Le rotte degli Shardana e gli studi sul sistema metrico dei protosardi
di Giovanni Ugas
Tra i campi di indagine di Giovanni Ugas, docente di Preistoria e Protostoria all’Università di Cagliari, vanno segnalati, oltre agli originali elementi alfabetici nati nell’isola dopo il periodo nuragico, i sistemi ponderali e metrico lineari in uso nella Sardegna dell’antichità, basati sulla ricorrenza del 5,5 (grammi e centimetri) come parametro ricorrente. Nel contributo che pubblichiamo il professore presenta una breve sintesi dell’articolo “I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’età del Bronzo e il I Ferro” nel quale affronta la problematica dei codici numerali e di scrittura al tempo dei nuraghi. Questo studio uscirà dalle stampe nella collana di Studi Archeologici “Tharros felix” (V) curata da Raimondo Zucca e da altri docenti archeologi e storici dell’Antichità per conto della casa editrice Carocci di Roma.
È noto che per circa sette secoli, tra l’età del Bronzo medio e finale (circa dal 1600 al 900. C.), le popolazioni sarde furono governate dai capi tribù che risiedevano nei nuraghi mentre il resto della popolazione dimorava nelle modeste abitazioni dei villaggi. Il commercio intertribale era aperto alle transazioni con regioni d’oltre mare e almeno dal XIV a.C. la Sardegna fu raggiunta da
contenitori in ceramica dipinta, grandi lingotti ox-hide in rame, manufatti in avorio e vetro del bacino orientale del Mediterraneo, mentre i Sardi navigavano con le loro merci in Sicilia, Grecia e Creta. É chiaro che, allora, i Sardi frequentavano popolazioni che adoperavano la scrittura e non a caso in 8 lingotti in rame importati (forse tramite Creta) sono stati rilevati contrassegni di scrittura lineare egea. Tuttavia, a parte l’esiguo numero e l’origine incerta di questi marchi, non è attestata nell’isola alcuna iscrizione avente almeno due caratteri sillabici insieme e allo stato attuale delle ricerche non esistono ragioni valide per sostenere che nella Sardegna del Tardo Bronzo fosse stato adottato un sistema di scrittura lineare affine a quello egeo, né di altra natura. A partire dal IX a.C., abbattuti i nuraghi, le comunità dei villaggi compirono un passo fondamentale verso una società urbana, sostituendo le residenze dei capi tribali con organismi collegiali e costruendo maestosi edifici pubblici, in particolare sale del consiglio, palestre per i giovani, terme, templi destinati a divinità celesti e dell’acqua. Le condizioni economiche e sociali migliorarono e ben presto i villaggi santuariali accumularono notevoli ricchezze. Allora la Sardegna fu raggiunta da mercanti fenici (che in parte vi si stabilirono), greci ed etruschi, ma non di meno i Sardi lasciarono le tracce dei loro movimenti (ceramiche e artistici bronzi) in Etruria e altre regioni peninsulari, Creta, Africa del Nord e Penisola iberica, mentre qualche Nivola o Sciola protosardo scolpiva le grandiose statue di Mont’e Prama. Non c’è da stupirsi se in questo clima di benessere e di apertura culturale del I Ferro anche in Sardegna maturarono le condizioni per la nascita della scrittura. Oggi si può contare su un complesso di 32 manufatti del I Ferro (IX-VI a.C.), in particolare vasi, pesi da bilancia e lingotti provvisti di 55 segni di scrittura alfabetica. Spesso i grafemi si presentano isolati per registrare misure di peso o di capacità, ma talora possono aver segnalato la proprietà o la fabbrica. Le iscrizioni con due e più grafemi finora individuate sono appena sei, ma le stesse e i segni isolati consentono di definire un omogeneo e originale sistema di scrittura alfabetica connesso con un codice numerale. Le iscrizioni fanno pensare ad un fenomeno d’élite, ma l’articolata distribuzione dei segni in ambito regionale porta a ipotizzare un’ampia diffusione; d’altronde, a oggi, sono assai poco indagati i templi e le sepolture del I Ferro (in particolare del VII-VI a.C.) da cui attendiamo nuove iscrizioni.
Allo stato attuale il sistema alfabetico sardo consta di 21 lettere: 16 consonanti, di cui alcune problematiche, e 5 vocali. Finora non risultano attestati i grafemi per i fonemi B, D, TH, N, e ciò può dipendere in parte dalla documentazione ancora carente. Non solo l’aspetto formale, ma anche l’orientamento progressivo dei grafemi (da sinistra a destra) e l’uso delle vocali inducono ad affermare, sorprendentemente, che il sistema alfabetico sardo si apparenta al modello di scrittura greco “rosso” occidentale piuttosto che a quello fenicio. Colpisce la vicinanza formale con i più precoci alfabeti della Beozia e dell’Eubea. Basti richiamare i grafemi della statuetta bronzea tebana dedicata da Mantiklos ad Apollo arciere e quelli dell’iscrizione greca su un vaso di Gabii (Osteria dell’Osa), la più antica in ambito etrusco-laziale. Questo legame tra la Sardegna e il mondo beota ed euboico è suggellato da una serie di elementi in comune: gli ornamenti geometrici delle ceramiche e l’importazione precoce di vasellame euboico; i templi in antis sul fronte e sul retro; la relazione etnica tra la Sardegna e la Beozia proposta nel mitico racconto su Iolao e i Tespiadi, che fa retrocedere nell’eroica età del Bronzo un rapporto certamente vissuto nell’età del Ferro. Contemporaneamente nel IX-VIII a.C. era diffuso nell’isola un articolato codice numerale che impiegava segni alfabetici e geometrici. In 25 manufatti, si riscontrano segni numerici elementari, anch’essi con direzione di lettura progressiva, consistenti in tacche e cerchielli (o puntini), che avevano la funzione di registrare le misure di peso, unità e multipli. In alcuni pesi da bilancia e lingotti in piombo la disposizione dei punti e dei cerchielli per segnalare le cifre 3, 4, 5 e 6, è quella tipica dei dadi e ciò porta a credere che fosse praticato tra le comunità sarde il gioco dei dadi. Più tardi, a partire forse dal VII a.C., i Sardi adottarono un nuovo codice numerale a base 5 e 10, strutturalmente simile al sistema di numerazione decimale degli Etruschi e dei Romani.
Intervista a Giovanni Ugas di Celestino Tabasso
«Quella lettera solo nostra»: l’alfabeto nato tra i nuraghi, una “A” indica l’originalità simbolica isolana.
Professore, che cosa fa pensare che si tratti di un alfabeto sardo e non di segni importati da altre culture?
«Erano cominciati da poco gli anni Settanta quando scoprii i primi segni: già da quegli elementi era evidente che si trattava di segni progressivi, disposti secondo una lettura da sinistra verso destra che portava a un orizzonte greco. Mi sarei aspettato un alfabeto fenicio e invece le ricerche dei successivi trent’anni mi confermarono quella prima impressione. E soprattutto mi confermarono che non avevamo a che fare con segni sporadici, elementi grafici usati esclusivamente per indicare la capacità di un vaso o l’identità del suo proprietario: no, l’insieme dei segni a nostra disposizione porta a un alfabeto completo, ad andamento progressivo, e dunque diverso da quello fenicio, dotato di vocali come greco ed etrusco ma con alcuni elementi grafici in comune con l’alfabeto fenicio, la maggioranza dei grafemi che richiamano la scrittura greca e altri ancora adattati alle esigenze proprie della scrittura sarda» - e qui il professore indica sulla tabella che pubblicherà su “Tharros felix” un simbolo a forma di freccia, l’equivalente di una a - . È naturale che l’alfabeto in uso nell’Isola riflettesse i fitti contatti dei sardi con le altre culture. Ad esempio la diffusione di vocali come u, i, e a indica i rapporti con la cultura euboica. E qui giova ricordare che secondo Diodoro siculo (e non solo secondo lui) gli Iliesi giunsero in Sardegna con i Tespiadi. È interessante perché Tespi era una cittadina della Beozia: attraverso la prassi greca del dare forma mitica agli eventi storici si possono leggere le relazioni intrecciate nel periodo del Primo Ferro».
Possiamo immaginare testimonianze grafiche di concetti complessi, o comunque più articolati delle misure indicate su pesi e di lingotti?
«Questo è l’interrogativo più interessante, perché a questo punto non ci sono dubbi sulla struttura e la completezza dell’alfabeto, può esserci tutt’al più qualche imprecisione nell’attribuire un fonema a un segno piuttosto che a un altro, mentre ci vuole grandissima attenzione - e direi grande prudenza - per individuare elementi di significato complessi. Il fatto è che per il momento abbiamo a disposizione soltanto sei iscrizioni con più di un segno».
Su queste rare ma preziose iscrizioni potremo leggere il Sardo più antico.
«Sarebbe difficile e azzardato dire “questo è il Sardo”, non foss’altro perché l’Isola era popolata da Iliesi, Balari e Corsi: quando le ricerche avranno fatto molti passi avanti, potremo dire: “Questa era una lingua dei Sardi”»
Quanto tempo ci vorrà per individuarlo?
«Per ora i dati sono molto limitati: ripeto, abbiamo a disposizione 55 segni tracciati su 32 manufatti. Non è tantissimo ma sono molto fiducioso: forse ci saremmo aspettati di più da tre decenni di ricerche ma va detto che trent’anni fa, per intenderci, nessuno ipotizzava che avremmo trovato ceramiche nuragiche a Creta e ceramiche micenee in Sardegna. L’archeologia, come amo ripetere, è una scienza giovane e deve fare con prudenza e attenzione il suo percorso, soprattutto se si tiene conto che templi e necropoli del sesto e settimo secolo, cioè i siti che dovrebbero restituirci le iscrizioni, sono i luoghi di scavo e di indagine più penalizzati dall’attività di ricerca che si è svolta finora. Detto questo, oltre un certo punto noi archeologi cederemo volentieri il passo ad altri studiosi, a cominciare dai colleghi glottologi.
Fonte: L'Unione Sarda
Nelle immagini, di Cristiano Cani, da sopra:
Nuraghe Santa Sabina - Silanus
Domusnovas - Sa Domu 'e S'Orku
Borore - Duos Nuraghes
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