Archeologia
subacquea. Recuperato il villaggio sommerso nel Lago di Bolsena
di
Laura Larcan
I sub sono al lavoro almeno da
due ore senza mai riemergere, a una profondità di quattro metri. L’operazione è
quanto mai delicata. Dal limo che ricopre il fondale sono riaffiorati negli
ultimi giorni reperti di varia natura. Ci sono vasi, alcuni integri e ben
conservati, piccoli rocchetti per filature, aghi da rete e ami, utensili in
bronzo, frecce, un coltello, anellini metallici intrecciati quasi ad evocare un
possibile «acchiappasogni». Ma soprattutto legni e fibre vegetali,
delicatissimi e fragile perché impregnati d’acqua, e ad alto rischio
distruzione, che testimoniano le strutture delle capanne del IX secolo a.C.
Siamo ad una sessantina di metri dalla costa del lago di Bolsena nel complesso
archeologico sommerso del Villaggio preistorico del Gran Carro (o Gran Caro
secondo la dicitura originaria), importantissimo insediamento d’età
villanoviana, tra i più vasti e meglio conservati, scoperto nel 1959, ma da
quasi trent’anni senza interventi di studio accurati, in balia dei tanti
tombaroli subacquei che ne hanno approfittato.
IL GUSCIO
È qui che il Nucleo di
archeologia subacquea dell’Istituto superiore per la conservazione e il
restauro diretto da Gisella Capponi conclude oggi la sperimentazione di un
nuovo sistema hi-tech di recupero subacqueo di manufatti organici ad alto
rischio, nell’ambito del progetto europeo Sasmap, di cui capofila è il National
Museum of Denmark. «Abbiamo costruito una barella-guscio con fogli di carbonio e
fogli di fibre sintetiche che hanno la caratteristica di essere ammortizzanti -
racconta la responsabile scientifica Barbara Davidde - La particolarità è che
questa sorta di culla può essere modellata direttamente sott’acqua e, prendendo
la forma perfetta del manufatto, permette di recuperarlo in completa sicurezza.
Una volta trasportata in laboratorio, la barella può essere aperta e utilizzata
dal restauratore come tavolo operatorio, dove iniziare la pulitura del
manufatto dal sedimento e le operazioni di consolidamento e restauro». Un
intervento provvidenziale, quello dell’Iscr, nella campagna di indagini sullo
stato di conservazione delle strutture sommerse del villaggio.
LEGNO DI QUERCIA
Questo programma di ricerca si inserisce, infatti, in un progetto più ampio,
iniziato dall'Istituto nel 2010, che prevede il monitoraggio dei siti presenti
nel lago di Bolsena. Un progetto inedito che affianca il nuovo scavo
archeologico promosso dalla Soprintendenza per l’Etruria meridionale guidata da
Alfonsina Russo Tagliente, sotto la responsabilità scientifica di Patrizia
Petitti in stretta collaborazione con il Centro ricerche della scuola sub del
Lago di Bolsena. Le immersioni, iniziate il 20 luglio scorso, si sono
concentrate su un’area archeologica di circa 50 metri quadrati, dove sono state
setacciate numerose teste dei pali di legno che oltre ottocento anni prima di
Cristo sorreggevano il sistema di capanne. Sono state le analisi effettuate da
Manuela Romagnoli dell’università della Tuscia a riconoscerne ora l’origine di
quercia. Come evidenzia la Petitti, quello del Gran Carro è uno degli
insediamenti preistorici più interessanti al mondo, perché il suo stato di
conservazione consente di fare luce sulla vita quotidiana di una delle prime
testimonianze della civiltà villanoviana alla fine dell’età del Ferro. «La
quantità di materiali emersa in questi giorni è enorme, impressionante, tra
vasellame e strutture di legno», avverte Egidio Severi responsabile del Centro
scuola sub. La scoperta di tracce di incendio su alcune teste dei pali potrebbe
schiudere un nuovo scenario: «Bisogna verificare ora se è un incendio che ha
devastato una sola capanna o tutto il villaggio - riflette Severi - Le cause
dell’abbandono del sito sono ancora tutte da chiarire. Finora era emerso un
innalzamento repentino, in antico, del livello delle acque, come uno tsunami,
forse dovuto alle origini vulcaniche del lago. Un incendio potrebbe essere la
nuova ipotesi».
Fonte: http://www.ilmessaggero.it/
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