Lo scavo archeologico. Tecniche, leggi e metodo scientifico
di Pierluigi Montalbano
Uno scavo
archeologico mira a porre in luce monumenti e documenti delle civiltà passate
con metodi diversi a seconda del carattere delle ricerche, della natura del
terreno da esplorare, del vario tipo delle città o dei monumenti da mettere in
luce.
Il rilievo topografico di un territorio dove ci siano ruderi
emergenti o sepolti, anche attraverso la fotografia aerea, può giovarsi dello
scavo per saggiare il terreno nei punti in cui la sua superficie mostri la
presenza di vestigia archeologiche.
I saggi di scavo, ossia aprire un terreno con trincee,
gallerie o pozzi, mostrano i confini di una zona monumentale, città o
necropoli; rilevano la pianta di un edificio; individuano gli strati e
materiali archeologici del sottosuolo. Il taglio verticale dovrà essere fatto
in modo che consenta agevolmente sia l'asportazione della terra sia la
possibilità di fotografare le pareti della trincea per documentarne gli strati.
Le pareti del taglio dovranno avere l'inclinazione sufficiente per non causare
franamenti. Le terre di risulta vanno sempre gettate lontano per permettere un
eventuale ampliamento. Quando il taglio del terreno ha come scopo di
riconoscere il carattere delle fondazioni di un edificio, basterà che il cavo,
fatto a ridosso della costruzione, ne consenta la visione.
Nello scavo stratigrafico occorre procedere nell'esplorazione
per sezioni orizzontali, scavando cioè il terreno, strato per strato, con metodo
e con la maggiore attenzione, soprattutto nel caso di strati preistorici in
caverne o villaggi di capanne e stazioni lacustri, in cui le singole
testimonianze umane o i singoli manufatti non hanno tanto valore per sé stessi,
quanto per il loro aggruppamento originario e per la loro provenienza
stratigrafica. Lo scavo che richiede metodi tecnici e operazioni più complesse
è quello che mira a restituire una vita archeologica ai monumenti del passato.
Se si tratta di intere città sepolte, il metodo di scavo è
determinato in gran parte dall'intuizione o dalla conoscenza delle cause che ne
hanno determinato la scomparsa e il seppellimento, ma vanno tenute presenti
anche le vicende storiche della città dopo la sua sparizione. Ci possono essere
centri urbani che, una volta scomparsi, sono stati abbandonati per sempre;
altri invece che, dopo il primo, hanno avuto un nuovo periodo di vita
attraverso i secoli. Nel primo caso (è quello di alcune città romane in Africa)
lo scavo ha raggiunto il suo fine storico e archeologico, quando abbia messo
allo scoperto le rovine della città, che sono quasi tutte a uno stesso livello
e di una medesima epoca. Nel secondo caso, che è il più frequente (Troia,
Cirene, Roma, Pompei, Ostia, ecc.), lo scavo deve rintracciare epoche
successive di sviluppo edilizio analizzando le varie stratificazioni
sovrapposte che segnano le differenti vite dell'organismo urbano.
Da un secolo si è abbandonato l'originario deplorevole
sistema di scavare pozzi in profondità e per mezzo di questi penetrare
attraverso gli edifici bucando muri per portare in superficie oggetti di valore.
Si procede oggi con un sistema di vaglio rigoroso di tutte le materie che hanno
causato il seppellimento dei monumenti: tolto il primo strato di terra
vegetale, s'incominciano a intravedere le parti alte degli edifici, in parte
schiacciati, in parte carbonizzati, tetti, travature, balconi, elementi tutti
che vanno conservati al loro, sostenuti e consolidati prima di procedere alla
scoperta delle parti sottostanti. In sostanza, si usa il metodo inverso del
costruttore: si procede cioè dall'alto in basso per sezioni orizzontali e
verticali, in modo che i piani superiori delle costruzioni siano i primi a
tornare in luce e ad avere le necessarie sistemazioni.
Fino a qualche decennio fa, le macerie venivano asportate in
blocco e gettate via, ma il nuovo metodo di scavo consiste invece nel gettare
soltanto gli sfabbricini o i pezzi informi di muratura, conservando tutto ciò
che può essere applicato di nuovo e quindi riutilizzato nell'edificio antico.
Il pregio della nuova tecnica di scavo si risolve in un maggiore valore
scientifico di questo. Compiuta la sistemazione delle rovine emergenti dal
piano stradale antico, vanno poi ricercate, con scavi supplementari, le
vestigia di età più antiche, sottoposte a quelle di epoca imperiale.
Molto più semplice è la tecnica dello scavo per città
seppellite dalla sabbia, come Leptis Magna in Tripolitania, e in genere per le
città antiche dell'Africa romana. A Leptis, in parte i terremoti in parte il
cumulo delle sabbie hanno fatto inclinare con una pressione uniforme muri e
colonne, sicché la tecnica dello scavo consiste nella rimozione delle sabbie stesse
e nel raddrizzamento delle parti cadute. Per altre città africane, di
costruzione in genere poco solida, eccetto le parti monumentali in pietra, la
rimozione delle terre di copertura delle rovine porta con sé la disgregazione
delle murature, donde la necessità di consolidarle man mano che si procede
nello scavo. Talvolta, come a Timgad, tale ricostruzione è stata eccessiva.
Ci sono poi città, campi fortificati, zone monumentali che
sono state distrutte per umana violenza. È il caso delle città o campi fortificati
romani nella Gallia, nella Britannia, o sul Reno; è il caso di Aquileia o della
Cartagine punica, rase al suolo, e di tante altre. Qui la terra vegetale
ricopre, in genere, più la pianta che non l'alzato degli edifici, già in antico
distrutti. Si tratta allora di rintracciare le fondazioni degli edifici e di
individuarne la pianta.
La difficoltà è, in genere, di ordine preliminare, non
inerente, cioè, allo scavo stesso, che si riduce a una rimozione di terre di
copertura, che vanno in ogni modo attentamente vagliate perché possono
contenere preziosi elementi cronologici, quali monete, mattoni e tegole con
marche di fabbrica, strumenti di guerra, ecc., più che elementi di
ricostruzione edile. Tanto più che si constata sempre che né il tempo né gli uomini
sono mai stati distruttori così violenti da non lasciar tracce utili a
riconoscere e le cose distrutte e le cause della distruzione.
Particolare metodo di scavo richiede l'esplorazione delle
tombe sia singole sia nel complesso di una necropoli. L’accuratezza con cui si
scava una tomba deve sempre essere massima perché, non essendo mai perfetta la
chiusura di una deposizione sepolcrale, il terriccio che è penetrato in essa va
rimosso e vagliato con somma cura: ogni oggetto unito al cadavere può assumere
particolare importanza per la sua collocazione, e ciò anche in vista di una
possibile ricostituzione della tomba in museo.
Si può concludere che non esiste un unico metodo o un'unica
tecnica di scavo, giacché questo deve essere subordinato alla natura delle
ricerche, e occorre che l'opera dello scavatore-archeologo sia integrata da
quella di un disegnatore e di un architetto.
Nella tecnica dello scavo rientrano infine previdenze di vario
carattere, come: organizzazione dei cantieri di lavoro, trasporto rapido ed
economico delle terre di rifiuto fuori della zona archeologica, redazione del
giornale di scavo, calchi in gesso di oggetti mobili e immobili, copie e calchi
di iscrizioni, rilievi, fotografie, eventuale rimozione di dipinti e mosaici,
consolidamento, ripristino e sistemazione dei ruderi, riparazione, imballaggio
e trasporto degli oggetti; tutto insomma l'organico e complesso lavoro che
precede, accompagna e segue uno scavo scientificamente condotto.
Per quanto riguarda la legislazione degli scavi, le
disposizioni in vigore che disciplinano gli scavi e le scoperte archeologiche
si fondano su quattro postulati:
1. Il governo ha il diritto di occupare temporaneamente
qualunque parte del territorio nazionale per eseguire scavi archeologici,
ma il proprietario del suolo dev'essere compensato per il lucro mancato e il
danno emergente. Le cose scavate appartengono allo stato; ma del prezzo di
esse, è concessa una quarta parte al proprietario del fondo. Il valore è
determinato amichevolmente, oppure mediante perizia di una commissione
arbitrale.
2. Il governo ha il diritto di espropriare quei terreni nei
quali dovranno eseguirsi gli scavi.
3.Il governo può concedere a enti e a privati il permesso di eseguire ricerche archeologiche.
È necessaria una domanda in carta da bollo, nella quale sarà dichiarata
esattamente la località, la durata degli scavi, il nome delle persone che li
dirigeranno e sorveglieranno; insieme con la domanda, i documenti comprovanti
la proprietà del fondo, dove saranno fatti gli scavi stessi. Delle cose
scoperte sarà rilasciato agli enti o ai privati la metà, oppure il prezzo
equivalente.
4. Le scoperte archeologiche avvenute per caso fortuito
devono essere denunziate al governo. Lo scopritore fortuito ha il
dovere di farne denunzia e di provvedere alla conservazione delle cose
scoperte, lasciandole intatte sul posto sino all'arrivo, non oltre il 30°
giorno dalla scoperta, dei funzionarî dell'amministrazione. Anche di queste cose
sarà rilasciata metà o il prezzo equivalente al proprietario del fondo.
Egregio prof. vorrei porLe un quesito
RispondiEliminaRiguarda il fenomeno dell'eustatismo che riguardò, a detta di qualche studiosi il bacino occidentale del mediterraneo ed in particolar modo la Sardegna.
In quest'ultima isola gli insediamenti fenici,proprio a causa del suddetto fenomemeno, risultano parzialmente inabissati ( vedi Nora) motivo per cui risulterebbero essere stati fondati ,a detta di alcuni studiosi fuori dal coro, prima che ciò accadesse e cioè non in epoca fenicia e cioè non dai fenici ma dai nuragici stessi.
La domanda che Le pongo è questa : è a conoscenza della data in cui avenne l'innalzamento del livello marino nel bacino occidentale del mediterraneo ?
Questo fenomeno riguardò la Sardegna ?
Abbiamo dati incontrovertibili di una fondazione "non fenicia" di Sulky,Nora e delle altre città fenicie ? se si quali sono questi dati ?
Spero che possa rispondere a queste domande.
La ringrazio.
Distinti saluti
La linea di costa presenta notevoli problemi di interpretazione cronologica perché il mare non si abbassa o si solleva in modo uniforme. Ad esempio, nella costa orientale della Sardegna sono avvenuti fenomeni opposti a quelli della costa occidentale. In sostanza da una parte sprofonda la costa e dall'altra si solleva. Non conosco i dati scientifici delle linee batimetriche nel corso dei secoli, e prendo per buono ciò che ho studiato all'Università, ossia che intorno al 1200 a.C. il mare era "mediamente" circa un metro e mezzo più in basso di oggi. Ma ci sono anche fenomeni interessanti nei villaggi costruiti vicino alle foci dei fiumi perché c'è un apporto continuo di materiale che tende a riempire la foce. Tutto ciò, come ho spiegato dettagliatamente nel libro "Antichi popoli del Mediterraneo - Capone editore - 2011", ha comportato un progressivo allontanamento dalla costa degli edifici in alcune zone e un inabissamento di altre. Per quanto riguarda i villaggi costieri sardi abbiamo un altro problema: non possiamo conoscere le situazioni precedenti l'età fenicia perché dovremmo smontare gli strati punici, quelli romani, quelli bizantini e così via. In pratica lo strato nuragico che precede quello di età fenicia è sotto...ed è azzardato fare ipotesi.
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