Piccola
storia di musica, ricordi, rivoluzioni e crepuscoli
di Fabio Medda
Questa storia ha inizio dalla nascita della
consapevolezza, cioè da quando la mia memoria di bambino non si è più limitata
a popolarsi di sensazioni ed emozioni evaporabili, ma ha premuto il tasto REC
cominciando a generare ricordi.
Fine anni ’60. A casa dei miei genitori la musica si
ascoltava sostanzialmente da tre fonti: un televisore, un giradischi e una
radio.
Il televisore era un ingombrante Philco, tutto legno,
valvole e manopole. Naturalmente in bianco e nero, naturalmente mono. Si
ascoltava quello che passava il convento, come si suol dire. In pratica, le
proposte musicali erano concentrate quasi esclusivamente nel varietà del sabato
sera che, non a caso, si chiamava Canzonissima, più qualche sigla
di programmi pomeridiani quotidiani, tipo Avventura o Gli
eroi di cartone.
Quelli più grandicelli di me ricorderanno anche una
trasmissione sperimentale di Renzo Arbore, Per voi giovani, dove
gli ospiti si esibivano dal vivo e il confronto con il pubblico in studio era
spesso aspro.
Il giradischi era un Lesa, molto simile a una
valigetta grigia, ruvida, che si trasformava magicamente in un preistorico
impianto stereo con due altoparlanti e un piatto un po’ rudimentale, ancora a
quattro velocità (16/33/45/78 giri). Con tutta la sua approssimazione, era l’unica
opzione stereo di quei tempi.
La radio era un elegante parallelepipedo color legno,
con il frontale nero e una fila di tasti rossi: la filodiffusione. Oltre ai tre
canali radiofonici della Rai, c’erano altre stazioni che trasmettevano
ininterrottamente musica, suddivisa per generi. L’elenco completo del
palinsesto musicale quotidiano era consultabile nelle ultime pagine del
RadioCorriereTv. Quest’ultima circostanza mi iniziò alle registrazioni
pianificate, che effettuavo collegando alla filodiffusione un registratore
Grundig di mio padre. Nacquero così le mie prime raccolte di musica, incise
sulle mitiche audiocassette BASF.
Negli anni ’70 era ancora in pieno boom la moda dei 45
giri. Il mercato discografico era in forte espansione e i singoli si vendevano
come il pane. Anche perché si potevano ascoltare senza bisogno del giradischi
di casa, grazie al mangiadischi, il bisnonno del lettore mp3. Possiamo
definirlo un juke-box monodose portatile, con l’altoparlante
incorporato (mono, manco a dirlo) sulla sommità e il manico o la tracolla. Era
l’ideale per i momenti in cui si cercava la comodità – che regala sempre un
senso di libertà – sorvolando sulla qualità.
Naturalmente anche all’epoca esistevano gli impianti
stereo domestici di alta fedeltà, ma i costi decisamente
elevati ne permettevano l’acquisto soltanto ai musicofili particolarmente benestanti.
elevati ne permettevano l’acquisto soltanto ai musicofili particolarmente benestanti.
Per ascoltare musica in automobile, a cavallo degli
anni ’60 e ’70 ebbero un certo successo gli Stereo 8, nastri un po’ troppo
voluminosi, ben presto soppiantati dalle più pratiche musicassette. Questo
passaggio di consegne comportò anche il moltiplicarsi delle autoradio, prima
fisse poi estraibili.
Nei primi anni ’80, quando il fenomeno delle radio
libere si era ormai affermato e l’offerta musicale radiofonica (e quindi
gratuita) era vasta e qualitativamente ottima, si diffuse la moda dei
Radioregistratori (i cosiddetti radioni), piccoli impianti stereo portatili che
consentivano di registrare su musicassetta. I più sofisticati permettevano
addirittura la duplicazione delle musicassette.
Siamo a metà della storia. Arrivano i primi stipendi e
inizia la “costruzione” di un impianto stereo personalizzato: piatto, piastra,
amplificatore, sintonizzatore, casse, cuffie.
Contemporaneamente, prende avvio la miniaturizzazione
delle apparecchiature: fa la prima comparsa il walkman, lo zio del
lettore mp3, grande poco meno di un libro della Sellerio, alimentato a
batterie, per l’ascolto delle musicassette con le cuffiette.
A fine anni ’80 irrompono i compact disc,
destinati a sostituire gradualmente i 33 giri in vinile (i 45 giri sono
scomparsi da tempo), e si trascinano appresso una rivoluzione tecnologica che
manda rapidamente in pensione le musicassette e relega gli LP a una fetta di
mercato che eufemisticamente può definirsi di nicchia. Anche se, dal punto di
vista qualitativo, gli esperti sono concordi nel dire che il vecchio vinile
suona meglio del cd.
Negli impianti stereo bisogna trovar posto al lettore
cd. I modelli di autoradio con lettore di musicassette devono essere sostituiti
con quelli più moderni per ascoltare il nuovo supporto digitale. Anche i
“giovani” walkman devono lasciare già il posto ai lettori portatili di cd. E’
una vera rivoluzione, anche commerciale.
E siamo agli anni ’90.
La tecnologia ha una brusca accelerazione. Noi che
siamo seduti comodamente in poltrona ad ascoltare musica alle cuffie, veniamo
schiacciati contro lo schienale come se il tempo avesse messo il turbo.
Sentiamo l’impazienza della modernità che si avvita sempre più velocemente nel
tentativo di mordersi la coda.
La sequenza è breve ma micidiale, devastante,
irreversibile, incurabile, e si avventa sulla musica senza lasciarle il tempo
di difendersi: computer, internet.
Un’esplosione nucleare. Tutto avviene molto in fretta
e niente sarà più come prima.
Con il computer si possono clonare i cd musicali.
Crollano le vendite dei prodotti originali e fiorisce un mercato sotterraneo di
copie fatte in casa. Identiche all’originale.
E’ solo l’inizio.
Internet è una prateria sconfinata. Il web permette
di cercare musica senza limiti, trovando anche dischi di cui non si conosceva
nemmeno l’esistenza.
Si imparano nuovi termini: download, upload, mp3,
masterizzazione, file sharing.
Nel 1999 due ragazzi americani diffondono un software
che permette a persone lontane migliaia di chilometri di scambiarsi musica
restando ciascuno a casa propria: nasce cosi Napster, capostipite
della condivisione di files musicali.
Si sublima il concetto che internet è quella cosa che
avvicina chi è lontano e allontana chi è vicino. Anche il commercio (illegale)
di cd masterizzati crolla: ormai ciascuno è autonomo nella ricerca della musica
preferita ed è in grado di salvare nel proprio computer gli mp3, un formato
compresso (di qualità accettabile ma inferiore all’originale, ovviamente) che
consente di archiviare in poco spazio grandi quantità di musica. E la scelta
non manca: Napster è un immenso catalogo di 25 milioni di files musicali.
L’industria discografica accusa il colpo. Vendite a
picco, chiusura di stabilimenti e di rivendite, licenziamenti di personale,
forti ripercussioni sugli investimenti.
Seguono furibonde battaglie legali contro la pirateria
e nuove forme di protezione informatica dei cd per provare a impedire la
clonazione della musica. Napster viene oscurato.
Ma nell’era della tecnologia portata all’eccesso per
ogni mossa esistono dieci contromisure, è come svuotare il mare con un
bicchiere. Tanto vale provare a legalizzare il nemico. Prima con lo stesso
Napster, più recentemente con iTunes e Spotify, è
possibile scaricare legalmente (a costi irrisori, quindi invitanti) dalla Rete
i brani desiderati.
Il delirio tecnologico è un moloch che
divora se stesso: i modelli di computer dopo un anno sono già vecchi, i lettori
mp3 nascono e muoiono nello spazio di pochi anni, seppelliti da iPhone e smartphone,
pronipoti onnivori dei telefoni cellulari.
Quanto ha influito tutto ciò sul nostro modo di
avvicinarci alla musica? Parecchio.
Al netto delle inevitabili generalizzazioni – perché,
ad esempio, è assai probabile che i più intransigenti cultori della musica
classica non abbiano modificato di molto le loro abitudini – oggi spesso la
musica si consuma, non si ascolta. Si mangia, non si gusta. In auto, per
strada, al supermercato, in televisione. E’ un sottofondo (la “musica passiva”
di cui parla Nicola Piovani nel libro La musica è pericolosa), una
carta da parati, si dimentica in fretta, come impongono i riti frenetici di una
società bulimica.
Un tempo, togliere un 33 giri dalla copertina,
sfilarlo dalla busta interna stando attenti a non imbrattare i solchi con le
dita e, infine, metterlo sul piatto, era un autentico cerimoniale, con la sua
solennità. L’impianto stereo (magari arricchito dall’equalizzatore) esaltava i
suoni, riempiva la stanza, dava respiro alla musica, la faceva volare. C’era
più cura nei particolari: si sceglieva la puntina del piatto, le casse più
adatte, le cuffie più leggere e con la resa più dinamica.
Tutto era più lento, più voluminoso, più raro, più
unico e, per questo, più apprezzato, assaporato con la dovuta deferenza.
Adesso abbiamo tanta scelta, tanto materiale musicale
virtuale in spazi fisici ridottissimi. Forse siamo più liberi. Ma spesso non
sappiamo che farcene.
E allora diciamolo ai ggggiovani: la vostra generazione è fortunata perché con i nuovi mezzi elettronici potete avere accesso, immediato e gratuito, a tutta la musica scritta ed eseguita negli ultimi mille anni, da Bach e Beethoven ai Pink Floyd e ai King Crimson. Solo che in molti non lo capite, non aprite la vostra mente e ascoltate solo l'ultima canzoncina di successo del momento. E' per questo che Dio vi punisce. E vi manda suor Cristina
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