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venerdì 15 aprile 2011
L’Alba della scrittura in Sardegna
E' stata inaugurata oggi a Cagliari, nelle sale del Museo Archeologico, la mostra sulla scrittura "Parole di Segni", presentata dal soprintendente Marco Minoja e dagli archeologi Simonetta Angiolillo e Paolo Bernardini. Vi propongo l'intervento di Bernardini e qualche immagine catturata durante la conferenza. Tutte le immagini della mostra, che sarà visitabile fino a Settembre, saranno pubblicate fra qualche giorno, accompagnate da un articolo nel quale sarà presentata la mostra direttamente dai curatori della stessa.
L’Alba della scrittura in Sardegna
di Paolo Bernardini
Iniziamo con due citazioni, una antica e una moderna. La prima è tratta dalla “Storia Naturale” di Plinio che afferma: “Nulla dies sine linea”, un’espressione che possiamo interpretare come l’entusiasmo intellettuale dello studioso, il quale dichiara che non passerà giorno senza mettere per iscritto i suoi pensieri. Ma possiamo anche estendere questa riflessione all’intero mondo, che è ormai ben conscio che tutte le sue antichità intellettuali e pratiche non possono essere svolte con soddisfazione se non con l’ausilio della scrittura. La seconda citazione, molto più recente, si deve alla firma di una personalità dell’archeologia egea, Louis Godard che si esprime in questi termini: la scrittura nasce come “strumento atto a favorire lo sfruttamento degli uomini piuttosto che la loro crescita conoscitiva”. È una riflessione che può sembrare a prima vista molto cinica, ma che si lega a ciò che l’archeologia ci fa conoscere sulle origini e sulla funzione della scrittura: uno strumento concepito nel momento in cui le civiltà urbane si affacciano sullo scenario del Vicino Oriente antico. Parliamo delle culture di Uruk del 3500-3000 a.C. Godard ci indica come la funzione primaria dello strumento scrittorio sia quella di controllare, di esercitare un ordinamento e una razionalità al movimento dei mezzi e delle risorse, o alla distribuzione dei mezzi di produzione. La scrittura nasce come supporto ineluttabile nel divenire di una gerarchia piramidale di tipo socio economico. Si sviluppa quando nasce la città, e diventa lo strumento di controllo delle elìte, in mano a chi detiene il potere, gli operai specializzati legati a questo nuovo strumento. La scrittura conoscerà un’ampia diffusione laddove, nel proseguio dei secoli, si crea l’esigenza dell’organizzazione di tipo templare e palatino, quei due strumenti fondamentali di formazione urbana che sono sempre presenti in quei luoghi dove si trovano le grandi organizzazioni.
Un’altra citazione riguarda Cadmo, fenicio, che mentre dorme sulla riva di una delle tante spiagge che ha incrociato nella sua irresistibile ricerca di Europa, la sorella rapita da Zeus. Si tratta di un viaggio inarrestabile che riporterà in senso storico l’incontro progressivo fra Oriente e Occidente. Mentre Cadmo di Tiro dorme sulla spiaggia, gli dei fanno piovere sulla sua testa una pioggia che non è fatta ne di acqua ne di neve, ma di strani piccoli oggetti che sono lettere. Dal cileo, gli dei danno a Cadmo, affinché le restituisca agli uomini, le tavole dell’alfabeto. Nel Mediterraneo, fra la fine del IX e l’inizio dell’VIII a.C. sono i seguaci di Cadmo, quei Phoenices che insieme al gruppo più intraprendente di greci che esistono in quel periodo, quelli dell’isola di Eubea, a seminare, far germogliare e trasportare le lettere cadmee in tutto lo scenario del mediterraneo occidentale. È una semina straordinaria quella cadmea, e molti distretti dell’Occidente hanno buoni raccolti di lettere, di alfabeti, di parole scritte. Una di queste semine, inizia a far scoprire anche nella nostra isola la scrittura. È ancora prematuro parlare di diffusione della scrittura nella Sardegna, ed è da escludere che se ne possa parlare in termini di sistema, ma ci sono degli indizi da cogliere sulle ceramiche e sui bronzi, con alcuni tentativi di composizione di lettere che, come succede altrove nel Mediterraneo, sono lettere che si richiamano da un lato alle forme dei phoenician grammar e dall’altro alle forme euboiche dei primi alfabeti. Al momento vi sono pochi studi seri sull’argomento, e questi sono oppressi, schiacciati, quasi delegittimati da una mole immensa di pagine, di farneticazioni, di cialtronerie che ci parlano di proto-ugaritico, di proto-sinaitico, di proto-altro, e che gonfiano volumi di spazzatura che sono entusiasticamente editati da editori interessati solo a produrre reddito facile. Fortunatamente la ricerca archeologica va avanti e l’accordo fra le culture nuragiche e i grammata di Cadmeo iniziano pian piano ad attecchire. Nella mostra oggi inaugurata al Museo Archeologico di Cagliari, che proseguirà fino a Settembre, sono visibili molti pezzi che presentano segni di scrittura, e i creatori di questa mostra hanno giustamente pensato di presentare questi documenti attraverso una serie di fonti, opzioni, incontri, innesti, messaggi…quindi un corpus che offre la magia degli oggetti parlanti.
Il valore taumaturgico della lettera scritta è stato fondamentale a lungo in un mondo come quello antico che non riesce quasi mai a distinguere tra il livello religioso, quello economico e quello politico, ma considera questi vari aspetti come avvolti in un’unica realtà, un mondo che gli antichi greci definirebbero con la formula: “la natura è piena di dei”. In questo senso la parola scritta diventa un mezzo di potere, di comunicazione, ma anche un mezzo per avvicinarsi al mondo degli dei e, in qualche modo, condizionarli. Nel mondo antico, la parola scritta non è mai stata uno strumento universalmente diffuso. Al contrario, è stato in mano a gruppi privilegiati all’interno della società, eppure pian piano la parola scritta ha consentito, nonostante le premesse ciniche di Godard, di far crescere e sviluppare le conoscenze dell’uomo. Non possiamo dimenticare che proprio in quei lontani tempi di Uruk la parola scritta nasce come strumento di controllo e di soggezione dell’uomo ma, nello stesso tempo, nascono i primi poemi, i primi voli fantastici dell’uomo che possono già definirsi poetici. Basta leggere le tavolette sumere sul mito di Gilgamesh per rendersi conto di questo splendido episodio dell’avventura umana. La scrittura esposta al Museo Archeologico di Cagliari non piove dal cielo come le lettere cadmee, ma compie il percorso inverso, ossia sale dal basso, dai depositi del museo, a comporre un quadro affascinante per il quale non possiamo far altro che ringraziare tutti gli operatori e gli addetti della soprintendenza che con il consueto entusiasmo hanno lavorato per la cultura della collettività.
Foto di Sara Montalbano.
Ti ringrazio Pierluigi di aver postato questo account, molto utile. Lasciamo stare il lungo paragrafo sul mito di Cadmo (ma non era un convegno superscientifico?). Diodorus Siculus riporta la questione in modo molto più sintetico, ma los tesso dovrebbe far sorgere qualche dubbio: "There are some who attribute the invention of letters to the Syrians, from whom the Phoenicians learned them and communicated them to the Greeks when they came with Cadmus into Europe; hence the Greeks called them Phoenician letters. To these that hold this opinion, it is answered that the Phoenicians were not the first that found out letters, but only changed the form and shape of them into other characters, which many afterwards using the name of Phoenicians grew to be common".
RispondiEliminaQuesto simaptico paragrafino: "Al momento vi sono pochi studi seri sull’argomento, e questi sono oppressi, schiacciati, quasi delegittimati da una mole immensa di pagine, di farneticazioni, di cialtronerie che ci parlano di proto-ugaritico, di proto-sinaitico, di proto-altro" spero non sarà senza conseguenze. Parlando di farneticazioni comunque, il proto-ugaritico non esiste e nessuno lo ha mai nominato (questa è bella davvero).
Per finire la teoria "scrittura solo in città" è talmente muffosa che manco la naftalina la dirada più.
Un grande epigrafista di Accadico, Renè Labat, (quindi uno che con la scrittura "cittadina" è famigliare da decenni) ha scritto di recente: "Inventare il tempo ed inventare la scrittura sono un pò la stessa cosa".
Ma tutte queste sono chiacchiere (anche queslle che ho fatto io ora a commento): sono i documenti che parlano seriamente.
L'unica cosa degna di nota dello sconclusionato bla bla di questo Bernardini, a me pare il livore con cui parla di ciò che mostra di non conoscere (proto-ugaritiico? ollallà) per avanzare le uniche tesi che immagina di conoscere e che gli assicurano il tozzo di pane. Nella sua fortezza nel bel mezzo del deserto dei Tartari si passa la vita così, raccontandosi a vicenda consolatorie storielle e maledicendo il tempo, le donne e i motori.
RispondiEliminaRicordi il Libro della Giungla? Le scimmie si raccontano come siano le più intelligenti e ne hanno la certezza perché - dicono - ce lo ripetiamo da secoli.