Imbenia e Posada, e come
avvenne fra greci e locali a Pitecusa. In questo periodo fioriscono anche i
rapporti commerciali con i ricchissimi principi etruschi e laziali, e con la
madrepatria Tiro che sovrintende al movimento di commerci con l’occidente. L’integrazione
fra fenici e nuragici a Olbia è testimoniata, ad esempio, da una brocchetta in
bronzo con l’attacco di un ansa che riporta decorata una palmetta, in tipico stile
fenicio. È una sorta di prototipo di un oggetto prodotto dai nuragici che
scelgono di copiare i manufatti orientali che transitano nel porto di Olbia.
Sono oggetti di pregio in argento o bronzo, e li troviamo anche nelle tombe
principesche del Lazio e dell’Etruria meridionale.
Per i commercianti greci e
fenici, i partners indispensabili per inizializzare i traffici sono i locali.
Non c’è mai un danno per i nuragici, anche perché Tiro e le città greche, non
sono densamente popolate, pertanto i navigatori sono sempre costituiti da
qualche decina di persone. Inoltre, per il prosperare economico e demografico degli
insediamenti, è vitale un amichevole rapporto con le popolazioni locali.
Abbiamo indicatori archeologici che testimoniano matrimoni misti, fenici o
greci con nuragici. L’ideologia che vede la Sardegna colonizzata da “rapaci”
fenici che la conquistano e sottomettono è, quindi, errata e superata.
Verso il 630 a.C. accade un
cambio epocale: il sito di Olbia viene strappato ai sardi dai greci e cambia
anche il panorama archeologico dei materiali ritrovati. Compare esclusivamente
materiale greco per circa un secolo, fino al 510 a.C.
Un manufatto corinzio, fra i
più importanti ritrovati in Sardegna, riporta un’iscrizione in greco, a
dimostrazione che in questa fase Olbia è il più importante insediamento greco
nell’isola. Anche in questo periodo sono evidenti i rapporti fecondi con i
locali, testimoniati da frammenti di ceramica nuragica in uno strato di
materiale greco. Non si tratta di contenitori di derrate alimentari, tipici
oggetti di compravendita dell’epoca; sono manufatti di uso comune, e ciò
suggerisce che in seno alla comunità greca insistono gruppi di sardi che
producono materiali locali.
Lo scenario di questo periodo
abbraccia l’intero Mediterraneo: verso il 630 a.C., l’impero assiro preme ai
fianchi di Tiro e Sidone, madrepatria dei fenici. Questa pressione determina un
indebolimento degli insediamenti fenici in oriente, ma gli stessi assiri si
spingono anche negli insediamenti greci della Turchia, e uno di questi, Focea,
decide di inviare parte degli abitanti in cerca di fortuna a Occidente, dove
già da oltre un secolo si trovavano colonie greche. L’unica area parzialmente
libera dall’influenza degli etruschi, dei greci dell’Italia meridionale e dei
fenici, ormai integrati fra i sardi, è proprio la costa nord-orientale della
Sardegna, dove l’insediamento fenicio di Olbia era distante, isolato e, quindi,
in condizioni di debolezza.
I focei si sostituiscono ai
locali nell’insediamento e Olbia diviene la chiave di volta per l’accesso a
quel settore del Mediterraneo occidentale, poco urbanizzato, fra le attuali
Genova e Barcellona, dove non c’è l’influenza etrusca, né quella cartaginese.
Nel 600 a.C., quindi solo 30 anni dopo, i focei fondano Massalia, l’attuale
Marsiglia, e nel 575 a.C. fondano Alalia, in Corsica. Questi insediamenti
portuali sconvolgono l’assetto delle rotte navali praticate, infatti,
l’irrompere degli intraprendenti focei nel Golfo del Leone, determina
un’alleanza fra sardi, etruschi e cartaginesi mirata a cacciare i focei stessi
da quelle zone. La presenza della Olbia greca crea risvolti anche a largo
raggio nella Sardegna del tempo.
Nell’area orientale
dell’isola non ci sono insediamenti, e nei villaggi nuragici gli influssi
fenici sono minori. Proprio in queste zone orientali, ad esempio a Orani, si
trovano bronzetti tardo nuragici che evidenziano una chiara attenzione agli
aspetti anatomici. Sono di ispirazione greca, con un modellato che mostra
muscoli, glutei e polpacci. Nelle zone occidentali della Sardegna i bronzetti
sono più eleganti, stilizzati, meno interessati a evidenziare questi aspetti.
Questo fatto, oltre alla presenza di ceramiche greche, è indizio dell’irradiazione
degli scambi culturali e commerciali greci di Olbia con il mondo nuragico.
Verso la fine del VI a.C.
Cartagine, a più riprese, tenta in ogni modo di impossessarsi dell’isola.
Questa città è divenuta nel tempo la più potente colonia della Tiro fenicia in
Occidente, e intraprende una serie di campagne militari per l’acquisizione
territoriale della parte occidentale della Sicilia e per il controllo
amministrativo dei porti sardi, a danno dei cugini fenici che da oltre due
secoli vivevano in Sardegna ed erano diventati sardi a tutti gli effetti.
Cartagine deve affrontare anche gli etruschi e i greci focei di Alalia e Olbia per
strappare le rotte navali tirreniche, e tutto ciò si concretizza nella
battaglia del Mare Sardo, avvenuta intorno al 535 a.C. nelle acque antistanti
la Gallura, a seguito della quale i greci sono costretti ad abbandonare Alalia.
Non è un caso che negli anni successivi a questa guerra spariscono i materiali
greci da Olbia e dalle zone limitrofe. I greci finiscono in Campania, ospitati
a Sibari e a Posidonia. Tuttavia anche etruschi e Cartaginesi escono con le
ossa rotte da questa battaglia navale, e occorre considerare che la neonata
Roma inizia la sua epopea proprio a danno di queste ultime potenze.
Cartagine si accorda
economicamente con i sardi e, particolarmente a Olbia, non si assiste a un
arrivo in forze dei cartaginesi. Gli elementi archeologici forniscono dati che
suggeriscono un controllo amministrativo dei porti, con conseguente riduzione
delle importazioni dall’esterno. Le vicende descritte si trascinano per oltre
un secolo e mezzo, fino al 348 a.C., quando Roma mostra i muscoli anche in
Sardegna. Fonti letterarie e indizi archeologici raccontano che Roma nel 368
a.C. fonda Feronia, un insediamento nell’area di Posada. In quel periodo i
sardi non mostrano interesse per quel tratto di costa, forse perché dopo il
declino degli etruschi, assorbiti dai romani, i commerci nel Tirreno sono
gestiti proprio dal senato romano. Tuttavia Cartagine reagisce inviando delle
truppe e mettendo fuori gioco l’insediamento romano nella costa. Per secoli i
due imperi operarono fianco a fianco, perfino da alleate vista la simmetria di
interessi economici e le metodologie di espansione. La rilevanza politica delle
loro decisioni era contrastata da un terzo incomodo nello scacchiere del
Mediterraneo Occidentale: i greci di Siracusa. Roma non guardava al mare perché
impegnata a difendersi, per poi sottometterli, dai vicini Sabelli, Etruschi,
Galli e altri. Cartagine, senza un vero esercito cittadino e bloccata in
Sicilia dai Greci nelle più lunghe battaglie della antichità classica, le
guerre greco-puniche, appariva indecisa sulla sua politica espansiva. Il
partito aristocratico tendeva a estendere il potere della città nelle terre
vicine, il partito commerciale era più portato allo sfruttamento di rotte ed
empori. Questa simmetria non sarebbe bastata per fermare le ostilità ma con la
stipula di una serie di trattati, le relazioni fra Roma e Cartagine
proseguirono lungo una rotta di reciproca tolleranza. Nel 348 a.C. stipula un
accordo con i romani con cui pattuisce che questi non possono approdare in
Sardegna, e quindi non possono commerciare, senza il controllo di Cartagine.
Il testo di questo accordo
recita:
“A queste condizioni ci sia amicizia tra i Romani e
gli alleati dei Romani e i popoli dei Cartaginesi, dei Tiri e degli Uticensi e
i loro alleati. I Romani non facciano bottino, né commercino, né fondino città
al di là del promontorio Bello, di Mastia, di Tarseo. Qualora i Cartaginesi
prendano nel Lazio una città non soggetta ai Romani tengano i beni e le persone
e consegnino la città. Qualora i Cartaginesi catturino qualcuno di quelli con
cui i Romani hanno accordi di pace scritti, ma che non sono a loro sottomessi,
non lo sbarchino nei porti dei Romani; qualora poi un Romano metta mano su chi
è stato sbarcato, sia lasciato libero. I Romani, allo stesso modo, non facciano
ciò. Se un Romano prende acqua o provviste non commetta torti ai danni di
nessuno di quelli con cui i Cartaginesi sono in pace e amicizia. Un
Cartaginese, allo stesso modo, non faccia ciò. Altrimenti non si vendichi
privatamente: se qualcuno lo fa che l'offesa sia pubblica. In Sardegna e in
Libia nessun romano commerci o fondi città (...) se non finché abbia preso
provviste o riparato l'imbarcazione. Qualora una tempesta ve lo trasporti si
allontani entro cinque giorni. Nella parte controllata dai Cartaginesi e a
Cartagine faccia e venda tutto quanto è permesso anche a un cittadino. Un
Cartaginese faccia lo stesso a Roma”.
Per assicurarsi che l’accordo
sia rispettato, Cartagine deve rinforzare la difesa dei punti strategici della
costa orientale, come dimostrano le tracce archeologiche ellenistiche a Olbia.
Quando parliamo di una città
dell’antichità, non dobbiamo avere la visione odierna della struttura urbana.
La città antica, intesa in senso urbanistico e monumentale, era quella
ellenistica, con elementi ben delineati. Le mura e le piazze di Olbia mostrano
indizi di un impianto urbanistico a pianta ortogonale, con santuari nei punti
più alti e sul porto, in cui persiste il culto precedente. I templi erano di
fatto già esistenti, sia nella fase fenicia che in quella greca.
Si nota la presenza di
laboratori artigianali per i metalli, per la ceramica, per la tinteggiatura dei
tessuti con la porpora, e ci sono necropoli fuori dell’area urbana. Negli
strati immediatamente più antichi di questa città, si trova una discreta
presenza di materiale laziale, quindi dobbiamo pensare che gli scambi con la
costa tirrenica continuarono per un bel periodo. Ancora una volta è importante la
presenza nuragica, con il ritrovamento di molte ceramiche di produzione locale
che suggeriscono la fusione perfetta fra sardi e cartaginesi.
Altre presenze sono segnalate
a Santa Teresa di Gallura, soprattutto per lo sfruttamento dei graniti. Il
porto di Olbia, infatti, è collettore delle produzioni per l’hinterland, e
distribuisce le merci che arrivano d’oltremare, insieme a uomini, idee, novità,
religioni e tutte le varie influenze culturali.
Nel corso del III a.C.,
Cartagine entra in conflitto con l’espansione territoriale avviata da Roma e le
due potenze si confrontano anche dal punto di vista militare, oltre che economico.
Il consolidamento dei possedimenti cartaginesi anche nella penisola iberica, la
pone come rivale dell’astro di Roma e si arriva alle ben conosciute guerre
puniche. Fra la I e la II guerra punica, Roma approfitta del momento di
debolezza della rivale e s’impossessa della Sardegna, usufruendo anche di una
sorta di malcontento delle popolazioni locali, vessate da forti tributi per il
sostegno delle guerre di Cartagine.
È possibile che le città
cartaginesi della Sardegna siano passate volentieri dalla parte di Roma che,
pur essendo all’epoca una delle città più popolose del Mediterraneo, non poteva
certo presidiare tutti i centri sardi, infatti Olbia ancora per circa 150 anni
rimase a tutti gli effetti una città punica. Si assiste al lento diffondersi
degli elementi di cultura romana, con la presenza di personaggi di Roma nei
posti di rilievo dell’amministrazione pubblica, ma la punicizzazione della
città rimane ben radicata. Le tipologie tombali, ad esempio, rimangono quelle
tipiche della tradizione cartaginese, con tombe a camera scavate nella roccia,
che a Olbia persistono fino alle soglie del I a.C.
La divinità principale,
Melkart per i fenici ed Eracle per i greci, persiste perché i romani rispettano
i culti precedenti. Col passare del tempo la potenza di Roma cresce, e nel I
a.C. diventa la prima potenza globale comprendendo nelle sue fila molte
popolazioni di tutto il bacino Mediterraneo. Un’unica gestione politica,
economica e militare, abitata da genti diverse. Ciò determina per Roma
l’esigenza di organizzare le produzioni e i commerci su scala globale. Gli
aspetti economici cambiano rispetto al passato e le attività si spostano verso
i porti, con un incremento dell’urbanizzazione costiera.
Ai tempi di Cesare e Augusto,
Olbia appare come una città romanizzata, e le tracce archeologiche cartaginesi
scompaiono. Già da qualche tempo nei porti mediterranei si nota la
multiculturalità, ma nell’epoca romana si accentua questa evidente
globalizzazione dei centri nevralgici deputati ai commerci. Olbia, fino a quel
momento un porto di medio livello nel Mediterraneo rispetto ad Alessandria
d’Egitto, ci offre un’enormità di dati che mostrano una compagine umana
etico-culturale proiettata verso l’esterno, con iscrizioni e manufatti che ci
portano al mondo greco, egizio, cipriota, della Siria e dell’Italia in
generale. L’età romana vede interessati altri centri nella zona di Olbia, ad
esempio Santa Teresa per il granito, La Maddalena e San Teodoro.
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