Sicilia. La Villa del Casale e i suoi mosaici.
di Samantha Lombardi
L’Isola, terra abitata inizialmente dai preistorici Sicani e indicata come Sicania, venne chiamata dai Greci “Trinacria”, terra delle tre punte, un nome che ne richiama la particolare forma triangolare. Prevalse poi l’uso del nome Sicilia che deriva dal popolo dei Siculi, giunti dalla Penisola Italica attorno al 1000 a.C.
La posizione centrale della Sicilia nel Mediterraneo ne ha fatto, sin dall’antichità, un crocevia di popoli ambito sia per gli insediamenti sia come avamposto militare e commerciale. La storia dell’isola è compenetrata da una continua mescolanza e sovrapposizione di culture che l’hanno resa straordinariamente dinamica ed eterogenea, contrariamente alla Sardegna e alla Corsica, refrattarie agli influssi esterni. Dalla colonizzazione greca, agli influssi dei califfati arabi, fino alla conquista normanno-sveva, la Sicilia fu terreno fertile per lo sviluppo di culture e civiltà che hanno dato lume al Mediterraneo. Anche la dominazione spagnola e il regno dei Barbari, pur nella decadenza politica, hanno lasciato un segno importante anche nel campo della cultura.
Nel periodo ellenistico s’impose l’architettura civile rispetto a quella di carattere religioso, se si esclude la tipologia degli altari monumentali sorti all’interno di recinti sacri, testimoniati anche in Grecia e che ebbe, a Siracusa, una delle rappresentazioni più dimostrative con l’altare, fatto erigere da Ierone II e probabilmente dedicato a Zeus Eleuterio. Più cospicua fu l’architettura pubblica di cui si hanno importanti esempi nel centro di Morgantina. Per quanto riguarda, invece, l’architettura privata è certa la diffusione delle case a peristilio, mentre il monumento funerario in una prima fase vede il sorgere degli epitymbia (tombe monumentali).
Molto diffuso, dal III secolo a.C., è l’opus signinum, (cocciopesto: composto da frammenti di laterizi accuratamente spezzettati e malta fine a base di calce), sostituito, nell’applicazione pavimentale, all’inizio dell’età romano-imperiale, dalla decorazione a mosaico. In epoca romana si può osservare un notevole sviluppo edilizio che coinvolsero diversi centri, tra cui Siracusa, Catania, Taormina; è alla metà del I secolo d.C. che si fa risalire la realizzazione del Gimnasio Romano di Siracusa, che comprendeva un piccolo teatro, un portico, un quadriportico e un tempio. Anche Agrigento conobbe, in epoca romana, un notevole incremento edilizio sia pubblico che privato. Nell’ambito delle campagne si assiste, dalla fine del III secolo, sia alla formazione di grandi complessi latifondisti, che a una graduale decadenza dei centri urbani. Se la diffusione della villa è legata alla presenza dei latifondi, fuori la città si afferma anche la presenza delle cosiddette “Ville d’ozio”. E’ al I secolo d.C. che sono ricollegabili le ville lontane dal centro abitato e legate a possedimenti agricoli, le più interessanti le troviamo a Piazza Armerina, Patti, Eloro e Tellaro.
Ed è proprio nelle vicinanze della città di Piazza Armerina (Enna) che si vedono i resti di quella che doveva essere una tra le più grandi ville di campagna del tardo periodo romano; databile tra il III e IV secolo d. C., è forse quella che ci è pervenuta in uno stato di conservazione ottimale. E’ un complesso notevolmente famoso decorato con pavimenti in mosaico che possiamo indubbiamente considerare i più belli di tutto il mondo romano, così tanto preziosi da far includere dall’Unesco (nel 1997), la Villa del Casale, nel Patrimonio dell’Umanità.
La villa del I secolo d.C., già dotata di un impianto termale, probabilmente distrutta o abbandonata, alla fine del III secolo o agli inizi del IV, fu ingrandita e ricostruita per essere trasformata un una lussuosa villa di campagna al centro di un esteso latifondo costituito da un villaggio rurale e dalle mansiones (fattorie) dove schiavi e procuratores si occupavano della coltivazione della terra. Nelle vicinanze, posta lungo della strada che collegava Catania ad Agrigento, vi era una stazione di sosta e cambio cavalli: la Statio Philosophianacitata negli Itineraria Antoninii.
Si è sempre supposto che l’esteso latifondo e la villa siano appartenuti a una persona importante della gerarchia dell’Impero Romano, probabilmente un console, mentre altri sostengono che la villa sia appartenuta all’imperatore Marco Valerio Massimiano, detto Herculeos Victor. Varie le ipotesi, ma quella, attualmente, più accreditata identifica il proprietario in Valerio Proculo Populonio, governatore e console della Sicilia tra il 327 e il 331. Naturalmente è inutile dire che nessuna di queste teorie, è incontrovertibilmente provata. Possiamo solo osservare che l’importante figura del suo committente fu celebrata attraverso un programma iconografico, stilisticamente influenzato dalla cultura africana, che si dispone, con grande ricchezza compositiva, per oltre 3500 mq. in quasi tutti i pavimenti dei numerosi ambienti di cui si compone il complesso. La villa fu abitata dai romani fino al 440, quando i vandali prima e i Visigoti e Ostrogoti poi invasero a ondate la Sicilia razziando e distruggendo tutto quello incontrarono sulla loro strada. Abitata anche in età araba, fu parzialmente distrutta dai normanni, quando, nel 1161, dopo un lungo periodo di abbandono, una valanga di fango, originatasi dal Monte Mangone che la sovrasta, la interrò lasciandola per oltre sette secoli nell’oscurità.
Le prime notizie sul ritrovamento di questo splendido complesso residenziale risalgono al 1640, ma è solo nel 1761 che vengono riferiti i primi notevoli rinvenimenti. Da quel momento, e fino alla fine del 1800, molti scavatori clandestini sfruttarono e saccheggiarono la zona. Sarà il comune di Piazza Armerina, nel 1881, ad avviare le prime campagne di scavo a livello scientifico, mentre risale al 1929 la scoperta di una parte del pavimento musivo del triclinium, con la raffigurazione delle “Fatiche di Ercole”. Gli scavi furono ripresi nel 1935 e proseguirono fino al 1939, ma solo dagli anni ’50 fu riportata alla luce tutta la parte nobile della villa e i pavimenti mosaicati.
Si accedeva alla villa tramite un monumentale ingresso con tre grandi archi, ognuno fiancheggiato da sei colonne, con cortile porticato, a ferro di cavallo, di cui, oggi, si vedono i resti dei quattro piloni su cui poggiavano gli archi e i due grossi blocchi di calcestruzzo davanti alle colonne che facevano parte della struttura. Alla base dei piloni centrali, sotto alcune nicchie, che un tempo contenevano delle statue, vi si trovavano quattro ninfei ornamentali dedicati a divinità femminili minori che simboleggiavano mari, fiumi e monti.
La struttura distributiva dell’intero complesso, riportato alla luce quasi totalmente, ha una sua circoscritta planimetria che consiste in quattro raggruppamenti di edifici separati e di diverso orientamento, strettamente connessi tra loro, in cui si sviluppano: sale con gallerie, peristili, corti e ambienti termali. Il livello più basso è costituito dal complesso termale (leggi nota al termine del testo), dove è evidente il carattere lussuoso degli ambienti, si riconoscono scene con eroti, Nereidi, Tritoni e figure marine unitamente a quelle di vestizione e abluzione, e dalla grande latrina a esedra; il secondo livello si articola intorno al peristilio e alle aree di soggiorno private dove si trovano i mosaici a carattere erotico; al terzo livello, che è preceduto dal xystus (peristilio ellittico), si trova un imponente triclinio, triabsidato, dove gli antichi romani erano soliti pranzare e dove, con grande fantasia rappresentativa, il mosaicista, ha raffigurato le fatiche di Ercole, il mitico eroe simbolo della forza. Infine vi è un quarto gruppo di edifici che è formato dagli appartamenti privati e dall’aula basilicale che si apre su un lungo ambulacro, che aveva la funzione di disimpegnare le stanze private, la sala del triclinio e la Basilica stessa. Nell’ambulacro, il grandioso mosaico detto della Grande Caccia, riproduce spettacolari scene di caccia e paesaggi africani in cui gli animali selvatici catturati sono trasportati, da buoi aggiogati a un carro agricolo, fino al mare per essere caricati su enormi navi.
Sul portico meridionale del grande peristilio sono presenti due ambienti di servizio, in origine, l’ambiente più interno doveva essere una stanza, probabilmente, utilizzata dalla servitù; ciò si può dedurre dal preesistente pavimento mosaicato, di III secolo, con disegni geometrici tipici degli ambienti riservati alla servitù. In epoca più tarda, nella stessa sala, fu realizzato il mosaico che vediamo oggi che è sicuramente il più celebre di tutta la villa. La scena, divisa in due sezioni, mostra dieci fanciulle in bikini, (cinque per sezione), impegnate in una gara ginnica in onore di Teti, la dea del mare. Nella parte superiore del mosaico, le atlete sono raffigurate mentre svolgono varie competizioni tra cui: esercizi con pesi, lancio del disco e corsa campestre. In quella inferiore, partendo da destra, il gioco della palla a mano, la ragazza con la palma della vittoria che si appoggia sul capo la corona tortile e infine la scena della premiazione. La figura col manto dorato fa da arbitro e si prepara a offrire la corona e la palma ad un’altra ragazza che tiene, nella mano sinistra, la ruota di giochi circensi. Il particolare che una delle atlete abbia una cicatrice fa ipotizzare che le ragazze siano riconducibili ad alcune componenti della famiglia e che nel mosaico si faccia riferimento ad un episodio realmente accaduto. La modernità delle ginnaste in subligar, le mutandine di epoca romana, estropkion, una specie di top, dimostrano come il bikini sia un’invenzione molto antica, naturalmente non si trattava di costumi da bagno, in senso lato, ma soltanto di abbigliamento in uso per gare sportive. In epoca romana, infatti, non esisteva la nozione di “bagno al mare” che nascerà solo molto più tardi, intorno al 1870.
La totalità dei motivi iconografici, di straordinaria fattura, sono opere di maestri africani, poiché i mosaici della Villa del Casale, sono paragonabili a quelli tunisini ed algerini e che i tasselli colorati provengono dal Nord Africa, precisamente dalla zona di Cartagine. Gli stessi si ispirano a vari momenti della vita quotidiana quali: caccia, pesca e agricoltura, oppure a scene erotiche e a episodi mitologici, nonché a scene tratte da lavori di Omero, tutti riprodotti con grande realismo e uniformità cromatica, che garantiscono una singolare successione narrativa. Se il linguaggio figurativo si riallaccia all’arte musiva africana, la progettazione è di chiara impronta romana, dovuta all’intervento del committente dell’opera. Ogni scena di questo imponente “tappeto” policromo svela infiniti particolari sulla vita della società dell’epoca. I vestiti e le acconciature femminili consentono di riconoscere le donne ricche e nobili dalle ancelle, le varietà degli animali e delle specie vegetali e floreali forniscono un quadro esatto dell’ambiente naturale, mentre i giochi circensi di bambini e animali domestici o le battute di caccia, la pesca o la vendemmia raccontano, oltre alle abitudini sociali, gli usi e costumi della vita del tempo.
La tecnica del mosaico è il risultato della creazione d’immagini e disegni geometrici realizzati con tessere di circa 1 cm. di lato. Nella Villa del Casale, le maestranze utilizzarono due diversi tipi di tessere: tutte le figure e gli animali sono stati eseguiti con tessere piccolissime (opus verniculatum) che disposte in maniera asimmetrica, seguono il contorno delle immagini, le tessere impiegate, di forma e diversi colori, possono avere dimensioni che variano dai 4 mm fino a 1 mm. I disegni geometrici sono invece stati realizzati, con tessere poco più grandi (opus tesselatum), mettendo insieme piccoli frammenti multicolori di marmo, pietra e pasta vitrea. Per il pavimento della Basilica sono state utilizzate lastrine di marmo (opus sectile), ottenute sezionando preziosi tipi di marmo in fogli molto sottili e tagliati a intarsio. Per i mosaici sono stati utilizzati 37 colori diversi, di cui 21 naturali ottenuti dal marmo, pietre ecc. e 16 dalla pasta vitrea
Nota
Durante il periodo romano il fiume Gela, che scorre nelle vicinanze della Villa del Casale, approvvigionava, mediante due acquedotti, il complesso termale, le fontane e i servizi. E’ nel primo dei quattro livelli che si trovano le terme che comprendono sale, piscine, palestra e sauna. Il loro funzionamento ha rivelato l’uso di tecniche idrauliche e di costruzione molto particolari. I locali erano riscaldati attraverso un impianto di riscaldamento che propagava l’aria calda, sia sotto i pavimenti sospesi (50 – 80 cm.) e sorretti da piccoli pilastri costituiti generalmente da mattoni in terracotta quadrangolari sovrapposti (suspensurae), che nelle intercapedini, create tra una parete e l’altra mediante mattoni con sporgenze sul retro (tegulae mammatae) o da tubuli in cotto. Le terme della Villa del Casale ricopiano, in scala ridotta, quelle che valorizzavano ogni città romana ed erano tanto frequentate a Roma come in ogni provincia dell’Impero. Solitamente le terme romane erano ripartite in due settori: maschile e femminile, con ingressi indipendenti e lo schema con cui erano organizzate prevedeva una precisa successione dei locali.
Immagini di www.localidautore.it
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