Le vestigia del
nostro passato, perfettamente inserite nel paesaggio costiero italiano, sono
vittime della devastazione moderna
di Michele Stefanile
L'italico
bagnante che in questa settimana si rosola al sole lungo le coste del Bel
Paese, godendosi quel che resta delle un tempo proverbiali ferie d'agosto,
faccia, se crede, questo esperimento: sollevi gli occhi dalla linea
dell'orizzonte e dalla serenità delle vele nel blu, lasci un secondo da parte
il libro, il giornale, lo smartphone o l'iPad, e provi a percorrere con lo sguardo lo spazio
circostante, a 360 gradi; conti le case, le tettoie, i parcheggi, evidenzi il
cemento, il vetro, i tendoni, i tondini di ferro arrugginito; faccia caso,
insomma, a tutte le tracce dell'antropizzazione recente del paesaggio, e,
socchiudendo per un attimo gli occhi, provi a immaginare quello stesso spazio senza il moderno, con dune e pinete selvagge, e tutti
i profumi della macchia mediterranea, affacciato su un mare cristallino, e con
i verdi monti dell’Appennino, il bianco delle Alpi Apuane o qualche morbido
colle sullo sfondo.
Vedrà
un paesaggio unico e incontaminato, effetto della singolare varietà geografica
di una penisola in cui aspre montagne, vulcani, baie di smeraldo e sabbie
dorate possono coesistere nello spazio di poche decine di chilometri, e forse
coglierà per un momento la
grande bellezza che si dischiuse un tempo alla vista
di Enea, e di chi come il mitico eroe troiano giunse in queste terre e vi fondò
città e regni. Il bagnante di cui sopra si domandi ora cosa è stato di quella
bellezza, e in nome di chi o di cosa il cemento ha preso il posto delle dune,
l'allumino anodizzato dei canneti, l'asfalto della sabbia.
L’Italia
soffre una devastazione delle coste senza eguali, come riportato in un
editoriale sulla Stampa a commento dei più recenti dati sull'occupazione dei
litorali nel nostro Paese: occupazione giunta ormai al 60% (contro una media
mediterranea del 40%), con picchi dell'85% nel Lazio e situazioni al limite dell'incredibile
come in Liguria, dove solo 19 km su 135 sono liberi dalla pesante impronta
dell'uomo moderno, che ama il mare, ma desidera la villa sulla battigia, il
supermarket a due passi e la possibilità di poter entrare quasi in acqua senza
scendere dall'auto.
Il geologo Tozzi, nell'articolopubblicato su La Stampa, pone l'accento sul danno alla natura, limitando a un breve cenno la distruzione
del valore di contesto, "quello che rendeva unico un
paese in cui, passeggiando in riva al mare, trovavi il teatro greco o il porto
romano, le tagliate etrusche e i villaggi padani" , eppure per
l'Italia è questo forse uno dei punti di maggior importanza: solo la fitta
storia insediativa della Penisola, infatti, ha fatto sì che sulle sue coste si
addensasse un patrimonio archeologico letteralmente unico al mondo: nessun
altro Paese può contare lungo i suoi litorali un susseguirsi quasi ininterrotto
di tracce comprese tra la Preistoria e i giorni nostri; le sontuose ville
marittime dei Romani, residenze dedicate all'otium e
costruite dove l'amoenitas,
l'amenità dei luoghi era senza eguali; le aree di estrazione del sale e gli
impianti per l'allevamento dei pesci e la produzione di salse; i porti, scelti
già in antico in base a precise condizionanti, e per questa ragione spesso e
volentieri soffocati dai porti moderni, che vi si impiantano al di sopra; le
torri costiere e le fortezze che punteggiano le coste rimarcando il peso
strategico di una Penisola protesa al centro del Mediterraneo; e poi aree
sacre, luoghi di spettacolo, intere città.
Le rovine del nostro passato, storicizzate e
perfettamente inserite nel paesaggio costiero italiano, sono vittime della
devastazione moderna, strette ogni giorno di più fra le brutture delle
costruzioni contemporanee, e le macerie che
rimangono, quando passano gli anni, le mode, o semplicemente la stagione:
vestigia millenarie, dal potenziale enorme, che si mostrano durante l'estate a
chi ha la pazienza di cercarle fra i villini e i lidi, e che da settembre a
maggio restano semi-abbandonate, tra il parcheggio di un beach club e l'immancabile
minimarket, quello che, una volta tirati dentro i gonfiabili e il cesto con le
angurie, altro non è se non l'ennesimo cubo di cemento imbiancato e attaccato
dalla salsedine.
Soprintendenze,
Università e Istituti di ricerca fanno il possibile per tutelare questo
paesaggio, cercando di conoscere, documentare e vincolare i siti scampati alla
furia edilizia; dove in qualche modo una rete, o un paletto, hanno impedito di
costruire, il passato riemerge prepotentemente: si pensi, per restare a quel
Lazio di Enea, ormai bruciato per l'85%, al congiunto di Santa Severa, dove
alla base del Castello si protendono i resti, fin sul fondo del mare,
dell'antica Pyrgi, o alle immense peschiere romane di Torre
Astura, protette dal vasto recinto di una base militare, o alla grande villa
marittima di Gianola, all'interno del Parco Regionale Riviera di Ulisse, dove
oragli specialisti stanno documentando un'incredibile ricchezza di strutture e
dati, in un paesaggio naturale d'altri tempi.
Preservare
il paesaggio costiero deve essere una priorità; fondamentale, in questo,
salvare le testimonianze del passato disseminate lungo i nostri litorali,
promuoverle e inserirle correttamente nell'offerta turistica: una villa
marittima, una torre anti-saracena, un antico frangiflutti semi-sommerso sono
la grande ricchezza, non ripetibile né riproducibile, che rendono una spiaggia
italiana turisticamente attraente, al pari se non più della sabbia
incontaminata di un atollo o della vegetazione rigogliosa dei tropici.
Fonte:
www.huffingtonpost.it/
Immagini da wikipedia
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