martedì 2 aprile 2013

Viaggio tra le prescritture, le rotte del mare ed i segni del cielo



Megaliti di Nardodipace (VV), viaggio tra le prescritture, le rotte del mare ed i segni del cielo
di Anna Foti


Pagine di Preistoria italiana scritte anche in Calabria. Ad indicarlo sono state le scoperte archeologiche di notevole portata avvenute durante la campagna di scavi condotta dal professore Alessandro Guerricchio, ordinario di Geologia dell'Università della Calabria, e conclusasi dieci anni fa. Un'attività di studi eseguita, oltre che dal geologo, anche da Valeria Biamonte, Roberto Mastromattei, Maurizio Ponte, Alberto Pozzi e Vincenzo Nadile, che per primo ne segnalò la scoperta. Al centro della campagna di scavi megaliti di notevoli dimensioni rimasti a lungo tempo nascosti sotto una fitta vegetazione. Strutture che, anche se disfatte con massi sparsi sul terreno in discesa rispetto alle strutture rimaste in piedi in cima, consentirebbero di rimandare ad un passato antico e ad una struttura, nel suo insieme originario, armonica.
Reperti (blocchi di granito fino a 200 tonnellate di sei ed otto metri di altezza) sopravvissuti alle violente scosse telluriche cui è da sempre esposto il territorio o, secondo altri, ciò che ‘naturalmente’ sarebbe rimasto di maestose montagne anch'esse provate dall'erosione e da violenti terremoti. Dunque opera dell’uomo o della forza della natura? Il colpo d'occhio potrebbe suggestionare ed alimentare l'impressione di trovarsi di fronte a reperti millenari che abbiano qualcosa da raccontare oltre il fenomeno naturale. Complice di questa suggestione anche un'ipotetica civiltà che avrebbe abitato l'enclave calabrese sulla scia delle Lestrigoni narrate da Omero nell'Odissea. Al di là di ogni suggestione, gli studi dell’antropologo Domenico Raso, autore de "La città della Porta" , "La cerealicoltura nella Calabria pelasgica" e, di prossima pubblicazione, "La dieta pelasgica" e "Runica", il vocabolario della lingua dei Pelasgi (collana "L'anello mancante" della Casa Editrice di cultura calabrese Kaleidon) e ospite nei giorni scorsi presso l'Università della Terza Età di Reggio Calabria, riconducono queste località alla mappatura dei popoli Pelagici (secondo gli scrittori greci antichi gli antenati della popolazione ellenica in Grecia) che insediatisi tra i fiumi Allaro (Vallata dello Stilaro - RC) e Precariti (Caulonia, Placanica – RC), lungo la via che conduce dal mar Ionio all’altura definita “Monaca”, a circa 1400 metri sopra il livello del mare, avrebbero lasciato anche in Calabria tracce ciclopiche delle loro tradizioni cultuali, ed anche altri reperti come quelli rinvenuti dall’avvocato Mario Tolone Azzariti, oggi nella sua collezione custodita a Girifalco (CZ), ricchi di esempi di prescrittura, con intagli e segni sulle medesime rocce.
Costruzioni imponenti, situati sui punti alti della vallata, modellate come si usò fare per le piramidi europee e capaci di rimandare alla Stonehenge inglese ed ai Tumulus della cultura celtica. Vestigia antiche che raccontano anche del cielo, del sole delle stelle, come emerge dall’indagine dell’archeo astronomo Adriano Gaspani. Insomma uno scrigno di fascino senza tempo e senza fine.
I megaliti
La tesi di un intervento umano è proprio del geologo Alessandro Guerricchio, anche suffragata dagli esiti del sopralluogo dei ricercatori della Commissione per lo Studio e la Catalogazione del Megalitismo dell’Ecospirituality Foundation.
Secondo Alessandro Guerricchio si tratterebbe di ammassi rocciosi che sarebbero stati originariamente disposti in un preciso ordine, i cui componenti sarebbero stati estratti dalle cave (come quella di Monte Pietra Spada a 1140 metri di altezza) e tradotti nei luoghi prescelti attraverso delle piste, di cui ancora rimangono tracce laddove sono stati rinvenuti massi squadrati allineati a tracciare i percorsi in cui questi massi sarebbero stati fatti scendere con l’ausilio di rulli lignei. Strutture megalitiche occupano di fatto vaste zone nei territori di Nardodipace e Serra San Bruno in provincia di Vibo Valentia e Stilo in provincia di Reggio Calabria. Si tratterebbe di strutture risalenti al periodo Neolitico compreso tra il V ed il III millennio a.C. (Protostoria). Triliti che richiamerebbero il megalitismo bretone cui si deve la denominazione di Stonehenge italiana di questo antico scrigno calabrese in cui un popolo, che si presume abbia avuto una organizzazione sacerdotale ed anche militare ma che non avrebbe avuto motivo di edificare strutture artificiali in una zona talmente sismica, potrebbe aver estratto e trasportato, facendosi anche aiutare dalla morfologia del territorio e da svariati percorsi scoscesi, enormi blocchi di granito.
Notevoli forze umane sarebbero state impiegate per erigere grandi strutture, rappresentate da tre pietre (triliti), due pilastri sormontati da un architrave che richiamano la Stonehenge inglese. Talmente laboriosa e faticosa l'edificazione di queste imponenti strutture da lasciare supporre la matrice cultuale, sacrale e sepolcrale, e non difensiva dell’opera. L'assenza di mura di collegamento tra le strutture megalitiche induce ad escludere che si sia trattato, infatti, di una cinta muraria e di fortificazioni. Indicazioni in prescrittura su alcune rocce di entrambi i geositi (Sambuco e Ladi) di Nardodipace atterrebbero proprio alle grandi sepolture dei Re che i Popoli del mare avrebbero eseguito attorno al Piano di Cianu (Ciano è oggi il nome del capoluogo comunale di Nardodipace), dove le donne venivano a piangere i morti ma anche a ripararsi dalle incursioni dei pirati sulle coste.
Rilevamenti, esame di fotografie ed aree stereoscopiche hanno esteso lo studio dalle cinque strutture megalitiche individuate nelle località di Sambuco (Pietre Incastellate) e Ladi a distanza di 1 km dal centro abitato del comune di Nardodipace, inizialmente indicati da Vincenzo Nadile, fino ad altre località nei territori comunali di Serra San Bruno (VV) e Stilo (RC), località di Monte Pecoraro e Pietra del Caricatore.
Alla base degli studi del professore Guerricchio e della tesi di un'opera di fattura umana, svariati sono gli indizi tra cui la geometria a conca per l'incastro degli architravi da ascrivere ad una lavorazione - dunque umana - con lo scalpello, la disposizione geometrica con l'incisione dei pittogrammi (ossia segni grafici che descrivono una cosa vista e non udita, dunque un oggetto e non un suono), l’allineamento dei blocchi, la loro giustapposizione reciproca. Una struttura pregnante e densa di significato che potrebbe non essere riuscita a sopravvivere, per via dell’esposizione sismica della zona, e dunque non essere riuscita a conservarsi come invece avvenuto ad Amesbury nello Wiltshire, Inghilterra, circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury.. Qui esemplari di Stonehenge (pietra sospesa su architravi, da stone e henge) sarebbero, ma la questione è ancora molti dibattuta, disposte in cerchio ed allineate con riferimento ai punti di solstizio ed equinozio e costituirebbero un "antico osservatorio astronomico’’, inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO dal 1986.
La Prescrittura ed il culto sepolcrale dei Re
La realizzazione architettonica delle strutture lascia supporre una significativa padronanza nell'uso della pietra che si ritiene propria delle popolazioni del tardo Neolitico, nota anche come età della Pietra levigata, ossia l'Eneolitico in cui alla pietra si affiancano il rame, il bronzo ed il ferro. Il passaggio, in sostanza, dall'età della Pietra a quella dei Metalli, dalla Protostoria all'era della lavorazione dei metalli, dalle industrie litiche alla metallurgia. Ma il Neolitico è anche l'era della lavorazione della ceramica impressa e graffita, fino alla tecnica di Bernabò Brea in Contrada Diana, nell’isola di Lipari e a Masseria Bellavista presso Taranto, indicata appunto come Diana-Bellavista. Importanti tasselli per lo studio dei Megaliti di Nardodipace e delle popolazioni che potrebbero aver popolato la zona, sono offerti anche dalla collezione dell'avvocato Mario Tolone Azzariti di Girifalco (CZ) in cui spicca la testa in calcarenite color oro di un Sovrano del Mare, denominato “Il Re dei venti anni”. Sul lato della figura è raffigurato “il regno del sole delle Serre” posto ad Oriente tra Squillace e Girifalco, a Settentrione delle Serre Joniche, ed a Sud tra Marina di Caulonia e Nardodipace, antica città della Porta, Tempio della Natura che, secondo l’interpretazione di alcune prescritture, si lega al concetto di soglia, rinascita, sepolcro. Ecco che la mappatura di questa civiltà in Calabria potrebbe essere stata rappresentata.
I Pelasgi migrarono verso queste terre portandosi dietro le spoglie dei loro Re e dei loro antenati via mare per poi seppellirle nella grotta dei Mari, mai finora però esplorata a fondo. I feretri erano destinati alla Resurrezione nella piana di Ciano ed al culto sepolcrale rivolto ai Re. La grotta che si trova nei pressi del Monte Gallo, nel comune reggino di Placanica, custodirebbe la necropoli che ospitò temporaneamente i feretri di 110 sovrani Pelasgi, trasportati dai popoli del Mare da Egitto e Siria per trarli in salvo nel 6.700 a.C. da un diluvio. Altre grotte popolano la zona tra cui la Grotta delle Fate, il Covo dell’Anfranco, la Grotta dello Schiavo, la Grotta della Diaclasi e l’Antro della Capra.
Ad arricchire il tutto pregnanti testimonianze di prescrittura riportate su rappresentazioni figurative in steatite della Madre Luna simbolo del matriarcato di questa civiltà, del “Dio-Serpente”, del nemico, dell’esodo di donne e bambine verso il piano di Ciano, del cavaliere acefalo, del pescatore del golfo di Squillace, del fiume Precariti e delle tre cime dei tre colli della Monaca, di Sambuco e Ladi. Si tratterebbe in verità di “falsi figurativi”, in realtà mappe e indicazioni topografiche tracciate per tramandare informazioni, costumi e tradizioni di quel popolo. Testimonianze conservate nella collezione Tolone a Girifalco. Prescritture sono presenti anche sui massi di Nardodipace, alcune già naturalmente copertesi di muschio e non più perfettamente identificabili.
Le rotte dei Popoli del mare
Mentre il comune di Nardodipace guardava ai suoi geositi per farne un parco del Neolitico, ulteriori scavi erano stati programmati per la ricerca di utensili e vasellame che avrebbero potuto consentire una più certa datazione dei medesimi reperti ed una maggiormente precisa identificazione delle presunte popolazioni che vi avessero abitato. E proprio sullo studio di tali Popoli si è orientato il professore Domenico Raso, secondo il quale i popoli del Mare, i cosiddetti Pelasgi, cantati da Omero, Virgilio, Strabone, Eschilo, Sofocle ed Erodoto, avrebbero abitato le Serre Joniche dal VII millennio a.C. alla metà del II millennio a.C., lasciando tracce della loro identità ad oggi rinvenibili attraverso apporti epigrafici di prescrittura pelasgica, riscontrati anche sulla Tavola di Biblo, nella Tular di Bagno a Ripoli (Firenze), nella Pietra del Chianti (Firenze), negli innumerevoli reperti di Glozel (Francia), nei corpi di prescritture della Libia, nelle sequenze di “Rune” della Scandinavia e delle coste settentrionali dell’America (Canada), oltre che in Calabria. Tali strutture, data l'altitudine, ricadrebbero in un luogo di culto della Civiltà pelasgica sviluppatasi in modo graduale; i punti maggiormente raggiunti dopo gli esodi da Egitto e Siria, sarebbero stati l’antica insenatura-porto di Squillace, l’antica insenatura di Focà-Marina di Caulonia e la retrostante montana Città della Porta (titolo del volume di Domenico Raso), oggi Nardodipace, dunque un tragitto che attraversava dal mare alla montagna il versante jonico della Provincia reggina al confine con la Provincia vibonese. Una quarantina di chilometri separa infatti il centro jonico di Caulonia da quello vibonese di Nardodipace. Una visione suggestiva che riporta la mente millenni indietro per immaginare Popoli in cammino dopo avere solcato il Mediterraneo, da sempre crocevia di esistenze e di culture, ed essere approdati sulle coste calabresi.
Una carta nautica che dal Mediterraneo arriva in Oceania, tracciando la rotta dei Popoli del Mare (gli antichi Tursenoi, probabilmente antenati degli Etruschi), popoli di Navigatori che solevano costruire mura ciclopiche e segnare i luoghi con le loro testimonianze. La presenza di menhir (lunga pietra), ossia monoliti da non confondere con i dolmen, ammassi polilitici assemblati a portale come la Stonehenge inglese, disegnano anche ai giorni nostri una suggestiva mappatura che dalla Sardegna, conduce in Puglia, in Lazio, in Liguria, in Toscana, in Piemonte, in Lombardia, poi anche in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna, in Germania, in Portogallo, in Scandinavia fino in Mongolia, in Nuova Zelanda ed in Indonesia. Senza dimenticare le altre strutture preistoriche presenti in Calabria come le pietre dell’Incavallicata, alle pendici della Sila Grande, nel comune casentino di Campana: Qui due rocce enormi distano tra loro pochi metri e hanno alla base due grotte scavate nella roccia.
I segni del Cielo
Intarsiato in questo mosaico di storia antica, mistero e vestigia nel cuore della Calabria, trova cittadinanza anche il fascino delle stelle e dell'astronomia. L'uomo infatti genera il culto della Madre Terra, appellandosi al Cielo, al Sole, alla Luna, agli Astri per carpire l'alternanza delle stagioni, per regolare la propria attività in base alle condizioni climatiche, allo scorrere del tempo, si avvale della ciclicità dei fenomeni celesti per calendarizzare la pianificazione agricola; ciò accade proprio nell'epoca in cui si comincia a coltivare la terra, a raccoglierne i frutti, ad allevare gli animali. Ebbene l'agricoltura e l'allevamento sono attività che l'uomo sperimenta nel Neolitico. Prima di adesso (Paleolitico e Mesolitico) lo sguardo alla volta celeste da parte dell'uomo aveva avuto il solo scopo di individuare le ragioni delle migrazioni degli animali da cacciare per sopravvivere, adesso invece lo sguardo al cielo riveste un ruolo importante per la vita della comunità. Proprio in epoca neolitica l'uomo individua le stagioni attraverso il quartetto zodiacale in cui le costellazioni corrispondono alle tappe dell’anno solare.
Abbondano, infatti, le teorie sui riferimenti astronomici che sarebbero legate alle incisioni ed al posizionamento dei triliti di Nardodipace specie con riferimento al sorgere del Sole e della Luna, che cominciano ad essere rappresentati con triangoli equilateri come si evince dai reperti rinvenuti a Nardodipace ed oggetto di studi da parte di Domenico Raso, o alla levata eliaca (quando una stella sorge con il Sole) di particolare stelle luminose nel firmamento come Sirio, stella più brillante della costellazione del Cane Maggiore, Vega della costellazione della Lira, Beltegeuse della costellazione di Orione. Lo stesso nome del capoluogo comunale di Nardodipace, Ciano, che con il Vecchio Abitato e le frazioni di Ragonà, Cassari e Santo Todaro forma l'attuale territorio di Nardodipace, potrebbe essere legato a Giano (dal termine ianua - porta), quale divinità solare ed alter ego di Diana, divinità lunare. L'archeo astronomo Adriano Gaspani dell’istituto Brera di Milano ha eseguito delle misure che lascerebbero supporre l'esistenza di linee astronomiche a conferma che le pietre svolgevano una specifica funzione orientativa. Elemento questo che arricchirebbe ulteriormente la tesi del geologo Alessandro Guerricchio ed avvalorerebbe la denominazione di Stonehenge italiana per i megaliti di Nardodipace. In particolare nel geosito A, ossia quello in località Sambuco o Pietre incastellata, la fessura individuabile tra due monoliti (menhir) eretti sull’altura potrebbero avere costituito una sorta di mirino lunare attraverso il quale, nel Neolitico, era possibile osservare la levata del nostro satellite in un giorno specifico del suo ciclo orbitale, il lunistizio (luna alla massima o dalla minima declinazione) estremo inferiore, quando cioè la luna sorgeva alla sua massima distanza angolare al di sopra dell’equatore celeste. Evento astronomico che ricorre precisamente ogni 18 anni e 6 mesi. L’ultimo in ordine di tempo porta la data del 15 settembre 2006.
Per il fascino che ispira e per i riferimenti astronomici presenti, i megaliti di Nardodipace sono stati anche la meta della prima tappa del percorso proposto dal planetario provinciale Pythagoras di Reggio Calabria, diretto da Angela Misiano. A guidare sul posto gli appassionati di stelle, la studiosa Graziella Carè.

Fonte: http://www.strill.it

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