Storia dei popoli: seminiamo il seme della cultura nei nostri figli perché il futuro è ancora da costruire.
domenica 26 febbraio 2012
Perché si costruirono i nuraghi?
Parliamo di nuraghe: perché il primo?
Su questa domanda ci si può sbizzarrire, però c’è un’ipotesi intrigante: che i nuraghe a corridoio abbiano preceduto la prima torre. Gli archeologi, sebbene le prove stratigrafiche siano lontane dall’indicarlo in modo indiscutibile, ne paiono convinti (ed effettivamente è un’ipotesi assai ragionevole). Se così fosse, l’avvento della prima torre apparirebbe assai meno improvviso di come tanti sembrano ritenere.
Si tratterebbe allora di porsi il problema della comparsa dei nuraghe a corridoio, ma, in questo caso, si tratterebbe di un chiaro esempio di proprietà emergente da un progressivo mutare della stratificazione sociale delle comunità neolitiche, con la formazione di una “classe elevata” che rivendica una posizione di prestigio attraverso l’edificazione di un edifico ad un tempo abitazione e simbolo di status, la stessa che, in un secondo momento, richiederà la costruzione di una torre. Il nuraghe a corridoio, stratigrafie alla mano, mostra lo stesso tipo di accumulo antropico delle torri, senza eccezione, indicando che funzione e senso dovevano essere gli stessi.
Posta in questi termini, la comparsa della torre non appare più come una cesura, piuttosto come un’evoluzione, anche se, apparentemente, parrebbe rimanere il problema delle differenze architettoniche tra le due tipologie di edifici (ne riparleremo oltre).
Allo stesso modo, la sovrapposizione delle tipologie stratigrafiche tra nuraghe a corridoio e torri, indicandone la medesima funzione e senso, chiarisce come le strampalate ipotesi che vorrebbero i nuraghe dei templi o degli edifici di mero carattere simbolico, sia da scartare (pur sottolineando che l’edificio, di per sé, riveste necessariamente un forte carattere simbolico come indicatore di status e/o centro di aggregazione simbolica della comunità e/o altro).
Nell’ipotesi ragionevole che il nuraghe a corridoio preceda la torre, ci troveremmo semplicemente di fronte ad una classe dirigente che, in luogo circoscritto e preciso, decide di realizzare la prima con le medesime finalità che hanno portato all’edificazione dei precedenti edifici, immaginando, a ragione, visto il successo, che un edificio di questo tipo avrebbe maggiormente soddisfatto le proprie necessità. La prima torre venne edificata pensando semplicemente ad un edificio che avesse le stesse finalità di un nuraghe a corridoio, ma ne rappresentasse una versione “evoluta” sia in senso funzionale che simbolico.
È bene ricordare, a tale proposito, che mentre le torri ci sono pervenute praticamente intatte, salvo la struttura del ballatoio (sulla quale si discute assai spesso), i nuraghe a corridoio sono mancanti dell’eventuale struttura lignea soprastante quella in pietra, la cui percentuale rispetto all’intero edificio, non è nota. Alcune osservazioni ragionevoli (ad esempio lo stesso Lilliu a proposito di Brunku Madugui), suggeriscono che ciò che noi chiamiamo oggi nuraghe a corridoio potesse essere un basamento per un’importante struttura lignea soprastante e, se così fosse, la struttura generale della successiva torre non sarebbe concettualmente così distante da loro. Si tratterebbe di costruire interamente in pietra un edificio fino ad allora ibrido, realizzato con un basamento in pietra ed una struttura aerea in legno. Detto per inciso, ciò spiegherebbe anche perché nacquero i nuraghe a corridoio, e precisamente come evoluzione dalla semplice capanna di pietre a secco e legno. Il nuraghe a corridoio, sarebbe insomma una capanna “elevata” e di maggiori dimensioni sviluppata da un processo di diversificazione sociale riscontrabile in tutte le società neolitiche.
A questo proposito, ho sentito spesso invocare l’argomento che mancherebbero gli edifici intermedi tra nuraghe a corridoio e torre, e da ciò la conclusione che si tratti per questo di edifici privi di un legame sia funzionale che architettonico. Tale argomento cade di fronte alla constatazione che non si può costruire un edifico intermedio (in pietra, a secco) tra un nuraghe a corridoio ed una torre, per il semplice motivo che non starebbe in piedi: una torre realizzata in pietra a secco è un sistema complesso di conci che interagiscono, e alcune delle proprietà macroscopiche dell’edificio nel suo complesso sono proprietà emergenti indipendenti dalla volontà dei costruttori e rese necessarie da precise richieste di stabilità strutturale. Detto in altre parole, una torre nuragica non è un edifico per architetti, perché si rifiuta di adattarsi a certe richieste, imponendo forme, dimensioni e soluzioni tecniche obbligate, come cercherò di illustrare in seguito. Di certo, vista la sua testardaggine ad adattarsi a, una costruzione sarda!
Alcune precisazioni.
La teoria della complessità descrive molto bene i fenomeni come la comparsa rapida, in confronto al periodo considerato, delle torri. Se la torre è una proprietà emergente della società dell’epoca, nel senso che lo è la sua giustificazione, la comparsa della prima deve aver indotto una rapida imitazione dei vicini e la sua diffusione (fenomeno non diverso da una transizione di fase in un materiale, ad esempio una fusione). Comunemente la chiamiamo “moda” ed è appunto una delle tante proprietà emergenti “misteriose” della società umana, o almeno ritenute tali finché non si ricorre alla teoria della complessità. Il fascino di quest’ultima sta proprio nel porre accanto sistemi apparentemente assai diversi tra loro (ad esempio la società umana ed un solido) ponendone in risalto la somiglianza dei comportamenti.
A questo punto, dobbiamo domandarci se la torre richiese la creazione di nuove nozioni tecniche, la presenza di risorse particolarmente corpose, e divertirci ad immaginare come venne edificata.
Gli elementi architettonici basilari per la realizzazione di un nuraghe a corridoio e/o di una torre non erano nuovi né particolarmente rivoluzionari. La tholos, in particolare, è presente più o meno in ogni parte del mondo da tempi ben più antichi ed è una soluzione obbligata al problema di ottenere una volta chiusa in una struttura a secco circolare con uno sbraccio ampio (è una proprietà emergente di un insieme di conci che interagiscono tra loro avendo come stabilizzazione l’azione della forza di gravità e l’attrito reciproco). La precisazione è d’obbligo per puntualizzare che i sardi non inventarono nulla: posti di fronte al problema, ottennero la soluzione corretta, come tutti gli altri, prima e dopo di loro, che si trovarono nella necessità di farlo. Se la si vuol vedere in altri termini, anche se un architetto fantasioso disegnasse una torre a secco (cava) a sezione quadrata con un profilo rettangolare, non la si potrebbe costruire: i sardi torreani non “decisero” l’uso della tholos, furono obbligati!
Quanto tempo impiegarono e quanti tentativi, non è dato sapere né lo sapremo mai, tuttavia un esame delle torri giunte fino a noi ne segnala di ben realizzate, di mediocri, di eleganti, di tozze, alcune necessariamente riprese con un rifascio al fine di stabilizzarle ed evitarne il crollo. Ciò valga a sfatare il mito degli eccelsi costruttori e delle torri del cielo: sono edifici come tutti gli altri. Si và dal capolavoro alla porcheria vera e propria, tra soluzioni geniali e incomprensibili fesserie. Allora, come adesso, c’erano i costruttori bravi, quelli mediocri e quelli incapaci: spero che questi ultimi siano stati posti in condizione di non nuocere, al contrario di quanto accade oggi in Italia.
Lo sviluppo delle torri in senso tecnico, a partire da realizzazioni meno sofisticate, non è ancora stato oggetto di indagine seria e completa (sebbene esistano ipotesi assai ragionevoli, ad esempio nell’introduzione dell’elemento architettonico costituito dalla nicchia) né lo sarà nel prossimo futuro perché richiederebbe uno sforzo enorme (la datazione di una torre necessita dell’esame stratigrafico degli accumuli antropici, quindi bisognerebbe scavare un gran numero di torri). Suppongo si possa concordare col fatto che si cominciò con torri semplici e si progredì come avviene in qualunque ramo della tecnica, non senza morti, crolli, rifacimenti e tentativi successivi di cui non c’è arrivata traccia.
La torre nuragica risponde (a spanne) alle seguenti richieste del committente:
“Voglio una torre in pietra nella quale si possa risiedere, con una scala interna che acceda ad un ballatoio superiore praticabile”.
Di fronte a queste richieste, non si può che ottenere una torre nuragica, per il motivo ovvio che non esistono altre soluzioni: la dimensione della torre ed i fattori di forma – cioè i rapporti tra le dimensioni – risultano inoltre assai ristretti. I nuraghe sembrano tutti uguali (e nelle linee generali lo sono) perché non è possibile altrimenti. Se non fosse così, non si potrebbe costruirli. Resta inteso che ciascuna torre, naturalmente, appare differente da qualunque altra nei dettagli, spesso non secondari, il che rafforza per l’appunto l’assunto che si sia trattato di atti costruttivi isolati e non coordinati.
Per chiarire (ahimè solo in parte) il concetto, sarà bene precisare che la dimensione di una torre cava a secco (diametro per altezza) dipende dalle dimensioni dei conci che si riesce a mettere in opera. Con i granelli di sabbia si può costruire una torre da osservare al microscopio, con conci di un metro cubo (possibilmente di forma allungata e di volume decrescente verso l’alto) una torre (cava) alta una ventina di metri.
La distribuzione statistica delle dimensioni e dei parametri di forma delle torri risulta ristretta proprio per questo: i nostri antenati massimizzarono ciò che può essere ottenuto dalle capacità di messa in opera che avevano. Disponendo essenzialmente di forza muscolare umana ed animale, di utensili di bronzo e pietra per la sbozzatura dei conci e di sistemi di cordami e legno, sistemi presenti nel bagaglio culturale delle società umane da millenni, quando decisero di realizzare la prima torre dovettero semplicemente mettere in pratica, in un progetto appena più ambizioso di un nuraghe a corridoio, il bagaglio di conoscenze che avevano già. Ci provarono un po’ di volte, e tirarono su la prima torre. Da quella, le altre. (Esistono comunque nuraghe a corridoio dotati di ambienti interni con copertura a tholos).
Quale fu la modalità di trasporto sollevamento e messa in opera dei conci?
Premesso anche in questo caso che non conosceremo mai i dettagli per mancanza di fonti storiche o iconografiche, possiamo tuttavia scartare le ipotesi che non vengano presentate sotto forma di catena operative (o tradotte in esperimento sul campo) e vagliate in ogni singolo passo della sequenza.
Esistono due principi generali per scartare un’ipotesi: l’inapplicabilità di un metodo o la poca convenienza “economica” del risultato.
Nella prima categoria si situa la curiosa ipotesi che vorrebbe la torre realizzata utilizzando una sorta di rampa “interna” alla stessa torre, un camminamento posizionato sul contorno esterno. Una verifica in termini di catena operativa, lo rende inattuabile per ragioni meramente geometriche. A questo proposito, si potrebbe chiedere a coloro che optano per questa palese assurdità di compilare una catena operativa per una torre del tipo Sa domu ‘e su Re di Torralba, o anche semplicemente per un monotorre – presumibilmente arcaico – privo di scala ed altri vani accessori.
L’ipotesi della “rampa esterna” al contrario, potenzialmente percorribile, risulta impraticabile da un punto di vista “economico” (vale il commento precedente per la torre di Torralba), poiché le dimensioni della rampa avrebbero richiesto, sia per la costruzione che per la successiva demolizione, tempi e risorse superiori a quelli richiesti per l’intera torre. L’uso di una rampa si giustifica (in mancanza di soluzioni alternative praticabili) solo se il volume della stessa è una frazione trascurabile del fabbricato o se lo stesso ne può contenere una parte rilevante (cosa che non accade per la torre) o se si dispone di risorse assi elevate in rapporto ai volumi da movimentare (ad esempio gli obelischi dell’antico Egitto, da decine di tonnellate, o i massicci architravi dei templi).
Nelle immagini: il nuraghe Erigranzanu, (purtroppo aggredito da un grosso albero e destinato alla distruzione), e il nuraghe Santa Cristina avvolto dalle piante
Perché il primo?
RispondiEliminaL'ipotesi 'intrigante' che 'che i nuraghe a corridoio abbiano preceduto la prima torre' non fa che spostare il problema.
Perché il primo nuraghe a corridoio?
Non dispiace che vengano scartate le ipotesi strampalate, ma perché far rientrare tra queste le ipotesi che vorrebbero i nuraghe dei templi o degli edifici di carattere simbolico...
(di 'mero' carattere simbolico, era scritto. Sic e sigh!!)
Se si vuole rispondere a domande sugli antichi, quegli antichi che hanno lasciato opere che hanno sfidato il tempo, non si può prescindere dalla considerazione di due aspetti: quello pratico-utilitaristico (anche se, a noi moderni, ci può risultare difficile immaginarne l'uso) e l'aspetto simbolico-armonico, che, uniti, costituiscono la bellezza ed il fascino che quelle opere esercitano su alcuni di noi, anche se in forme ovviamente diverse.
Gli antichi sapevano fare cose utili ad 'imitazione del cielo', o se preferite, ad 'imitazione del Cielo'.
Di conseguenza, tutto era sacro, non vi era nulla che non fosse riconducibile al sacro.
Ed in effetti, non esiste civiltà di cui sia sia a conoscenza che non sia basata sulla conoscenza del sacro, tranne naturalmente la nostra (in)civiltà moderna.
E' sempre un bruttissimo segnale di chiusura mentale etichettare le idee, non condivise, degli altri con aggettivi dispregiativi o che tendano a sminuirne l'importanza.
RispondiEliminaSe qualcuno avesse la voglia di visitare il nuraghe Nurdòle, di studiarne le stratigrafie ed i materiali restituiti dagli scavi,oppure l'eccezionalità ed eccellenza del sistema di canalette e vasca lustrale,si renderebbe conto che qui i nuragici, in un periodo ben precedente XI-X sec. a.C., decisero di applicare la "strampalata" idea di edificare un nuraghe-tempio.
Allo stesso modo del nuraghe-tempio, così lo definì l'Atzeni negli anni '80, di Cuccuru-Nuraxi, dove le attestazioni di un uso cultuale del nuraghe, del cortile e del pozzo prendono avvio già dal Bronzo Recente, e gli esempi di altri nuraghi potrebbero moltiplicarsi.
La materia trattata è di difficilissima soluzione, ritengo pertanto che nessuno può arrogarsi il diritto di esprimere pareri definitivi, ne tanto meno di etichettare le ipotesi espresse dagli altri, sempre rispettabilissime sino a prova contraria.
Un bel bagno di umiltà è sempre salutare.
Cordiali saluti
Costruire ipotesi che stridono con la logica della semplicità, punto fermo della società nuragica, è un buon esercizio mentale ma non conduce a buon porto. I nostri beneamati avi furono maestri nella gestione di un territorio con risorse alimentari sufficienti a sfamare le comunità, miniere sfruttabili per arricchire i gestori, coste adatte alla creazione di approdi che offrono un retroterra penetrabile, tecnologie che testimoniano contatti con le coeve realtà economiche vicine. Supporre che una società ben organizzata, integrata nei commerci, collaborativa e orientata alla cooperazione tribale per il benessere del territorio fosse capace di esprimere edifici monouso che nei secoli non variarono destinazione d'uso significa avere una visione distorta di cosa sia lo sfruttamento di un territorio da parte di un gruppo umano. Pur rimanendo nel rispetto delle ipotesi altrui, la teoria dei nuraghi fortezza o dei nuraghi templi è obsoleta, illogica, riduttiva e, pertanto, non più interessante da discutere.
RispondiEliminaMi scusi,su quali basi parla di logica della semplicità? E' più semplice ipotizzare il nuraghe come fortezza, come luogo di culto o l'ultima frontiera che parla di edifici multifunzionali? In quest'ultimo caso le idee e le prove portate a conforto di tale ipotesi sono poche e confuse.
RispondiEliminaI dati archeologici degli ultimi trent'anni hanno restituito un numero di nuraghi con usi cultuali accertati, nelle varie epoche storiche e protostoriche, pari ad almeno 20. Tale cifra non va confrontata, a mio avviso, con il numero totale di 8000 nuraghi stimati, ma andrebbe confrontato con il numero di nuraghi indagati sino ad ora. In tale prospettiva il numero di nuraghi con chiari segni di uso cultuale è addirittura imbarazzante.
L'archeologia dovrebbe parlare attraverso i dati e non solo le ipotesi o teorie per quanto esse possano essere plausibili, i dati dicono che decine di nuraghi vennero adibiti a luogo di culto, come lo si può spiegare? Non basta sostenere che prima questi nuraghi erano comunque delle fortezze,su quali dati reali possiamo sostenere ciò?
La ripetitività quasi assillante delle strutture che compongono il nuraghe, sono più attinenti ad edifici cultuali, così come ci insegnano tutte le civiltà che si sono avvicendate sulla terra compresa la nostra.
Ancora recentissimi scavi condotti nel nuraghe Ruinas di Arzana(2010), hanno riportato alla luce una notevole stipe votiva, composta da bronzetti,contenitori in lamina bronzea con all'interno anelli, bracciali, asce, frammenti di SPADE VOTIVE, bottoni nuragici,fibule, oggetti in oro, non solo ma al centro della tholos della torre C è stata rinvenuta un'intera spada VOTIVA, anche in questo caso si continuerà a parlare di riuso cultuale per questi ambienti? Non sarebbe meglio riformulare la proposta e dire che: sulla base dei dati in nostro possesso, tale nuraghe, come i tanti citati prima, hanno restituito reperti tali da poter affermare che da tale periodo in poi i nuraghi erano certamente dei luoghi di culto, mentre i mancanza di dati oggettivi non si possono esprimere pareri per i periodi precedenti.
Distinti saluti
Le basi della logica che utilizzo sono quelle delle società a base agricola presenti in tutto il mondo dalla notte dei tempi. I dati archeologici degli ultimi 30 anni hanno DIMOSTRATO l'assenza di oggetti votivi all'interno dei nuraghi fino almeno al XI a.C., e ciò suggerirebbe uno scarso utilizzo delle strutture come luoghi di culto. E' imbarazzante, al contrario di ciò che sostiene lei, continuare a battere sulla funzione templare o di fortezza senza avere segni di guerre e segni di religiosità. I nuraghi non sono nati come fortezze, non sono nati come templi e solo in rarissime occasione furono ristrutturati con quelle funzioni, e in epoce successive. Il nuraghe che lei cita: Ruinas di Arzana...ha evidenziato una stirpe votiva del Bronzo Finale, se non del Ferro. Ciò significa che lei continua a darmi ragione con i fatti ma non con le proposte. Laq civiltà nuragica nasce 700 anni prima di questi manufatti...e prende il nome da quei popoli che decisero di controllare il territorio e salvaguardare i beni in esso contenuti. La ripetitività assillante (come vede utilizzo le sue stesse parole, per dimostrarle che mi da ragione su tutti i punti) delle strutture che compongono il nuraghe dimostra che l'attinenza non è con i luoghi cultuali (che sono le tombe di giganti) ma con luoghi dai quali si possono controllare i valichi, le strade, gli accessi alle zone ricche di metalli, gli accessi alle risorse idriche e a tutto ciò che serviva alla comunità per condurre uno stile di vita ragionevolmente sano e prospero.
EliminaVorrei, a questo punto, chiederle se può indicarmi l'esistenza di un nuraghe del XVIII-XVII-XVI-XV che contenga un solo oggetto di culto, gliene sarei grato per l'eternità.
Lei parla di XVIII-XV sec. a.C. All'interno di questo quadro cronologico si dovrebbe dimostrare l'uso cultuale dei nuraghi. In primis bisognerebbe intendersi su che cosa possa essere definito "oggetto di culto". Credo che la maggior parte degli archeologi, ma non tutti, siano caduti nell'erroneo intendimento che solo l'oggetto di pregio, possibilmente metallico, possa essere inteso quale segno di materiale rituale e cultuale.
RispondiEliminaLe indicherò un esempio, del quale lei sarà sicuramente a conoscenza, ben rappresentativo del fatto che non bisogna affondare per forza le nostre analisi al XVIII sec. a.C. per dimostrare come i nuraghi fossero luoghi di culto (tra l'altro mi dovrebbe indicare con prove incontrovertibili e quindi archeologiche, quali sono i nuraghi databili a tale secolo e come i materiali in relazione a tale data possano escluderne un uso cultuale-rituale con certezza scientifica) si tratta del notissimo nuraghe Arrubiu di Orroli uno dei pochi, se non l'unico nuraghe, che può essere datato archeologicamente attraverso il rinvenimento del preziosissimo alàbastron miceneo(tale oggetto nella Grecia continentale veniva usato in contesti prettamente funerari) rinvenuto negli strati di fondazione del nuraghe ed in altri contesti interni al nuraghe, vedi la nicchia d'andito, che lo inquadrano quale materiale votivo disperso al momento della fondazione del medesimo nuraghe (ciò è sostenuto da autorevoli archeologi, non certo dal sottoscritto). Tale reperto ha consentito di datare il nuraghe alla seconda metà del XIV sec. a. C. (1350-1300 a.C.), come mai,dunque, già a partire dall'età del Bronzo Finale il nuraghe è stato oggetto di un rito di riconsacrazione a luogo di culto attraverso la deposizione di un vaso dichiaratamente cultuale?(ciò è sostenuto da autorevoli archeologi, non certo dal sottoscritto). Come spieghiamo, dunque, che tale "fortezza" venga utilizzata per poco più di due secoli a tale scopo e poi diventa un luogo di culto? Per uscire da questa situazione d'ambiguità ultimamente si è arrivati a sostenere che certamente quello è un vaso rituale-cultuale, ma li deposto quando il nuraghe venne riconsacrato con funzione di ambiente atto allo stoccaggio di derrate alimentari. Ma è pensabile, in pieno periodo protostorico e con l'immane sforzo costruttivo che una torre di 27 metri ha comportato, che tale monumento venisse trasformato in magazzino?
Questo è solo un esempio dei tanti nuraghi stranamente e improvvisamente riconvertiti a luogo di culto. Con tutte le "fortezze" presenti, da archeologo (che purtroppo non esercita la professione), attendo impazientemente un solo nuraghe o contesto ad esso vicino, che abbia restituito segni di morti violente, determinate da attacchi di tribù rivali. Nell'isola dei nuraghi ancora dopo centocinquanta anni di indagini archeologiche non è emerso un "cadavere" fuori posto. Molto strano per una società tribale descritta sempre in stato di guerra, nella difesa di territori di caccia, pascoli, superfici da dedicare all'agricoltura. Per quanto attiene poi la sua richiesta di indicarle un nuraghe che contenga un solo oggetto di culto, la invito vivamente alla lettura del libro: "Il nuraghe Santu Antine di Torralba. Sistemi, Segni, Suoni", in particolare i paragrafi dedicati alle eccezionali stratigrafie scoperte nel corridoio anulare del pozzo della torre nord. Alla luce di tali letture (gli argomenti ivi contenuti sono stati redatti da autorevoli archeologi) comprenderà al meglio cosa intendo dire quando all'inizio di questa mail sostenevo che bisogna trovare un punto di accordo su cosa intendiamo per oggetto votivo/rituale o anche, aggiungerei, sacrificale.
Salve
Eliminavisto che ha citato il Santu Antine vorrei invitarla a riflettere sulla composizione architettonica della sala al primo piano della struttura suggerita e confrontarla con la sala del capitolo della chiesa di Sant'Antioco di Bisarcio (se per caso la conosce). Le chiedo questa riflessione non tanto per l'accostamento all'edificio religioso ma quanto per il confronto tra due luoghi di riunione dove si possono inquadrare dei seggi per comuni personaggi e un seggio per un personaggio particolare. Vede anche per me risultà un pò impossibile che i nuraghi siano TUTTI ad indirizzo votivo e templare e conoscendo il Santu Antine posso considerare che il piano terra abbia questo indirizzo ma il primo piano mi suggerisce altro. In merito alla votività di reperti anche lì mi permetto di avere perplessità..sopratutto per il contesto di Cuccuru Nuraxi, abito in un contesto di miniere e concepire che una società del passato offra in dono picconi, lucerne e ossa di animali...stride un pò! Per me è più semplice elaborarlo come un contesto minerario dove l'uomo scavava, si illuminava il percorso e mangiava sul posto di lavoro. D'altronde noi ora, se fossimo in un pozzo di campagna, non doniamo alla Divinità pezzi di trattore, zappe come non buttiamo nel pozzo di casa o offriamo in chiesa dei personal computer. Ne conviene? Ha parlato di percentuali di nuraghi cultuali rispetto alla totalità degli indagati attualmente...anche quella mi pare abbastanza bassa dal permetterci di fare di tutte le erbe un fascio.Grazie.
Salve Sig. Cabriolu, io credo che si debba ragionare in termini di materiali rinvenuti all'interno dei singoli ambienti, successivamente, quando possibile, cercare il confronto tra i materiali ritrovati in un determinato contesto e poi confrontarli con i materiali rinvenuti in altri siti nuragici, cercando di stabilire se possano esistere dei punti di contatto tra i diversi contesti isolati.
EliminaQuando il Taramelli per primo nel lontano 1939 scavò il nuraghe Santu Antine, trovò la camera di primo piano letteralmente invasa da ossa di animali, residui di carboni e quindi di fuochi, tantissimi frammenti di stoviglie tanto da fargli esclamare che in quella sala "si faceva gran festa, ma sempre in vigilia d'armi".
Le rigiro la domanda che io stesso scrivo nel mio lavoro di imminente pubblicazione con la Condaghes editrice, come mai ambienti deputati al vivere quotidiano o utilizzati per riunioni di carattere civile o militare, venivano lasciate alla stregua di piccole discariche, senza sentire mai l'esigenza di ripulirli?
Nella camera di primo piano, in anni più recenti, è stato individuato e poi indagato un pozzetto ricavato nello spessore murario che ha restituito ingenti quantità di ossa animali(un medesimo contesto è stato isolato nell' Is Paras di Isili), perchè conservarle "sprecando" un tale seppur piccolo ambiente con quella che per noi dovrebbe essere solo della spazzatura?
La composizione dei materiali rinvenuta nella stanza di primo piano del Santu Antine è la medesima che è stata restituita dal corridoio anulare del pozzo della torre nord, dal pozzetto votivo recentemente rinvenuto nella camera di pian terreno, con all'interno ossa di animali e abbondanti frammenti ceramici, così come anche all'interno della fossa rinvenuta nel grande cortile antistante la torre principale, dove furono isolati un grande focolare e frammenti ceramici in abbondanza.
Ed inoltre se entrambi stiamo parlando del sito di Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro, come può paragonarlo ad un ambiente di miniera? Anche in questo pozzo sacro, così come nel pozzetto votivo rinvenuto nel cortile di quest'ultimo sito vennero ritrovate ingenti quantità di ossa d'animale frammiste a reperti ceramici grandi segni di roghi, ceneri e carboni. Dal momento che questi reperti sono stati rinvenuti all'interno di un luogo ritenuto all'unanimità degli studiosi come un luogo sacro, che valore dobbiamo assegnare ai materiali da esso restituiti?
Le propongo ancora un ultimo interrogativo. Se è vero che i resti di ossa vengono derubricati solo come "resti di pasto" come mai i nuragici li gettavano sempre in associazione con i contenitori ceramici sino a raggiungere spessori della potenza di 50-60 finanche 80 cm? Come mai in tantissimi contesti che elenco ed analizzo nel mio lavoro molti di questi contesti sono in associazione con statuine nuragiche ritenute all'unanimità come degli ex voto? perchè dunque gettare un oggetto così prezioso insieme a della volgare mondezza? Ed inoltre le decine di bronzi di offerenti cos'altro recano alla divinità se non olle, spiane, scodelle, vasi askoidi, con all'interno i più svariati doni per le divinità?
Sperando di non averla annoiata, con molta umiltà la invito a leggere il mio lavoro, dove son descritti ed analizzati decine di contesti del tutto simili a quelli or ora discussi.
Un caro saluto.
Gentile Sig. Mulas
EliminaNon mi ha affatto annoiato anzi mi ha fornito molti elementi di riflessione e di analisi e di ciò ne sono molto felice. In merito al contesto di Settimo San Pietro conoscevo la situazione del pozzetto votivo ed ho elaborato, dopo aver chiesto qualche parere tra persone più anziane, che le ossa e il grasso fossero dei buoni combustibili e induttori di calore usati in passato. Questo mi ha suggerito che, visti i grandi segni di roghi e ceneri, quel pozzetto fosse usato come forno di cottura a cui ho accostato il fornello scavato dalla Manunza a Soleminis. Dopo ho provato a riflettere su quello che viene inquadrato come pozzo sacro che sul fondo presenta una ghiera strettissima da dove non fuoriesce acqua (visti i segni di fuochi e i residui accostati alla parete)e dove veniva anche difficile estrarre un secchio d'acqua. Quindi mi sono chiesto se per caso veniva meno la funzione di abluzione tipica dei pozzi sacri. Indagando un pochino analizzai l'ampiezza della canna, il rivestimento e seppi che la falda, collocata a circa 22 metri di profondità, spunta alla base della collina, dove sarebbe stato più facile ricavare un impianto templare. Ecco queste sono le mie argomentazioni se poi si riesce a venirne a capo più semplicemente, senza arzigogolare il contesto pur di inquadrarlo come pozzo come fece prof.Atzeni, sarebbe una bella scoperta!! Prof Atzeni è un grande studioso ma è pur sempre un essere umano e non sempre infallibile. La ringrazio per la proposta di leggere il suo lavoro, non mancherò assolutamente di farlo in quanto da come si esprime mi sembra che conosca l'argomento. Parto dal presupposto che ci sia sempre qualcosa da imparare dal prossimo e che la ricerca condotta da più menti non posssa far altro che giovare alla conoscenza.
In merito al rinvenimento di ossa all'interno del paramento della camera del santu Antine, ha mai riflettuto che era usanza murare cani o altri animali nella credenza che vincolassero i confini o evitassero maledizioni? Sig. Mulas mi sta piacevolmente intrigando in quanto le sue conoscenze rivelano dei particolari, legati alla nuragologia e sa mexina antiga, che perduravano sino agli anni'50 e che con la sua descrizione mostrano antichissime origini.Se per caso avesse altri testi e pubblicazioni sue sarei felicissimo di usarli come bibliografia in uno dei due lavori che usciranno entro l'estate. Il mio indirizzo di posta è feselis@gmail.com. Mille grazie anticipatamente.
EliminaNon me ne voglia Sig. Mulas ma mi sebra un pò riduttivo ragionare sui materiali rinvenuti in quanto ad esempio potremmo trovare ossa vicino ad un macello come ossa nella compostiera oppure ossa vicino ad un ovile non per questo possiamo inquadrare tre strutture simili. Lungi da mè l'intenzione di fare il presuntuoso ma credo che una ricerca di equipe, dove non si trascura l'edilizia, conduce a risultati più verosimili (con questo non dico assolutamente di essere migliore degli altri e di avere la verità in tasca). Comunque ora la saluto e vado a documentarmi sulle ricerche del 1939 chissà che non ne esca qualcosa di intrigante. Buon Lavoro, aspetto con ansia eventuali testi e la sua nouva uscita.
EliminaGrazie per l'opportunità che mi offre. Il mio libro in uscita il prossimo Natale, dedicato ai nuraghi, dedica molto spazio proprio al Nuraghe Arrubiu di Orroli. Questo maestoso edificio, edificato almeno all'inizio del XIV a.C., costituisce il tipico esempio di struttura multifunzione pensata dai sardi per raccogliere una serie di attività, sacre e profane. Abbiamo due silos per la conservazione del grano (e di altre sementi), zone con focolari, torri per l'accoglienza di rappresentanti o ambasciatori, cortine murarie, cortili, pozzi, sistemi idraulici per lo smaltimento delle acque piovane... Se l'individuazione di una funzione deve essere ricercata, questo nuraghe offre una panoramica completa di ciò che nella risposta precedente intendevo per palazzo della comunità. E' chiaro come la luce del sole che all'interno delle strutture di questo tipo, compreso il Santu Antine, si svolgevano riti religiosi. Ma questi edifici sono stati edificati vari secoli dopo che i protonuraghi (oggetto di questo articolo) furono pensati e realizzati. Il rito di fondazione dell'Arrubiu, per il quale sono stati trovati i cocci dell'alabastron sotto il battuto pavimentale delle camere e del cortile, dimostra che micenei e sardi si frequentavano pacificamente e proficuamente, scambiandosi tecnologie, merci, uomini e, probabilmente, stipulando accordi politici e matrimoniali. Tutto ciò continua a suggerire la ricerca di luoghi nei quali incontrarsi e discutere sotto l'ombrello protettivo delle divinità che, a quei tempi, erano gli elementi naturali: acqua, terra, fuoco e cielo. Una visione aristotelica degli elementi, alla quale aggiunsero due variabili, tempo e spazio (antropizzando il territorio con il sistema Onnis che proprio in questi giorni stiamo presentando al pubblico). L'elemento divino è presente...ma non è lo scopo per il quale gli edifici furono costruiti. Quest'ultimo è concreto, utilitaristico, non militare ma...strategico e derivato dalla cultura megalitica precedente, quella del Campaniforme.
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