Storia dei popoli: seminiamo il seme della cultura nei nostri figli perché il futuro è ancora da costruire.
domenica 22 maggio 2011
Le Colonne d'Ercole. 2° parte di 3.
Se oltre uno stretto c’è il mare esterno….
di Antonio Usai
Nel suo “Sulle Coste Marine” (De ora marittima), l’iberico Rufo Festo Avieno (IV d.C.), parlando delle coste meridionali dell’attuale Spagna, riporta una descrizione fatta dall’ateniese Euctemone (V a.C.) che, però, non ha riscontro con lo stretto di Gibilterra. L’autore iberico dice: «Fra le due località passa un canale, che è detto Herma oppure strada di Ercole. Euctemone, abitante della città di Anfipoli, dice che non misura in lunghezza più di cento e otto miglia (circa 160 km; un miglio equivaleva a 1480 metri), e che la distanza fra i due lati è di tre miglia (circa 4,5 km)», e continua dicendo: «L’ateniese Euctemone dice pure che non sono rupi o vette che si innalzano dai due lati; racconta che a metà fra la terra libica e la sponda d’Europa si trovano due isole e dice che queste si chiamano Colonne d’Ercole; riferisce che esse sono distanti fra loro trenta stadi (poco più di 5 km)…Dice anche che intorno ad esse, e per un largo tratto, il mare ristagna a poca profondità; e che le navi cariche non riescono ad avvicinarsi per il fondo basso e la melma della spiaggia».
Come si può vedere questa descrizione non rispecchia lo stretto di Gibilterra. Infatti lo stretto di Gibilterra non è lungo 160 km ma, esagerando, al massimo 70 km; la larghezza, poi, non è di 4,5 km ma di 14 km nel punto più stretto. Ma anche lasciando da parte la lunghezza e la larghezza dello stretto che non corrispondono, quello che non quadra in assoluto è la presenza, in mezzo allo stretto («fra la terra libica e la sponda d’Europa»), di quelle due isole (più una terza a loro vicina, sempre a detta di Euctemone) le quali sarebbero, addirittura, anche circondate, per un largo tratto, da un mare così basso che l’acqua ristagna e che, a causa del fondo basso e della fanghiglia della spiaggia, le navi cariche non riescono ad avvicinarsi (nello stretto di Gibilterra il punto meno profondo è di 300 metri).
Quindi sorvoliamo su quella descrizione, a dir poco, fantasiosa.
Mentre, il primo fra i greci che fa capire chiaramente dove sono posizionate le colonne d’Ercole, cioè tra la Tunisia e le isole Kerkenna, è Aristotele (vedi il mio scritto “Le prime colonne d’Ercole degli antichi...”); ma lo fa capire anche Dicearco da Messina (350-290 a.C.), che era un allievo del filosofo. Dicearco affermava che la distanza dal Peloponneso alle colonne d’Ercole era di 10.000 stadi ed infatti lo è in quanto il tragitto da percorrere era: Peloponneso - Creta - Cirenaica - Grande Sirte - Piccola Sirte - Colonne d’Ercole (Kerkenna) = quasi 1800 km., ovvero 10.000 stadi (uno stadio attico misurava 177,60 metri).
Quella distanza di 10.000 stadi, come vedremo più avanti, è stata criticata da Polibio (200- 118 a.C.)
Che il tragitto per arrivare alle colonne d’Ercole fosse quello suddetto, lo si capisce, anche, nel poema “Argonautiche” di Apollonio Rodio (295-215 a.C.), secondo Direttore della Biblioteca di Alessandria d’Egitto, come si capisce, anche e sempre nel poema “Argonautiche”, che le colonne sono ancora nelle Kerkenna.
Il poema di Apollonio Rodio tratta del viaggio di Giasone alla ricerca del vello d’oro e racconta che quando Giasone con i suoi compagni, ormai alla fine del viaggio, stanno rientrando in Grecia, in vista del Peloponneso succede che:« Ma non era destino che gli eroi sbarcassero sulla terra di Grecia prima d’avere penato agli estremi confini di Libia » e poco dopo dice: «Allora una tremenda tempesta di Borea (vento del nord) li rapì e li portò verso il mare di Libia per nove giorni e nove notti, fin quando arrivarono profondamente dentro la Sirte, dove non c’è più ritorno per le navi forzate ad entrare». Per Apollonio la Sirte si trova agli estremi confini della Libia la quale, per Erodoto, terminava, come abbiamo visto, col promontorio Soloentos - Solòeis che, sempre per Erodoto, si trovava subito dopo o poco dopo aver oltrepassato le colonne d’Ercole, le quali, per Aristotele (vissuto, come anche Erodoto, prima di Apollonio), si trovavano tra la Tunisia e le isole Kerkenna, cioè subito dopo la Piccola Sirte (vedi lo scritto “Le prime colonne d’Ercole degli antichi…”).
Continuiamo.
Gli Argonauti trasportano la nave Argo sulle spalle per dodici giorni e per dodici notti finché giungono al lago Tritonide, dove cercano, senza successo, un passaggio per uscirne. Allora, dopo aver offerto un dono agli dei del luogo, viene loro incontro Tritone che, dopo aver sentito le parole dell’argonauta Eufemo, stendendo la mano e indicando agli eroi in lontananza il mare e la bocca profonda del lago, dice: «Il passaggio è laggiù…è uno stretto cammino che porta di fuori. Là, oltre Creta, si stende il mare nebbioso fino alla terra di Pelope (il Peloponneso). Ma quando dal lago sarete usciti nel mare, dirigetevi a destra, e tenetevi stretti alla terra finché risale (sta descrivendo la Grande Sirte), poi quando piega dall’altra parte, vi si apre un viaggio sicuro, dopo che avrete passato il promontorio (ha descritto la Cirenaica, sopra la quale c’è Creta e, sopra ancora, il Peloponneso). Ma ora andate e siate pure tranquilli….».
Come si può vedere, da ciò emerge sia che il tragitto dal Peloponneso alle colonne d’Ercole era quello suddetto e sia che fino ad Apollonio Rodio compreso, le colonne sono ancora nelle Kerkenna.
Dopo Apollonio Rodio chi parla di colonne d’Ercole è Eratostene di Cirene (276-194 a.C.), nato quasi 20 anni dopo Apollonio, quindi suo contemporaneo e suo successore alla direzione della Biblioteca di Alessandria.
Per quanto concerne la nostra ricerca, le notizie su di lui ci sono pervenute tramite Strabone (I a.C.- I d.C).
A prima vista, da un passo di Strabone, sembrerebbe che, per Eratostene, le colonne siano a Gibilterra; cito:« Eratostene afferma che da Massalia (Marsiglia) alle Colonne d’Eracle la distanza è di settemila stadi, seimila invece dai Pirenei ».
Ma, quelle distanze che il Bibliotecario cita nel passo suddetto gli sono state riferite (o lette in qualche libro), in quanto, come si capirà da quanto riporta Strabone, lo stesso non è mai andato nei posti di cui parla. Gli è stato riferito, sicuramente, che quelle distanze da Massalia e dai Pirenei erano quelle fino allo stretto che lui, da buon greco del III a.C., chiama colonne d’Ercole in virtù di quella convinzione su citata (chiamandolo solamente colonne d’Ercole per comodità, come ha fatto il traduttore in greco del viaggio di Annone e della quale comodità parlo in “Annone e la beffa dello stretto” e come hanno fatto, sempre per comodità, tutti i greci e le persone di cultura greca) ed interpreta quelle distanze fino allo stretto, come le distanze dai due luoghi fino, appunto, alle colonne d’Ercole.
Proseguiamo.
Il Bibliotecario di Cirene è stato accusato, dalla teoria Sardegna = Atlantide, di essere colui che avrebbe spostato le colonne d’Ercole a Gibilterra e, secondo l’accusa, potrebbe averlo fatto o per amor di simmetria oppure per un malinteso su quale fosse il mare esterno.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, il Bibliotecario di Cirene, secondo l’accusa, potrebbe aver spostato le colonne d’Ercole a Gibilterra per una simmetria che, sempre secondo l’accusa, per lui ci sarebbe dovuta essere tra l’Occidente e l’Oriente dovuta al fatto che il mondo era diventato più grande in quanto Alessandro Magno aveva ampliato i confini verso est arrivando fino all’India e ad ovest non c’era più la tenaglia cartaginese.
Ma, se di simmetria si tratta, se ne deve parlare, invece, di quella tra la parte Nord e la parte Sud dell’ecumene (la terra abitata). Strabone, infatti, dice:« Nel III° libro della sua Geografia Eratostene traccia la carta del mondo abitato. Egli la divide in due, da Occidente a Oriente, con una linea parallela all’equatore. Come limiti, egli prende a Occidente le Colonne d’Ercole, a Oriente i capi e gli ultimi monti della catena che delimita il lato nord dell’India. La linea che egli traccia parte dalle Colonne, passa dallo Stretto di Sicilia, i capi meridionali del Peloponneso e dell’Attica, e continua fino a Rodi e al golfo di Issos. Fin là, egli dice, la linea in questione traversa il mare e passa tra i continenti che la costeggiano (il nostro mare si allunga in effetti su tutta la lunghezza fino alla Cilicia), poi, all’incirca in linea diritta, essa seguita di vetta in vetta la catena del Tauro fino all’India », e più avanti dice: «si serve di questa linea per dividere il mondo abitato in due metà che egli chiama rispettivamente metà nord e metà sud».
Dunque, Eratostene ha diviso a metà il mondo abitato tra nord e sud e non tra Occidente e Oriente.
Inoltre da un altro passo di Strabone emerge uno “stratagemma” usato dal Bibliotecario per salvare, invece, qualcosa che faceva parte della sua visione globale della terra abitata.
Infatti, riportando le misure che il Bibliotecario dà a delle distanze tra luoghi che partono dall’India fino alle colonne d’Ercole, Strabone dice: «Poi Eratostene aggiunge, alle distanze citate per la lunghezza, duemila stadi in più verso occidente e altrettanti verso oriente, al fine di salvare la teoria che vuole che la larghezza valga meno della metà della lunghezza».
Quindi non è per amor di simmetria che Eratostene potrebbe aver spostato le colonne d’Ercole.
Per quanto riguarda, invece, la seconda ipotesi, il Bibliotecario, sempre secondo l’accusa, potrebbe aver spostato le colonne d’Ercole per un malinteso su quale fosse il mare esterno, dovuto al fatto che potrebbe essere successo che si continuasse a utilizzare testi antichi in cui si parlava sempre di Mare Interno e Mare Esterno anche in anni in cui, invece, la conoscenza di Gibilterra e di quel mare che da lì comincia, era ormai cosa assodata.
Ma da Strabone si capisce, invece, che la conoscenza di Gibilterra e, di conseguenza, di quel mare che da lì comincia, per Eratostene cosa assodata non lo era affatto.
Infatti lo storico afferma:
«Non può andare oltre nell’ignoranza dei luoghi, di questi luoghi e di quelli che fanno loro seguito verso l’Ovest fino alle colonne d’Ercole» riferendosi al Bibliotecario che mette sullo stesso meridiano Roma e Cartagine.
«Diciamo solamente per il momento che Timostene, Eratostene e i loro predecessori ignoravano totalmente l’Iberia e la Celtica».
Quindi non è neanche per un malinteso su quale fosse il mare esterno che Eratostene potrebbe aver spostato le colonne d’Ercole a Gibilterra.
Come non può essere stato, neppure, lo stesso Bibliotecario ad averle spostate.
Infatti, come abbiamo visto, prima del Bibliotecario le colonne d’Ercole sono ancora nelle Kerkenna; quindi se fosse stato lui ad averle spostate, le avrebbe dovuto spostare in un luogo di cui, come abbiamo visto più su, ne ignora l’esistenza.
Quindi mettiamo da parte il Bibliotecario di Cirene.
Eppure qualcuno le ha spostate quelle colonne ed è da notare che quel qualcuno ha spostato un importante punto di riferimento per i greci senza, però, che nessuno ne abbia saputo niente, senza che nessuno se ne sia accorto; cioè lo spostamento è passato inosservato. Ma come è stato possibile? In un modo o in un altro lo si sarebbe saputo e se non direttamente da colui che le avrebbe spostate, almeno da altri posteriori a lui. Invece niente, nessuno ne ha mai parlato.
Ma, allora, chi ha spostato le colonne d’Ercole e come è riuscito a tenerlo nascosto?
La risposta alla prima domanda è che solamente il greco che ha visto, con i propri occhi, lo stretto oltre il quale c’è il vero mare esterno avrebbe potuto spostare le colonne d’Ercole.
Quindi si deve tornare indietro fino, almeno, ai focesi i quali sono, come dice Erodoto, i primi fra i greci ad essersi dati ai grandi viaggi. Ma Erodoto non dice che i focesi sono stati anche i primi, sempre fra i greci, ad andare oltre le colonne d’Ercole, come non dice, in quel passo suddetto, che Tartesso è stato scoperto oltrepassando le stesse.
Se, però, lo storico non dice che Tartesso è stato scoperto oltrepassando le colonne d’Ercole è perché i focesi non hanno detto che, quando lo scoprirono, avevano oltrepassato quelle o lo stretto.
Lo si capisce leggendo un passo tratto da una storia che raccontavano i Terei riportata da Erodoto in un altro libro delle sue “Storie”. Il passo, infatti, dice: «Quindi essi (i Sami), salpati dall’isola (Platea, ora Bomba, vicino alla Cirenaica) con gran desiderio di raggiungere l’Egitto, veleggiarono, trasportati dal vento di Levante, fuori rotta e, siccome il vento non cessava di spirare, oltrepassate le colonne d’Ercole, come guidati da un dio giunsero a Tartesso».
Ebbene, se i focesi avessero detto che quando essi scoprirono Tartesso avevano oltrepassando le colonne d’Ercole o lo stretto, i Sami, come dicono invece i Terei, non sarebbero arrivati a Tartesso “come guidati da un dio”, perché quello sarebbe stato il percorso da fare per arrivarci.
Inoltre, i Sami non avrebbero avuto neppure bisogno della guida di un dio per arrivarci. La loro nave, infatti, è stata in balìa del vento di levante solamente fino alle colonne; mentre oltrepassatele, la nave, come si capisce dal passo, era governabile; infatti essi,i Sami, sono arrivati a Tartesso non “come aiutati da un dio” come se si fossero trovati in difficoltà, ma “come guidati da un dio”, cioè come se avessero seguito le indicazioni di qualcuno e il che è possibile solo se la nave è, appunto, governabile.
Quindi i Sami non sapevano che, oltrepassate, dicono i Terei, le colonne d’Ercole, sarebbero giunti a Tartesso.
Per questo motivo, per Erodoto, Tartesso si trovava all’interno della terra abitata.
Infatti, come abbiamo visto, Erodoto non conosce, come lui stesso dice e come dice anche Strabone quando (vedi più su) parla di Eratostene, le regioni più occidentali dell’Europa, cioè la penisola iberica e la Francia; quindi, non sapendo, sempre lo storico, dove in Europa iniziasse o terminasse l’interno della terra abitata, se a lui non veniva riferito che un qualcosa o un qualcuno si trovava o veniva raggiunto oltrepassando le colonne d’Ercole o lo stretto, quel qualcosa o quel qualcuno si trovava, per lui, all’interno della terra abitata.
Un esempio lo si trova in un passo sempre dello storico: «i Celti sono stanziati oltre le colonne d’Ercole e confinano con i Cinesii, che sono gli ultimi abitanti dell’Europa a occidente». I Celti, come si vede, abitano, anche per lo storico, in Europa; abitano, però, all’esterno della terra abitata e abitano lì in quanto allo storico è stato riferito, perché lui non è mai andato in quei posti, che i Celti abitano oltre lo stretto che lui, come si capirà più avanti, in virtù di quella convinzione chiama, però, colonne d’Ercole. I Celti non avrebbero potuto abitare, per esempio, in Iberia, perché, a Erodoto, nessuno ha mai detto che i focesi l’hanno scoperta oltrepassando le colonne d’Ercole o lo stretto. Di conseguenza l’Iberia si trovava, per lo storico, all’interno della terra abitata e così anche Tartesso.
Idem per quanto riguarda Cartagine. Quest’ultima, infatti, anche se si trovava oltre le colonne d’Ercole (Kerkenna), per i greci (quindi anche per Erodoto) si trovava prima e quindi all’interno della terra abitata e questo perché, appunto, nessuno aveva mai detto loro che si trovava oltre le colonne (e meno che mai avrebbero potuto dire loro, per un motivo evidente, oltre lo stretto).
Quindi, per Erodoto i focesi scoprono Tartesso arrivandoci nella sequenza Tirrenia – Iberia – Tartesso, mentre i Sami, sempre per Erodoto, ci arrivano oltrepassando le colonne d’Ercole ma “come guidati da un dio”.
E dato che:
i focesi hanno fondato, intorno al 600 a.C., Menace che si trovava nei dintorni di Malaga che, a sua volta, si trova a circa 130 km dallo stretto di Gibilterra, ma è Tartesso il posto più lontano in cui essi sono arrivati.
Quindi, Tartesso si trovava dopo Menace.
Dato che Tartesso si trovava dopo Menace, se lo stesso si fosse trovato prima dello stretto di Gibilterra e lo storico di Alicarnasso fosse stato a conoscenza dell’esistenza di quello stretto, è impensabile che lo storico non avesse citato Tartesso come facente parte dell’Iberia anziché presentarlo come un posto a sé stante come, invece, fa.
Da tutto ciò si capisce che Tartesso si trovava oltre lo stretto di Gibilterra e che, quindi, le colonne d’Ercole di cui parlano i Terei in quel passo suddetto sono quelle per convinzione.
Ciò che lo dimostra è un altro dato dal quale emerge il motivo principale per il quale quanto su è giusto ma, anche, per cui i focesi non hanno detto che quando essi scoprirono Tartesso abbiano oltrepassato le colonne d’Ercole:
i Sami sono arrivati a Tartesso dopo i focesi e poco prima della fondazione di Cirene.
Ma poco prima della fondazione di Cirene, ai greci la Libia era ancora sconosciuta, inesplorata.
Lo si capisce quando Erodoto parla, appunto, della fondazione di Cirene avvenuta nel VII a.C.
Lo storico riporta, prima, ciò che raccontavano i Terei e cioè che Grinno, re dell’isola di Tera, andò a Delfi dove interrogò l’oracolo la Pizia la quale gli disse che avrebbe dovuto fondare una città in Libia. Che Grinno disse all’oracolo che lui era troppo vecchio per assumersi tale impresa e che chiese, sempre all’oracolo, di impartire l’ordine ad uno dei giovani che lo avevano seguito, accennando a un tale di nome Batto. Il racconto continua dicendo: «ma poi, partitisi di là non fecero più alcun conto dell’oracolo, dato che non sapevano in quale parte della terra fosse la Libia e non osavano far partire una colonia verso destinazione ignota».
Dato, però, che sull’isola di Tera non cadde pioggia per sette anni di seguito, i Terei consultarono l’oracolo la Pizia che ripeté loro il comando di mandare una colonia in Libia. E dato che non c’era rimedio per i loro malanni, i Terei inviarono delle persone a Creta a cercare se qualcuno dei cretesi e non, fosse mai giunto in Libia. E continua in questo modo:« Aggirandosi qua e là per l’isola questi messi… incontrarono un pescatore di porpore, di nome Corobio, il quale affermava di esser giunto, portato dal vento, in Libia e a Platea, un’isola della Libia…..Avendoli Corobio guidati a quest’isola di Platea, ivi lo lasciarono con una scorta di viveri per un certo numero di mesi; essi, invece, ripresero il mare in tutta fretta per fare ai Terei una relazione riguardo all’isola. Siccome, però, la loro assenza si prolungava più del tempo stabilito, Corobio venne a mancare di tutto. Ma poi una nave di Samo, di cui era proprietario Coleo e che faceva vela verso l’Egitto (l’Egitto non faceva parte della Libia), fu dal vento dirottata verso quest’isola di Platea e i Sami, da Corobio informati di tutta la questione, gli lasciarono viveri per un anno. Quindi essi, salpati dall’isola con gran desiderio di raggiungere l’Egitto…come guidati da un dio giunsero a Tartesso ». Nel frattempo i Terei, tornati in patria, riferirono di aver preso possesso di un’isola presso la Libia e si decise, allora, di mandarvi degli uomini che avrebbero avuto Batto come capo e re e li inviarono con due navi a 50 remi.
A questo punto Erodoto prosegue riportando ciò che raccontavano i Cirenei i quali, dopo aver raccontato la loro versione per ciò che riguarda Batto, continuano dicendo che i Terei rimasero nell’isola di Platea due anni; che dopo i due anni nell’isola colonizzarono, sempre i Terei, una località di nome Aziri che si trovava in terra libica di fronte all’isola di Platea dove ci rimasero sei anni e che al settimo anno i Libici riuscirono, scaltramente, a convincere i Terei ad andare più a occidente dove, sempre i Terei, fondarono Cirene. Il racconto continua dicendo: «Finché fu in vita il fondatore Batto, che regnò per 40 anni, e suo figlio Arcesilao, che ne regnò 16, gli abitanti di Cirene rimasero tanti di numero, quanti erano stati in principio mandati a fondare la colonia. Ma sotto il terzo re, Batto soprannominato Felice, la Pizia con i suoi responsi prese a incitare i Greci di ogni regione ad imbarcarsi, per abitare la Libia insieme con i Cirenei; poiché questi li allettavano con la promessa di una ripartizione del terreno».
Come si vede, poco prima della fondazione di Cirene, la Libia, ai greci (i Terei erano greci), era sconosciuta, inesplorata e, quindi, Ercole non poteva, ancora, aver piantato le sue colonne.
Dunque ai tempi di quei focesi e di quei Sami che arrivarono a Tartesso, le colonne d’Ercole non esistevano ancora e, di conseguenza, i Sami non potevano aver detto di aver oltrepassato le colonne d’Ercole; hanno detto, invece, di aver oltrepassato uno stretto, uno stretto oltre il quale c’è il mare esterno, cioè lo stretto di Gibilterra.
Come, Erodoto, non poteva dire che i focesi erano stati anche i primi, tra i greci, ad averle oltrepassate.
Come inoltre, Erodoto non poteva dire, neppure, che erano stati i Sami i primi ad averle oltrepassate perché per lui, una volta oltrepassatele, per giungere a Tartesso essi sono rientrati all’interno della terra abitata.
L’unica differenza tra queste due stirpi di greci, per quanto riguarda Tartesso, è che i Sami hanno raggiunto quello scalo commerciale, oltre che attraversando lo stretto di Gibilterra, passando, anche, dalla Libia all’Europa, mentre i focesi hanno scoperto quello scalo commerciale costeggiando e solo, l’Europa (Tirrenia - Iberia - Tartesso) e questo potrebbe spiegare il perché i focesi non abbiano detto, neppure, di aver oltrepassato uno stretto.
Dunque, le colonne d’Ercole nasceranno dopo la fondazione di Cirene (avvenuta, all’incirca, nel 630 a.C.) ma, solamente dopo che Cartagine, allarmata per l’espansione greca nel Mediterraneo occidentale, bloccherà ai greci la possibilità di raggiungere Tartesso, quindi di oltrepassare, di fatto, lo stretto di Gibilterra, bloccandogliela, in Europa, dalla Spagna (controllandone la parte meridionale), e in Libia, dalle Sirti (da Leptis Magna, situata a meno di 100 km dalla Grande Sirte, potevano bloccare un’eventuale avanzata greca da Cirene).
E così si capisce, anche, per quale motivo Omero (VIII a.C.) ed Esiodo (tra l’VIII e il VII a.C.) nei loro poemi non parlano mai di colonne d’Ercole.
Domai la 3° e ultima parte
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