Il guerriero di
Capestrano e quello di Paladino, nipotini dei giganti di Monte
Prama
di Pierluigi Montalbano
Il guerriero di Capestrano, esposto al Museo archeologico Villa Frigerj di Chieti, è una fra le più importanti sculture antiche europee. E’ pervenuto miracolosamente integro ed è stato considerato l’incarnazione delle virtù italiche; al punto da essere esposto come tale nella mostra a Bruxelles nel 1938, quattro anni dopo il ritrovamento, con un guerriero mussoliniano che scaglia la lancia in puro stile littorio.
Faceva parte di una struttura funeraria isolata, e “non
raffigurava tanto un personaggio reale quanto un concetto, anche attraverso un
sistema di segni con le codifiche di allora”. C’è più attenzione alle armi che
alla fisionomia, erano i segni dell’autorità e del prestigio nel comando
militare e nella magistratura.
Ma Vittorio Sgarbi afferma che l’arte è sempre contemporanea
se è vera arte perché mantiene nel tempo intatti i valori di forma e di
contenuto.
Nell’anticamera del Museo ci sono i compagni del Guerriero,
come la Dama di Capestrano, rinvenuta con lui. Siamo al culmine dell’arte
arcaica che, dopo la stele figurativa fatta soprattutto di incisioni e pochi rilievi,
approda alla statuaria a tutto tondo del “Guerriero”; l’ulteriore sviluppo sarà
l’affidare i messaggi non più ai simboli del rango ma alle iscrizioni come
nella stele a erma di Penna Sant’Andrea. Un percorso artistico non influenzato
dall’arte greca o da quella etrusca, e neanche da una base originaria locale
distinta dalle stele garganiche come segno di primigenia e di identità. Il
riferimento certo sono le ormai celebri sculture sarde conosciute come Giganti
di Monte Prama, le più antiche statue a tutto tondo dell’Occidente
Mediterraneo.
Nel Museo di Chieti è stato creato uno spazio sacrale, come
una cella del tempio antico al quale si arriva dopo gli spazi introduttivi e
preparatori con gli arredi dell’epoca, i graffiti e quant’altro, quasi un sancta
sanctorum. A differenza di ciò che è stato predisposto al Museo Archeologico di
Cagliari, dove con un discutibile percorso a ritroso nel tempo, brutto nel
concetto e pessimo nell’allestimento, si cancella l’impatto emozionale creato 3000
anni fa dai nuragici con decine di statue e piccoli nuraghi uniti
indissolubilmente a protezione di un’area sacra dedicata al mondo funerario
degli antenati, a Chieti si è realizzata l’idea di Berenson di educare al gusto
del guardare, e la scultura antica cessa di essere un mero reperto storico di
civiltà sepolte e di essere presentata come un documento da archivio che, in
quanto tale, non cattura il visitatore e non crea l’empatia dalla quale nasce
la suggestione.
A Chieti si è creata la dimensione contemplativa sacrale per
recuperarne il valore estetico perenne. E’ bene citare Shopenauer secondo cui
“si crea l’empatia quando rapito in contemplazione non è l’individuo ma il
soggetto puro al di là di tutto, del dolore e anche del tempo”, di qui
l’aspetto “sacrale”. Perché ciò avvenga occorre che ci sia qualcosa che vale,
come lo straordinario Guerriero di Capestrano piuttosto che una serie di
guerrieri giganti che osservano i visitatori, come nell’originario posizionamento dei guerrieri
a Monte Prama.
Descriviamo rapidamente il guerriero di Capestrano.
Trovato nel 1934 e restaurato frettolosamente per una mostra
di Bruxelles, assomma in sé tante qualità come espressione più compiuta
dell’arte arcaica europea. Alto più di due metri e integro, ricavato da un
unico blocco di pietra del luogo, a parte il largo caratteristico copricapo
incastrato successivamente sulla testa. Varie interpretazioni all’insolita
foggia e dimensioni del cappello, considerato anche un elmo o un simbolo del
sole, mentre si pensa possa essere il segno del ruolo, forse sacerdotale. La
corporatura è forte ma non proprio tipica di un guerriero, e questo
confermerebbe l’ipotesi del ruolo rituale anche per la sua collocazione nella
necropoli.
D’altra parte, le armi di cui dispone sono tipiche del
guerriero, e appaiono definite nei particolari molto di più della figura, cosa
che ha un suo significato: due lance sui piastrini ai lati, una spada con elsa
a croce sul torace con un coltello, un’ascia a forma di trapezio a occhio
stretta al petto; e poi una corazza a forma di disco sul petto e sulla schiena
nei punti vitali, due mitre che pendono dalla cintura a protezione della parte
inferiore del corpo. Oltre alle armi, vi sono anche ornamenti e pendenti
evidenziati dal colore rosso.
Siamo nell’età del Ferro, si trovava in una necropoli alle
sorgenti del Tirino, non si sa se in prossimità di una tomba a tumulo, forse un
simbolo di potere militare e aristocratico posto a guardia del luogo funerario,
dove peraltro con i corredi vengono di norma esaltati i simboli del rango e del
censo nelle singole sepolture
Un’iscrizione verticale in caratteri sudpiceni è stata
trascritta così: “ma kupri koram opsùt ani[ni]s rakinel?ìs? pomp? [ùne]i”. E
viene interpretata da La Regina come opera dello scultore Aninis, al quale vengono
attribuite altre opere arcaiche medio adriatiche, come la statua mutila
femminile anch’essa da Capestrano; altra interpretazione è che Aninis sarebbe
il committente, il soggetto ritratto il misterioso Pomp della scritta, presunto
capo locale ritratto con le insegne del rango.
Più che una bottega di scultura, si tratta di un modello
iconografico utilizzato per una serie di altre opere arcaiche di cui si ha
traccia nell’esposizione.
Abbiamo parlato di un enigma concernente il nome dell’autore
e del personaggio rappresentato la descrizione del Guerriero di Capestrano, e
continuiamo con l’enigma proposto da Paladino in merito all’idea di esposizione
della statua come reincarnazione in chiave contemporanea della potente figura
arcaica realizzata dallo scultore. Paladino, che ha ideato il nuovo ambiente
sacrale per esporre l’opera del VI a.C., posiziona delle tegole che
sostituiscono le armi, idea venuta “in progress” durante la realizzazione
presso gli specialisti di Faenza. Le tegole sottolineano il valore
architettonico e non solo plastico della scultura, nel concetto che l’opera
crea architettura, il copricapo è visto come un tetto. E’ un’immagine totemica
anch’essa possente, alta metri 2,56. In terracotta perché, dice Paladino,
“questo materiale dalle proprietà elementari e trasformative richiama la forza
arcaica della pietra calcarea con cui è stato scolpito il Guerriero di
Capestrano”.
“All’ombra della notte dei tempi, un’aureola di futuro” la
definisce il curatore riassumendone la genesi. Nasce all’ombra del “Guerriero”
proveniente da epoche remote, e conserva il copricapo che diventa però
un’aureola proiettata in avanti nel tempo. Lo scultore collega così antichità e
contemporaneità inquadrando la compenetrazione museale nella propria arte
personale: “La mia cultura visiva nasce da un’idea di stratificazione, con
immagini figurative e non figurative, talvolta anche decorative e minime. Una
storia frammentata e ricostruita, una storia di passaggi e di tracce dove un
frammento di testa romana si incastra con un blocco di epoca precedente. Poi
vengono i longobardi che aggiungono altro ancora e allora tutto diventa un
collage di elementi astratti e figurativi”. Il collante di tutto questo
l’identità del territorio, “nella cultura del meridione, in quelle architetture
e in quelle opere fatte di segni necessari e, tuttavia, anonimi”.
Intorno si svolge la funzione dei compagni del Guerriero, componenti
del corredo tipico dell’antichità: 75 piccole sculture in bronzo che incrociano
la storia dell’umanità e le vicende epiche di conquiste e difese dei propri
territori con il percorso artistico dello scultore in cui ricordiamo le grandi
sculture in bronzo, Carro, Elmo e Cavallo, e il celebre e monumentale cavallo
blu di oltre 4 metri installato nel 2009 all’Anfiteatro del Vittoriale del
grande abruzzese Gabriele d’Annunzio, e la suggestiva terracotta “Senza Titolo”
creata con il celebre Spalletti di cui colpisce la tenerezza della figura.
Paladino nelle sue sculture libera la figura e l’oggetto
dalla loro relatività, rendendoli eterni anche tramite l’accostamento a forme
geometriche, cristalline, astratte. La singola presenza figurale e oggettuale è
isolata dal flusso ininterrotto dei fenomeni e delle apparenze, e giace in
un’immobile punto di quiete diventando necessaria e inalterabile. Compresenza
di figurazione e di astrazione, dunque, come nelle civiltà paleolitiche con
l’aspetto naturalistico e razionale insieme a quello astratto e metafisico,
uniti in una visione fantasiosa e poetica. Ciò consente di superare il tempo,
fissando l’istantanea in un’immagine persistente che si sente perenne. Del
resto stabilità ed evoluzione, forme fisse e mutevoli sono espressioni
compresenti alla ricerca di un equilibrio che si realizza nell’opera finita la
quale così può collocarsi fuori del tempo pur con echi che vengono sin dal
remoto mondo arcaico. Un novello Giano bifronte con un volto rivolto al passato
e l’altro verso il futuro, che porta al di là del tempo e alla scultura come
cosmogonia. Questi colossi, fra i quali possiamo ben inserire anche le sculture
giganti di Monte Prama, ci riportano alle origini ancestrali ma nello stesso
tempo ci fanno sentire come siano compenetrate nel nostro tempo. Il Guerriero di
Paladino esprime plasticamente, nella sua maggiore esilità e quindi fragilità
rispetto al Guerriero di Capestrano, solido e possente, tutte le incertezze e i
timori per un futuro che ci vede inermi e indifesi, disarmati come lo è la sua
figura. Ma dà anche la consapevolezza fiduciosa di un futuro che possiamo
costruire, fino al tetto, per il quale porta le tegole protettrici, con
un’immagine che lo vede anche partecipare alla costruzione del nuovo suggestivo
spazio architettonico per il vecchio ”Guerriero”. Contemplare il mondo dal punto di vista
originario per vivere più profondamente il proprio tempo: di fronte alle
sculture di Paladino si ha questa sorprendete rivelazione.
Immagini di www.antika.it
ha anche dei parenti nordici, i guerrieri di Glauberg e Hirschlanden
RispondiEliminaBuongiorno. Una cosa mi ha sempre incuriosito del Guerriero di Capestrano e qualche anno fa un articolo comparso su una rivista d'archeologia ne accennò, ovvero le forme decisamente femminili del bacino e delle gambe. Una studiosa mi pare scandinava sosteneva che per tale conformazione si poteva ipotizzare che la statua rappresentasse un essere con attributi sia maschili sia femminili. Qualcuno sa qualche particolare in più? Grazie
RispondiEliminaFrancesco