La statuaria di Monte Prama: giganti o eroi divinizzati?
di Pierluigi Montalbano
In occasione dell'inaugurazione della mostra dedicata ai giganti di Monte Prama ho pensato di proporvi un mio articolo di Ottobre 2010, quindi quasi 4 anni fa, nel quale suggerivo la cronologia, le motivazioni ideologiche e gli aspetti stilistici della prima statuaria in pietra realizzata dai nuragici. Sono felice che a distanza di 4 anni questo scritto rimanga attualissimo ed è oggi finalmente condiviso dagli studiosi. Solo recentemente illustri archeologi sono riusciti a interpretare scientificamente quelle statue, e mi piace pensare che un briciolo di merito sia da attribuire a quelle mie prime indagini. Un altro tassello della nostra storia sarà visibile nei musei, e da oggi siamo tutti più ricchi culturalmente. Buona lettura.
Il ritrovamento nel 1974 degli oltre 5000 frammenti di statue che hanno consentito la ricostruzione, che ancora oggi procede, dei “Giganti di Monte Prama” consente di aggiungere un piccolo tassello alla cronologia della storia della Sardegna (Tronchetti, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/le-rotonde-nuragiche.html). Insieme alle statue, il lavoro di restauro curato dai tecnici del centro di Li Punti ha riportato in essere alcuni nuraghi miniaturizzati a una o più torri. Pur essendo poco rilevante per questo lavoro stabilire il ruolo dei personaggi rappresentati, e la funzione simbolica dei nuraghe miniaturizzati, lo studio iconografico indica con precisione chi furono i committenti di queste sculture e chiarisce, senza alcun dubbio, che la civiltà nuragica era capace di organizzare tecnicamente e ideologicamente la rappresentazione della propria cultura. È chiaro l’intento di autocelebrarsi da parte di una o più comunità che si riconoscevano nei nuraghi e nei guerrieri rappresentati anche nei bronzetti, alcuni dei quali coevi. Considerato che nessun ricercatore registra per quel periodo dati archeologici che mostrano tracce di guerre importanti, si tratta dunque della rappresentazione di eroi di guerre del passato scolpiti in posa da parata, ma occorre segnalare che uno studioso afferma che i Guerrieri di Monte Prama erano la guardia del corpo del Sardus Pater, dio nazionale dei Nuragici, nel tempio a lui dedicato nel Sinis (Pittau, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/ancora-sulle-statue-di-monte-prama.html).
Il più importante testo scritto sardo che l’archeologia indaga ormai da oltre un secolo, è la Stele di Nora. Nella sua traduzione si sono cimentati numerosi studiosi senza arrivare, per il momento, ad una condivisione di significato. In questa stele, scritta in caratteri fenici, non si segnalano al momento incisioni la cui traduzione riporti a battaglie. Anch’essa è cronologicamente inquadrabile all’epoca delle statue di Monte Prama. (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/la-stele-di-nora-1-parte-scrittura.html)(Montalbano, vedi, inoltre, http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/la-stele-di-nora-2-parte-scrittura.html).
I segni di scrittura finora ritrovati ed esaminati su altri manufatti, ad esempio nei lingotti ox-hide in rame e in alcune ceramiche, indicano misure ponderali, timbri di botteghe metallurgiche o, secondo qualche studioso, simboli religiosi. Nulla, quindi, che mostra battaglie epiche, invasioni e trattati di pace, niente di tanto rilevante da essere scolpito nella pietra, così come accadde, invece, in Egitto all’epoca dei faraoni ramessidi. Le statue rappresentano personaggi facenti parte di un mito entrato nella tradizione dei sardi nuragici, ed essendo in pietra sono frutto della volontà, da parte dei committenti, di immortalare questo mito in maniera durevole.
È curioso registrare che i frammenti sono stati riportati alla luce in uno scavo eseguito sopra una necropoli di 33/34 tombe a pozzetto allineate, tipologicamente nuragiche e cronologicamente attestate dagli studiosi intorno all’inizio dell’VIII a.C.. Ciò suggerisce che in ognuna delle sepolture riposasse il corpo di un discendente dei guerrieri rappresentati. Ma alcuni ricercatori ritengono che le statue furono frantumate altrove, nelle vicinanze, e trasportate sulla necropoli, attribuita ai punici e utilizzata, in seguito, come discarica. (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/05/monte-prama-i-giganti.html).
Per questa analisi mirata a stabilire la cronologia dei giganti, non è importante indagare oltre su questo punto, e analizzerò quasi esclusivamente i dati archeologici comparativi, cercando di evitare ipotesi non suffragate da dati oggettivi.
I giganti sono facilmente distinguibili in alcune categorie tipologiche, già segnalate dagli studiosi: guerrieri e piccoli nuraghe. I primi, a loro volta, si classificano in arcieri, spadaccini con scudo rotondo e soldati armati di maglio nella mano destra, mentre nella mano sinistra, tenuta sopra la testa, stringono uno scudo flessibile, a mio parere realizzato con strati di lino sovrapposti e incollati con resina, rinforzato con stecche longitudinali. Gli altri manufatti, i piccoli nuraghi si possono suddividere in edifici ad una o più torri.
Per evitare di instradarmi verso una classificazione che sarebbe più soggettiva che scientifica, inserirò solo successivamente il mio pensiero sui guerrieri (Montalbano, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/08/i-corridori-di-monte-prama.html) e preferisco ora concentrare l’attenzione sulle torri, non perché i primi siano meno importanti ma solo per focalizzare al meglio la cronologia. Mi preme tuttavia sottolineare l’atipicità di voler ingigantire gli eroi e rimpicciolire gli edifici, a suggerire forse che in quel periodo ci fu un’evoluzione o un cambiamento dei rapporti sociali e delle gerarchie. Chi si era distinto in operazioni militari o aveva ricoperto incarichi prestigiosi, era posto quasi allo stesso livello delle divinità e veniva simbolicamente rappresentato nella statuaria in pietra.
I piccoli nuraghi ricomposti dai tecnici del Centro di restauro di Li Punti sono ben conosciuti in ambito sardo nuragico. Si tratta di quei caratteristici manufatti ritrovati al centro di alcune grandi capanne dotate di banconi per sedersi in circolo, denominate “capanne delle riunioni”, ubicate nei siti di maggiore interesse archeologico, e sempre cronologicamente attestate a partire dal X a.C. Possiamo già, dunque, eliminare senza indugio alcuno, per la nostra ricerca sulla cronologia delle statue giganti di Monte Prama, tutti i riferimenti cronologici anteriori a questo X secolo (Moravetti, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/le-rotonde-nuragiche.html) (Derudas, vedi http://pierluigimontalbano.blogspot.com/2010/10/ancora-sulle-rotonde.html).
Nei siti nuragici gli archeologi hanno, infatti, portato alla luce differenti tipologie di manufatti che indicano, per i periodi precedenti, facies culturali che si avvalgono di rappresentazioni che non corrispondono a quelle da noi analizzate.
Altro elemento da scartare con veemenza è la possibilità che i committenti siano esterni all’isola. Chi mai potrebbe amplificare la gloria di un popolo dopo averlo assoggettato militarmente, o comunque conquistato? Le statue sono sarde nuragiche, come chi le ha commissionate. Su questo punto non si possono accettare, né ci sono al momento, altre ipotesi concrete. La bottega artigianale che le ha riprodotte era locale, pur non essendo possibile provarlo scientificamente, e il materiale da costruzione proviene dalle cave di calcare oristanesi. A mio avviso, la statua (uno spadaccino) che presenta un rilievo bassissimo nella parte frontale, una sorta di stola posta verticalmente lungo il busto e fino al ventre, è da attribuire a un maestro scultore proveniente dal Vicino Oriente, forse dalla Siria, poiché quei dettagli calligrafici, quella precisione e quell'eleganza nelle incisioni erano praticati nelle botteghe di corte dei regni settentrionali del Vicino Oriente. C'è da rilevare, inoltre, che un guerriero (un arciere) nell'atto di stringere nelle mani l'arco, piega il pollice a 90°, anche questo un dettaglio utilizzato nella scuola siriana dell'epoca. C'è da pensare a qualche potente clan nuragico che acquisì in qualche modo la professionalità di un maestro siriano e lo convinse ad aprire bottega nell'oristanese per insegnare ai sardi la lavorazione a tutto tondo della pietra. Il luogo di ritrovamento delle statue è ubicato nel territorio di Cabras, e non deve sorprendere che il sito sia in prossimità della costa, e dunque del mare, perché i sardi in quel periodo avevano forti collegamenti con l’esterno, come dimostrato dagli studi pubblicati dagli archeologi sui materiali d’importazione e sui manufatti sardi rinvenuti fuori dall’isola. Inoltre le popolazioni nuragiche erano ben coscienti di vivere in un isola, circondati dal mare, e avevano individuato nelle coste quei luoghi nei quali poter svolgere favorevoli intermediazioni con le popolazioni d’oltremare. Quale miglior luogo avrebbero potuto scegliere per posizionare delle statue tanto imponenti e rappresentative della propria civiltà?
Ritorniamo ai piccoli nuraghe rappresentati con precisione calligrafica. I ritrovamenti significativi di questi manufatti, come già segnalato nelle note 5 e 6, sono stati fatti ad Alghero, nella capanna delle riunioni del nuraghe Palmavera, nella grande capanna circolare del nuraghe di Punta Unossi, a Su Nuraxi di Barumini nel vano 80, nella capanna 1 del Losa, nel Santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, e possiamo certamente inserire in questa tipologia, pur se di poco successivi, anche quello scolpito nell’altare-vasca scavata da Ugas all’interno del vano E del nuraghe Su Mulinu a Villanovafranca, e quello scolpito nell’altare-vasca di Su Monte di Sorradile. Tutti questi ritrovamenti sono inquadrabili in contesti che vanno dall’IX fino all’VIII a.C. Già da solo questo fatto sgombrerebbe il campo da ipotesi cronologiche differenti, ma per correttezza metodologica preferisco approfondire con altre indagini.
Un dato, purtroppo solo soggettivo, è suggerito dalla persistenza della simbologia utilizzata dai nuragici. Abbiamo già visto che la pietra, oltre il toro, l'acqua, il crescente lunare e la Dea Madre, sono divinizzati fin dalle epoche precedenti, sia in ambito funerario sia pubblico. Il passaggio all’età del Bronzo accentua questo simbolismo, e le costruzioni ciclopiche sono ancora lì, a disposizione degli archeologi per essere studiate, interpretate e, si spera, capite.
Nuraghi, tombe dei giganti e pozzi, pur senza indagare sulle rispettive funzionalità, sono un’evidente segno della volontà, da parte delle comunità nuragiche, di regalare maestosità, prestigio e magnificenza ai simboli legati alla pietra. Pur peccando di scarsa scientificità, si potrebbe avanzare l’ipotesi che le tombe dei giganti siano un concentrato di divinità: il culto degli antenati, il simbolo taurino e la rappresentazione dell’utero, espressi con la pietra. Ma anche i pozzi e i nuraghi, con la l’indubbia manifestazione di perizia tecnica messa in mostra dai nuragici, racchiudono la volontà di esprimere sacralità con la pietra.
Visto che nei frammenti di Monte Prama non vi sono pozzi o tombe miniaturizzati, è preferibile soffermarci sul simbolismo espresso dai nuraghi. Possiamo segnalare il parere di autorevoli studiosi che vedono in questi edifici la divinizzazione degli antenati, o la costruzione di strutture legate al sole, alla luna o, ancora, luoghi nei quali la comunità si identifica. Le imponenti torri nuragiche sono forti indicatori di protezione, sotto la quale le comunità che le avevano edificate si riunivano per governare, celebrare riti civili e religiosi, ringraziare gli dei e prepararsi al futuro. Non è importante decidere in questa sede se quelle comunità erano prevalentemente pacifiche o bellicose, il nostro interesse deve focalizzarsi solo sulla cronologia.
Il simbolismo, ossia la divinizzazione della torre in pietra, è stato mantenuto per un migliaio di anni con varie modifiche interessanti. Quella che colpisce più da vicino questo studio è la miniaturizzazione, avvenuta a partire dal X a.C., e la creazione di grandi capanne con sedili, fornite di altari, troni, vasche, nicchie e betili. Il nucleo di questa indagine è fissare, con ragionevole certezza, il periodo di costruzione delle statue giganti, e occorre perciò stabilire anzitutto quando si decise di realizzare piccole torri simboliche e trasportarle all’interno delle capanne delle riunioni.
Abbiamo visto che queste capanne furono edificate all’esterno dei nuraghi, sopra strutture più antiche, ma si volle mantenere intatto il simbolismo miniaturizzando le torri, disponendole al centro delle nuove costruzioni e inserendole in basamenti circolari, quasi a voler mantenere integro l’ombrello protettivo sotto il quale prendere le decisioni sulla sorte della comunità. Questo simbolismo è proprio ciò che è stato portato alla luce a Monte Prama. I nuragici realizzarono, oltre le statue giganti, delle piccole torri nelle quali fu racchiusa ideologicamente la divinità, idoli in pietra intorno ai quali l’assemblea si riuniva, dedicava le offerte ed eseguiva riti e cerimoniali a noi solo parzialmente conosciuti. Gli archeologi hanno, inoltre, individuato resti di volatili, piccoli canali per far defluire i liquidi, altari, vasche e residui derivanti da fuochi.
Due importanti luoghi di culto sono stati scavati a Villanovafranca e Sorradile. Gli archeologi hanno portato alla luce due altari nei quali è evidente la volontà di unire la piccola torre e la vasca, unendo il fuoco e l’acqua nel rito rappresentato sulla pietra. Sono manufatti particolari che riunivano i simboli e i cerimoniali, civili e religiosi, cari alle popolazioni nuragiche. La peculiarità di queste vasche, rispetto a quelle utilizzate in passato, è quella di essere state inserite all’interno di nuraghe. Testimoniano senza dubbio alcuno, l’utilizzo dei nuraghi come luoghi di culto. Possiamo cronologicamente inquadrare la miniaturizzazione delle torri verso la fine del X a.C. e la costruzione di queste vasche nel IX a.C.
Visto che i piccoli nuraghe restaurati a Li Punti non fanno parte integrante di vasche e non sono stati ritrovati all’interno di nuraghi, possiamo affermare con ragionevole certezza che furono scolpiti fra la seconda metà del X e la prima metà del IX a.C.
La miniaturizzazione divenne un elemento costante a partire da quel periodo, infatti proprio dalla fine del IX a.C. la bronzistica figurata ci ha regalato una miniera di informazioni sulla civiltà nuragica. Usi, costumi, tradizioni, religiosità, animali, barche e oggetti vari sono rappresentati nei minimi particolari dalle esperte mani di maestri fonditori del bronzo che utilizzarono una tecnica ancora oggi difficoltosa e costosissima: la fusione a cera persa.
Il forte simbolismo ereditato dagli antenati diviene la chiave di volta per capire il mondo nuragico. Acqua, fuoco, pietra (terra) e divinità (cielo) sono racchiusi nei manufatti nuragici che si possono oggi ammirare nei musei di tutto il mondo.
Anche le piccole barche bronzee suggeriscono questa simbologia e furono concepite proprio per unire un nuovo elemento, la marineria, a quelli già cari ai sardi. I rapporti con i popoli oltremare erano maturi e non a caso proprio nelle coste etrusche e in vari altri approdi sono state ritrovate navicelle ancora intatte, in contesti funerari del Ferro, a dimostrare che la miniaturizzazione fu l’elemento principe della nuova società.
I giganti di Monte Prama furono rappresentati da una civiltà che cambiava e fondeva la propria cultura con gli apporti dei nuovi arrivati. Mantenne l’identità precedente e si arricchì delle esperienze dei navigatori, senza con ciò voler affermare che i nuovi arrivati erano estranei al mondo sardo. Le società che si affacciano sul mare sono da sempre pronte a cogliere ogni innovazione arrivi dall’esterno, e la Sardegna, essendo un’isola con posizione strategica impareggiabile e risorse minerarie abbondanti, fu il centro di raccolta e smistamento di tutto ciò che transitava fra le sponde del Mediterraneo.
Nessun commento:
Posta un commento