Giganti di Monte
Prama, restauro da premio
di
Francesco Bellu
L'Unione Europea assegna al team di restauro di Li Punti uno dei 28 riconoscimenti degli “Europa Nostra
Awards”
Il passato si
presenta sempre in frantumi. Pezzi rotti di Storia che spuntano fuori dalla
terra come fili spezzati di un’epoca lontana. Per capirli bisogna riannodare
quei frammenti di pietra o ceramica e fargli riprendere a “parlare” un discorso
interrotto da secoli in maniera tale da dialogare con noi, con il presente. I
Giganti di Monte Prama, le grandi statue nuragiche del Sinis, sono rimaste mute
per quasi tremila anni prima di poter riprendere a sillabare. Più di cinquemila
frammenti sono stati riassemblati ridando così forma a un esercito di pietra
composto da cinque arcieri, quattro guerrieri, sedici pugili e tredici
modellini di nuraghe. Un lavoro minuzioso svolto nel Centro di restauro di Li
Punti a Sassari dall’equipe del centro di Conservazione Archeologica di Roma,
coordinata da Roberto Nardi, e diretto dalla Soprintendenza archeologica di
Sassari e Nuoro, che ora è stato premiato con uno dei ventotto riconoscimenti
degli Europa Nostra Awards, i premi della Commissione Europea considerati il
riconoscimento più prestigioso nell’ambito del patrimonio culturale dell’Ue.
I Giganti hanno
superato una selezione serratissima che ha visto ben 263 progetti candidati da
29 Paesi all’interno di quattro categorie: «conservazione»; «ricerca e digitalizzazione»;
«contributi esemplari»; «istruzione e formazione». Le statue di Cabras hanno
sono uno dei quattordici vincitori della prima sezione e sono in ottima
compagnia, giacché si trovano insieme con i mosaici paleocristiani della
basilica di Aquileia (altro lavoro italiano selezionato), il circolo megalitico
di Stonehenge, la chiesa armena di Dyarbakir e il mercato di Reims, giusto per
citare i più noti. L’altro progetto italiano scelto è il tour virtuale
dell’area intorno a San Marco a Venezia nella categoria «ricerca e
digitalizzazione».
«La giuria è stata
affascinata dalla complessità di questo progetto di restauro, e colpito dalla
sua importanza nello sviluppo per la comprensione di questa cultura
sottovalutata». Così ha dichiarato Tibor Navracsics, commissario europeo per
l'Istruzione e la Cultura, spiegando il perché della scelta dei Giganti di
Monte Prama, aggiungendo parole di apprezzamento per come è stato svolto
l’assemblaggio dei pezzi. «L’Ue ci ha premiato grazie alla particolarità del restauro
che è stato fatto – spiega Roberto Nardi, direttore centro di Conservazione
Archeologica di Roma e direttore della squadra che ha restaurato i Giganti a Li
Punti – I frammenti sono stati, infatti, montati senza penetrare in profondità
la pietra, evitando l'uso di trapani o l’inserimento di materiali diversi. In
questo modo sarà possibile fare aggiunte alle statue nel caso venissero
ritrovati altri pezzi pertinenti. Il ritrovamento in questi ultimi mesi di
frammenti attinenti ai Giganti già restaurati permetterà di svolgere subito un
lavoro conservativo in questo senso». Nardi tiene poi a rimarcare come l’opera
di ricomposizione si sia svolta pubblicamente: «Il laboratorio di Li Punti –
spiega – era aperto , tutti che potevano vedere con i propri occhi tutte le
fasi del restauro in corso». Una scelta che si è rivelata vincente e che è
stata anche rimarcata dall’Ue perché «ha permesso alla popolazione locale di
valorizzare la propria identità attraverso il recupero di una testimonianza
importante della storia della regione».
Scoperti per caso
35 anni fa, grazie al colpo di una benna tra i campi riarsi della collina di
Mont’e Prama, i Giganti hanno monopolizzato sin da subito un dibattito che
dalle aule accademiche si è spostato poi in quelle politiche e più
smaccatamente identitarie. Due campagne di scavo hanno segnato la loro storia:
la prima nel 1974 svolta da Carlo Tronchetti e Alessandro Bedini, la seconda da
maggio del 2014 «in tandem» tra l’Università di Sassari e la Soprintendenza di
Cagliari e Oristano. In mezzo le difficoltà per valorizzare questo gruppo
scultoreo unico nel Mediterraneo che risalirebbe ad un periodo tra il IX e il
VIII secolo a.C., quando la Sardegna era un luogo di frontiera meta di
navigatori arrivati dal lontano Oriente. In quelle statue e nelle tombe lì
accanto, i nuragici celebravano i loro antenati eroizzati. Esseri semidivini
immortalati nella pietra in cui caratteri stilistici locali si mescolavano a
raffinatezze vicino orientali. Segni tangibile di traffici e di cultura in una
terra ai confini del mondo che ogni sera guardava in faccia il sole che muore.
Fonte: http://lanuovasardegna.gelocal.it/
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