Sant'Andrea Frius: La città romana cancellata.
di Aldo Casu
Nell’articolo pubblicato il 13 gennaio 2013(1), tra l’altro si è illustrato come, grazie al significato etimologico del toponimo “Sìstarièdda”, nella disposizione delle strade interne dell’abitato, si è scoperto il particolare di un asse viario principale che, a est, è diviso in sei parti uguali da sette incroci (vedi Mappa del nucleo più antico del paese) con altrettante strade o vicoli.
Sulla base di citazioni del Taramelli, del Lamarmora e dell’ Angius, oltre che della leggenda che ha tramandato l’esistenza in quest’area di un’antica, vasta e ricca città antica detta “di Frea”, si è affermato che questo particolare è una traccia dell’antico centro romano qui esistito e ci si è riproposti di approfondirlo allo scopo di trovare ulteriori conferme e di farci almeno un’idea di quanto sia stata estesa quella mitica città.
Osservando attentamente la mappa, si constata, innanzitutto, che le attuali via Manzoni (A), già nota come “Bì’’e Tuèrra” e “Bì’’e Barrali”, e via IV Novembre (B), comunemente nota come “Gòr’’e Parèta”, sono parallele all’asse viario principale composto dall’attuale via Libertà, da un primo tratto di via Cagliari e da via Piave già detta “bì’’e Funtàna Crobètta”.
A proposito di via IV Novembre bisogna ricordare che, come testimoniato dal nome in sardo, prima di essere una strada, era una “gora aperta” e che nasceva poco a nord-ovest dell’attuale Piazza Roma (Pràz’’e Funtanèddasa = Piazza delle fontanelle) in quello che si chiamava “S’ótt’’e Giuànni Usài” (= l’orto di Giovanni Usai).
A sud la “Gòr’’e Parèta” confluiva in un’altra gora che scorreva, anch’essa parallela all’asse viario principale, in quello che era “S’ótt’’e Gèssa” (= l’orto di Gessa) e che oggi è la Piazza Europa. Questa seconda gora aveva origine a nord-est di “Pràz’’e Funtanèddasa” e in essa confluiva una terza gora che nasceva in “funtàna Crobètta” (= Pozzo coperto) e cioè dove, come raccontavano i vecchi, esistevano ben “sette”(2) falde acquifere, e a sua volta, più a sud-ovest, si riversava nella gora detta “di Tuèrra”.
Con questo si vuole sottolineare che tutta l’area a sud-ovest di “Pràz’’e Funtanèddasa”, per intenderci quella compresa tra le attuali via Garibaldi, via IV Novembre e via Piave, essendo più in basso rispetto all’area circostante, è stata urbanizzata solo in un passato molto recente e prima, verosimilmente da sempre, è stata utilizzata a scopo agricolo e in particolare per la coltivazione di agrumi, di ogni tipo di frutta e di ortaggi.
Il fatto che le prime due gore citate scorressero parallele all’asse viario principale mentre la terza, al contrario, era più o meno perpendicolare rispetto allo stesso asse, non è certo un caso. Infatti, se si sviluppa quanto scoperto sulla “sixtariella”, tirando delle linee parallele e perpendicolari all’asse viario principale, tenendo conto soprattutto degli incroci, si ottiene una griglia (vedi tavola 1) che divide tutta l’area dell’abitato in tante piccole parti che risultano avere l’estensione di 2.520 mq pari, cioè, curiosamente e sicuramente non a caso, a uno “iugerum”(3) corrispondente a 2.529 mq (che potrebbe essere la base per una stima, anche se solo orientativa, dell’estensione di quella città antica, pari a circa una trentina di iugeri e, cioè, a circa 7-8 ettari se non di più).
Solo la zona “A” è fuori squadra rispetto alla griglia e, se teniamo presente che essa si trova nell’area più riparata del seno in cui sorge l’attuale abitato, si può supporre che lì sia esistito quello che il Barreca indica
• quale uno dei centri punici dell’interno dell’isola (4) che aveva una grande importanza
economica e militare in quanto ubicato lungo la grande via Cagliari – Mandas – Isili “…
con la diramazione in Sant’Andrea Frius per San Nicolò Gerrei – Ballao…” che
“…moltiplicando gli incontri ed i confronti fra i due mondi (quello sardo e quello punico, n.d.a.) ne promuoveva la fusione…”(5);
• e come uno dei 22 luoghi di culto fenicio – punici della Sardegna (6).
“…Dopo la colonizzazione fenicia tra il IX e il VII secolo a.C., dopo la conquista cartaginese degli ultimi decenni del VI sec. a.C., il terzo avvenimento politico di grande rilievo che investe la Sardegna è il trasferimento del dominio punico a quello romano (238 a.C.)…”.(7) “…Fra il I ed il III secolo d.C. le città della Sardegna si mostrano in pieno sviluppo urbanistico, rapido e monumentale. Le città puniche si romanizzano quasi completamente nel volto, molto anche nell’anima…”.(8)
Molto probabilmente fu in quel periodo che la città romana, che stiamo riscoprendo, si sviluppò da un originario posto militare e che furono costruiti quegli edifici sacri e quelle ville dei cui resti ha riferito il Taramelli (9) e quelle tracce di strutture e di sepolture di cui hanno scritto altri autori o di cui hanno riferito abitanti del paese.
Premesso che: “…Nel detto villaggio di Sant’Andrea Frius si trovano sempre oggetti anche del tempo preistorico. Il Cav. Efisio Timon ebbe una piccozza di bronzo a taglio da una parte e dall’altra, ed una scure di pietra forata in mezzo, con una ghianda bellica di quarzite più grossa delle ordinarie (…) interessante in quanto si tratta di un tipico strumento da miniera…”(10), vediamo sulla tavola 2 quali tracce sono rimaste, dopo circa quindici secoli, di questa mitica città antica.
A e B sono le due aree particolarmente ricche di quelle acque sorgive cui era dovuta la grande e plurimillenaria importanza religiosa del luogo testimoniata, in A dagli ex-voto noti come “di Linna Pertunta” e in B dal nome stesso dell’area, “Funtàna Crobèta” (= pozzo coperto), che è un esplicito riferimento a un “pozzo sacro”.
C è l’area, intermedia alle prime due e di queste più elevata, dove sorge l’attuale chiesa
parrocchiale e dove, prima di questa, sorgeva la vecchia chiesa dedicata al patrono del paese, Sant’Andrea apostolo, e dove, prima ancora, quando il paese fu rifondato alla fine del XVII secolo (11), vi sorgeva una chiesetta, allora campestre, dedicata a San Basilio.
La sua posizione intermedia e più elevata rispetto alle due aree in cui le acque, alle quali si attribuivano qualità terapeutiche, sgorgavano copiose e la dedica a San Basilio fanno supporre che quella chiesetta fosse molto antica e che fosse stata costruita sulle rovine di un qualche tempio pagano preesistito, ma al momento non si hanno altri elementi, oltre a quelli esposti, che sostengono questa supposizione.
1: qui nel 1922 fu ritrovata la tomba bisoma, datata fine II – inizio III secolo di età romana imperiale, descritta nel dettaglio dal Taramelli: “…un grande cassone o sarcofago in trachite di Serrenti, della lunghezza di m. 2, largo alla bocca 0,60 e alto m. 0,70; il coperchio era costituito da due pietre arenarie compatte a tettuccio: tanto la cassa quanto il coperchio non recavano né iscrizioni né altri segni di sorta…”(12). Vi erano inumati un uomo e una donna e il corredo recuperato, sicuramente incompleto, comprendeva solo pochi oggetti(13). Il Taramelli, a proposito del ritrovamento di questa tomba, tra l’altro, ha scritto: ”…La scoperta di antichità di epoca romana non è isolata; S. Andrea Frius è anzi un centro dove tali scoperte di tombe e di avanzi archeologici avvengono con frequenza durante i lavori dei campi: ma pur troppo non se ne tiene gran conto, trattandosi per lo
più di modeste tombe con qualche vasetto e qualche rara moneta…”(14).
2: Qui, non più di una quarantina di anni fa, fu ritrovata la tomba, una di quelle modeste di cui riferisce il Taramelli, di cui ho scritto nel mio articolo precedente (15), il cui corredo (una ciottola, una brocchettina, una lucerna e un pendaglio con alcune maglie di una catenina in bronzo) (vedi foto 1), ricorda molto da vicino quelli delle tombe ritrovate nel 1924 e nel 1936 che risalgono, probabilmente, allo stesso periodo. (vedi risp. foto 2 e 3).
3: Suddette tombe, datate III-IV sec. d.C., vennero trovate in quest’area che si presenta particolarmente interessante, sia perché in essa furono rinvenuti, con molta probabilità, quei frammenti fittili comprendenti l’ansa con sovraimpressa la scritta in greco di cui ho scritto nel mio articolo precedente (vedi nota 15), sia per quanto di essa hanno scritto il maestro Giuseppe Fois al Taramelli nel 1924 e il podestà al nuovo soprintendente Doro Levi nel 1936.
Il primo, nel settembre del 1924, richiedeva un sopralluogo urgente “…poiché di fronte alla mia abitazione e per una vasta area e perfino davanti al cancello della mia casa, nonché sotto le case circostanti doveva esistere un (…) cimitero antichissimo con fitte fosse il cui fondo è composto da embrici, le teste e i fianchi rivestiti di grandi lastre di pietra non lavorata del quale materiale sono anche coperte. Dentro vi si trova terra soffice, utensili da cucina, come brocchettine di varie forme e grandezza ‘cungialis’ e ‘cungialèddus’, caraffe di terra cotta e anche di vetro colorato, oggetti di metallo (rame) come braccialetti lavorati semplicemente, monete di bronzo indecifrabili e tantissimi altri oggetti antichi. Io credo che sia utile e necessaria per la scienza archeologica una sua capatina…”.
Il secondo, invece, nel maggio del 1936, riferiva del ritrovamento di alcune nuove tombe “…nell’eseguire il riattamento di una strada vicinale di questo abitato dove sono state trovate delle tombe antiche e rinvenuti vari oggetti di terra cotta e di vetro nonché ossa umane e qualche moneta. Anche oggi…”.
Queste segnalazioni sono riportate dalla Dott.sa D. Salvi la quale riferisce anche che nel luglio del ’36 il soprintendente visitò il paese per esaminare luoghi e materiali, ma che non ci furono altri scavi. (16)
4: In questo punto fu ritrovato il “forno di vasellini in terra cotta e un mortaio di marmo nero per macinare il minerale “ di cui ci riferisce il Lamarmora (17). Il termine “vasellini” fa pensare alla brocchetta ritrovata nella tomba del sito 2 (vedi foto 1) ma anche a un artigiano specializzato nella realizzazione di oggetti particolari destinati ad un uso ben preciso, quale quello sepolcrale oppure di ex-voto, magari su ordinazione e indicazione del cliente, come quelli che rappresentano parti del corpo umano che, sicuramente, non
potevano essere prodotti in serie al contrario dei vasellini.
5: In quest’area, come testimonia il Lamarmora, fu scoperto “…un bel mosaico che venne distrutto in parte…” (18)
6: È il Taramelli, invece, a riferire che in quest’area “…si scoprirono, a pochi decimetri dalla superficie del suolo, i resti di un pavimento a mosaico di buona età romana, a tasselli bianchi e neri. Il disegno molto semplice di questo mosaico, nel breve tratto conservato, era formato da un reticolato di linee nere su fondo bianco, con un quadratino nero al centro di ogni spazio; una fascia all’orlo del mosaico conservava grandi foglie d’albero, abbinate su di uno stelo. Questo mosaico, che appariva di buona fattura, col sottostrato di coccio pesto e la solida fondazione in calcestruzzo e mattoni, era di scarse dimensioni e di cattiva conservazione, benché, a ricordo dell’ispettore Timon, altri lembi di pavimenti a mosaico siansi rinvenuti a poca distanza…” (19).
V. Angius riferisce, che in quest’area “…si trovarono dei canali impiombati larghi un palmo e mezzo e si scoprì una stanzetta tutta smaltata anche nelle mura, ed il suo pavimento alla mosaica con tre gradini per discendervi, dove mettean foce i canali…” (20).
Non si può dire se i mosaici, di cui hanno scritto i due autori, siano lo stesso oppure due diversi, sta di fatto che il Taramelli afferma che questi “avanzi” sono “..i resti di una villa romana, di buona epoca, esistente in quella (…) che fu certo sede di un notevole centro, forse anche militare in età repubblicana e nel principio dell’impero…”(21).
I tre gradini di cui ha scritto l’Angius furono osservati l’ultima volta alla fine degli anni 60 del secolo scorso da degli operai che stavano scavando per realizzare le fondamenta di una nuova casa. Uno di questi casuali scopritori è molto preciso nel suo racconto di quanto osservò in quell’occasione.
“…I tre gradini – racconta – erano in pietra biancastra e scendevano in direzione opposta a quella i cui si trova l’attuale Piazza Roma e, cioè, verso nord-est. A qualche metro da essi osservammo tre canalette, larghe circa 20/25 cm. e alte non più di 15 cm., che provenivano da diverse direzioni, una grossomodo da nord, la seconda da nord-est e la terza da est. A circa m. 6 a est di quest’ultima scoprimmo un enorme blocco di pietra nera, forse trachite, con una base di circa 60 x 70 cm.(22), che potemmo seguire solo per tre metri perché continuava sotto l’abitazione adiacente. Vicino a questo blocco di pietra vedemmo un’altra canaletta, costruita tutta con mattoni e calce come le altre tre, ma molto più grande; era larga circa 40 cm., alta all’incirca 70 cm. e andava in direzione sud-
ovest…”.
In quest’area sono stati trovati laterizi, come quello illustrato nelle foto 4, caratterizzati dai fori fatti con le dita (vedi foto 5) per favorire una presa più duratura della “axrìdda “ della calce, cioè, mista ad “argilla” (vedi foto 6) con i quali venivano murati.
Ad un occhio attento, inoltre, non sfuggirà che i muri della zona, quei pochi tratti almeno che non sono stati ancora intonacati, sono pieni di frammenti di questi e di altri manufatti della stessa epoca (vedi foto da 7 a 12). Inoltre sono state rinvenute anche due lucerne di cui una di tipo africano e l’altra di tipo locale (vedi foto 13 e 14).
È risaputo che altre canalette, simili a quella descritta, esistevano anche nella parte opposta dell’abitato rispetto all’asse viario principale: in particolare, una passava per il sito 7, attraversava una serie di cortili e l’asse viario principale e continuava per l’attuale via Garibaldi.
In altre parole, se la canaletta osservata nel punto 7 era perpendicolare all’asse viario principale, quella osservata nel punto 6 era, invece, parallela ad esso e sono in coerenza con la “griglia” ricostruita partendo da quanto scoperto grazie all’etimologia del toponimo “Sistarièdda”. Inoltre seguono quella che è la geomorfologia del seno in cui sorge l’abitato attuale: nell’area indicata col numero 6, infatti, la pendenza del terreno è in direzione sud-ovest mentre, nell’area indicata col numero 7, il terreno è in pendenza in direzione nord-ovest.
Non è molto, è vero, ma riscoprire una città dopo circa quindici secoli che è stata distrutta, dopo circa tre secoli che sui suoi resti è stato costruito un paese, per di più, senza che si sia mai scavato, ma basandosi solo su una parte dei ritrovamenti e delle osservazioni casuali (perché questi sono stati sicuramente molti di più, ma della maggior parte non se ne è avuta notizia!) non è una cosa facile.
Credo, però, che l’aver individuato una sua traccia in un toponimo e nella disposizione delle strade interne dello abitato attuale; l’averne inquadrato la sua organizzazione al punto di poter azzardare una ipotesi sulla sua estensione; l’aver descritto quelli che sono sicuramente i resti di un sistema di controllo sia delle acque piovane che di quelle sorgive (i Romani erano grandi esperti nella realizzazione di strutture idrauliche) e l’aver, infine, localizzato i siti di ritrovamento delle sepolture e dell’osservazione degli altri avanzi di cui si è avuta notizia, sia un notevole passo avanti verso una sua più ampia riscoperta.
Il fatto che sulle rovine di questa mitica città antica sia stato costruito un nuovo centro abitato, al contrario di quanto si potrebbe pensare, non comporta di per sé l’impossibilità di eseguire scavi archeologici alla ricerca di ulteriori sue tracce. All’interno dell’odierno abitato, infatti, esistono ancora estese aree non urbanizzate (i vecchi grandi cortili, per intenderci) dove, se solo ci fosse la volontà, si potrebbero fare dei sondaggi per poi ampliare gli scavi seguendo, fin dove possibile, le eventuali tracce rinvenute.
E non accenno neppure a quanto, un’iniziativa in tal senso, potrebbe significare per il paese e per i suoi abitanti.
Il Comune, qualche anno fa, ha acquisito alcune aree comprese grossomodo tra il sito indicato col numero 5 e quello indicato col numero 6 (vedi tavola 2), in pieno centro, cioè, dell’antica città (come suggeriscono i ritrovamenti casuali descritti) e non sarebbe certo una cattiva idea cominciare a fare i sondaggi proprio in quelle aree prima che si inizino i lavori per i quali esse sono state acquisite.
Anche i siti individuati nel territorio andrebbero tutelati e valorizzati perché, come ha scritto la Dott.sa R. Relli nella sua relazione al Comune del 4 novembre 2002 (dopo aver censito 24 su 35 siti), “…Immediato e complesso si pone il problema della tutela e valorizzazione di un patrimonio archeologico così vasto, diversificato nel tempo e nelle tipologie insediative. L’abbondanza di materiale archeologico disperso in superficie autorizza l’ipotesi che gran parte dei siti, anche in presenza di scarsi resti monumentali, possano rivelare dati di rilevante interesse se sottoposti a indagine scientifica…”.
NOTE
1) Intitolato “Sant’Andrea Frius, toponomastica locale: la mitica città antica è realmente esistita”.
2) Il numero “sette” veniva utilizzato dagli anziani non in senso letterale ma in senso biblico, per indicare “una grande quantità”.
3) “jugerum”, in italiano “iugero”, antica misura romana di superficie pari alla quantità di terreno che un uomo, con un giogo di buoi, può arare in una giornata di lavoro.
4) Barreca: “La Sardegna fenicia e punica”, CHIARELLA Ed., Sassari 1979, pag. 75.
5) Barreca: ibidem, pag. 85.
6) Barreca: “Atlante Storico Sardo”, carta 37, “Insediamenti fenicio- punici”.
7) Finzi: “Le città sepolte della Sardegna”, N.C.E. Perugia, pag. 16.
8) Finzi: ibidem, pag. 19.
9) Lo Schiavo: “Due bronzi di epoca nuragica”, in “SantìAndrea Frius dal Neolitico alla Rifondazione”, a cura di R. Relli, pag. 113.
10) Taramelli: “Scavi e scoperte nell’antichità, 1920-1939”, IV volume, alla voce “Sant’Andrea Frius, tomba di età romana scoperta
nell’abitato”.
11) Diversi autori.
12) Taramelli: opera citata.
13) Taramelli: opera citata, “…La suppellettile consisteva nei seguenti oggetti: grande coltello in ferro (…) lungo 26 cm; 2 cuspidi di
lancia a cannone, pure in ferro (…) lunghe 25 cm.; accetta in ferro, piccola, a lama triangolare e taglio dritto, lunga 6 cm. Gli
oggetti in bronzo erano: un campanello a segmento ovale, con unito appiccagnolo e battente in ferro, consunto; una frossa
fibbia da cinturone , mancante del fermaglio, con tracce di decorazione geometrica in rilievo e incisa a bulino; altra fibula più
piccola e con decorazioni forse appartenente all’abbigliamento della donna; grosso anellone in bronzo di filo robusto (…); due
boncinelli rettangolari, con cerniera e tracce dell’innesto della serratura (…). Come oggetti di ornamento furono raccolti i resti
probabilmente di una fibula in grosso filo d’argento (…); altro filo robusto di ferro (…) forse di grossa fibula; varie perline in
pasta vitrea (…) di colore azzurro o striate di bianco e d’azzurro. Quali oggetti di ornamento dovettero valere anche due monete
imperiali romane forate da un grosso buco (…). Il tintinnambula (=campanello, n.d.a.), alto cm. 4,5, a segmento di uovo, è fra
i più eleganti (tra quelli raccolti nel Museo di Cagliari, n.d.a.) sia per la sagoma, sia per la decorazione a linee incise a bulino
verso la bocca, e suggerisce l’idea di una buona epoca, come pure le eleganti fibule di cintura, a gancetto, che preludono da
lontano le fibule grandi, a placca decorata, di età barbarica…”.
14) Taramelli: opera citata.
15) “Una pintadera … diversa e altri reperti”, pubblicato il 3 febbraio 2013.
16) Salvi: “Contesti votivi e sepolcrali dall’età romana all’altomedioevo” in “Sant’Andrea Frius dal Neolitico…”, opera citata, pag.122.
17) Lamarmora: “Itinerario di viaggio in Sardegna”, alla voce “Sant’Andrea Frius”.
18) Lamarmora: ibidem.
19) Taramelli: opera citata.
20) Angius, in Casalis: “Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” alla voce “S. Andrea
Frius o Frias”.
21) Taramelli: opera citata.
22) Anche degli uomini che nel primo dopoguerra lavorarono all’apertura di quella che è oggi via Grazia Deledda, hanno riferito
di essersi trovati di fronte a enormi blocchi di pietra similari a quello descritto.
23) Angius, in Casalis: opera citata.
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