La Stele di Nora, traduzione di Josè Stromboni
Nel 1773, nella campagna di
Pula, vicino a Nora, nell’estremo sud della Sardegna, fu scoperta da un certo
Giacinto Hintz una stele che porta ormai il nome di questa località.
Esposta nel museo di Cagliari (1).
Risale circa al 1000 a.C. ed è considerata la più antica scritta del
Mediterraneo occidentale.
Fin dalla sua scoperta, è
stata oggetto di numerosi tentativi di traduzione, ma come sottolineato da
Salvatore Dedòla: «numerosi ricercatori, fra i più celebri, si sono cimentati
nel proporre una traduzione. Fra gli altri Giovanni Semerano, però tutti quei tentativi hanno dato
luogo a versioni così radicalmente diverse tra di loro che il mistero rimane
intero» (2)
Ne risulta che a tutt’oggi, il
testo è considerato come «ermetico». Le parole, essendo scritte senza spazio di
separazione, fanno passare la stele per un enigma. Chi ipotizza l’inaugurazione
di un edificio, chi la creazione della città di Nora o l’edificazione di un
tempio, chi la commemorazione di una vittoria militare o di un’offerta votiva,
chi la celebrazione di ambasciatori, o di un re. Nessuna di queste ipotesi
risulta convincente per mancanza di prove scientifiche.
La stele di Nora si presenta
sotto una forma classica allungata. Sarebbe stata riutilizzata in una
costruzione e avrebbe, per l’occorrenza, subito qualche modifica, operazione
che l’avrebbe alquanto ridotta. Essa è oggi alta 1,20 m. e comporta, nella
parte inferiore un tenone destinato a fissarla. Essa è di stessa natura delle steli
rinvenute a Ras Shamra (Siria), nome contemporaneo dell’antica città di Ugarit.
In effetti queste steli sono di forma identica a quella di Nora, soprattutto
quella dedicata al dio Dagone oppure quella detta di «Baal dalla Folgore».
I rapporti marittimi con
l’Oriente sono stati a lungo sottovalutati. Eppure il porto di Ugarit porta un
nome di origine sumerica particolarmente suggestivo: Mahadu oppure Hamadu, che
significa in quella lingua «la nave del Levante». Questo nome di «Levante» è
usato ancora oggi per indicare il Medio Oriente, e questa traduzione si può
intendere solo rispetto alla designazione che possono farne uomini che si
trovano ad Ovest, dunque nel Mediterraneo occidentale.
La stele di Nora è incisa in
fenicio antico, otto righe scritte da destra a sinistra e dall’alto in basso,
un totale di quarantacinque lettere. L’erosione del tempo ha spinto i
ricercatori ad evidenziare la scritta con della vernice in modo da farla
risaltare e poterla sfruttare meglio. Nel complesso l’operazione risulta
riuscita bene, tuttavia se si tiene conto dell’originale, sembra che, durante
l’operazione, alcuni particolari siano sfuggiti agli autori dell’intervento.
Vedremo più avanti che ciò assume un’importanza non trascurabile.
Ci troviamo di fronte al primo
sistema di scrittura alfabetica in cui ogni parola è scomposta in suoni. Le
lingue semitiche hanno la particolarità di comportare poche vocali, eppure
l’accadico ne possedeva qualcuna. Questo testo è dunque composto da consonanti
con tuttavia una vocale, la a. Questa lettera viene spesso sostituita da una
semplice virgola per indicare una vocalizzazione all’inizio di una parola o per
indicare, tra due consonanti, una doppia vocale. Basato sull’alfabeto fenicio,
l’alfabeto greco reintrodurrà le vocali.
Si è tutti concordi nel dire
che l’alfabeto utilizzato è il primissimo, quello fenicio antico (1200 a.C.).
Conviene osservare quanto il fenicio sia vicino all’accadico. Così, il modo di
leggere le cifre da uno a dieci è quasi identico. Ragione per cui, è opportuno
ricercare nel lessico accadico (3) le parole che comportano le consonanti
corrispondenti. Questa ricerca si è rivelata fruttuosa.
Il testo inciso sulla stele
presenta una particolarità – presente tutt’oggi nel tedesco -, quella di non
comportare cesura tra le parole. Ed è, per l’appunto, questa sequela di
consonanti che genererà una fantasia fertile in interpretazioni.
Ora, secondo le nostre
ricerche (4), l’enigma può essere delucidato solo analizzando le lingue
semitiche a cui appartengono, secondo le conclusioni delle nostre ricerche, il
còrso e il sardo. Kamal Salibi sottolinea che conoscere una di queste lingue
permette di praticarne altre (5). Non faremo fatica a confortarlo in
quest’analisi affermando di aver trovato la chiave di questo testo nell’ambito
della lingua còrsa e della sua pratica.
Numerosi traduttori concordano
su una parola della terza riga: ŠRDN, che bisogna scrivere per comodità da
sinistra a destra. Questa parola indicherebbe la Sardegna.
Alcuni ricercatori individuano
gli Shardan con la città di Sardi in Lidia. Eppure su un'iscrizione bilingue di
epoca persa Sardi viene chiamata "sefarad" (sfrd) nella sua parte
aramea così come in Abdias, 20, e non srdn (6).
Altri considerano che si
tratti di un vero toponimo. Ma l’elemento più importante è, senz’altro, la Š
che segue questa sequela di consonanti e che la maggior parte degli studiosi
considera come appartenente alla parola successiva. Non condividiamo questo
parere poichè è ciò che appunto permette di affermare che siamo in presenza di
un toponimo, anche se alcuni linguisti puri e duri, considerano che
nell’accadico questa Š non può trovarsi alla fine ma deve necessariamente
trovarsi all’inizio di una parola. Essi pensano che la collocazione alla fine
sarebbe da attribuire a una formazione linguistica tipica occidentale che non
trova riscontro nell’accadico abituale. Questa osservazione conforta tuttavia
l’opinione degli occidentalisti, coloro che vedono nel Mediterraneo
un’inversione delle influenze, un ruolo preponderante dell’Occidente
sull’Oriente.
Ma possiamo per tanto
rifiutare la Š come pronome relativo definito che può anche assumere il
significato di « quello di = abitante di » (7)? Carine Bianconi (8), nella sua
pratica delle lingue sumerico-accadiche suggerisce: «E se shardan, fosse
sha-rdn?». In questa ipotesi, ci converebbe allora prendere in considerazione
la parte significativa rdn. Il Labat propone una sola parola che comporta
d’altronde solo le prime due consonanti. È la parola rèdu che significa
«seguire la direzione, soldato, scorta».(9) Con sha-redu vediamo comparire
chiaramente il nome sardu è lo stesso in lingua ittita “sardiya” vuole dire:
aiuto, rinforzo (militare).
È vero che troviamo menzionata
l’alta nomea degli Shardan negli scritti egizi in cui vengono qualificati di
militari incomparabili. Essi sono sempre rappresentati con grandi spade più
alte di tutte le altre, ed è cosa nota che le due isole possedevano un’ottima
conoscenza della tecnologia del metallo.
Secondo Sallustio, sono
contingenti di militari a servizio di Cartagine, i quali, in Sardegna, si
sarebbero ribellati per una storia di spartizione di bottino. Pausania sostiene
la stessa teoria nei loro confronti: «si ammutinarono e partirono ad abitare
nelle montagne» (10).
Mercenari in Egitto, mercenari
a Cartagine, mercenari a Ugarit, a Byblos. E’ per queste due isole, una grande
e antica tradizione militare che si perpetuerà attraverso le età. È anche il
caso della Corsica militare con i suoi condottieri del medioevo. Come non
citare Sampieru Corsu, gli ammiragli Bartolomeu Peretti per il Vaticano, Dumenicu Paganelli a Venezia
e tanti altri, senza dimenticare la lunga tradizione dei reggimenti di Còrsi al
servizio dei papi e quell’infatuazione per le carriere militari e la passione
per le armi perpetuatasi fino ai nostri giorni.
“Trincerati nelle stesse
montagne, gli Iolei raggiunsero i Còrsi e i Balari per lottare vittoriosamente
contro i Romani”, secondo Diodoro Siculo. Dal canto suo, Pomponio Mela afferma
e in modo categorico che questi ultimi «sono il popolo più antico di Sardegna».
In una pubblicazione collettiva (11), gli esempi di attività militari sono
impressionanti ed evidenziano molto bene questa particolarità delle due isole.
Questa parola rédu conferma il
significato di Shadan, pur evidenziando le tappe della formazione di questo
nome. Se in lingua còrsa, Ghisonaccia significa «quelli di Ghisoni», ŠRDNŠ
significherebbe dunque «quelli di Sardegna», ricordando che questa N poteva
essere letta sia ne che gne. Lo abbiamo verificato con Kanam e Cagna (12). Allo
stesso modo il dio Dagone viene scritto sulle tavolette di Ebla e di Ugarit dgn
e in accadico Dagana, (da-ka-na), secondo le pratiche abituali di pronuncia che
trasformano il suono k in g ,
« quello di Cagna » si
pronuncia «da Gagna» e ritroviamo molto naturalmente il Dagana accadico. In
lingua ebraica, la parola gana indica il giardino, e nella bibbia ebraica il
quarto fiume dell’Eden viene chiamato gn ’dn, vale a dire gana eden o meglio
ancora il «grande fiume o giardino di Cagna».
Sempre sulla terza riga, la
prima lettera, sotto forma di un triangolo con una piccola coda verso il basso,
b, è la B dell’alfabeto fenicio antico. Siccome La P è assente, questa B per il
suo grafismo inversato rappresenta anche una P.
Questa B o P rivela la chiave
del testo poichè la ripetizione di questa lettera suggerisce una cesura tra
numerose parole e facendo un collegamento con la lingua còrsa, questa Ba o
meglio Pa, si ritrova frequentemente in questa lingua, significa «per». Così,
quando si dice «per gli uni o per gli altri» la lingua còrsa traduce « pa l’uni
ho pa l‘altri». Così, PŠRDNŠ (Pa Šardanaša) va tradotto «per quelli di
Sardegna». Questa Pa è una formula molto antica, la verifichiamo nel Labat che
propone in sumerico BA –PA che significa «dare, offrire (13)». In un altro
contesto può significare di «foglia» e di «mano», la mano assimilata ad una
foglia, estesa anche alla nozione di misura «u palmu», cosί come alla foglia
della palma e alle zampe degli animali «palmati». In lingua còrsa, viene utilizzata
la parola «patonu» che significa «ceffone».
Ben si tratta della mano che
«dà»; ciò che conferma con esattezza il senso di «per». Inoltre questo Pa è
anche la prima lettera, in alto a destra della scritta. Nonostante
l’alterazione della stele a quel livello, l’immagine del testo è abbastanza
significativa per poter prendere in considerazione una Pa.
Considerando ciò che è stato
appena detto, la parola della prima riga: PTRŠŠ potrebbe essere vocalizzata «Pa
Tarašaša», cioè «Per quelli di Taraša».
Arascia è in effetti quella
parola unica, quell’apax che Virgilio cita una sola volta (14) sotto la forma
«mater Aricia» per designare la patria degli Etruschi. D’Arascia, è il nome
che, secondo le nostre ricerche, come indica il paese a sud della Corsica, «quelli
d’Ara», che designava sicuramente al tempo degli Etruschi tutta l’Isola. È
questo stesso nome di Arache è all’origine della parola Aratta, questa signoria
dell’alta antichità che precede Sumer e che ritroviamo nelle Bibbia sotto la
forma di Ararat. AR, che significa «brillante», e dà «la brillante Aratta»
(15).
Come non fare un collegamento
tra TRSS e la parola Tarshish che si trova nella Bibbia ebraica (16) che
recita: «le navi di Tarshish» oppure «i re di Taršiš e delle isole pagheranno
il tributo (…)» (17), brano interessante che sembra anch'esso situare questo
regno in terra ferma, poichè sembra differenziare le isole. Questo nome ci
interpella anche perchè designa gli Etruschi se viene vocalizzato in
"Tursha" ciò che i Greci chiamano tyrsenoi, i Tirseni che chiamavano
anche i Tirreni. Quest’associazione dei territori evoca dunque una reale prossimità,
ciò che è il caso dell’Etruria, della Corsica e della Sardegna.
Strabone, disprezzante nei
confronti degli abitanti delle isole, indica che i re etruschi erano sardi:
"Reges soliti sunt esse etruscorum, qui Sardi appellantur" (Festo) o
ancora: "Quia Etrsca gens Horta est Sardibus" (Ludi capitolini). Di
fronte a rapporti così numerosi tra Etruschi e Sardi possiamo pensare che TRŠŠ
può essere letto Tursha dunque Tirseni va tradotto "quelli di Tirsu"
con le consonanti nella giusta collocazione.
I Greci in difficoltà con le
parole composte da sole consonanti, vi avevano integrato delle vocali. Nel caso
presente, precisano questo nome poichè la vocalizzazione diventa più complicata
per i toponimi, e lo è meno per i sostantivi della lingua corrente. Si verifica
così la realtà delle consonanti per TRŠŠ con la parola attuale
"Tirsesi", "quelli del fiume Tirsu".
Si tende a sottovalutare
l'importanza dei fiumi nell'antichità, eppure sono i luoghi preferiti per gli
insediamenti delle popolazioni. Questi insediamenti si possono verificare in
Corsica quando Tolomeo nomina i dodici popoli dell'isola. Quelli della valle
del Taravu, ad esempio, vengono chiamati "Tarabenoi". Lo stesso
procedimento vale per "Tirsenoi".
Tirseni è dunque il nome che i
Greci danno agli Etruschi (18). I Greci, ben collocati geograficamente, non
hanno mai parlato di Tirseni in Lidia. La famosa città di Sardi si chiamava in
realtà sfrd, Sefarad. Si deduce che dietro alle denominazioni Tirseni e Sardi
in realtà si nasconda lo stesso popolo.
Ramesse II incorporò gli
Shardana e i Tirseni nella propria guardia. Sono chiamati Tirseni anche coloro
che si insediarono in Andalusia, e Denei, uno dei Popoli del Mare, sono da
collocare nella regione conosciuta oggi col nome di Denia. L'ovest della Sardegna
è rivolto verso la Spagna orientale e Le Baleari. Come abbiamo già verificato
spesso, Tirreni e Tirseni presentano una toponimia speculare, gli uni a est e
gli altri a ovest della Sardegna. I dati geografici meritano una riflessione
sulla configurazione e sulla toponomastica dei luoghi.
Il fiume Tirsu, il più
importante dell'isola, segna il confine tra il Nord e il Sud della Sardegna.
Esso possiede una eccezionale qualità: consente lo stazionamento delle navi
grazie alla configurazione della sua foce. L'area formata dall'estesa baia di
Oristano, e dagli stagni intorno, è ideale per accogliere flotte navali, e il
Capo San Marco le ripara dal libeccio. Questo sito ha un nome, Porto Vecchio,
identico a quello corso di Porti Vecchju, anch’esso un riparo naturale di
grande importanza.
Questa lunga lingua di terra
del Capo San Marco è archeologicamente legata col sito fenicio-punico di
Tharros, città che presenta molti resti di costruzioni nuragiche. È proprio di
fronte a Tharros che si trovano Oristanu e il Monte Arci, un monte che fornì
per millenni l'ossidiana, confermando la permanenza di una forte attività umana
nella regione.
Una lunga polemica verte sulla
posizione geografica di Tartesso. La localizzazione di questo territorio turba
i ricercatori: si passa dal Mediterraneo
all'Atlantico, eppure alcuni di loro pensano, a buon diritto, alla Sardegna.
Avieno (VI a.C.) nella sua
opera "L'Ora Marittima" descrive questo territorio. L’Antonelli,
nella sua opera “Il periplo nascosto”, riferisce di un fiume associato ad altri elementi del
paesaggio come : "lo stretto di Tartesso", "le sponde del
Tartesso", "il golfo di Tartesso", "il monte
tartessico", "l'isola dominata da quelli di Tartesso", e
"dei confini di Tartesso". L'elemento interessante sembra essere l'indicazione
di "fiume" che compare come voce principale in numerose fonti
antiche. Questo fiume sembra avere un ruolo importante poichè Strabone (19)
descrive un fiume con due sorgenti che sgorga da una "miniera
d'argento", e precisa che "sulla terra di mezzo" una città porta
lo stesso nome del fiume con un ambiente fatto di stagni, ed evoca "le
acque poco profonde e calme". Secondo Stesicoro, le due sorgenti di questo
fiume Tartesso erano di fronte all'isola di Erytheia (`rs), o la stessa isola
si trovava accanto alle sorgenti di questo fiume.
Tutte queste indicazioni
corrispondono con esattezza al fiume principale della Sardegna, ecco perchè
Tartesso altro non è che il Tirsu. Questo fiume nasce a Nord-Est e due fiumi
identici possono pretendere esserne la sorgente, quello chiamato Tirsu e il suo
affluente Mannu, identici in lunghezza e in quota, sorgendo rispettivamente a
m. 880 e m. 850.
L'isola Erytheia (`rs), è la
Corsica, "quest'isola fortunata" come scrive Eratostene "al
largo delle rive Etrusche, l'isola dei beati", e secondo Orazio al di là
delle rive Etrusche (16, 40-42), la "mater Ariscia" di Virgilio,
"L'oceano che abbraccia tutto, ci aspetta; e andremo alla scoperta delle
isole felici e dei beati demani". Orazio si abbandona (43 a 56) a una
descrizione entusiasta del Paradiso terrestre con il verso 64: "queste
rive Giove le ha riservate ai Giusti".
Per quanto riguarda Esiodo,
poeta greco dell'VIII a.C. e osservatore privilegiato della sua epoca, egli dà
un'indicazione essenziale nelle righe 1015-1016 della sua Teogonia:
"Coloro che lontanissimo, in mezzo alle isole sacre, regnavano su tutti,
gli illustri Tirreni".
Questa dichiarazione riassume
ciò che questo testimone privilegiato conosceva del proprio tempo e anche prima
dell'VIII secolo. È il periodo d'oro dei Tirreni, chiamati anche Fenici;
circumnavigarono l'Africa, navigarono nell'Atlantico e verso il Mar Baltico.
Avendo raggiunto una fama mondiale, suscitavano la gelosia di altri popoli.
Erytheia (`rs), è dunque
l'isola dei Giusti, verrà anche chiamata Kittim. Ed è quest'isola che si trova
un po' più in là, a nord, verso le due sorgenti, vista ovviamente da Oristanu.
Ma come può un'isola trovarsi accanto alle sorgenti di un fiume?
Le sorgenti del fiume nascono
"dal Monte d'argento" come testimonia Pseudo Scimmo: il monte delle
sorgenti del Tirso è il ben nomato Monte Gennargentu. D'altronde la "terra
del mezzo" dove si trova la città è semplicemente la penisola di Tharros:
"terra in mezzo...al mare", "che va in mezzo al mare",
certamente qualificata anche "isola in mezzo al mare occidentale",
che offre alle navi una rada ben riparata, zona marittima che porta il nome
sorprendente di Mare Morto, con una località chiamata Porto Vecchio.
In realtà i nomi Tartasso,
Tursha, Tarshish, Tirsene e Tirsu hanno tutti un punto comune: le consonanti,
che a seconda della pronuncia greca, romana o semita, verranno vocalizzate
e trascritte lasciando libero corso alle
più diverse interpretazioni, a volte, fantasiose.
In effetti, le Ş Š, S possono
essere vocalizzate foneticamente in /tse/, sce, /esse/.Conviene notare però che
il suono /tse/ si applica tanto alla Ş che alla Ţ basta verificarlo con la
pronuncia eventuale di Tirsu oppure Tirtzu (20) . È ciò che sarà successo con
TRSS in cui la prima S, tenuto conto della possibile pronuncia, avrà potuto
trasformarsi in T, e, a maggior ragione, se dai documenti scritti all'origine,
l'eventuale punteggiatura è sparita in seguito.
D'altronde se ci si riferisce
al sumero ZI e TI presentati anche Ţ, possono avere la stessa pronuncia / tse/.
Senza dimenticare di far notare che il nome Tirsu lascia apparire un certo
rapporto con Tyr in cui /su/ o /zu/ in finale ricordano molto l'Absu,
quest'oceano dell'Ovest, un'indicazione geografica, "là dove tramonta il
sole". Bisogna ricordare che Tyr, nella Bibbia ebraica si scrive şr, ciò
che conferma il nostro approccio e ciò che scrive Tito Livio: "Gli
Etruschi, grazie alla loro fiorente civiltà, diedero al "mare inferiore il
nome di Tirreno..."
Per confortare questa
dimostrazione, bisogna aprire uno dei libri del Vecchio Testamento.
Il regno D'Israele, al momento
dello scisma, si dà per capitale una città chiamata Tirça (21). Le tribù del
nord, che scelgono questa capitale, per una cinquantina d'anni, dopo la morte
di Salomone, dicono ch'essa era il pendant di Gerusalemme. E del resto come
intendere: Sion, lontana a nord, se questo nord non è anche una designazione del
Mediterraneo occidentale?
È detto che Tirça o Thirsa era
una città importante nei IX e VIII a.C.
Tirça la "bella", ha
tutte le parvenze di Tharros dunque "quella del Tirsu" e il regno del
nord è dunque quello delle Baleari al limite del regno di Giudea (Iolei).
Citiamo volentieri su questo
punto Kamal Salibi: "I discendenti di Salomone regnavano come re di Giuda
a Gerusalemme, mentre i loro rivali, i re d'Israele, risiedevano a Tirça. Nel
celebre verso del Cantico dei Cantici: "sei bella, amica mia, come Tirça,
splendida come Gerusalemme, terribile come un esercito con stendardi", la
menzione parallela dei due nomi nella stessa frase indica il riconoscimento
dell'identità di statuto delle due città. Tale identità di statuto non poteva
esistere ai tempi di Salomone. (22)
Non è forse scritto che
"il ventesimo anno di Asa, re di Giuda Ela, figlio di Basha diventò re
d'Israele a Tirça per due anni" (23).
Quando ho avuto l'occasione di
visitare l'incomparabile sito di Tharros, ho capito che il centro del mondo occidentale
era proprio lì, grandioso, e questa Tharros altro non era che Tirça, il suo
vero nome, alla foce del Tirsu, bel nome di donna in effetti. I tirseni
trovandosi anche in Andalusia, dunque in Spagna, il disprezzo manifestato per
la Sardegna e la Corsica sul piano storico, ha sistematicamente fatto preferire
i continenti alle isole. Eppure le civiltà vengono più spesso dalle isole e non
dai continenti. Bisogna invertire il senso della storia.
Tutte queste considerazioni
permettono di dire che la prima parola della stele di Nora TRŠŠ è veramente
quella che bisogna ritenere: tirsesi, "quelli di Tirça". Non c'è
dubbio, per l'importanza della sua posizione eccezionale al centro del
Mediterraneo occidentale, è questa città che ha dato probabilmente dei re Etruschi.
Argantonio è il re del Tirça al momento dell'arrivo dei focesi in Corsica e il
racconto fatto da Avieno, sullo spostamento di questi ultimi al paese di
"Tartesso" prende allora tutto il suo significato.
D'altronde, è nella valle
superiore del Tirsu che è situata la città di Orani dove fu trovato un coccio
che porta una scritta parziale ma per quello che si può verificare, identica al
contenuto della stele di Nora, in particolare la prima parola TRŠŠ, come lo
prova la foto. Sono visibili anche una parte della seconda riga e una parte
della quinta riga, ciò dimostra senza dubbio che siamo veramente in presenza
dello stesso testo.
La prima parola sembra
corrispondere al Tirsu. Nella misura in cui vi è sempre una passerella tra Š, S
e Ş la cui pronuncia varia dalla / sce /alla banale / se/ e alla / tse/ per
l'ultima, ciò ha dato i sin ebraici שׁ, שׂ, שּׁ, שּׂ più tardivi, in cui dei punti
sono stati aggiunti, e condizionano la pronuncia. Così il nome di Sinis ben si
trova in questa zona e designa le popolazioni residenti dell'area geografica
che determina questo bacino fluviale, quelli del Tirsu, i Tirsesi.
Le ricerche del canonico
Giovanni Spano sul sito di Tharros nell'Ottocento hanno rivelato l'importanza
archeologica della città antica. Il disegno e la scritta di un anello che porta
insieme la menora, a sinistra, una piantina, forse di bosso, a destra, il corno
del shofar. Questo strumento musicale serve per i segnali, di richiamo, diremmo
oggi, sembra giocare lo stesso ruolo della conchiglia còrsa: u cornu. Vi è
soprattutto la scritta IVDA la quale, da sola, dà una dimensione inaspettata a
questa regione. Quest'anello proviene da una tomba punica, qualificata anche di
semitica. Sul sito di Tharros è stato rinvenuto un pavimento musivo attribuito
a un tempio che dicono più tardivo.
Purtroppo, dopo gli scavi e le
scoperte straordinarie fatte da un gruppo di ricercatori inglesi, più di
cinquecento tombe furono sventrate e saccheggiate. La città di Tharros fu
abbandonata, dicono, nel Duecento, troppo esposta agli attacchi barbareschi, le
popolazioni si spostarono a Oristanu. Tuttavia disponiamo di una testimonianza
eccezionale, quella del viaggiatore arabo Ibn Gubair. In seguito a una violenta
tempesta, la sua nave si rifugia nella baia di Tharros nel marzo 1183, ed egli
constata che si trova in presenza di rovine che a quell'epoca egli qualifica di
"rovine antiche".
Veniamo alla seconda riga col
gruppo di lettere NGRŠHA. Per NGR, il Labat (24) prende in considerazione la
parola accadica nagiru che significa: l’araldo (del palazzo). Per quanto
riguarda ŠHA, la lingua còrsa dispone dello stesso tipo di finale, ciò dà:
nagiruchijaja. Per indicare la «totalità dei loro parentadi», le famiglie
Maroselli di Rutali, nel nord della Corsica, utilizzano volentieri la parola
Marusellaghja. Il che permette di proporre la traduzione seguente: «la totalità
degli araldi» oppure, se si tiene conto del contesto ambientale, «le trombe
della Fama».
È certamente la realtà poichè
i nagiru, "gli araldi del palazzo" imboccavano trombe come lo dice
d'altronde Eschilo, che si fa eco della leggenda secondo cui i nostri Tirseni
sono in effetti gli inventori di questi strumenti musicali (25).
La quarta riga comporta un
gruppo di lettere in cui compaiono due parole di stessa natura, la seconda
parola prosegue sulla quinta riga, LMHAŠ e LMS. Lamahušu (vestiti di gala) (26)
e LMS lamassu (divinità protettrice).
Derivati dalla parola sumera
LAMA, i lamassu sono divinità protrettrici accadiche guardiane delle porte dei
templi e dei palazzi reali ; hanno dato il loro nome alle famose statue
monumentali assire e achemenidi collocate all’ingresso di quei monumenti che
hanno un corpo di toro alato con testa umana.
Proponiamo dunque la
traduzione seguente: "i Lamassu (dèi protettori) con vestiti di gala".
La quinta riga prosegue sulla
sesta fino alla cesura successiva sempre formata da una Pa. Le due parole
seguenti sono anch’esse interessanti: AML e KTN, che suggeriamo di leggere
amilu kitin la cui traduzione sarebbe «gli uomini di Kittin » o ancora «gli
uomini del paese dei Giusti». I Kittim sono ben noti nella Bibbia e sono citati
anche negli scritti del Mar Morto, in particolare nel "Rotolo della guerra
dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre" in cui possiamo
verificare che come sulla stele di Nora essi sono nominati appunto Kittim: «In
quei giorni il giusto fiorirà e la pace sarà grande fin quando non ci sarà più
la luna» (27). Diodoro Siculo I a.C. ha
notato lo spiccato senso della giustizia dei Còrsi: «Gli abitanti di
quest’isola…vivono insieme secondo le regole della giustizia e dell’umanità
contrariamente ai costumi di quasi tutti gli altri barbari…Del resto in tutte
le circostanze della vita essi coltivano la pratica della giustizia» (28). La
Corsica è proprio il paese dei Giusti, il paese dei Kittim.
In genere, gli storici credono
di vedere in questa «potenza dell’ovest» i Romani, pur con qualche riserva. Con
lo scienziato Bochard (29), per quanto ci riguarda, saremo del parere che
questo popolo può essere solo quello dei còrsi. La presenza dei Kittim su
questa stele è importante, scarta definitivamente l’ipotesi che si tratti dei
Romani, poichè questa rivelazione li posiziona molto più in là nel tempo
associandoli ai Tarshish, i quali anch’essi, vengono citati numerosissime volte
nella Bibbia.
Ci si può interrogare sulla n
finale della parola kittin, versione presa tuttavia in considerazione dagli
ispanici. Questa n va interpretata come il na di Shardana per spazio, regione.
La m proposta dalla Bibbia è di certo solo un’indicazione di plurale.
Il Dizionario della Bibbia
(30), alla parola "luce" fa naturalmente il legame tra questa parola e
"fuoco" che in sumero si dice IZI e ZI e TI; questi tre fonemi
utilizzati insieme designano ciò che punge. Se la parola KI, nella stessa
lingua significa "posto, luogo o paese", come non ritenere questa
formula: "luce delle nazioni" (31). È ancora un'altra interpretazione
di Kittim.
La parola seguente,
brevissima, comincia alla fine della sesta riga e finisce sulla settima: PNŠ,
per la quale proponiamo Pa Naše, ciò rinvia alle parole accadiche nišu onaše,
«quelli che nascono» oppure «il popolo». Che traduciamo: «Per il popolo» per
rimanere in una formula che si armonizza bene con lo spirito dell’epoca, diremo
«per i vivi». Un’espressione che fa pensare a un modo di dire in lingua còrsa,
«chi nasce, pasce», vale a dire «colui che nasce mangia» per vivere (32).
Eccoci arrivati alla settima
riga con questo gruppo di lettere: PNNHRD che proponiamo di scomporre in tre
parti P NNH RD. Abbiamo notato sulla foto della stele che alcune lettere erano
solo parzialmente sottolineate come la penultima di questa riga. Non è dunque
una G che va letta ma la H semitica. Lo stesso si dica per l’ottava riga, dove
la seconda lettera è ovviamente la P delle cesure. Si può proporre «Pa nanaha
redû», che può essere tradotto con «per che continuino i cicli della luna» in
cui nana è la luna e redû un verbo che significa : «proseguire, continuare,
seguire la direzione». Nel senso "continuare" o "soldato e
gendarme", la parola redû fa chiaramente apparire un rapporto con la
traiettoria del disco solare. In Bretagna sotto il tumulo contiguo agli
allineamenti di Carnac, nella camera centrale, l'unica pietra incisa comporta
una moltitudine di linee concentriche che possono essere interpretate come
rappresentando una moltitudine di traiettorie del sole o della luna, ciò che
sarebbe in rapporto diretto con questa frase della stele di Nora.
Il dio della luna nuova nanaru
era venerato e riceveva delle "offerte dette del novilunio". Il
popolo ebreo è «un’alternanza di luce e di oscurità» ed ogni luna nuova è oggetto di una preghiera
di ringraziamento" (34).
L’ultima parola bnE è
preceduta dalla P (Pa), seguita da NY. Nel Labat (35), una sola parola
corrisponde a questo gioco di consonanti e lo prenderemo in considerazione:
nuhšhuche significa ricchezza, abbondanza, e ciò quadra perfettamente con lo
spirito della stele (36).
La Š finale poteva apparire
come un’estrapolazione, ma osservandola più da vicino, un’altra lettura della
stele ci fa constatare un lieve tracciato che può essere identificato come una
s , la nostra Š sarebbe dunque ben presente.
Alla luce dell’insieme delle
osservazioni precedenti, ecco la traduzione del testo della stele che
proponiamo:
« PER QUELLI DEL TIRSU, i
TIRSESI (i TURSHA, gli Etruschi) :
« LA TOTALITÀ DEGLI ARALDI (Le
trombe della Fama)
« PER QUELLI DI SARDEGNA :
« LAMAHAŠU, LAMASSU (dèi
protettori)
« PER GLI UOMINI DI KITTIN (il
paese dei Giusti)
« PER I VIVI
« PER LA PERENIZZAZIONE DELLE
LUNAZIONI
« PER L’ABBONDANZA ».
Il testo di questa stele, di
cui sono state utilizzate tutte le lettere, corrisponde praticamente ai brani
della Bibbia (37) poichè ne conserva l’idea generale. Esso mette sotto una
nuova luce molto interessante i rapporti tra « le isole occidentali » e il
bacino orientale del Mediterraneo ai tempi di Salomone, figlio di Davide, che
regnò dal 970 al 931 a.C., secondo le datazioni proposte, ciò corrisponde
all’epoca in cui questa stele è stata incisa. Non solo il nome di Sardegna
sembra accertato ma compaiono anche il nome degli Etruschi e quello dei Kittim;
sono quest’ultimi i quali «nelle loro isole», «insulæ italiæ», rappresentano i
Còrsi.
L’ordine preso in
considerazione in questo testo lascia apparire una classifica dei popoli
citati. In testa troviamo gli Etruschi poichè godono di maggiore
considerazione, vengono quindi i sardi oggetto di un’attenzione particolare,
per quanto riguarda i Kittim, arrivano al terzo posto, vengono solo menzionati,
ciò corrisponderebbe alle realtà geopolitiche dell’epoca, una Corsica
indebolita dall’Esodo di cui parleranno Sallustio e Pausania. Si tratta quindi di
una popolazione dissanguata da una migrazione massiccia verso la terra ferma,
verso l’Etruria, dove le floride miniere di Toscana attrarranno le popolazioni
della Sardegna ma soprattutto quelle della Corsica. Questo crollo demografico
dalla duplice causa – la natura avendo orrore del vuoto - attrarrà i Greci, e
ciò sarà all’origine della crisi di Aleria. Con queste tre popolazioni siamo in
presenza di un asse nord-sud di potenze occidentali, un asse che in quella
battaglia di Aleria (38) sarà all’origine di un’alleanza con gli Etruschi e i
Cartaginesi, come lo testimonierà più tardi Erodoto (39).
La data approssimativa di
questa stele è importantissima: X a.C. Quei tre popoli sono già perfettamente
insediati. Nella vocalizzazione data dalla Bibbia, essi compaiono sotto il nome
di Tarsis o Tarshish (Tarashasha), mentre sulla Tabula di Cortona portano il
nome di Lariš.
Perchè Lariš et Taršiš?
Per avanzare una spiegazione
sceglieremo deliberatamente l’esempio di un patronimo di Sartène : Arasciani.
Esso rappresenta, a parer nostro, la commovente testimonianza di quell’epoca
remota in cui gli Etruschi dicevano di chiamarsi Rasenna oppure Rašenna. Questa
pratica dell’apocope si verifica nella lingua còrsa in cui, per esempio, il
ragno si dice tanto aragnu quanto ragnu e in lingua sarda in cui la distò si
dice aràna oppure ràna (40) Cos’altro aggiungere?
Così, in situ, per designare
la famiglia, in Corsica si dice «l’Arasciani», e per parlare di qualcuno di
questa famiglia quando si è fuori dalla Corsica si dice «d’Arasciani». È
esattamente quello che succede con Lariš formula utilizzata in Etruria,
confortata dalle numerose scritte ma soprattutto dalla Tabula di Cortona,
mentre il Taršiš della Bibbia è la formula che evidentemente viene utilizzata
da fuori, il secondo ša significa «
quelli di … ». Sono due modi di dire tradizionali usuali nella lingua còrsa.
Nell’interpretazione che egli
dà di questa Tabula, Adriano Maggiani, docente di etruscologia all’università
di Venezia, ha fatto scalpore, pronunciando, come si deve il nome dell’altra
famiglia associata ai Laris, vale a dire i Cusu, che non si deve pronunciare
all’italiana (con la consonante sonora), bensί CUSSU (con la consonante sorda)
oppure CUŠU, patronimo ben noto soprattutto in Sardegna dove ognuno sa che
questo nome altro non è che CORSU, cioè « Còrso ».
Erodoto parla in questo modo
della prima spedizione dei Greci di Focea: « Questi Greci di Focea furono i
primi a compiere grandi navigazioni : furono i primi (Greci) a scoprire l’Adriatico,
il Tirreno, l’Iberia, e il paese di Tartesso ; non navigavano su grandi navi ma
su imbarcazioni più leggere » (41).
Ci si può stupire, da una
parte, che per un greco, il fatto di avventurarsi nell'Adriatico venga
segnalato come un atto di eroismo e, d'altra parte, che gli storici abbiano
deliberatamente situato Tartesso nell'Atlantico.Un particolare avrebbe dovuto
interpellarli, le imbarcazioni utilizzate, secondo Erodoto, sono di piccola
dimensione. Questo tipo di imbarcazione implica necessariamente una navigazione
costiera, fosse solo per i bisogni di approvvigionamento in acqua. Se Focea era
l’antico nome dato alla città di
Marsiglia, poichè sarebbe
stata fondata dai focei, è probabile che, giunti in Iberia (Spagna), abbiano
semplicemente risalito le coste verso nord e considerato le foci del Rodano
come «paese Tartesso». Sergio Frau, che ha notato questo brano del racconto,
non ha esitato a dire che Tartesso gli appare «così lontano dall’Atlantico e
così vicino alla Corsica…» (42).
In effetti, Erodoto precisa in
questo capitolo che i Greci erano stati molto ben accolti dal re di Tartessus
che si chiamava Argantonio, al punto di proporre loro di installarsi "nel
posto del suo paese che più piacerebbe loro".
Nel capitolo 165, quando
racconta la partenza per la Corsica, non dice forse: "quando salparono per
recarsi in Cyrnos, dove vent'anni prima avevano edificato la città di Alalia
per ubbidire ad un oracolo. D'altronde Argantonio era morto nel
frattempo".
Il re di Tartesso (Tirsu) è
apparentemente strettamente implicato negli affari di Corsica. Forse egli è
semplicemente re delle due isole? In ogni caso, il testo suggerisce una reale
prossimità, ciò dimostra che Sardegna, Corsica ed Etruria sono tutt'uno. Questa
lettura respinge l'ipotesi "atlantica" di Cadice.
Nel capitolo 167 veniamo a
sapere che "fu dietro consiglio di un abitante di Posidonia, che disse
loro(ai Greci) che la Pitia, nella sua risposta, non aveva dato loro l'ordine
di stabilire una colonia,bensì di erigere un monumento all'eroe Cyrnus".
Questa è la manifestazione di una marca di grande rispetto per questo mondo
mediterraneo occidentale.
Questo nome di Tartesso,
filtrato da un orecchio greco sembra essere, infatti, Tarataša, un nome ben più
antico in cui riconosciamo «quelli d’Aratta» che ritroviamo nella Bibbia sotto
la forma di Ararat, come in uno specchio.
Erodoto, svela così un antico
nome il quale è, ovviamente, il famoso trss: TRŠŠ, vale a dire l’Etruria il cui
popolo è qualificato di pacifico, come lo provano gli innumerevoli affreschi in
cui non vengono mai rappresentate scene belliche.
Essi sono ampiamente presenti
lungo le coste provenzali e spagnole (ciò viene confermato dagli scavi
archeologici), li ritoviamo, perfettamente insediati, nell’attuale Hérault in
località Lattes, dove edificarono un porto allora chiamato Lattara, nel paese
dei Sardani. Questo nome, in cui c’è un’aria di famiglia con Tartesso oppure
Aratta, costituisce un nuovo esempio di una toponimia specolare così come
Populonia, grande porto etrusco, in fondo al golfo dal nome evocatore di
Baratta, e il capo di Piombino/Populonia porta anch'esso il nome rivelatore di
Faleria speculare di Aleria. Che i focei si siano stabiliti tra Lattara e
l’Etruria, nella fattispecie a Marsiglia, corrisponde molto esattamente al racconto
di Erodoto, che recita: « I Focei, diventarono cosί loro amici, avendoli
convinti di lasciare definitivamente La Ionia e di venire a stabilirsi nel loro
paese…siccome la potenza dei Medi era alquanto cresciuta, diedero denaro ai
Focei affinchè potessero costruire fiortificazioni alle loro città…» (43).
Questi sono segni di buoni
rapporti tra i popoli del Mediterraneo. Tuttavia si sa che edificate le
fortificazioni, abbandonarono la città imbarcando tutti i loro beni e le loro
famiglie e non trovando nulla da comprare si diressero verso Cyrnos e crearono
Alalia (44). Ed è arrivando in Corsica, come recita Erodoto, che si stabilirono
nei loro paesi (degli Etruschi ovviamente).
Una scoperta fatta casualmente
da un agricoltore della regione di Nuoro in Sardegna viene a mettere in una
nuova luce le scritte di quell’epoca, offrendo un punto di vista importante e
complementare. In effetti sul coccio di un recipiente di terra cotta, si
distingue la parola TRŠŠ, proprio identica alla prima parola della stele di
Nora. Tutti i ricercatori hanno fatto il collegamento tra queste due scritte.
Questa scoperta permette di affermare che questo tipo di società riguarda
l’intera isola e non soltanto le coste dell’estremo sud. La città d’Orani dove
fu rinvenuto questo materiale è situata nel centro nord della Sardegna vicino a
Nuoro. Purtroppo, questa scoperta non sarebbe stata presa sul serio e non si sa
più dove questo reperto così importante sia andato a finire. Tuttavia ce ne
rimane una foto. La presenza di un’altra scritta molto lontano dal sud della
Sardegna è un argomento a favore della nostra dimostrazione. La stele non
avrebbe dunque niente a che vedere con la città di Nora. D’altronde la
traduzione che ne facciamo lo esclude totalmente.
Tutte queste scoperte dovrebbero
finalmente cambiare l’approcccio, a lungo praticato, della storia della
Sardegna e della Corsica. Si capisce meglio il ruolo essenziale che hanno
potuto giocare le potenze occidentali di una volta negli affari del Medio
Oriente di cui sono, da quei tempi remoti, componente essenziale con gli Egizi,
gli Ebrei, e tutti gli Imperi orientali.
Carine Bianconi ci ha fatto
scoprire questi Kittim che sono citati nella Bibbia e nei Manoscritti del Mar
Morto. Questa scritta contribuisce a spazzare via l’idea, sostenuta da alcuni,
che si trattasse dei Romani. In effetti, a quell’epoca, di questi non si parla
ancora
e sono i Kittim che veneravano
le loro armi e i loro stendardi, prima ancora degli imperatori romani. Secondo
Geremia, sono una «nazione di isole lontane che sono situate al di là del mare»
(45) ; il Kittim è sinonimo di «occidentale», come lo si può verificare
nell’espressione «le navi dell’occidentale». Su richiesta dell’Egitto, si
opporranno al re Antioco, «il malvaggio, la bestia di Gerusalemme» che era
discendente di Alessandro. «le navi di Kittim gli verranno contro» (46); di
queste «isole del Mare» che altro non potevano essere che queste isole
mediterranee (47). Questo re verrà cacciato da Gerusalemme dai Kittim nel 168
a.C.
Tutte queste popolazioni sono
esperte in navigazione. Con il boom dell’era del ferro, gli Etruschi si
presentano come la grande potenza commerciale del Mediterraneo e le loro navi
solcano letteralmente i mari. Non recita forse Erodoto che «anticamente questi
fenici, come essi stessi si compiacciono a dirlo, erano stabiliti in riva al
mar Eritreo» (48).
Come non prendere in
considerazione che questo Mar Tirreno sia anche chiamato "mare di
Fenicia"? La parola greca "Fenicia" significa rosso. E Plinio
scrive: "Il mare intero si chiama mar di Fenicia".
Quando si sa, come lo ricorda
il professor Giovanni Ugas, che Erizia è l’isola rossa vicino alla Sardegna
(49) e TIR (tirreno) significa «essere rosso», che il loro porto maggiore si
chiama TYR, verifichiamo ancora una volta l’effetto della toponimia specolare,
il mare Eritreo si trova proprio nel Mediterraneo occidentale. Erizia, è anche
l’Erez della Bibbia. Che siano chiamati Fenici, Etruschi, oppure Cartaginesi,
hanno difatti come unica differenza quella di portare il nome dei luoghi dove
si sono insediati : ai quattro angoli del Mediterraneo.
Il relitto del VI secolo a.C.
rinvenuto dai ricercatori israeliani al largo di Cesarea, con zavorra in pietra
serpentina di Saint-Florent, non può che essere una nave appartenente ai Kittim
(50).
Ma torniamo alla scritta su
questa stele di Nora e interroghiamoci sul suo significato profondo.
Il periodo che c’interessa è
quello della fiorente epoca dei Popoli del Mare. Tutti questi popoli si mettono
molto probabilmente in cammino intorno agli anni 1200. Secondo i calcoli
migliori, le loro navi fanno in media 4 a 6 km/h in tempo normale e nel miglior
dei casi percorrono 180 km al giorno. Possono innegabilmente percorrere grandi
distanze navigando sotto costa o passando da un’isola all’altra.
Gli esperti sono categorici, a
quell’epoca una gravissima siccità afflisse durevolmente il bacino
mediterraneo. Questa è, a quanto pare, una delle cause maggiori delle
migrazioni massicce, sicuramente associate ad una reale sovrappopolazione, ciò
che può spiegare il numero impressionante di nuraghi. È proprio in quel periodo
che s’intensifica l’insediamento degli Etruschi e parallelamente vi si
stabiliscono immigranti nel Medio Oriente.
Il papiro Harris ci informa
che l’integrazione di questi ultimi si è fatta senza difficoltà. Ramsete III,
nel 1177, ha patteggiato con i nuovi arrivati, accompagnati dalle loro mogli e
dai loro figli. Fra questi popoli, arrivati un po’ prima, ci sono gli Ebrei che
fanno «setta a parte», ciò che sembra confortato dal sito sardo di El Ahwat in
Galilea.
Ed è a partire da quest’epoca
che è fatto menzione delle famose dodici tribù d’Israele. Un numero, che,
guarda caso, ricorda le dodici città etrusche e i dodici popoli di Corsica
citati da Tolomeo.
Una tavoletta di Ugarit spiega
che i popoli del Mare si presentarono davanti a questa città con venti navi un
giorno di eclisse solare, ciò provocò il panico generale e la fuga della
popolazione. Questo giorno è stato individuato con precisione: si tratta del 21
gennaio 1192 a.C., alle 12. I nuovi arrivati ne avrebbero approfittato per
saccheggiare la città.
Questi popoli del Mare sono
attestati come di origine occidentale, come lo proverebbe il loro modo di
erigere gli altari. Contrariamente ad un’idea troppo diffusa, non sono gli
Achei
che li compongono bensì gli
Etruschi (Tarshish), i Sardi (shardana) ed i Còrsi (Kittim). Come è possibile,
allora, sostenere che andarono poi a stabilirsi in Sardegna, quando la civiltà
nuragica era in quello stesso periodo al suo apogeo, una civiltà eccezionale.
Lungi dal presentarsi come invasori predatori, spronarono gli autoctoni ad un
innegabile sviluppo.
Nella genealogia di Javan,
citata più volte nella Bibbia, prendiamo in considerazione il testo seguente
della Genesi: « Figli di Javan: Elischa, Tarsis, Kittim e Dodanim»51 e quello
delle Cronache: « Figli di Javan :
Eliscia, Tarsisa, Kittim e Rodanim » (52).
È con interesse che notiamo,
dapprima, in quest'ultima citazione, che la vocalizzazione di Tarsis è incerta
e si precisa in Tarsisa ciò che ci avvicina a Tiršuš o meglio ancora a
"Tirça".
Queste due citazioni
riportano, è evidente, lo stesso testo. Siamo confrontati ad una variante da un
lato Dodanim, dall’altro Rodanim. La grafia del fenicio antico ci permette di
fornire una spiegazione. In effetti, la D e la R scritte in questa lingua
antica (d e r)sembrano quasi identiche, si presentano sotto la forma di due
triangoli, quello della rcomporta un prolungamento verso il basso a destra. Non
sarà stata copiata male o interpretata male passando da un testo all’altro? É
probabile che il copista abbia perenizzato un errore. Ragione per cui diciamo
che questa confusione fra la d e la r poteva succedere solo in fenicio antico e
nello stesso tempo se si prende in considerazione quest’ipotesi, ne risulta una
indicazione seria per precisare la datazione dei primi scritti della Bibbia.
Invece, pensiamo che la
lettera giusta è la r e non la d, operazione che, se si elimina, sempre la m
finale, ci rivela, il gioco di consonanti seguente rdn così stranamente vicino
al nostro šrdn. Ciò che ovviamente ci fa pensare che si tratti ancora una volta
di un errore di trascrizione. La š all’inizio di questa parola non sarà andata
persa strada facendo oppure lasciata alla fine della parola precedente ? E se
questa ša non fosse altro che un pronome relativo: «quello oppure quelli di…»?
il rdn della Bibbia assumerebbe allora tutto il suo significato.
Tolomeo chiama il fiume
Tavignanu col nome di Rotanum, corso d'acqua che ben si presta con lo stagno di
Diana allo stazionamento delle navi. Ricordando questo importante particolare,
Rocco Mutedo non rifiuterebbe la possibile interpretazione della località
Cateraghju su questo fiume. Questo nome che a prima vista indica le
"barriere" in cui "ca" sta per "apertura, sorgente,
bocca" associato a "taru" significa anche in lingua còrsa
"destinato ad essere accantonato", "un'anticaglia",
"un'antichità" ciò che ci suggerisce di tradurre Cateraghjiu con
"il luogo delle antichità". É anche, non dimentichiamolo, il luogo
dov'è situata la città di Aleria.
Negli atti del convegno di
Oristano del 28 dicembre 2001, Francesco Licheri, ricercatore in archeologia
del Medio Oriente antico, ha fatto un intervento interessantissimo suishardana.
La sua relazione ha sviluppato tre punti: i nuraghi, i popoli del Mare e le
ricerche sul sito di El Ahwat in Israele. Egli ha vagliato interamente alcuni
documenti antichi evidenziando la particolarità degli shardana : mercenari ad
Ugarit, a Byblos, guardie personali di Ramsete II, di Merenptah suo figlio, di
Akhenaton, di Ramsete III, di Ramsede V. In breve, da abili guerrieri quali
sono, essi occupano il rango più alto nell’esercito egizio. «nessun altro
gruppo di mercenari aveva un rango più elevato», ecc…. Una stele proveniente de
Tanis rivela che «erano arrivati dal mare aperto e nessuno era in grado di
affrontarli». Le loro lunghe spade, i loro elmi con le corna ne fanno allora
guerrieri eccezionali. Basti ricordare tutti quei bronzetti sardi che
rappresentano questi arcieri con elmi dalle grandi corna, lunghe spade come sui
menhir di Corsica.
«I nomi non nascono a caso» ha
detto Massimo Cacciari, professore all’università di Venezia e sindaco di
questa città, durante la commemorazione del primo anniversario della morte di
Giovanni Semerano, celebrato a Firenze il 21 ottobre 2006, e ha insistito sul
fatto «che bisogna far parlare le parole».
Questo rdn ci ha naturalmente
spinti a consultare nel manuale di epigrafia accadica la voce redù (rd) che
significa, come l’abbiamo già visto, il «soldato, l’uomo di scorta» (53). Il
nia richiama le ben note finali di Spania, Sardinia, Germania oppure colonia in
cui il nia ha come significato «il paese di» e in cui l’ia può anche ricordare
una finale amorita. Questo na è quello di solana che definisce la superficie
esposta al sole. Inoltre Shardanaè sicuramente un nome dato da gente esterna
alla Sardegna, e precisamente al Medio Oriente. È quello che sarà ritenuto
dalla storia. Proponiamo quindi per Shardana, nomea oblige, l’interpretazione
seguente: «Quelli del paese dei mercenari».
Ad ogni modo, bisogna trarre
le conseguenze di questo brano della Bibbia in cui «Tarsise le isole» prende
allora tutto il suo significato vale a dire «l’Etruria e le isole», ciò che
rinvia in fine alle terre seguenti: «l’Etruria, le Baleari, la Corsica e la
Sardegna».
La scritta della stele di
Nora, con l’importante replica trovata a Orani nella regione di Nuoro, prende
quindi il carattere di una commemorazione, quella della preponderanza e la
vittoria nel Mediterraneo dei Popoli del Mare su tutti gli Imperi del momento.
Il professore Giovanni Ugas,
che dal 1996 dirige in Israele l’équipe sarda sul sito di El Ahwat, constata da
fino osservatore della sua isola: «L’archeologia non fornisce nessuna traccia
di conquiste né di migrazioni massicce venute dal di fuori. Si verifica
semplicemente la realtà di scambi normali e un’evoluzione classica del campo
culturale. Non vi è traccia alcuna di profondi sconvolgimenti. Al contrario,
bisogna sapere che, a quei tempi, la Sardegna era in piena espansione nel campo
architettonico e nell’uso dei mezzi materiali» (54).
La scritta della stele di
Nora, in fenicio antico, utilizza parole accadiche, ciò che all’epoca gli
conferiva sicuramente un carattere solenne, quella stessa solennità conferita
oggi dal latino.
Questo testo dal valore
inestimabile conferma gli scambi est-ovest nella «mediterraneizzazione»
dell’epoca, se ci viene consentita quest’espressione che rinvia a quella
attuale di globalizzazione, frutto della libertà dei mari e della rivoluzione
metallurgica. Riassume gli eventi della fine del secondo millennio con
l’emergere dei Popoli del Mare e annuncia futuri sconvolgimenti.
Il testo è contemporaneo di re
Salomone figlio di Davide (55) la cui saggezza è diventata proverbiale. È
l’apogeo della storia ebrea poichè israele è all’apice della sua potenza.
È la conferma del ruolo
preponderante delle isole, sottovalutato così a lungo, negli affari del Levante
e più generalmente nella storia del Mediterraneo.
È una categorica smentita per
coloro che negano alla Bibbia ogni valore di verità storica, coloro che vi
vedono solo una costruzione di miti e leggende, ed è anche la magistrale
conferma di una delle pagine maggiori della storia antica dell’umanità.
Note:
1 Tengo a ringraziare in modo particolare La
Soprintendenza Archeologica di Cagliari per avermene procurato una foto.
2 Salvatore DEDOLA, Toponomastica Sarda, Ed Grafica
del Parteolla, 2004
3 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Geuthner manuels, IV e trimestre 1999. Opera
fondamentale che designeremo nel testo sotto la voce "Il Labat"
4 José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La
Corse entre Sumériens Etrusques, Editions dumane, IIe trimestre 2006, 250p.
5 Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie (traduit
de l’anglais par Gérard Mannoni), éditions Grasset et Fasquelle,1986, p.22.
6 Cf Mathias DELCOR, Religion d'Israël et Proche
Orient Ancien, éd. Chris L. Heesakkers, 1976, p. 19.
7 Daniel BODI, Petite grammaire de l’akkadien à
usage des débutants, éditions Geuthner Manuels, 2001, pp. 192-193.
8 Carine ADOLFINI-BIANCONI, L’ochju. Origine et
sens des pratiques symboliques corses, éditions Dumane, 1er trimestre 2006, 184
p
9 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op. cit., p 335.
10 PAUSANIA, Descrizione del la Grecia, Focide,
Libro X, capitolo 17. 11
11 Attilio MASTINO, Storia della Sardegna antica,
la Sardegna e la sua storia, edizione II Maestralli, 2005.
12José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La
Corse entre Sumériens et Etrusques, op.cit., p.184.
13 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §5.14 Eneide, VII, 762.
15 José STROMBONI, Kur Sig, l'Éden retrouvé. La
Corse entre Sumériens et Étrusques, op. cit.,p.144.
16 I Re, 10,22 oppure Ezechiele 27, 12.
17 Salmi 72,10.
18 "I Greci davano ai Toscani il nome
diTirreni o Tirseni e quello di Pelagi.I Romani li chiamavano Tusci o Etrusci e
il paese Etruria" : F. DE BROTONNE, Histoire de la filiation et des
migrations des Peuples, Dedessart et Cie, Editeurs 1837. E anche Strabone (5,
2, 7) parlando degli Iolao in Sardegna, dice che essi coabitavano con la
popolazione locale i Tirreni.
19 Geografia III, 2.11.
20 Cf. Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie,
op.cit., p. 12 e 23.
21 I Re, 16, 5-9.
22 Kamal SALIBI, La Bible est née en Arabie,
op.cit., p. 250.
23 I Libri dei Re, 16, 8.
24 "René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT,
manuel d'épigraphie akkadienne, Op. cit. § 347 348."
25 . Eschilo, Eum, 567. Sofocle, Ajax 17. Euripide,
Le Fenicie. 1377, Medea 1342-1343 e1359 fanno lo stesso.
26 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §536.
27 Salmi 72-7
28 Ferdinand Hoefer, Biblioteca Storica di Diodoro
di Sicilia Libro V, capitolo XIV, ed. Adolphe Delahays, 1851
29 BOCHARD Samuel, De Loco Paradisi terrestris
diatribe (Manoscritti XVIII sec.)
30 André Marie GERARD, Dictionnaire de la Bible,
éd. Robert Laffont, Bouquins, 1999, P. 183.
31 Isaia, 42, 6 e 49,6.
32 « vivranno e gli daranno dell’oro di Seba », Ps
72-15.
33 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op.cit., §347-348.
34 « Finchè comparirà la luna, di generazione in
generazione », Ps 72-5. Notiamo che il magnifico pozzu di Santa Cristina in
Sardegna (1400 a. Cristo) comporta una scala il cui asse è diretto molto
precisamente sul solstizio d’inverno e simboleggia « la rinascita ». Questa
scala porta alla conca d’acqua dominata da una volta che comporta in cima, al
livello del suolo, all’ esterno, un’apertura al disopra della quale la luna
viene a posizionarsi perpendicolarmente molto esattamente ogni 18,6 anni.
35 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op.cit., § 331.
36 « Il grano abbonderà nel paese, in cima alle
montagne, e gli spighi si agiteranno come gli alberi del Libano », Ps 72-16.
37 Salmi 72.
38José STROMBONI, Kur Sig, L’Éden retrouvé. La
Corse entre Sumériens et Etrusques, op.cit, p.103.
39 "come un solo ed unico popolo "Libro
I, 163.
40 Mario PUDDU, Ditzionàriu de sa limba e de sa
cultura sarda, éd.Condaghes, 2004.
41 Libro I, 163.
42 Sergio FRAU, Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta,
editore NUR Neon, 2002.
43paragrafo 163.
44paragrafo 164.
45 Geremia, 25,22.
46 Dn. 11 : 29-30
47 Dn. 11 : 18, Is. 24 :15, Ez. .26 :18
48 Libro VII, 89.
49Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Ed. Fabula,
2006.
50 « Non vi era re in Edom : era un intendente che
governava. Giosafa costruì delle navi di Tarsis … 1 Rs 22,48-49.
51 Ge 10,4.
52 I Ch1,1.
53 René LABAT et Florence MALBRAN-LABAT, Manuel
d’epigraphie akkadienne, Op.cit., § 335.
54 Giovanni UGAS, L’alba dei nuraghi, Op.cit.
55 Cf. supra Salmi 72.
indubbiamente interessante, intrigante, piuttosto complesso. Devo rileggere con più calma.
RispondiElimina