domenica 15 gennaio 2012

Minosse e il mondo dei minoici - 2° e ultima parte


L’ambiguo regno di Minosse: il mare e l’immaginario egeo
di Pietro Militello - Università degli Studi di Catania

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Fonte: Convegno "Mare, Uomini e Merci nel Mediterraneo Antico" a cura di Bianca Maria Giannattasio
Il Bronzo Tardo: l’età dei palazzi micenei (1400-1200 a.C.)
La ricchezza e la varietà del mondo figurato dei primi due secoli dell’Età del Bronzo Tardo viene meno proprio durante la massima espansione della civiltà micenea. In parte ciò è dovuto al declino di alcune tradizioni artigianali, prima fra tutta quella dei vasi in pietra o quella della decorazione in agemina, in parte a modifiche strutturali della imagerie egea. Si opera una selezione dei motivi che porta ad una drastica riduzione del ricchissimo repertorio neopalaziale e ad una sua progressiva astrazione. Anche in questo caso, è possibile però identificare aree e livelli differenti nella circolazione delle immagini. A Creta, il mondo marino appare costantemente raffigurato o accennato nella decorazione dei sarcofagi in terracotta prodotti nell’isola tra il TM IIIA e IIIB. Polpi più o meno stilizzati si allungano lungo la faccia esterna delle larnakes, si annidano tra altre immagini, come carri o scene di caccia, apparentemente senza connessione logica con queste ultime, o si associano a piante di papiro. La libera associazione di elementi floreali e marini ha portato alla suggestiva definizione di “giardino del polpo” (“octopus’s garden”) per questo tipo di scene, rappresentanti forse il mondo elisio, non sappiamo se immaginato oltre il mare o dentro il mare, traslato, forse, di pratiche funerarie dei secoli precedenti nelle quali il cadavere veniva affidato alle acque, oppure adozione di credenze religiose egiziane relative al viaggio del defunto nell’aldilà. In alcuni casi, l’allusione al viaggio è esplicitata da una figura di nave (fig.9). Diverso significato sembrano avere avuto gli stessi animali nei contesti palatini, specialmente nella pittura a fresco. L’esistenza di una tradizione omogenea è dimostrata dalla coerenza dello sviluppo iconografica e dalla collocazione delle pitture, tutte su pavimento.

All’inizio della serie si colloca il famoso “Dolphin Fresco”, che decorava probabilmente un pavimento di un sacello del Palazzo di Cnosso. Tra delfini dal corpo policromo si muovono piccoli pesci; l’acqua è rappresentata come una serie di linee ondulate. La produzione continua con l’affresco del pavimento dipinto da un sacello da Haghia Triada, databile alla metà del XIV secolo (fig.13), che nella articolazione interna ripropone a Creta, il modello della sala del trono del megaron miceneo in un contesto tuttavia non politico ma religioso, e termina con i polpi e i delfini dipinti nelle sale dei palazzi di Pylos e Tirinto (fig.14). L’associazione tra polpo e delfino è una innovazione introdotta verso il 1400, nella coppa aurea di Dendra, che doveva avere significato simbolico, giacché non ha alcun referente nella realtà. I due animali, infatti, non vivono nello stesso ambiente e non possono essere visti assieme. Animale bentonico il primo, acquattato tra le rocce dei fondali sotto costa, preda dell’uomo per le sue carni prelibate, mammifero pelagico il secondo, visibile mentre salta in mare aperto, in rapporto più di coesistenza che di competizione con l’uomo. Se si riflette sul ruolo preponderante che il polpo sembra avere avuto nella religione cretese, e sulla funzione araldica che invece il delfino assume come emblema delle navi di Thera o delle spade dal Peloponneso, si può suggerire che l’unione tra i due animali assumesse per le élites micenee il significato di fusione tra aspetto religioso e politico, tra tradizione minoica e tradizione elladica.


Ad un livello più ampio di circolazione extrapalatina si collocano le scene sulla ceramica dipinta nello stile pittorico. Si tratta di una classe specifica, prodotta verosimilmente in Argolide, che circola in tutto il Mediterraneo orientale, trovando però soprattutto a Cipro uno dei mercati principali. I temi sono prevalentemente terrestri: animali, specialmente buoi, processioni di carri, scene di caccia. Le figure di polpi e pesci, nel complesso numericamente modeste (5,4%) appaiono nella prima fase, 1450-1375 a.C., su evidente influsso dello stile marino. Successivamente, i temi marini si eclissano per circa un secolo per riprendere vigore nella seconda metà del XIII secolo, rappresentando, alla fine del periodo, un buon 30% del repertorio, da una parte con la sempre vitale immagine del cefalopodo tra i cui tentacoli abitano pesci ed uccelli, dall’altra con un cospicuo numero di kalathoi decorati con pesci lungo il bordo, nel quale l’elemento mimetico è evidente: il liquido dentro il vaso doveva rappresentare il mare nel quale nuotano i pesci.
Il Bronzo: la fine della civiltà micenea (1200-1000 a.C.)


La caduta delle cittadelle micenee intorno al 1200 a.C. non segna una cesura se non per la produzione aulica (avori, affreschi, sigilli) che si interrompe bruscamente. Lo stile serrato e lo stile del polpo, nel TE IIIC, fanno di questo animale il tema figurativo più attestato della produzione vascolare (fig.5), dimostrando la vitalità e la forza di una tradizione iconografica che con diverse sfumature semantiche attraversa tutto il secondo millennio. Un cambiamento si ha invece nell’uso del tema della nave. Quasi assente in ambito palatino, esso aveva fatto la sua comparsa nell’ambito della ceramica pittorica nel corso del XIII secolo, intensificandosi verso la fine del secolo e diventando, nel corso del XII, uno dei temi dominanti. Le immagini di navi, in questo scorcio del II millennio a.C., colpiscono non per l’eleganza del tratto, ma per il vigore e la vivacità della rappresentazione e per l’interesse verso la funzione e la struttura della nave, che viene talora sezionata con la tecnica detta a raggi X. In un cratere levanto-elladico da Enkomi (fig.10a), ancora del XIII secolo, due soldati sono sulla tolda, mentre 4 marinai sono indaffarati all’interno dello scafo. In un frammento vascolare da Tragana in Messenia (fig.10b) la costolatura è in evidenza, a prua lo slancio verticale è provvisto alla sommità di un simbolo che ricorda per la sua posizione le navi cicladiche, a poppa un lungo remo funge da timone, la vela è indicata, assieme al sartiame. Di un altro vaso da Kos sono rimasti due rematori (fig.10c) mentre una parete di cratere da Phaistos mostra due marinai affaccendati attorno all’albero di una imbarcazione schematizzata (fig.10f ). La lunga nave ritorna in una anfora da Skyros (fig.10d) e in un vaso dalla Messenia (fig.10e), ma lo stato della cantieristica della fine del II millennio è rappresentato da un graffito trovato a Dramesi, in Beozia (fig.11), in cui appaiono i due tipi di vascello che dovevano circolare nell’Egeo di quel periodo: quello lungo e quello tondo provvisto di chiglia. Il dato nuovo è l’attenzione prestata all’uomo. Non più la nave come entità a sé, ma come luogo di manovra o di battaglia nel quale le proporzioni delle singole figure denunciano la gerarchia sociale di guerrieri, proprietari, marinai, rematori. Le scene di guerra, come quelle su crateri da Kynos (fig.10g), nella loro ingenuità rappresentativa conservano una pallido eco dei grandi cicli pittorici del XVI secolo, come
ha ben sottolineato Borgna; di questi recepiscono in maniera frammentata e incoerente, spesso mal
compresa, tipi iconografici e stilemi che verranno tramandati attraverso i secoli bui per essere riutilizzati, in un ben diverso contesto storico e in un differente sistema semantico, dalla narrativa di età geometrica, primo capitolo di una nuova cultura figurativa (fig.12).

Conclusione
La disamina che abbiamo condotto ha tentato di ripercorrere i processi di formazione di un immaginario del mare in area egea, individuando momenti e livelli diversi. Per il mondo cicladico del Bronzo Antico, l’Egeo è la “pianura liquida” nella quale si viaggia. L’attenzione verso il mare come sfondo dell’azione umana costituisce una costante tematica nelle isole, pur nella esiguità delle attestazioni, anche nel Bronzo Medio, con le navi di Egina, fino alla complessa narrativa delle pitture di Thera. Nello stesso periodo, Creta sembra invece ancorata, a livello di immaginario, prevalentemente al suo retroterra agricolo. Ancora nel periodo dei Primi Palazzi, il mare è lo spazio limitato attorno alla costa, area di pesca, in una visione del mondo che percepisce l’Isola come continente autosufficiente, lasciando in una zona d’ombra la sua funzione di snodo delle relazioni del Mediterraneo orientale. È verso la metà del II millennio, corrispondente al periodo dei Secondi Palazzi e delle Tombe a Fossa di Micene, che la formazione di una koiné culturale porta alla creazione di un patrimonio comune di iconografie, ad una circolazione di immagini, probabilmente tramite lo spostamento fisico di artigiani ed botteghe. Attraverso questo patrimonio comune è però possibile individuare specificità regionali nell’approccio verso il mare. L’area minoica predilige quest’ultimo nel suo aspetto simbolico e funerario o come teatro dell’azione mitologica. L’artista cicladico e la sua committenza rivelano invece, nella articolata esposizione del fregio miniaturistico di Thera, una percezione dello spazio circostante molto più dinamica di quella espressa dalla contemporanea iconografia cretese: il viaggio in acqua come mezzo per raggiungere terre note, ma anche regioni lontane e fantastiche, abitate da essere mostruosi, come il grifone. Entrambi i filoni, quello narrativo e quello simbolico, sono attestati nella documentazione materiale delle emergenti dinastie micenee, che dopo la prima fase di formazione, sviluppano l’aspetto simbolico degli animali acquatici, in una direzione differente, tuttavia, rispetto a Creta, più incentrata sul tema della regalità che su quello funerario. La circolazione di uomini che fa seguito alla fine della civiltà palaziale, dopo il 1200, infine porta ad una ridistribuzione delle immagini marine, e soprattutto, navali in tutta l’area dell’Egeo. Caratteristica comune a tutta questa produzione è l’uso di duplice prospettiva: quella ravvicinata, in cui lo spettatore è immerso dentro il mare, e quella distante, a volo d’uccello, in una visione “cartografica” che colloca l’osservatore in un punto di vista elevato, non raggiungibile nella realtà. E’ del tutto assente invece la visione del mare nella sua prospettiva naturale, a terra e da terra, a differenza di quanto avviene per il paesaggio. La conseguenza è, in entrambi i casi, la assenza di quell’atteggiamento descrittivo e di burocratica annotazione di dettagli che si ha invece in analoghe rappresentazioni egiziane, e l’acquisizione di una specificità narrativa tipicamente egea. Se dalla sfera della rappresentazione si passa alla sfera della realtà, i dati appaiono più difficilmente leggibili. È possibile seguire nelle grandi linee lo sviluppo della cantieristica navale egea, soprattutto nel passaggio dalla navigazione a remi a quella a vela, dalla carena angolare a quella tonda, dalle navi a fondo piatto a quelle provviste di chiglia. È chiaro altresì l’affermarsi nel tempo di tipologie diverse, il vascello lungo, destinato alla corsa, quello più tozzo e capiente, destinato al trasporto di merci, fino alle diverse varianti di imbarcazioni da pesca. In questo processo, indubitabile appare, nel Bronzo Antico, la leadership delle marinerie insulari. Più difficile invece l’attribuzione ad un’area o all’altra degli sviluppi successivi, sulla base della sola indicazione iconografica. Una analisi approfondita delle immagini di navi e nel contesto complessivo della produzione minoica e sulla base delle tipologie rappresentate non appare supportare un ruolo primario dell’Isola nello sviluppo delle innovazioni tecniche, e sembra anzi dimostrare una ruolo secondario dell’immaginario marino a Creta in evidente contrasto con la posizione centrale che si è attribuita a Creta nel controllo del mare durante l’età del Bronzo (la cd. Talassocrazia minoica). Ancora più evidente risulta la marginalità dell’iconografia navale in area elladica in rapporto al ruolo dei palazzi micenei in quanto centri di produzione, consumo e scambio.

Una soluzione a questa aporia potrebbe essere quella di attribuire alle Cicladi la gestione dei traffici commerciali all’interno dell’Egeo, ed ad altri vettori, ciprioti o levantini, quella dei più vasti contatti con le aree ad Oriente ed ad Occidente dell’Egeo. Ma volere usare le immagini come mezzo per scoprire la realtà storica rivelerebbe un uso ingenuo di questo strumento, vorrebbe dire disconoscere le peculiarità del mondo della figura, il suo ruolo precipuo non tanto come strumento di rappresentazione della realtà, quanto di autorappresentazione di una società. Vorrebbe dire, in altri termini, dimenticare che il rapporto tra immagine e la realtà storica non è sempre isomorfo, ma è soggetto alle deformazioni ideologiche. Non possiamo escludere che il ruolo dei palazzi minoici e di quelli micenei nel controllo delle relazioni commerciali e delle attività marinare sia stato inferiore a quanto finora presupposto, ma non possiamo neanche escludere che l’ ideologia dei palazzi cretesi, sviluppatisi sulla base dello sfruttamento del retroterra agricolo, e quella dei palazzi micenei che ne mutuarono in parte i presupposti culturali, possa avere condizionato l’adozione di iconografie legate allo sviluppo dell’attività commerciale per mare, marginalizzandole o mistificandole sotto l’aspetto simbolico. Qualunque sia la risposta che si voglia dare a questo problema, appare invece più comprensibile il fiorire delle rappresentazioni navali a partire dalla fine del XIII a.C.: oltre a riflettere un intensificarsi dei contatti e dei conflitti in una fase di crisi ed accentuata mobilità all’interno del Mediterraneo orientale, esse rappresenterebbero anche l’affermarsi di una nuova consapevolezza e di una nuova ideologia eroica da parte delle élites emergenti che si apprestavano a sostituire le vecchie gerarchie palatine in dissoluzione nel processo che portò alla trasformazione del qasireu miceneo, autorità locale e gradino inferiore della gerarchia palatina, al basileus greco.

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