Nuragici
di Maurizio Feo
Noi li chiamiamo così.
A lato: Carta Fisica della Sardegna
Loro sicuramente chiamavano se stessi in modo diverso, con un nome a noi ignoto. Forse, come diversissimi gruppi umani hanno fatto in passato (mostrando una ripetitiva e comune propensione all’autocelebrazione), usavano un’espressione come “uomini liberi”, oppure “uomini eletti”. In uno studio genetico del 1998, Cavalli Sforza descrive un albero filogenetico in cui la Sardegna si separa dalle altre popolazioni già alla seconda divisione. Dopo avere eliminato molte popolazioni poco studiate, l’analisi dell’albero filogenetico è stata condotta su 26 popolazioni, con un 26,4 % di dati mancanti ed un numero medio di geni pari ad 88. Questo implica già le grandi differenze che descriveremo meglio.
La data di separazione sembra essere 16.000 anni fa (e non è in disaccordo sostanziale con quella archeologica al radiocarbonio, riportata più sotto: 9.500 anni fa). Si tratta di un’isola, la Sardegna, di circa 23.800 km2, che dista circa 200 km sia dalle coste italiane che da quelle africane. È molto vicina alla Corsica, ma le due popolazioni isolane sono diverse dal punto di vista etnico e dal punto di vista delle vicende storiche in cui si sono formate.
Ma proprio la posizione geografica della Corsica può avere avuto un ruolo importante nel primo popolamento della Sardegna, in quanto, grazie alla posizione dell’arcipelago toscano, dalla penisola si può anche tuttora “navigare a vista”.
Chi furono i primi abitanti della Sardegna? Non furono quelli che chiamiamo “Nuragici”.
Probabilmente i primi abitanti furono uomini pre-neolitici. Questo già costituisce un’eccezione, nel Mediterraneo, nel quale l’occupazione permanente di isole – seppure possibile, per quanto attiene alle capacità marinare – non fu diffusamente praticata per via delle scarse attrattività e possibilità di sussistenza offerte, salvo che per Sardegna, Corsica, Cipro e, forse, Maiorca. Parliamo di un periodo nel quale si valuta il numero globale degli abitanti di tutta l’Europa (allo stato di cacciatori raccoglitori) essere compreso tra i valori di 200.000 e 700.000 unità, prevalentemente raccolti nelle zone meridionali, essendo le settentrionali ancora piuttosto fredde. Si calcola che la transizione Neolitica attraverso l’Europa sia durata circa 4000 anni (con termine presunto attorno al 4.500 a.C.). La diffusione degli agricoltori fu molto lenta, eppure non uniforme; certamente favorì un incremento della popolazione, anche se non precisamente quantizzabile. Pur trattandosi di studi che vanno presi con beneficio d’inventario (in fin dei conti sono ipotesi ricostruttive), le cifre globali fornite sono sorprendentemente basse, per la popolazione Europea: poco più di 2 milioni d’individui nel 3.000 a.C.; circa 5 milioni nel 2.000 a.C.; circa 10 milioni nel 1.000, con un incremento che parla di attività agricola sempre crescente.
Si deve ammettere che le stime sulle comunità di cacciatori sono più difficili da effettuare, per via dell’estrema scarsità di resti archeologici: il cacciatore è nomade, si sposta spesso e non costruisce ripari cospicui né duraturi. Talvolta, anzi, costruisce abitazioni temporanee multiple per le diverse stagioni dell’anno. Questo fatto è fuorviante e può condurre a soprastime, se i siti non sono stati studiati a sufficienza e correttamente interpretati. Malgrado ciò, rifacendosi agli avanzi di cacciagione rinvenuti, si è risaliti ad una densità di popolazione globale Inglese di circa 0,02 – 0,07 abitanti per kmq nel Paleolitico superiore.
Nella zona centro-settentrionale dell’isola sarda i più antichi insediamenti umani risalgono a circa 10.000 anni fa (precisamente: 9.120 ± 380). Questa, si noti, è la datazione più antica di popolamento accertato, in un’isola mediterranea. Si trascurano volutamente qui i ritrovamenti precedenti ancora controversi, oppure non riguardanti con certezza la presenza di H. Sapiens Sapiens (Sondaar 1995 e 1998; Arca 1982; Bonifay 1994; Martini 1992; Hofmeijer e Sondaar 1992 e 1993).
A lato: Altimetria della Sardegna
Non è certamente opportuno qui discutere in dettaglio i monumenti più caratteristici e numerosi dell’isola: i Nuraghi, che mostrano alcuni richiami architettonici con strutture analoghe rinvenute in altre isole del mediterraneo o zone costiere di esso, e anche fuori di esso: i Broch scozzesi (Torri dell’Età del Ferro) ad esempio, per i quali esiste la stessa diatriba circa la funzione d’uso, la tecnica di costruzione, etc. La più antica torre mai costruita appartenne probabilmente alle mura di Gerico (8.000 a.C.). La somiglianza tra le varie torri è un semplice fenomeno di convergenza (per esempio: due orecchie ed un naso determinano sempre occhiali con due lenti, che si appoggiano su naso ed orecchie, anche tra popolazioni che non si sono culturalmente influenzate). Si ritiene oggi che i nuraghi siano stati edificati non prima del 1600 a.C., ma la questione è ancora aperta: è stato recentemente proposto di spostare tale data al 1.800 a.C. secondo i ritrovamenti di Santadi (G. Tanda). La costruzione dei nuraghe si protrae per un periodo che alcuni portano fino all’Età del Ferro, mentre altri lo vorrebbero fare proseguire più oltre. Anche sul numero totale dei nuraghi esiste qualche divergenza: si suppone che essi fossero 6.000 – 7.000, distribuiti inegualmente su tutta la vasta superficie isolana, seppure con densità variabili. Se si sovrappongono le cartine mostranti la bontà del suolo e la densità attuale dei nuraghi, si può facilmente osservare come esista una significativa corrispondenza tra la massima concentrazione e la migliore qualità del suolo: la Sardegna vi appare grossolanamente distinta in due zone: una occidentale globalmente più ricca e l’altra orientale, generalmente più povera. Come regola generale, tale osservazione – se da una parte non esclude affatto l’edificazione di nuraghi in terreni poco fertili – spinge a credere che non sia giusto ipotizzare un’alta concentrazione di nuraghi in quelle zone che, probabilmente, non la ebbero mai. Questa è obiezione sufficiente a certi numeri in eccesso.
Sembra credibile che da ciascun nuraghe se ne potesse vedere ad occhio nudo almeno un altro, per cui non è affatto improbabile che una delle diverse funzioni del nuraghe fosse la comunicazione rapida attraverso il territorio con fumo, fuoco (utile di notte), oppure segnali con panni (colorati e no) o riflessione dei raggi solari su superfici lisce riflettenti, ad esempio di bronzo. La questione della funzione del nuraghe resta aperta comunque, come anche molte altre. Circa il numero totale della popolazione “Nuragica” molti saggi sono stati tentati e diverse sono le opinioni.
A lato: Carta delle classi agricole di suolo sardo (il terreno di I qualità è estremamente scarso e sito presso i corsi d'acqua)
I villaggi.
Sappiamo che esistono alcuni villaggi realmente Nuragici ed altri che – pur trovandosi intorno o presso i nuraghi – sono, senz’altro, posteriori ai nuraghi stessi e non devono quindi essere inclusi nel computo. Il numero d’abitanti ipotizzato per ciascun villaggio varia da 50 a 300 persone. Se dovessimo ipotizzare che tutti i Nuraghi conosciuti facessero capo ad un villaggio e che tutti i nuraghi ed i villaggi fossero stati contemporanei, otterremo un’ipotetica popolazione totale variabile da 300.000 a 1.200.000 unità, il che è sicuramente irrealistico ed eccessivo per l’epoca e per la sede, anche a confronto con quanto detto per le restanti zone dell’Europa studiate.
Ora, noi sappiamo con certezza che alcuni nuraghi non avevano un proprio villaggio satellite, essendo essi stessi edificati forse per assolvere alcune particolari funzioni specifiche di controllo del territorio e di comunicazione con la sede più importante e “centrale”. Quest’ultima – invece sì – facente capo ad un villaggio.
Una situazione del genere si riscontra (ad esempio) nel territorio di Orosei ed è relativa al grande nuraghe “centrale” più importante (Nuraghe Sa Linnarta - Osana), sito su un altopiano lavico declinante verso il mare con ampia vista sulla costa e non lontano dal passo (Iann ‘e Pruna) che conduce verso la valle del rio Berchida e poi Capo Comino e Siniscola. La zona è costituita da altopiani argillosi (detti “Golleis”), poco permeabili e – seppure non certo infertili – più adatti al pascolo che alle colture; essi tendono a trasformarsi in acquitrini in seguito a pioggia abbondante.
Dal sito del Linnarta si possono facilmente vedere ad occhio nudo gli altri nuraghi minori della zona, in particolare il Rampinu, sul bordo dell’altopiano, poco più a sud, il Panata,(sulle pendici impervie di pietra bianca del Monte Tuttavista, ma già al di là del fiume Cedrino (anche un occhio inesperto non può fare a meno di notare l’estrema feracità dell’altopiano lavico da una parte, contrapposto alla scarsa e più lenta accoglienza che il Monte Tuttavista offre alla colonizzazione vegetale. Sicuramente osservazioni del genere erano molto più facili per coloro la cui vita dipendeva da esse), e almeno la zona in cui si trovano il nuraghe Gulunie, detto anche Osala, perché sito sulla scogliera a picco sull’omonima spiaggia. Dal Linnarta si gode ottima visibilità che si estende anche sulla costa settentrionale, Marina Grande, Foce del Cedrino, Santa Maria, Fuile ‘e Mare, ed il territorio interno retrostante. Non bisogna dimenticare il nuraghe ‘e Portu, anch’esso prospiciente il mare. In questo caso quindi, avremmo (anche ammettendo che detti cinque nuraghi – molto differenti tra loro per tipologie e per dimensioni – siano stati coevi ed usati contemporaneamente) un solo villaggio (di circa 200, forse anche 300 persone), a fronte di cinque nuraghi.
Pertanto, già sappiamo di dovere ridurre di molto le nostre precedenti stime ipotetiche.
Se poi consideriamo che tutti i nuraghi in genere, oltre a non essere coevi, non sono stati tutti in funzione contemporaneamente (e molto probabilmente possedevano scopi e funzioni differenti, come morfologia, dimensioni e localizzazioni lasciano facilmente ipotizzare, seppure non in modo conclusivo), possiamo legittimamente abbattere ulteriormente le cifre, fino ad un più realistico totale di 50.000 – 200.000 persone, includenti uomini, donne, vecchi e bambini…
Ma esistono i già citati studi che si basano sulla presunta densità di popolazione di popolazioni di cacciatori-raccoglitori e dell’incremento dovuto all’inizio dell’allevamento e della coltivazione, che parlano di una densità stimata variabile da 1 a 5 abitanti per kmq. Per quanto concerne la Germania, ad esempio, la media riscontrata è di solo 2 abitanti per km2, in zone definite come molto adatte all’agricoltura. (Aldenhoven Platte, periodo della Cultura della ceramica lineare, Bandkeramik). Applicando questa media eccezionalmente alta a tutta l’estensione dell’Europa si ottengono numeri che sono evidentemente errati e smentiti dagli scavi, perché il resto dell’Europa non presentava affatto condizioni altrettanto favorevoli all’agricoltura ed all’allevamento.
Anche la Sardegna, per le sue scarse precipitazioni, per il forte stress termico-idrico estivo e per le sue caratteristiche orografiche, va esclusa dalle zone considerate favorevoli ad un raggiungimento di densità così elevate in quell’epoca.
Alcune obiezioni possono essere legittimamente mosse a quest’ultima affermazione: sembra accertato che in passato le precipitazioni sull’isola fossero più abbondanti e meglio distribuite nel tempo di quanto non siano oggi, realizzandosi così un clima più umido. Questo può senz’altro essere vero, anche grazie alla presenza di foreste molto più estese. Si sa che le grosse concentrazioni di piante arboree contribuiscono molto al clima ed alle precipitazioni, producendo da sé nuvole sopra se stesse, di cui si servono per la propria esistenza e sopravvivenza. Ma va da sé che – una volta ridotte le grandi distese di piante arboree – la questione sicuramente è destinata a cambiare. Il ritrovamento di grandi asce di pietra in siti Corsi e Sardi del Neolitico Medio (Bonu Ighinu) suggeriscono il progressivo abbattimento di foreste e strumenti per la macina indicano l’agricoltura cerealicola come l’obiettivo finale dell’opera.
A lato: Carta della distribuzione dei ritrovamenti del Neolitico di S.Stefano, Circoli di Arzachena e S. Michele
Resta comunque il fatto che le caratteristiche di bontà del suolo e l’orografia generale non facilitano la coltivazione e non permettono colture come quelle della Mitteleuropa. Malgrado ciò, i ritrovamenti di resti di maiale, di pecora e capra, oltre che prolagus, testimoniano la presenza crescente di pastori ed allevatori, tra i cacciatori.
Quindi i Sardi erano pochissimi, tanto da ricorrere forzatamente all'inbreeding, con conseguente elevato grado di consanguineità. Erano isolati. erano pastori ed allevatori. Erano (ed in parte sono ancora) discendenti diretti di alcuni progenitori del Paleolitico. L'apporto genetico dei nuovi arrivi (archeologicamente dimostrai come stranieri, perché non c'è traccia di navigazione sarda prima del 1200 a.C.) è inconsistente e non significativo.
Il Bronzo.
Nel periodo del Bronzo iniziale, la popolazione umana non era molto numerosa in Europa.
In Inghilterra si ipotizzano 0,5 abitanti/Kmq, equivalenti a 20,000 -100.000 (Brothwell 1972, 79); in Polonia e Germania, circa 0,86 ab/Kmq, il che per la Pomerania equivarrebbe a 30.000 (Ostoja-Zagòrski, 1982), e per la zona del Lausitz (79.443 Km2) a 97.000-195.000 (Buck, 1997).
La zona nord Italiana delle Terramare conterebbe da 18.000 (Bronzo Medio 2) a 29.000 (BM 3), fino a 31.000 nel Bronzo Tardo.
A lato: Carta della distribuzione della facies Bonnannaro
In genere si concede che la densità sia andata aumentando rapidamente tra il Bronzo Antico ed il Bronzo finale. In certe regioni (Slovacchia), nella parte iniziale del Bronzo Finale si sarebbe passati da una densità di 0,43 a 1,16 /Kmq(18) .
Anche utilizzando medie di 2 ab/Kmq (sicuramente errate per eccesso, se applicate alla Sardegna, secondo quanto detto sopra, circa la qualità del terreno agricolo e le sue possibilità di produzione a fronte delle tecniche agricole di allora) si otterrebbe, per la Sardegna “nuragica” una cifra totale di soli 48.000 abitanti, che – pur essendo solamente indicativo – appare comunque molto più realistico di altri numeri proposti in precedenza altrove.
Questo numero, per quanto ridotto, rappresenterebbe egualmente un notevole incremento rispetto alla popolazione sarda precedente: infatti, si calcola in 700 - 1800 individui il numero complessivo d’esseri umani precedentemente presenti in Sardegna, nel periodo del tardo Paleolitico. Numeri che rispondono alla definizione di “collo di bottiglia” e per i quali l’estinzione è una possibilità reale.
L’incremento sarebbe dovuto al successo economico, sociale, alimentare, sanitario ed in ultima analisi demografico globale dei “Nuragici”. Il rilevante miglioramento da essi ottenuto nelle loro condizioni di vita ha definitivamente scongiurato l’estinzione della popolazione.
Già nel Tardo Neolitico (S. Michele di Ozieri) le tracce archeobotaniche seppure scarse, vedono densità e localizzazione degli insediamenti deporre a favore della soluzione agricola: molti villaggi, con capanne di rami intrecciati, argilla, peli d’animale, sterco e fango (“wattle and daub”, una tecnica ancora in uso ai tempi di Sheakspeare); pestelli, mortai e macinelli, vasi e vari recipienti per conservare derrate, e falci confermano la tesi. È questo il periodo in cui si ritiene inizi a formarsi una gerarchia sociale, differenziandosi così la popolazione da quella non stratificata ed ugualitaria del Neolitico Antico e Medio.
Si tratta, però, come si vede, di numeri oggettivamente esigui, per un territorio così vasto. Ecco, allora, che controllo visivo del territorio non può in alcun modo significare, in queste condizioni, anche controllo militare in senso stretto. Stiamo senz’altro parlando – ricordiamolo – d’epoche in cui i grandi numeri non erano mai grandi nel senso attuale del termine.
A lato: Carta della distribuzione della facies Monte Claro
Alcuni esempi di “grandi numeri” (prima creduti tali, oggi dimostrati) errati.
1) Contrariamente a quanto riferito da Erodoto nel II libro delle Storie e dalla Bibbia le grandi piramidi di Giza non furono costruite da schiavi ma da uomini liberi. La sorprendente scoperta è dovuta all’individuazione di un’altra necropoli nelle immediate vicinanze delle tombe dei faraoni destinata ad ospitare coloro che avevano lavorato all'edificazione delle piramidi. Il fatto che “queste tombe siano costruite accanto alle piramidi dei re (tra quella di Cheope e quella di Chefren) indica che queste persone non potevano essere in alcun modo degli schiavi”, ha spiegato Zahi Hawass, il sovrintendente capo delle Antichità egiziane. Le prime sepolture d’operai vennero scoperte negli anni ‘90. Nel sito portato alla luce ora sono state ritrovate delle iscrizioni in cui gli operai si definiscono “amici di Cheope”, un ulteriore elemento per Hawass per avvalorare l'ipotesi che non si trattasse di schiavi. L’altra grande novità è che gli operai erano 10.000, un decimo di quelli indicati da Erodoto. Alla stima si è giunti grazie al ritrovamento del resoconto della fornitura giornaliera di cibo per i lavoratori: i contadini del delta del Nilo, in cambio dell'esenzione dalle tasse, inviavano ogni giorno 21 bufali e 23 pecore al campo.
2) Si deve considerare che nel 2300 a.C. l’esercito del temutissimo Sargon d’Akkad rappresentava per dimensioni il massimo sforzo possibile ad una nazione, tanto da potere essere utilizzato solo per brevi periodi all’anno. Disattendere i confini nazionali rappresentava un rischio molto minore e certo di quanto non fossero invece l’abbandono del lavoro dei campi, l’allevamento e l’interruzione degli altri mestieri artigianali. Contava solo 5.400 uomini! E rimase comunque un’eccezione mostruosa, in un mondo in cui la regola era e restò fatta di eserciti molto, molto più piccoli, ancora per lunghi secoli… Fino all’età del Ferro ed alle armate di 100.000 uomini dei Faraoni.
3) C’erano davvero 1184 navi greche dinnanzi a Troia, come sostiene Omero? Oppure 102.000 uomini a bordo, come asserisce Tucidide circa 400 anni dopo?
E’ improbabile. Gli Ittiti avevano 47.500 uomini alla battaglia di Qadesh nel 1274 a.C. (si tratta di uno dei più grandi eserciti menzionati nell’Età del Bronzo dai testi storici). Per le forze navali, si dice che Ugarit avesse molte più di 150 navi nel 1187. Conseguentemente, la flotta greca in Aulide poteva anche contare alcune centinaia di navi, ma non 100.000 uomini. Una stima più realistica valuta tale numero attorno a 15.000. Un numero per cui circa 300 navi sono sufficienti.
Comparativamente, quindi, i riferiti numeri ridotti della popolazione globale sull’isola sarda, non devono stupire più di tanto: pur costituendo un’ipotesi, essi sono giustificati da assunti ragionevoli. E – cosa importante – non escludono affatto quello che da più parti si desidera affermare: la navigazione, i commerci, le capacità belliche ed altro ancora: riportano solamente i numeri a valori più credibili per l’epoca.
A lato: Carta della distribuzione dei nuraghe
Questo potrebbe anche spiegare perché – anche a fronte di prove archeologiche (si tratta della presenza accertata, su coste spagnole ad esempio, di ceramica “nuragica” d’uso quotidiano e senza valore, quindi non oggetto di scambio commerciale ma realizzata con impasto di terre locali.
Un altro motivo logico per credere ad una navigazione “nuragica” risiede nel fatto che la distribuzione geografica stessa del Megalitismo ne dimostra la chiara vocazione marinara) dell’esistenza di una navigazione “Nuragica” – i Fenici siano egualmente riusciti, nell’800 – 900 a.C. circa a colonizzare le coste della Sardegna, stabilendo fondaci per la propria più efficiente navigazione commerciale, probabilmente un’iniziativa internazionale, aperta al reclutamento multietnico degli equipaggi. Ciò non è naturalmente in alcuna contraddizione con la grande vetustà della navigazione nel Mediterraneo Occidentale ed anche in Sardegna, che risale ancora a prima del commercio dell’ossidiana sarda. Naturalmente, la cosa sembra del tutto impossibile a chi ipotizzi numeri molto più grandi di guerrieri nuragici armati fino ai denti e detentori di una flotta estremamente aggressiva e padrona del Mediterraneo.
A lato: Carta della distribuzione pozzi sacri.
Costoro ricorrono agli espedienti più vari: c’è chi scotomizza del tutto il problema, negando l’esistenza dei Fenici, e chi li sostituisce con gli indomiti e numerosissimi Shardana, talvolta identificati con i Nuragici, talaltra no; talvolta provenienti da Est, talvolta “nati” in Sardegna e poi destinati a viaggiare avanti ed indietro per il Mediterraneo.
Fonte: Sardegna Antica
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