Sant'Andrea Frius, Toponomastica locale:
la mitica città antica è realmente esistita.
di Aldo Casu
Molte notizie del passato sono giunte fino a noi attraverso i racconti e le leggende che si sono tramandati oralmente di generazione in generazione, ancora di più ce ne sono pervenute grazie al ricordo che di esse si è conservato nei nomi delle località quasi come fossero scritte sulla terra stessa.
La comprensione di queste notizie, però, è ben più difficile di quelle tramandate oralmente con o senza l’utilizzo di metafore, perché i toponimi, col tempo, si sono modificati, sono stati spostati nel territorio, sono stati sostituiti con più recenti e molto spesso sono stati scritti in modo non corretto nelle carte geografiche.
Per questi motivi, chi si addentra nello studio della toponomastica, specie quella di un territorio limitato come può essere quella locale, deve avere una profonda conoscenza di come si è evoluta nel tempo la parlata locale, deve conoscere il territorio e avere almeno un’idea della sua storia, deve anche tener conto di quegli aspetti linguistico - culturali che possono aver influito sulla forma dei toponimi e, soprattutto, deve considerare ogni singolo toponimo nel contesto dell’insieme di quanti più possibili toponimi dello stesso territorio.
Nel caso specifico del territorio di Sant’Andrea Frius, tenendo presente:
• il gran numero delle alterazioni formali e fonetiche, individuate nell’analisi linguistica della parlata locale attuale rispetto sia al latino che allo spagnolo e all’italiano;
• quel particolare fenomeno linguistico – culturale che è l’etimologia popolare, fenomeno per il quale un termine di
cui non si conosce il significato, viene sostituito, per assonanza,
con uno più vicino alla propria realtà culturale;
• la testimonianza degli anziani sulla forma più corretta dei toponimi;
• le poche e spesso vaghe notizie storiografiche che si hanno su questo territorio e quanto emerso, a posteriori, dal Censimento Archeologico Comunale (C. A. C.);
Si sono analizzati 108 toponimi (tra i quali diversi meramente descrittivi o, se si vuole, coronimi) dal cui significato etimologico emergono dei quadri storici che, con mia grande sorpresa, confermano delle notizie giunte fino a noi attraverso le leggende e diverse ipotesi formulate dagli storici, rivelano un gran numero di notizie storiche inedite, a volte anche curiose, e forniscono elementi, altrettanto inediti, potenzialmente utili a una maggiore comprensione di fatti storici non ancora del tutto chiari.
Nei miei precedenti articoli ho già esposto l’origine e il significato di alcuni toponimi locali a sostegno e conferma delle mie osservazioni (sul Sistema Nuragico di Frea) e della mia teoria (sul Nuràx’’i Àgusu) ma i quadri storici, che la toponomastica locale ci rivela, vanno ben oltre e sono, tra gli altri, i seguenti:
1) la presenza e l’attività militare in epoca romana;
2) la presenza colonica in epoca romana;
3) una fondata ipotesi sull’origine della tavola di bronzo di Esterzili;
4) la presenza di insediamenti monastici.
Naturalmente non è neppure pensabile di illustrare in un solo articolo tutti questi toponimi, lo farò in articoli specifici su ciascun argomento successivamente.
Qui analizzo soltanto alcuni toponimi, interni all’abitato, che credo siano particolarmente importanti.
Nel mio articolo sul “Sistema Nuragico”, esistito nella parte occidentale del territorio di questo Comune, ho scritto di “FREA”, il coronimo di origine greca, e degli “ADORATORI DI PALE”, che vivevano nell’enclave nuragico e che avevano un diverso grado di sviluppo culturale e religioso degli “ADORATORI DI MENHIRS” che, invece, abitavano nelle montagne e al di fuori dell’enclave. Ho scritto anche che nulla si sapeva di chi fossero questi stranieri ma proprio la toponomastica ci fornisce un possibile indizio utile per la loro identificazione.
L’attuale VIA MARCONI, nota anche come “sa ì’’e s’asìllu” (la strada dell’asilo), in passato si chiamava “Bì’’e lachìtusu” (vedi mappa dell’abitato). Questo termine ricorda molto da vicino il termine greco “lekythos” (in greco: λήκυθος) un tipo di vaso che comparve alla fine dell’epoca micenea (XII-XI sec. a.C.), fu utilizzata dai ceramisti italioti fino al III sec. a.C. e veniva usato, sia nell’antica Grecia che nella Magna Grecia, come segnacolo sepolcrale.
Se il termine “lachìtusu” fosse una etimologia popolare del termine greco “lekythos”, ci troveremmo di fronte a una ulteriore testimonianza, oltre al nome “Frea”, della presenza di una colonia di “Ellenici” in quest’area.
Il richiamo alla figura di Iolao, e alla sua venuta in Sardegna, è fortissimo se ricordiamo che V. Angius (nel Dizionario del Casalis) ha scritto testualmente che “… questo paese era compreso nell’antica Iolea…”; se consideriamo, inoltre, che la data della spedizione di Iolao in Sardegna, da alcuni studiosi indicata tra il XIII e il XII sec. a.C., coincide con la datazione della costruzione del “Nuràx’’i Àgusu”, indicata dagli archeologi, si può pensare che questo sito potrebbe rivelare, se riportato alla luce, molte più sorprese di quante ipotizzate nell’articolo ad esso dedicato.
Prima di passare al secondo toponimo è necessario fare alcune precisazioni.
• Il nome “FREA” è giunto fino a noi attraverso la leggenda di una vasta e ricca città antica che sarebbe esistita proprio nell’area dove sorge l’abitato attuale;
• Il Taramelli (1), dopo aver scritto che questo paese si trova “…presso la via naturale che, dal piano abitato dai Patulcensi Campani, conduce alle valli del medio Flumendosa, l’attuale Gerrei, detta anticamente Galilla …” e dopo aver osservato che le “mansiones “ (2), dalle quali partivano le rappresaglie punitive contro le continue incursioni dei Galillensi a danno dei pacifici coltivatori campidanesi, si trovavano lungo le strade che si addentravano nel Gerrei, una delle quali dovette necessariamente passare per questo paese, precisa che “…Attorno al posto militare crebbe un abitato conservatosi per tutta l’età romana…”;
• Il Lamarmora (3), facendo riferimento alla leggende suddetta, ha scritto: a) “…Esso (il paese attuale, n.d.a.) giace sopra una ricca e vasta città antica di cui si è perso il nome…” e, poche righe più avanti, b)“…Dappertutto si vedono le fondamenta di opere laterizie…”;
• Quest’ultima affermazione del Lamarmora, se si considera il contesto geomorfologico in cui sorge l’abitato “…Giace in valle in un seno, che formano varie colline le quali levansi al Scirocco, Austro, Levante, Tramontana, e che la coprono a tutti i venti, non lasciando libero il varco che al Maestro-Ponente…”(4), non è del tutto corretta perché, essendo l’area particolarmente soggetta al fenomeno della deiezione (5), quelle osservate nel 1815 non erano “fondamenta ” bensì opere laterizie affioranti dal terreno il cui livello, nel corso dei secoli, si era progressivamente sollevato a causa proprio della deiezione.
L’entità di questo fenomeno si può osservare, per esempio, in via Libertà dove, prima di trovare dei frammenti fittili, cosa che ho avuto modo di constatare di persona, bisogna scavare per almeno m. 1,5/1,6.
• Infine, se nei primi anni del 1800 erano ancora visibili opere murarie dell’antico centro romano, la vasta città della leggenda, è molto probabile che fossero visibili anche tratti delle strade di quella città antica e è anche possibile che di quelle, nonostante il caotico sviluppo urbanistico dopo la rifondazione del paese, sia rimasta traccia in quelle che sono le strade interne dell’abitato attuale.(6)
Detto questo, posso illustrare il secondo toponimo che è una testimonianza inequivocabile che la leggendaria vasta città antica è veramente esistita e che era un notevole centro romano.
Il centro del paese (su mésu ìdda ) (vedi mappa del paese) è detto anche “Sa starièdda” che i vecchi chiamavano “S’istarièdda” (vedi mappa dell’abitato).
Qualcuno nella prima forma vede un riferimento a una piccola “osteria “ che, in un passato abbastanza recente, è esistita proprio là, dove oggi esiste un bar. Questa interpretazione, però, è da rigettare in toto perché “osteria “ è un termine che nel sardo friasino non esiste mentre, specialmente i vecchi, chiamavano quello stesso tipo di locale pubblico “sa buttègh’’e su bì(n)u” con la Ũ pronunciata nasale in seguito alla sincope della N.
La seconda forma, invece, appare priva di un qualsiasi significato a meno che non si tenga presente che, nel parlato, non c’è nessuna differenza tra “S’istarièdda” e “Sistarièdda” che, al contrario, per S < X e DD < LL, è un’alterazione del termine latino “sixtariella”, diminutivo femminile di “sixtarius”, e significa letteralmente “piccola sesta parte”.A prima vista questa etimologia sembrerebbe ancor meno fondata dell’altra ma se si considera che l’asse formato dalle attuali via Libertà, dal primo tratto di via Cagliari e dalla via Piave è intersecato proprio a metà, e perpendicolarmente, dalla via Garibaldi che ha il suo naturale proseguimento nel vico I Cagliari e che, inoltre, dallo stesso lato di questo vicolo, sia in direzione nord-est che in direzione sud-ovest, è intersecato da tre vie o vicoli, a una non certo casuale distanza costante, che lo dividono in 6 parti, appare evidente la correttezza di questo significato del toponimo.
In altre parole, il toponimo “Sistarièdda” indica una di delle numerose parti in cui erano caratteristicamente divisi i “castra “ romani dall’incrociarsi perpendicolarmente del “cardo” con il “decumano” e dalle atre strade parallele all’uno e perpendicolari all’altro.
La città antica, la cui esistenza ci è stata tramandata attraverso la leggenda, quindi, è realmente esistita (non si chiamava “Frea” ma era “in Frea”) e, più in là, partendo da quanto sopra esposto, si cercherà anche di stabilire la sua estensione e l’ubicazione in essa delle ville/templi di cui diversi storici hanno scritto.
Dalla toponomastica locale, però, non emergono solo notizie storiche così importanti; se ne scoprono anche altre più curiose come, per esempio, nell’etimologia del nome del fiume che è il confine naturale orientale dell’enclave controllato e difeso dal “Sistema nuragico di Frea”.
“Coxì(n)as” (vedi tavola dei toponimi analizzati, n. 67) infatti, nulla ha a che vedere con le “cucine” perché non deriva dal verbo latino “cocere” (= cuocere) ma è una etimologia popolare riconducibile al verbo “cogere” (= radunare, riunire, spingere a forza) e, pertanto il significato del toponimo è “là dove si riunirono (gli agricoltori)” e, in quanto tale, si collega a ciò che, citando il Tramelli, ho riferito riguardo alle continue incursioni dei Galillensi a danno dei pacifici agricoltori, grazie a un racconto popolare tramandatoci nel tempo.
Secondo questo racconto i contadini che vivevano al di qua del “rio Coxi(n)as”, stanchi
delle razzie che i montanari compivano ogni anno alla fine dell’inverno, a un certo punto, prima dell’ennesima “calata”, si riunirono e, armati di forconi, falci, zappe e bastoni, si appostarono nei pressi del fiume, proprio lì da dove sapevano che sarebbero scesi i razziatori. Quando questi arrivarono i contadini li assalirono di sorpresa e li sterminarono quasi tutti ponendo così fine alle razzie.
L’etimologia di un altro toponimo, più a monte dello stesso fiume che fungeva da confine naturale tra le due parti del territorio comunale, ci rivela un altro fatto del tutto inedito.
Illustrando le particolarità del “Sistema nuragico di Frea”, tra l’altro, ho descritto anche il cosiddetto “treppiede” formato da un grande nuraghe, detto “Su Nuràxi”, al di qua del fiume, in basso, da una “torre capanna”, sulla riva sinistra del fiume, in alto, e da un terzo “piccolo nuraghe” sulla riva destra, sopra la scarpata in cui si aprono diverse piccole cavità naturali. Proprio quest’area, e il tratto del “rio Coxi(n)as” che la attraversa, si chiama “Còdrofùmi”, toponimo che gli archeologi che hanno fatto il C.A.C. hanno interpretato come “Corda fiume” che non ha alcun senso.
In realtà “Còdrofùmi” (vedi tavola dei toponimi analizzati, n. 50), per C dura < G dura, O < U, metatesi della R, O < I sincope della L, I < E e apocope della N, deriva dal latino “gurdi flumen” che ha il significato letterale di “il fiume dello sciocco”.
“Sciocco” per i Romani era naturalmente il capo che li combatteva da “Su nuràxi” e il motivo per cui lo deridevano in questo modo, ci viene fornito dall’etimologia del nome di un’area adiacente: “Mìtz’’e crabìttu” (vedi tavola dei toponimi analizzati, n. 27).
Il primo termine di questo toponimo non ha bisogno di alcuna spiegazione; il secondo, invece, è un’etimologia popolare che, per metatesi della R, B fricativa < P e U < A, deriva dal latino “carpita”, participio passato femminile del verbo “carpere”, e significa “presa con l’astuzia”.
Per i Romani, cioè, il capo nuragico era “uno sciocco” perché era caduto in un tranello tesogli dagli invasori che così poterono proseguire nella loro avanzata verso est.
Peccato che non si sia tramandato con quale stratagemma i Romani riuscirono a sconfiggere il capo nuragico.
Prima ho accennato al fatto che molti toponimi locali sono “descrittivi”: qui posso portare ad esempio “Praùmusu” (vedi tavola dei toponimi analizzati, n. 19), il nome di una località a nord-ovest dell’abitato, in direzione del “Cùccur’’e Nuràx’’i Àgusu”, che è attraversata dalla vecchia “Bì’’e Màndasa”.
Questo toponimo è composto da due termini latini, “planus” e “humus” che hanno subito la trasformazione L > R, l’apocope della S del primo termine, la crasi della U finale del primo termine con quella iniziale del secondo e, nel sardo friasino, la paragoge della U.
Il significato etimologico di questo toponimo è, pertanto, “terreno pianeggiante” e, in effetti, quella è la più vasta area pianeggiante in un territorio caratterizzato dalle colline
dolcemente ondulate.
Un altro esempio di toponimo descrittivo è il nome della zona appena fuori dell’abitato, in
direzione di Cagliari, che si chiama sa “tùp’’e sa mallòra” (tùpa de sa mallòra) (vedi tavola dei toponimi analizzati, n. 41).
Tradotto letteralmente, in italiano sarebbe “il cespuglio della vitella” che, però, non ha
alcun senso mentre acquista un significato logico se lo si considera una etimologia popolare che, per U < O, sincope della I del primo termine, A < E e la geminazione della L in seguito alla sincope della I del secondo termine, deriva dal latino “topia meliora” e ha il significato di “i terreni migliori” che è una descrizione corretta della zona in quanto meno pietrosa di tutto il resto del territorio.
Un altro toponimo interessante è “Nì’’e Mènga” (= nìu de su mènga) (vedi tavola dei toponimo analizzati, n. 95) che gli archeologi che hanno fatto il C.A.C.. hanno interpretato letteralmente traducendolo “Nido dell’airone”.
Purtroppo, però, il termine “mènga”, che dovrebbe essere il nome sardo di un uccello tipico delle zone umide, in questo paese non è conosciuto da nessuno e, di conseguenza, si deve cercare un’altra etimologia. Ma andiamo con ordine.
Il termine “nìu” (= nido), che troviamo in diversi altri toponimi locali, è una metafora utilizzata in senso dispregiativo e va interpretato, quindi come “covo”. “Mènga”, invece, è un allotropo (= variante formale) dello spagnolo “manga”, che deriva dal latino “manica” (da cui deriva anche il termine italiano “manigoldo”) e significa letteralmente “accolta”
e, in senso dispregiativo, “accozzaglia” per cui il significato etimologico del toponimo è “covo di accozzaglia”.
Questa interpretazione è coerente con le diverse notizie secondo le quali, sotto il dominio spagnolo, questo territorio era infestato da briganti che assalivano, depredavano e spesso uccidevano i viandanti che capitava di passarvi.
A tal proposito mi viene in mente il racconto di “Sisìnnisì” che era un bandito che non sopportava che gli dicessero di no.
Un giorno, avvicinatosi a una sorgente, vi trovò un uomo che vi si era fermato per rinfrescarsi e per abbeverare il suo cavallo. Come lo vide. Sisìnnisì lo salutò e gli chiese se l’acqua di quella sorgente era buona. Il viaggiatore gli rispose di si e il bandito gli disse “Allora bevi!” L’uomo gli rispose di no, che aveva già bevuto abbastanza e che non aveva bisogno di bere ancora. Allora il brigante andò su tutte le furie, imbracciò lo schioppo e, puntandoglielo alla testa, lo obbligò a bere, si dice, fino a scoppiare.
Mi scuso con i lettori per questa piccola divagazione e a chi, tra loro, storcesse il naso leggendo tutte queste etimologie latine, chiedo di dare una occhiata alla carta degli insediamenti d’epoca imperiale in questo territorio comunale; capiranno quanto forte sia stata qui la presenza romana e che, di conseguenza, non vi è nulla di strano nel fatto che quasi tutti i toponimi locali siano di origine latina.
Note:
1) In “Scavi e scoperte nell’antichità – 1920 – 1939”, IV volume, pag. 292.
2) Della presenza di queste “mansiones “ in questo territorio scriverò in un prossimo articolo.
3) Nel suo “Itinerario di viaggio in Sardegna”, 1815, alla voce “Sant’Andrea Frius”.
4) V. Angius nel “Dizionario” del Casalis.
5) Deposito nelle zone più basse dei materiali trasportati dalle acque dalle zone più alte.Questo fenomeno è tuttora constatabile per le strade del paese dopo che ha piovuto.
6) Anche di questo particolare scriverò più dettagliatamente in un prossimo articolo.
Ho letto molto velocemente ma non sono riuscita a trovare il nome dei vasi greci in cima all'articolo. Da dove provengono?
RispondiEliminaPurtroppo non provengono da Sant'Andrea Frius; nell'articolo sono portati ad esempio perchè all'interno di questo paese c'è un toponimo che potrebbe essere un riferimento a questo genere di vasi che venivano utilizzati, sia nella Grecia anica che nella Magna Grecia, come "segnacoli funerari".
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