Archeologia e scrittura. I triangoli apicati nel Mediterraneo: una piccola indagine
di Marcello Cabriolu
La
presenza di un enigmatico segno[1] nel tofet di Sant’Antioco, inciso sulla roccia sacra fulcro del nucleo
originario, costituisce tutt’oggi argomento di discussione e confronto relativo
sia alla natura dell’incisione, ideologica o scientifica, sia all’inquadramento
culturale[2]. L’incisione, ricavata su
rocce riolitiche del Cenozoico[3], è costituita da un
triangolo acutangolo i cui lati obliqui (cateti) si prolungano verso Ovest
oltre il punto di incontro (angolo opposto all’ipotenusa). La tecnica incisoria
sembrerebbe a martellina indiretta resa ad ottenere una figura geometrica[4] morfologicamente mista.
Considerando lo stato di conservazione e la concentrazione dei colpi si osserva
una buona qualità del segno (fitto e profondo) nonostante la qualità
dell’esecuzione sia poco accurata. Il contorno della figura si presenta netto e
definito mentre il contorno del tratto è poco definito. La figura si presenta
posta sul piano orizzontale della sommità del pinnacolo riolitico la cui
superficie parrebbe non trattata o deteriorata per fenomeni naturali. La sezione
del solco pare semi-ellissoidale e continua mentre i margini si presentano da
molto smussati ad arrotondati. La larghezza del tratto parrebbe
regolare media, la profondità del tratto ugualmente regolare media senza sbavature e una qualsivoglia traccia di contorno preparatoria. Attraverso lo studio dettagliato possiamo individuare una forma rotonda dei colpi incisori, con una profondità media da 0,6 cm a 1,0 cm, e una disposizione orizzontale degli stessi, ottenuta a percussione puntiforme tramite strumento di metallo, fianco a fianco con asse ortogonale alle superfici. Il confronto relativo alla natura dell’incisione contrappone chi ipotizza che il segno sia convenzionale e d’epoca recente[5] a chi invece ipotizza una natura mistica[6] fin dal momento del primo rinvenimento. L“auctoritas” accademica, attraverso la bibliografia specialistica, propende per una simbologia a carattere mistico ma si divide comunque in due orientamenti principali: uno per la definizione quale triangolo apicato l’altro per l’interpretazione del simbolo come la lettera semitica “daleth”. In questi due orientamenti si colgono due possibili prospettive di interpretazione: una incentrata sulla simbologia aniconica riferita ad una divinità e l’altra incentrata sul tentativo di riconoscervi un segno alfabetico greco - semitico[7]. Uno sguardo nel territorio più prossimo rispetto al segno descritto ha permesso, già negli anni ‘60[8], di individuarne un altro situato, nel comune di Sant’Antioco, a 280° di azimuth e circa 1600 mt di distanza dal tophet. In un’area archeologica ancora inedita denominata “Su Fattori[9]”, compresa tra una proprietà privata edificata e un terreno a macchia, emerge un pinnacolo riolitico[10] marcato da un triangolo apicato[11] i cui lati si prolungano verso Nord. Una piccola indagine, condotta da chi scrive, segnala ancora un numero discreto di tali simboli. Un esemplare di triangolo apicato, si segnala posto[12] sempre nel comune di Sant’Antioco (CI) e nella medesima area archeologica inedita, su una pietra affiorante[13] dal terreno, con azimuth di 282°, a circa 1484[14] mt dalla roccia del tophet, i cui lati si prolungano verso Sud.
Ancora nel comune di Sant’Antioco (CI), in località[15] “ Monte La Noce”, si individua un triangolo apicato, i cui lati si protendono verso Nord-Ovest[16], posto sopra un ampio macigno lastriforme ignimbritico[17]. Un altro contesto di rinvenimento del simbolo, scaturito a seguito dell’indagine, è una cupola ignimbritica[18] posta sempre nel comune di Sant’Antioco (CI) in località “Sa Perda ‘e s’Omini”[19]. Il triangolo apicato è situato in un’area prossima al cromlech “Sa Corona ‘e marroccus”[20] e presenta i lati lunghi rivolti verso Nord. E’ possibile osservare il simbolo apicato, ancora nel comune di Sant’Antioco (CI), sulla faccia superiore di un concio del Nuraghe Pruna. Tale monumento, elevato tramite la sovrapposizione di macigni di andesite basaltica[21], residua scoperchiato nella sua camera principale costituita da numerosi conci lastriformi, uno dei quali appunto presenta il simbolo[22] i cui lati si prolungano verso Ovest[23]. Infine si segnala la presenza del triangolo apicato, ancora una volta nel comune di Sant’Antioco(CI), ai piedi del paramento meridionale del complesso nuragico di S’Acqua e sa canna[24]. Il simbolo[25] venne inciso sopra una roccia affiorante di andesite basaltica[26] con i lati lunghi rivolti a Nord-Ovest. Il simbolo apicato viene segnalato ancora[27] sopra un concio del Nuraghe Barcilis[28] posto nel comune di Tratalias (CI). In ambito regionale è stato possibile osservare la presenza di un triangolo apicato nelle grotte carsiche di Seulo[29], dove una serie di indizi sulla presenza umana ha portato ad individuare delle digitazioni – delle incisioni – tracce di pigmentazioni ancora inediti. Ancora la presenza del simbolo apicato venne evidenziata durante lo scavo archeologico condotto sulla Tomba di giganti “Moru” di Arzachena[30]. Il simbolo venne inciso sul chiusino della tomba, rinvenuto infisso davanti all’ingresso, e tuttora viene inquadrato nell’epoca punica esclusivamente per un accostamento simbolico[31] anziché per rinvenimento in contesto stratigrafico. Le testimonianze in ambito regionale ci indicano la presenza del triangolo apicato in uno scarabeo in diaspro verde proveniente dalla tomba 125 della necropoli punica di Predio Ibba a Sant’Avendrace - Cagliari[32]. L’inquadramento temporale e culturale come fenicio o cartaginese non venne fatto sulla base di un contesto stratigrafico certo ma sulla comparazione con le tipologie catalogate nell’archivio del Museo di Torino[33]. Nella penisola italiana il simbolo compare a Pithecusa-Ischia in un anfora da trasporto importata da Rodi. Il manufatto, ora custodito nel Museo Archeologico (inv. 168279), venne rinvenuto nella tomba 575 della Necropoli di San Montano a Ischia dove costituiva la sepoltura a enchytrismos per un neonato di una famiglia di origine levantina. L’anfora, datata al 740 a.C., presenta un triangolo apicato, apposto probabilmente al momento dell’utilizzo tombale, interpretato come simbolo religioso levantino e di pertinenza funeraria[34] nonostante alcuni studi[35] sottolineino la sostanziale difficoltà nell’accettare una tradizione simbolica levantina sopra un vaso di origine greca. Uno sguardo più amplio mostra invece come nell’Europa danubiana preistorica compaia frequentemente il simbolo indagato, inquadrato cronologicamente in una forbice temporale compresa tra il 5200 a.C. e il 4000 a.C.[36], e venga incluso in diversi cataloghi. Il catalogo creato dal Prof. Harold Haarmann[37] descrive il simbolo come ideogramma altamente stilizzato di possibile origine naturalistica classificandolo come OE57. Ancora il simbolo in esame compare nell’inventario scriptorio danubiano compilato da Shan M.M. Winn[38]con numero di catalogo DS183. Infine il simbolo in questione viene catalogato come DS065.0 nell’insieme dei segni pittografici/ideografici identificati nella cultura materiale danubiana e inseriti nel DasDat[39]. Si riscontra il medesimo simbolo scolpito ben due volte, con tecnica a martellina, nella stazione rupestre di Lo Xorenga[40] sita nella regione iberica delle Asturie (Grandas de Salime). Il complesso si sviluppa in prossimità dei Tumuli de Canadeiro – Xestoselo per i quali l’inquadramento cronologico elaborato in letteratura propone una creazione durante l’Età del Bronzo[41]. La figura analizzata compare varie volte nella cultura materiale e nell’insieme geroglifico dell’Antico Egitto.
regolare media, la profondità del tratto ugualmente regolare media senza sbavature e una qualsivoglia traccia di contorno preparatoria. Attraverso lo studio dettagliato possiamo individuare una forma rotonda dei colpi incisori, con una profondità media da 0,6 cm a 1,0 cm, e una disposizione orizzontale degli stessi, ottenuta a percussione puntiforme tramite strumento di metallo, fianco a fianco con asse ortogonale alle superfici. Il confronto relativo alla natura dell’incisione contrappone chi ipotizza che il segno sia convenzionale e d’epoca recente[5] a chi invece ipotizza una natura mistica[6] fin dal momento del primo rinvenimento. L“auctoritas” accademica, attraverso la bibliografia specialistica, propende per una simbologia a carattere mistico ma si divide comunque in due orientamenti principali: uno per la definizione quale triangolo apicato l’altro per l’interpretazione del simbolo come la lettera semitica “daleth”. In questi due orientamenti si colgono due possibili prospettive di interpretazione: una incentrata sulla simbologia aniconica riferita ad una divinità e l’altra incentrata sul tentativo di riconoscervi un segno alfabetico greco - semitico[7]. Uno sguardo nel territorio più prossimo rispetto al segno descritto ha permesso, già negli anni ‘60[8], di individuarne un altro situato, nel comune di Sant’Antioco, a 280° di azimuth e circa 1600 mt di distanza dal tophet. In un’area archeologica ancora inedita denominata “Su Fattori[9]”, compresa tra una proprietà privata edificata e un terreno a macchia, emerge un pinnacolo riolitico[10] marcato da un triangolo apicato[11] i cui lati si prolungano verso Nord. Una piccola indagine, condotta da chi scrive, segnala ancora un numero discreto di tali simboli. Un esemplare di triangolo apicato, si segnala posto[12] sempre nel comune di Sant’Antioco (CI) e nella medesima area archeologica inedita, su una pietra affiorante[13] dal terreno, con azimuth di 282°, a circa 1484[14] mt dalla roccia del tophet, i cui lati si prolungano verso Sud.
Ancora nel comune di Sant’Antioco (CI), in località[15] “ Monte La Noce”, si individua un triangolo apicato, i cui lati si protendono verso Nord-Ovest[16], posto sopra un ampio macigno lastriforme ignimbritico[17]. Un altro contesto di rinvenimento del simbolo, scaturito a seguito dell’indagine, è una cupola ignimbritica[18] posta sempre nel comune di Sant’Antioco (CI) in località “Sa Perda ‘e s’Omini”[19]. Il triangolo apicato è situato in un’area prossima al cromlech “Sa Corona ‘e marroccus”[20] e presenta i lati lunghi rivolti verso Nord. E’ possibile osservare il simbolo apicato, ancora nel comune di Sant’Antioco (CI), sulla faccia superiore di un concio del Nuraghe Pruna. Tale monumento, elevato tramite la sovrapposizione di macigni di andesite basaltica[21], residua scoperchiato nella sua camera principale costituita da numerosi conci lastriformi, uno dei quali appunto presenta il simbolo[22] i cui lati si prolungano verso Ovest[23]. Infine si segnala la presenza del triangolo apicato, ancora una volta nel comune di Sant’Antioco(CI), ai piedi del paramento meridionale del complesso nuragico di S’Acqua e sa canna[24]. Il simbolo[25] venne inciso sopra una roccia affiorante di andesite basaltica[26] con i lati lunghi rivolti a Nord-Ovest. Il simbolo apicato viene segnalato ancora[27] sopra un concio del Nuraghe Barcilis[28] posto nel comune di Tratalias (CI). In ambito regionale è stato possibile osservare la presenza di un triangolo apicato nelle grotte carsiche di Seulo[29], dove una serie di indizi sulla presenza umana ha portato ad individuare delle digitazioni – delle incisioni – tracce di pigmentazioni ancora inediti. Ancora la presenza del simbolo apicato venne evidenziata durante lo scavo archeologico condotto sulla Tomba di giganti “Moru” di Arzachena[30]. Il simbolo venne inciso sul chiusino della tomba, rinvenuto infisso davanti all’ingresso, e tuttora viene inquadrato nell’epoca punica esclusivamente per un accostamento simbolico[31] anziché per rinvenimento in contesto stratigrafico. Le testimonianze in ambito regionale ci indicano la presenza del triangolo apicato in uno scarabeo in diaspro verde proveniente dalla tomba 125 della necropoli punica di Predio Ibba a Sant’Avendrace - Cagliari[32]. L’inquadramento temporale e culturale come fenicio o cartaginese non venne fatto sulla base di un contesto stratigrafico certo ma sulla comparazione con le tipologie catalogate nell’archivio del Museo di Torino[33]. Nella penisola italiana il simbolo compare a Pithecusa-Ischia in un anfora da trasporto importata da Rodi. Il manufatto, ora custodito nel Museo Archeologico (inv. 168279), venne rinvenuto nella tomba 575 della Necropoli di San Montano a Ischia dove costituiva la sepoltura a enchytrismos per un neonato di una famiglia di origine levantina. L’anfora, datata al 740 a.C., presenta un triangolo apicato, apposto probabilmente al momento dell’utilizzo tombale, interpretato come simbolo religioso levantino e di pertinenza funeraria[34] nonostante alcuni studi[35] sottolineino la sostanziale difficoltà nell’accettare una tradizione simbolica levantina sopra un vaso di origine greca. Uno sguardo più amplio mostra invece come nell’Europa danubiana preistorica compaia frequentemente il simbolo indagato, inquadrato cronologicamente in una forbice temporale compresa tra il 5200 a.C. e il 4000 a.C.[36], e venga incluso in diversi cataloghi. Il catalogo creato dal Prof. Harold Haarmann[37] descrive il simbolo come ideogramma altamente stilizzato di possibile origine naturalistica classificandolo come OE57. Ancora il simbolo in esame compare nell’inventario scriptorio danubiano compilato da Shan M.M. Winn[38]con numero di catalogo DS183. Infine il simbolo in questione viene catalogato come DS065.0 nell’insieme dei segni pittografici/ideografici identificati nella cultura materiale danubiana e inseriti nel DasDat[39]. Si riscontra il medesimo simbolo scolpito ben due volte, con tecnica a martellina, nella stazione rupestre di Lo Xorenga[40] sita nella regione iberica delle Asturie (Grandas de Salime). Il complesso si sviluppa in prossimità dei Tumuli de Canadeiro – Xestoselo per i quali l’inquadramento cronologico elaborato in letteratura propone una creazione durante l’Età del Bronzo[41]. La figura analizzata compare varie volte nella cultura materiale e nell’insieme geroglifico dell’Antico Egitto.
La prima
testimonianza si riscontra nella base di uno scarabeo[42] in steatite[43] inquadrato
cronologicamente nel Medio Regno (1786-1569 BCE); un’altra testimonianza si
osserva in uno scaraboide[44] e un vago di collana[45], i quali rovesci mostrano
il simbolo in esame circondato da una singola linea, provenienti da Medinet
Habu e riconducibili alla fine della XVIIIà Dinastia (1321 a.C circa)[46]. Il simbolo esaminato
viene inventariato da Gardiner[47] come geroglifico e gli
vengono attribuite le sigle V6 e V7 relativamente alla posizione, eretta o
capovolta, in cui si mostra. Il collocamento cronologico per tale simbolo viene
posto precedente alla reggenza della XVIIIà Dinastia[48]. La presenza del simbolo
si può riscontrare ancora nell’Africa mediterranea, nel complesso scrittorio
definibile come tifinagh[49] con la sigla di catalogo
2D33. Data l’ipotesi accreditata sinora di una eventuale influenza di pratiche
scrittorie fenice-puniche nella nascita del tifinagh,
di cui si è individuato gli elementi di accomunanza ma tra i quali non compare
affatto il simbolo in esame, si considera la nascita, l’esistenza di questa
scrittura come la rifunzionalizzazione di uno stock di vecchi segni autoctoni
nordafricani[50]. Questo complesso limitato di ideogrammi,
materiale grafico pre-protostorico che non esclude totalmente l’esistenza di
una forma embrionale di scrittura alfabetica, pare primariamente incentrato
nelle incisioni, nei segni identificativi, nelle decorazioni attraverso dei
segni magico-religiosi. Il simbolo analizzato viene segnalato all’interno del
complesso sacro di Ras il Wardija nell’isola di Gozo[51], in prossimità di un
altare in pietra, dove viene considerato, in maniera ardita, un contrassegno
dal significato sconosciuto e di origini orientali diffusosi sotto l’influenza
culturale punica[52].
La prospettiva interpretativa indirizzata a descrivere un segno alfabetico
greco – semitico pare, a parere personale in accordo con altri lavori[53], discutibile se
confrontata con vari corpi scrittori inquadrati come semiti[54], dove il simbolo non
compare affatto.
1 Gennaro
PESCE, Sardegna punica, a cura di Raimondo Zucca, Edizioni ILISSO, Nuoro 2000,
pag 120; reprints Gennaro Pesce, Sardegna punica, Edizioni Fratelli Fossataro,
Cagliari 1961,
2 Si sottolinea
che nelle prossimità della roccia è consolidato l’utilizzo di acque attraverso
una cisterna a del tipo a “bagnarola” e di numerosi “catini” rocciosi dove
nella stagione delle piogge si depositano ingenti quantità liquide (topon.
“Su Concai ‘e is pirixeddus”)
3 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
4 Giuseppa TANDA, Arte e religione della Sardegna preistorica nella
necropoli di Sos Furrighesos, Anela (SS). Sassari 1984 Editrice Chiarella. V. 1, 134 p.
5 Le modalità di
contrassegno dei punti geodetici tramite triangoli apicati non trova riscontro
né tra architetti e geometri né in seno agli operatori delle Direzioni
Demaniali.
6 Ferruccio
BARRECA, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Carlo Delfino editore, Sassari
1986, pag. 121
7 Anna Chiara
FARISELLI, Note di
iconografia punica in Sardegna. Il triangolo apicato, a cura di Carla Del Vais
in EPI OINOPA PONTON Studi sul Mediterraneo antico in
ricordo di Giovanni Tore, pag.540
8 Gennaro PESCE,
Sardegna punica, a cura di Raimondo Zucca, Edizioni ILISSO, Nuoro 2000, nota
35; reprints Gennaro Pesce, Sardegna punica, Edizioni Fratelli Fossataro,
Cagliari 1961
9 Area
recentemente venuta alla ribalta per ripetuti attacchi incendiari, protrattisi
per diverse stagioni, che hanno rivelato la presenza di un pozzo preistorico
ancora inedito.
10 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
13 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
14 Area dal
toponimo “Su solu” interessata da numerosi pozzi, di epoca preistorica e
storica, ancora inediti. Nelle immediatissime vicinanze transita parte dello
speco che collega un castellum acquae all’antica fontana romana di “Is Solus” rimarcando
ancora un probabile legame tra il simbolo inciso e la presenza di acqua.
16 L’area non pare
sinora interessata da emergenze archeologiche, si sottolinea comunque che il
terreno appare intensamente scassato ad uso agricolo e in ultima fase ad uso
rimboschimento. Nelle immediate vicinanze si segnala la presenza di un pozzo di
cui tuttora è impossibile tracciare un riferimento temporale.
17 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
18 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
20 Marcello
CABRIOLU Megalitos, in “Lacanas” 40 (2009), p.38
21 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
22 Si segnala la
presenza di un pozzo di origine preistorica addossato alla cortina meridionale
della torre nuragica.
24 Marcello
CABRIOLU, Nuraghe
polilobato in regione S’acqua e’ sa canna – impianto capannicolo, in Nota
preliminare di rinvenimento aree varie isola di Sant’Antioco prot 4747 del 29 giugno 2006
26 L.
MACCIONI-M.MARCHI-A.ASSORGIA, Carta geopetrografica dell’Isola di Sant’Antioco
scala 1: 25.000, Ed. I.G.M. 1990
27 Si ringrazia
calorosamente il Sig. Stefano PINTUS per la precisa segnalazione e per il
continuo supporto.
28 4330098,27N:462167,37E
GB
29
30 Angela ANTONA
RUJU – Maria Luisa FERRARESE CERUTI, Il nuraghe Albucciu e i monumenti di
Arzachena, Carlo Delfino Editore, Sassari 1992, pag. 81
31 Angela ANTONA,
Tombe di giganti in Gallura. Nuove acquisisizioni (pp.713-728),
in AA.VV., La civiltà nuragica. Nuove acquisizioni II, Atti del
convegno di Senorbì, 14-16/12/200, 2008 Grafiche di Parteolla, pag 217
32 Antonio
TARAMELLI, La necropoli punica di Predio Ibba a Sant’Avendrace, Cagliari (scavi
del 1908), in Scavi e Scoperte 1911-1917,Editore Carlo Delfino, Sassari 1983,
pag 110, fig. 68
33 Antonio
TARAMELLI, La necropoli punica di Predio Ibba a Sant’Avendrace, Cagliari (scavi
del 1908), in Scavi e Scoperte 1911-1917,Editore Carlo Delfino, Sassari 1983,
pag 108
34 Simone N. PORTA,
Da Levante a Occidente considerazioni su un contesto funerario pithecusano, in
Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di
Milano, Volume LXV – Fasc. I – Gennaio-Aprile 2012, pag 4 nota 7
35 J. BOARDAMAN,
Orientalia and orientals on Ischia, 1994, pp 95-100
36 http://www.prehistory.it/1.htm;
G.LILLIU, Arte e religione della Sardegna prenuragica – Idoletti, ceramiche,
oggetti d’ornamento, Carlo Delfino Editore, Sassari 1999, pag. 73
37 Haarmann H., Early Civilization and Literacy in Europe. An
Inquiry Into Cultural Continuity in the Mediterranean World, Berlino, New York, 1995
- Tab. 32 OEW5
38 Shan M.M. Winn, The inventory of Danube Script, XIII
Pictographs and Ideographs signs (observed in various script) DS 164-219;
http://www.prehistory.it/ftp/inventory/danube_script/danube_script_05.htm
39 Neo-Eneolithic
Literacy in Southeastern Europe: an Inquiry into the Danube, Biblioteca
Brukenthal XXXIII, Ministery of Culture of Romania and Brukenthal National
Museum, Editura Altip, Alba Iulia, pag. 461
40 Angel VILLA
VALDES, Sobre el significado de algunos grabados rupestres asignados a l’edad
del bronce in Asturias, c o n g r e s o
i n t e r n a c i o n a l d e a r t e r u p e s t r e e u r o p e a, file:///E|/gal/parte_b/ponencia11/ponencia.htm
(1 de 4)27/01/2006 9:52:18
41 http://www.parquehistorico.org/recorrido_pobladores.php?codigo=68
42 LACMA
M.86.313.36
43 K.M. COONEY – J.
TYRRELL, Scarabs in the Los Angeles County Museum of Art, part II, Catalogue
ISSN 1567-214X, PalArch.nl, archaeology of Egypt/Egyptology, 4, 2 (2005), pag.
87
44 OIM 14948
registration number, Eye 52e
45 OIM 14938
registration number, Eye 51m
46 Emily TEETER,
Scarabs, Scaraboids, Seals, and seal impressions from Medinet Habu, Oriental
Institute Publication volume 118, The Oriental Institute of the University of
Chicago, 2003 Chicago ILLINOIS, pag. 118
47 Alan GARDINER,
Egyptian Grammar: Being an Introduction to the study of Hierogliphs, Griffith
Institute, Oxford 1957, pag. 522, figg. 6/7
48 Cfr. Alan
GARDINER, Egyptian Grammar: Being an Introduction to the study of Hierogliphs,
Griffith Institute, Oxford 1957, pag. 522, fig. V8
49 The Unicode
standard version 5.1, Range 2D30 – 2D7F
50 Salem
CHAKER - Slimane HACHI, A propos de l’origine et
de l’age de l’ecriture Libyco-berbere, Etudes berbères
et chamito-sémitiques, Mélanges offerts à Karl-G. Prasse, (S. Chaker, éd.),
Paris/Louvain, Editions Peeters, 2000, p. 95-111.
51 Mario BUHAGIAR,
Two archaeological sites – Ras ir Raheb, Malta, and Ras il Wardija, Gozo, MelitaHist, 10, 1988, pp. 69-87
52 Cfr BUHAGIAR
1988, Preme sottolineare che pur rendendo onore alla indubbia levatura
scientifica dell’elaboratore, gli altri simboli incisi nell’impianto vengono
imputati ad altre culture ed altri periodi storici creando confusione tra le
cronologie e conseguentemente lasciando parecchi dubbi sull’attendibilità
dell’elaborazione del simbolo in esame.
53 Anna Chiara
FARISELLI, Note di iconografia
punica in Sardegna. Il triangolo apicato, a cura di Carla Del Vais
in EPI OINOPA PONTON Studi sul Mediterraneo antico in
ricordo di Giovanni Tore, pag.539
54 Maria Giulia
AMADASI GUZZO, Iscrizioni
fenicie e puniche in Italia, Libreria dello
Stato IPZS, Roma 1990,
pag.29; Piero BARTOLONI, I fenici e i cartaginesi in Sardegna, Carlo Delfino
Editore, Sassari 2009, pag. 214 fig. 119; Enrico ACQUARO, I fenici fra Oriente
e Occidente, Edizioni Guidotti, Cinisello Balsamo 2003, pag.14
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