Storia dei popoli: seminiamo il seme della cultura nei nostri figli perché il futuro è ancora da costruire.
venerdì 4 marzo 2011
Il Santuario di Delfi - 3° e ultima parte
Il tesoro di Delfi, conclusioni
di Giuseppe Sgubbio
A questo punto, occorre chiederci se il tesoro a Delfi lo hanno eretto i Greci o gli Etruschi. Prima di cercare di dare una possibile risposta, occorre mettere in risalto due aspetti di una certa importanza:
1) a quanto pare in tutti i santuari Greci vigeva un regolamento che impediva alle città non Greche di erigere un tesoro nell’interno del recinto sacro. Spina e Cere, che non sono mai state colonie, sono le due sole eccezioni.
2) nelle gare ufficiali, cioè Olimpiadi o Pitiche potevano partecipare solamente gli abitanti delle città Greche. Per Erodoto (V,22), nessun barbaro ha mai messo piede nelle arene in occasione, di tali gare. Commissioni opportunamente indette avevano l’incarico di controllare il rispetto di queste pratiche. Per essere più chiari: chiunque poteva fare doni; per esempio, i reggenti di Roma, al seguito della presa di Veio, vollero fare un dono al dio Apollo, ma dovettero metterlo, per testimonianza di Diodoro e di Appiano (Settis1968 pag 361), nel tesoro di Marsiglia. Non mancano anche presenze di atleti di città non greche, come per esempio quello ucciso dal Greco Telemacos, in una gara di lotta, ma come è noto, non si trattava di una gara ufficiale. Polibio mette giustamente in evidenza che quando i Romani, dopo aver conquistato la Grecia, parteciparono alle Olimpiadi, fu considerata una novità. Oltre a questi non secondari aspetti, se ne può riportare un altro non meno importante: i reperti trovati nel presumibile tesoro di Spina sono molto più antichi della Spina etrusca, o perlomeno all’epoca di tali reperti (VI a.C), la Spina Etrusca non poteva assolutamente aver già raggiunto uno sviluppo da permettersi tale erezione. La non possibilità di erigere tesori, se non essendo città greche, e reperti più antichi della Spina stessa, creano problemi non facilmente superabili agli studiosi moderni, che, come abbiamo detto, sono tutti concordi nel ritenere che il tesoro a Delfi, sia stato eretto dalla Spina Etrusca
Questi studiosi, nel corso delle loro ricerche riguardanti le vicende Spinetiche, si sono limitati a cercare la provenienza delle decime, che periodicamente si dovevano mandare a Delfi. Per qualcuno potevano essere proventi da attività commerciali, per altri proventi da atti di pirateria, per altri ancora proventi da pulizia dei mari, ma non hanno approfondito, come forse invece ce ne sarebbe stato tanto bisogno, il problema del chi avesse eretto il tesoro. Anni fà, alcuni scrittori, fra cui il Braccasi (1977 pag 151), avevano ventilato la proposta, che l’erezione del tesoro a Delfi, fosse opera della forte, ma sempre minoritaria, componente greca della Spina Etrusca, ebbene, ultimamente a questa ipotesi, non crede più nessuno. Quello che sorprende è che nessuno studioso ha messo in discussione la città offerente, per tutti e senza alcun dubbio, questa può essere solo la Spina Etrusca! Vediamo se ci sono delle ragioni che possono spiegare questo unanime convincimento: vado a tasto in quanto dai loro scritti non sono riuscito a capirlo: probabilmente una delle ragioni può essere questa: non si è mai creduto che la Spina Pelasga potesse avere raggiunto una tale floridezza che le permettesse di poter erigere un tesoro in quanto, fino al IV a.C, la frequentazione in Adriatico era solo di passaggio e perciò non vi sarebbero stati insediamenti stabili, né di Spina né di altre città. Se questa è una ragione significa che non si sono tenute nel debito conto le testimonianze antiche, che invece dicono ben altro. Per esempio: oltre a quelle che abbiamo già visto, occorre aggiungere quella di Diodoro Siculo (XIV,113,) dice questi che nella pianura Padana, vi erano 12 città fondate dai Pelasgi, preesistenti di ben 7 secoli alla dominazione Etrusca. Come è noto era usanza dei Pelasgi costruire delle dedecapoli, infatti così fecero anche nella Ionia, nel Peloponneso e nella Etruria storica. Perciò, che degli insediamenti stabili ve ne fossero già da molto tempo, lo si apprende anche dalle scoperte archeologiche. Oppure la ragione è un’altra: a Delfi sono state trovate delle iscrizioni Etrusche e dei reperti Etruschi che confermerebbero i buoni rapporti esistenti fra la Delfi greca e le Etrusche Spina e Cere, rapporti che avrebbero permesso l’erezione dei tesori.
Vediamo se veramente, alla luce di queste testimonianze archeologiche, i tesori di Spina e di Cere possono essere, senza qualche dubbio, addebitati agli Etruschi. Iniziamo con le iscrizioni; due sono quelle più volte ricordate dagli studiosi. Una è il famoso Cippo dei Tirreni, l’altra è la non meno nota dei Tessali di Farsala. Vediamo se queste possono testimoniare sicuri contatti fra Delfi e gli Etruschi. Il Briquel (1988 pag 150-161), incaricato nel corso di quella conferenza, di segnalare eventuali contatti fra Greci ed Etruschi, dopo aver passato in rassegna queste due iscrizioni, mette in evidenza che per la questione che si sta trattando, è difficile trarne elementi sicuri. Non diversamente si esprime al riguardo dei reperti archeologici trovati nel santuario di Delfi, dice infatti che attualmente è molto difficile utilizzare il dato fornito dall’indubbia presenza di oggetti Etruschi a Delfi in epoca alta e conseguentemente mette in discussione tali rapporti. Il Briquel dice reperti di epoca alta in quanto effettivamente si tratta di materiale cronologicamente anteriore a quello di cui parlano i testi letterari, infatti, dando uno sguardo all’elenco fattone dal Gras (op. c pag 667-668), si constata che come minimo risalgono al VII a.C. Giustamente dice il Herrmann (1983) che questi reperti dimostrano solamente contatti precoloniali con l’occidente, perciò in una epoca che non corrisponde all’esistenza della Spina e della Cere Etrusche. Il Magnani (1993 pag 80), in un articolo riguardante i contatti fra Delfi e gli Etruschi, porta anche come prova l’ambasciata che Tarquinio il Superbo avrebbe mandato a Delfi, ma per il Dumesil (1977 pag 384) sarebbe una leggenda.
Tutto questo ci dice che anche dalle testimonianze archeologiche e dalle iscrizioni, non è possibile attribuire agli Etruschi l’erezione dei due tesori. Occorre anche mettere in evidenza un particolare; per far sì che tali iscrizioni siano credibili occorrerebbe che i Tirreni ricordati corrispondano sempre e solo ad Etruschi italiani, ma, come è noto a tutti, nelle antiche testimonianze, il termine Tirreni, si riferiva a due popoli, uno in Italia e l’altro in Egeo. Non solo: nelle antiche testimonianze, Tirreni non sempre significava Etruschi, spesso significava invece Pelasgi. Vediamole: Ellanico di Mitilene (Dion Alic I,23) dice che i Pelasgi fondatori di Spina, iniziarono a chiamarsi Tirreni, solo dopo essere arrivati in Italia. Per Mirsilo di Lesbo (Dion Alic I,23) i Pelasgi iniziarono a chiamarsi Tirreni solo quando ritornarono in Grecia. Indipendentemente da chi ha ragione, la sostanza non cambia. L’equivalenza Pelasgi=Tirreni risulta pure testimoniata da altri scrittori antichi: Tucidide (IV,109), Anticlide apud Strabone (V,2), Sofocle apud Dion Alic (1,28), Callimaco (framm Ossirinico, ed altri. Interessante per le nostre zone è pure la testimonianza che al riguardo ha portato Diodoro Siculo (XIV 113); dice questi che gli Etruschi cacciati dai Galli dalla valle Padana, erano di fatto i discendenti dei Pelasgi a suo tempo arrivati dalla Tessaglia. Perciò, nonostante questi ultimi, come abbiamo visto, fossero dagli antichi nominati Etruschi, di fatto erano Pelasgi.
Che i Tirreni erano detti Pelasgi e viceversa, si deduce anche dalle testimonianze del più Tirrenico degli autori antichi, cioè Erodoto. Questi in verità ha sempre tenuto distinto i Pelasgi dai Tirreni, ma se analizziamo bene i suoi racconti, ci renderemo facilmente conto che sta parlando sempre dello stesso popolo. Infatti come dice Plutarco (Rom II,3 che) i Tirreni ricorda Erodoto sono di fatto i Pelasgi.
L’unico degli autori antichi, che tiene ben distinto i Tirreni dai Pelasgi, e non lascia intendere diversamente, è Dionisio di Alicarnasso, ma, come tutti gli studiosi sanno, questi, avendo bisogno di dimostrare la “Grecità” dei soli Romani, dovette smantellare la teoria Pelasgi=Tirreni e dire che gli Etruschi erano autòctoni. Al punto in cui siamo arrivati occorre onestamente prendere atto che ci troviamo in un impasse e che per uscirne occorre prendere in seria considerazione la possibilità che il tesoro degli Spineti a Delfi sia stato eretto dai suoi primitivi fondatori, cioè dai Pelasgi. Vediamo perciò se ci sono antiche testimonianze che ricordino rapporti fra Pelasgi e Delfi, e se vi siano stati avvenimenti che abbiano creato le premesse per l’erezione di un tesoro.
Alcune di queste testimonianze esistono. Passiamole in rassegna ed analizziamole.
Abbiamo già accennato alle testimonianze di Dionigi di Alicarnasso e di Ellanico di Mitilene, (I-I8 e I-28), ma è bene riportarne ancora una volta il contenuto: un popolo di Pelasgi partiti da Argo in Tessaglia, ma provenienti da Argo del Peloponneso, guidati da Nanas, seguendo i consigli dell’oracolo di Dodona, approdano alle foci del Po e risalgono un ramo detto Spinete. Una parte di loro fonda Spina, gli altri proseguendo arrivano a Cortona e più tardi occupano un territorio detto successivamente Tirrenia. Non è chiaro a quale epoca risalga questa migrazione Pelasga, ma considerato che per testimonianza di Tzetze (Licofrone Alex 1244), il Nanas sarebbe Ulisse, deve essere avvenuta nel periodo della guerra di Troia, perciò all’inizio del XII a.C. Un arrivo di Pelasgi nei pressi delle foci padane è pure testimoniato dallo Ps Aristotele (80).
Mirsilo di Lesbo, riportato da Dionisio di Alicarnasso(I-23) dice che questi Pelasgi, dopo aver vissuto in Italia un lungo periodo di prosperità, vengono fatti segno di sventure (nascite deformi, frequenti siccità ecc), decidono perciò di rivolgersi all’oracolo di Apollo, per chiedere la ragione di queste disavventure ed che fare per arrestarle. La risposta oracolare che ricevono è che non avendo mantenute le promesse a suo tempo fatte a Zeuz, ai Cabiri di Samotracia e ad Apollo, di dare la decima dei prodotti, sarebbero per questo stati puniti e che per porre termine a tali sventure occorreva dare ad Apollo le decime anche dei nati. Al seguito di questa sentenza e dei litigi che ne seguirono, molti di questi Pelasgi ritornarono in Grecia. Da questa testimonianza apprendiamo cose molto interessanti: questi Pelasgi prima di arrivare in Italia, si erano rivolti a Dodona, perciò a Zeus; ai Cabiri di Samotracia (dice Diodoro Siculo V,47) che in quell’isola tale culto fu portato da Dardano, mentre invece per Erodoto (II,51) sarebbe stato portato dagli stessi Pelasgi, e che per ben due volte si erano rivolti ad Apollo, che per il Gabba (1975 pag 40) era il Delfico. Questo perciò significa che questi Pelasgi sono portatori di questi culti in Italia. Licofrone (Alex 1240) è invece del parere che il culto dei Cabiri sia stato portato in Italia da Enea. Ma la testimonianza di Mirsilo è importante per un altro aspetto; il ritorno dei Pelasgi in Grecia, un ritorno ricordato anche da Pausania (I 38) e per ben due volte testimoniato da Strabone; partiti da Regisvilla ( V,2) e da Ravenna (V,214), un ritorno che può aver favorito o creato le premesse per l’erezione dei tesori.
Gli avvenimenti appena ricordati: Pelasgi =Tessali arrivati in Italia, Tessali che ritornano in Grecia, Pelasgi che si rivolgono all’oracolo Delfico, sono testimoniati anche da altri autori antichi; Erodoto(VI-139), Strabone (V-226) Licofrone, (Alex 1357) Ferecide (apud Dion Alic 1-13), Anticlide (apud StraboneV-2), PS Scimmo (vv 227), Apollonio Rodio (I-18), Diodoro Siculo (XIV- 113), e l’elenco sarebbe lunghissimo.
In queste ultime testimonianze, a volte si parla di Pelasgi, altre volte si parla di Tessali, si può pensare che contengono delle contraddizioni e che si annullano a vicenda. Non è così, seppur con parole diverse, dicono tutte le stesse cose. Per esempio; Strabone, identifica i Pelasgi con i Tessali, infatti dice Ravenna fondazione Tessala (StraboneV,214). Altrettanto dice Zosimo (V, 27). Alla luce di queste testimonianze, non si può affatto escludere che il tesoro degli Spineti sia stato eretto dai Pelasgi (i vari ritorni hanno creato le premesse per farlo), e che successivamente questo tesoro sia stato gestito dalla numerosa componente Greca della Spina Etrusca.
I rapporti fra Pelasgi Italiani e Delfi, o rapporti fra popolazioni Italiane e detto santuario in epoca precoloniale, sono confermati come già detto dalla archeologia ( i reperti Villanoviani del Hermann 1983). Di questi rapporti precoloniali ne è convinto pure il Cassola (1975 pag 95).
Occorre precisare che molti studiosi moderni, nel tentativo di dimostrare l’erezione dei tesori da parte delle città Etrusche di Spina e Cere, affermano che ciò sarebbe stato possibile grazie alle loro tradizioni Pelasgiche. Il significato di questa frase non è chiara, significa forse che le città fondate dai Pelasgi, poi diventate Etrusche, potevano erigere tesori nei vari santuari Greci? Dovremmo allora chiederci la ragione per la quale fra le tante città che potevano vantare tale fondazione, solo Spina e Cere ne hanno approfittato! Oppure tradizione Pelagica significa altra cosa? Purtroppo questo concetto non è stato dagli studiosi ben chiarito.
Ulteriori collegamenti fra Delfi e il territorio spinetico.
Considerata la poca credibilità di una eventuale erezione del tesoro da parte della Spina Etrusca, (reperti più antichi della città, iscrizioni etrusche molto dubbie, regolamento che impediva l’erezione di tesori alle città non Greche ecc), e considerato che è difficile dimostrare una sicura erezione Pelasga, sarà bene passare in rassegna le testimonianze storiche antiche per vedere se tale erezione può essere opera di altre popolazioni. Tralascio di approfondire le vicende Adriatiche delle popolazioni che risultano operanti nel corso della cosiddetta età del mezzo (VII-X a.C), cioè Egineti, Corinzi, Focei, Rodii, Sami, Cnidi, ecc, anche se non si può escludere un loro apporto a detta erezione. Intendo invece passare in rassegna i numerosi indizi di frequentazione di popoli che avrebbero operato nelle zone Spinetiche a cavallo della guerra di Troia. Mi rendo perfettamente conto che queste testimonianze, più che storiche sono mitologiche e che perciò è estremamente difficile distinguere ciò che può essere veramente accaduto, da ciò che è un avvenimento leggendario, ma essendo anche vero che i problemi che stiamo affrontando sono ben lontani dall’ essere risolti, si rende necessario indagare su tutti i fronti, con la speranza di trovare qualcosa che possa fare un po’ di luce in un buio quasi totale. Molti sono gli indizi di frequentazione che possono dimostrare probabili collegamenti fra Delfi e Spina. Abbiamo già messo in evidenza i Pelasgi Tessali Tirreni, a questi si può aggiungere gli Argonauti, gli Iperborei, i Siculi Liguri Lelegi, Dedalo ed Icaro, i Dioscuri, i Micenei e naturalmente i personaggi collegati alle vicende Omeriche cioè ;Circe, Ulisse, Enea, Antenore e Diomede.Tutti questi indizi saranno presi in considerazione, mentre invece per gli Omerici sarà fatto solo un breve accenno in quanto, le vicende di questi Eroi, in particolare di Odisseo e di Enea, sono già state oggetto di mie recenti ricerche.
Gli Iperborei
Abbiamo già detto che Apollo si assentava da Delfi per tre mesi all’anno e si trasferiva nel paese degli Iperborei, ove aveva un giardino (Delcourt1955).
Difficile dire dove esattamente si trovava questo popolo. Le località testimoniate dagli storici antichi sono molto indeterminate: per Damaste (Jacoby Fgr h I ) e per Pindaro (Pitiche X 29), si trovavano al di là dove soffia il vento di Borea, sempre Pindaro aggiunge che è difficile trovare la strada sia per terra che per mare per andare nelle terre degli Iperborei; per le Argonautiche Orfeiche (1080) questo popolo si trovava in un non precisato mare settentrionale; per la stragrande maggioranza dei Greci questo popolo si trovava ove spariva il sole, perciò a Nord Ovest.
Non si poteva comunque trovare molto a Nord, in quanto nelle sue terre veniva coltivato sia il grano che l’ulivo. Considerato che vi si recava Apollo nei mesi invernali, si potrebbe pensare che si trovava a sud della Grecia, ma c’è chi dice che questi andava dal suo popolo per portarvi l’estate. Non mancano testimonianze antiche che localizzano geograficamente questo popolo. Per Posidonio di Apamea, riportato da Apollonio Rodio (II,675), si trovava nelle Alpi; per Esiodo (framm 150) nei pressi del Po, altrettanto lascia intendere Apollodoro (II,5). Numerose sono le testimonianze antiche ove gli Iperborei risultano identificati con popoli storici; per Eraclide Pontico, (Plutarco vita di Cam 22) erano i Celti. Stefano bizantino dice che i Tarquinati erano Iperborei, per Servio (Aen IO) la città di Pisa sarebbe stata fondata da Piso re degli Iperborei, per Filostefano, riportato da Pindaro (Olimpiche 3,58), il popolo Iperboreo avrebbe preso tale nome da un Tessalo di nome Iperboreo. Dice il Capovilla (1968 pag 169) che per alcuni questo popolo era identificato con i Liguri. L’elenco potrebbe continuare, basti sapere che spesso questo popolo era identificato con popolazioni provenienti dalla Tessaglia e arrivate nelle nostre zone su consiglio di Apollo. Sia Erodoto (Iv 33), che Pausania (1,31), che Callimaco, (inno a Delo 275) riportano le tappe effettuate dai portatori dei doni Iperborei destinati al santuario Apollineo di Delo; doni in onore di Artemide, sorella di Apollo (Erodoto IV 34).
Il resoconto più interessante e dettagliato di tale tragitto è sicuramente quello di Erodoto, anche perché, dice egli stesso, che ha effettuato personali ricerche al riguardo di questo popolo in tutte le parti del mondo al suo tempo conosciuto.
Vediamo questo tragitto. Dopo aver visitato gli Sciti, questi portatori di doni facevano tappa in Adriatico. Per qualcuno si trattava nelle Elettridi, isole sacre ad Artemide che si trovavano alla foce del Po, per altri a Caput Adria (Briquel 1994 pag 189), poi proseguendo verso Sud, arrivavano presso i Dodonei (abitanti di Dodona) e, dopo aver attraversato il golfo Maliaco, arrivavano all’isola di Delo.
Alcuni degli studiosi moderni che si sono interessati di questo tragitto, si sono chiesti invano la ragione della tappa a Dodona, infatti significava un inutile ed inspiegabile allungamento del tragitto. Forse la risposta esiste: le Dodone erano due, una era in Epiro e una era in Tessaglia, la attuale Bibula (Capovilla 1958 pag 193) e, aggiunge il Capovilla (1960 pag 25), quest’ultima è di origine Lelegica, e, vedremo più avanti, di che popolazione si tratta. Perciò se la tappa Iperborea era effettuata nella Dodona Tessalica e non in quella Epirotica, le perplessità cadrebbero da sole, anzi tale tappa spiegherebbe meglio il tragitto testimoniato da Callimaco. Ma la Dodona Iperborea era Epirotica o Tessalica? Difficile dare una risposta sicura. Erodoto non lo precisa, ma ci fa conoscere un particolare importante, infatti dice che il primo popolo Greco che i doni toccano dopo la tappa Adriatica, sono i Dodonei; ebbene come è noto l’Epiro non era considerata Grecia (Sordi 1996 pag 107), mentre invece lo era a tutti gli effetti la Tessaglia, perciò vi sono buone ragioni per ritenere Tessalica la Dodona da lui ricordata. Di questo parere è anche la Scuccimarra (1990 pag 81). L’esistenza di una Dodona Tessalica è documentata nell’Odissea XIV 327 e ricordata pure da Apollodoro (244). Epirotica era molto probabilmente quella al cui oracolo si rivolsero i Pelasgi fondatori di Spina, anche se pure in questo caso vi possono essere dei seri dubbi. Che Dodona fosse il fulcro dell’espansione pelasga, non vi sono dubbi, lo dice Strabone (VII,7) ed Esiodo (apud Strabone VII327), ma da loro non viene specificato di quale Dodona si parli.
Ben difficilmente era Epirotica la Dodona, ove Atena aveva preso una trave di quercia, da lei poi messa nella nave Argo, cioè nella nave usata dagli Argonauti per andare alla conquista del Vello d’oro (Apollonio Rodio I,526). È opinione diffusa che questi, prima di andare nella Colchide, fossero passati da Dodona, ma da Erodoto (IV 179), si apprende invece che costeggiarono tutto il Peloponneso in quanto volevano andare a Delfi, dove infatti, come dice Apollonio Rodio (IV 529), arrivarono e ricevettero da Apollo due tripodi.Non è infatti una novità che l’impresa degli Argonauti fu consigliata da Apollo. Non è neanche chiaro a quale Dodona si sarebbe rivolto Enea per chiedere consigli. Dionisio di Alic (1,51) dice Dodona, ma c’è chi propone Delo (Carratelli 1992 pag 401-410), infatti nella Eneide (3,96), è scritto che Enea ed i Troiani, dopo la distruzione di Troia, interrogano l’Apollo di Delo per cercare una nuova patria e che l’oracolo consiglia l’Italia in quanto era la loro antica terra. L’esistenza delle due Dodone, la Tessalica più antica della Epirotica, serve a fare un po’ di luce sui molti punti oscuri che costellano i temi ora trattati.
Non mancano collegamenti diretti Apollo–zone alto Adriatiche, come per esempio i numerosi santuari Apollinei. Anche se vogliamo escludere quelli di Adria (Colonna 1974 pag 8), e quello di Spina (Colonna1993 pag 135), che potrebbero essere considerati del periodo Etrusco, ricorderemo il Fons Aponi di Abano, questo Aponi corrisponde ad Apollo. Altrettanto potrebbe essere il PONI scritto in una mutila iscrizione rinvenuta a Bagnacavallo; dice il Susini (1985 pag 9-17) che esiste un collegamento fra Aponi di Abano e quest’ultimo santuario. Dobbiamo pure aggiungere i collegamenti della sorella di Apollo Artemide, con le nostre zone; come è noto a Delfi vi era un tempio a lei dedicato, come pure ve ne era uno in alto Adriatico, ricordato da Strabone (V,I) e dallo Ps Aristotele (105). Abbiamo già accennato alle isole Elettride, isole a lei sacre, che erano qui ambientate, come pure erano qui ambientate le isole Melagridi, anche queste a lei sacre, che hanno dato il nome alle galline faraone (Mastrocinque 1991 pag 30). Essendo in tema Artemide, non possiamo non ricordare i due santuari del territorio lughese dedicati a Diana, una dea che come è noto, corrisponde a lei. Non dimentichiamo che la Via Lunga, la strada antichissima già ricordata, attraversa il lughese, perciò non sarebbe una sorpresa se in tale area venisse trovata la Spina Pelasga. Così pure corrisponde a lei la Feronia venerata a Bagnacavallo. Essendo ancora nel tema Apollo, dobbiamo ricordare le vicende del suo figlio Fetonte che col carro del sole cadde nel Po. Come pure, che la città istriana di Pola avrebbe preso tale nome da lui. Non si può non ammettere che sono molti i collegamenti delle nostre zone con l’Apollo di Delfi.
Liguri, Siculi, Lelegi.
I Lelegi Ligi sono ricordati da Erodoto (1,171 e V11,172) come popolazione al suo tempo esistente in Grecia. Esistenti in Tessaglia coi nomi Ligyes, Ligynaioi, Lilegi, sono ricordati da Strabone (XII,543) da Tucidide (VI,2), da Ps Scimmo (941), da Stefano Bizantino e da Aristotele in microbio (sat 1,7). Per il Berve (1966 pag 33), i Lelegi erano Pelasgi, altrettanto dice lo Ps Scimmo (Bardetti 1769 pag 57).
Quello che a noi interessa è che questi Lelegi corrispondono ai Liguri; lo dicono sia Eustazio che Tzetze in Licofrone (Sbordone 1941 pag 92), precisando che l’eponimo dei Liguri si chiamava Ligyes, come pure corrispondono agli Aborigini (Capovilla 1958 pag 201) e agli Ambrontas (Ps Scimmo 941). Ancor più interessante è il constatare che a loro volta i Liguri e Siculi sono la stessa popolazione; lo sappiamo da Varrone e da Catone (Capovilla1955 pag 33), da Diodoro Siculo (V,6) e da Festo (424). Filisto, in Dionisio di Alicarnasso (1,22), ci fa sapere che 80 anni prima della guerra di Troia, Liguri e Siculi arrivarono in Sicilia, ma che per un certo periodo avevano abitato sulle coste alto Adriatiche. Non a caso Plinio (III,13) dice Numana a Siculis condita e Solino (2,1,10), aggiunge, che questi avevano fondato Ancona. Grazie a questi Siculi il culto di Gerione da Abano Terme sarebbe arrivato in Sicilia (Susini 1985 pag 9-17). Sappiamo inoltre da Eudosso, che Adrio, un discendente dei Siculi, avrebbe fondato Adria (Mastrocinque1990 pag 49). Siculi sarebbero anche, secondo Pausania (I,28), quei Pelasgi che costruirono il famoso muro di Atene, che a loro volta corrispondono a quei Tirreni che per Strabone (V,2) erano partiti dalla cittadina italiana di Regisvilla. Pelasgi e Liguri sarebbero dunque la stessa popolazione, infatti sono antropologicamente identici. Pure gli Euganei sarebbero Liguri (Pais 1916 pag 103). Il Conero avrebbe preso tale nome da Cunaro, il condottiero dei Liguri che secondo Virgilio (Servio Eneide X 186), avrebbe aiutato Enea nella guerra contro Turno. Vi sono buone ragioni per ritenere che questi Lelegi Liguri Siculi siano una sola popolazione, che in antico abitava nel Caucaso, successivamente irradiata verso l’Anatolia, verso la Grecia e verso l’Italia, cioè per la famosa Legge delle tre penisole tanto cara al Ferri ed al Capovilla, e che successivamente, con i suddetti o con altri nomi possono essersi di nuovo incontrati. Gli esempi al riguardo non mancano; Enea venne in Italia per incontrare i suoi avi Dardani (Braccesi 1994 pag 53), i coloni Greci che colonizzarono la Sicilia furono sorpresi nel constatare che le popolazioni già lì stanziate, conoscevano la loro lingua, adoravano i loro dei, conoscevano le leggende dei loro eroi, altrettanto è capitato a quelli che arrivarono in Sardegna. Quando il console romano Mario nel 101 a.C. affrontò nei pressi di Ferrara i Cimbri, che erano pure detti Ambrontas, rimase sorpreso nel constatare, lo riferisce Plutarco (vita di Mario 19) che l’urlo dei Liguri e dei Cimbri era identico e, guarda caso, il capo di questi ultimi si chiamava Ligias. Questi avvenimenti e tanti altri che si potrebbero riportare, dimostrano che questi popoli provenivano dalla stessa zona.
I Micenei
La presenza micenea in alto Adriatico è ben documentata. Sarebbe lungo l’elenco dei frammenti ceramici e dell’ambra tipo Tirinto venuti alla luce in zona: Torcello, Nezanzio, Montagnana, Pizzughi, fondo Paviani e per tutti, Frattesina Terme. Queste presenze dimostrano in modo inequivocabile l’esistenza in queste zone di traffici Micenei. Non solo, quasi sicuramente i Micenei hanno usato la foce padana per irradiarsi verso alcune zone Tirreniche, per esempio a Luni sul Mignone, come giustamente aveva previsto l’Oestenberg (1967 pag 246). Ma vi sono andati usando tragitti tracciati sulle vette delle montagne, come era loro usanza; non a caso in una cima, in prossimità di Monte Battaglia (valle del Senio), è stata rinvenuta l’ambra Tipo Tirinto (Catarsi cit,). Il Mastrocinque ripete spesso che elementi Protovillanoviani ed elementi Micenei sono spesso indivisibili. Essendo in tema popoli, non possiamo non citare i Sabini (Plinio Ravenna Sabinorum Oppia), i Liburni, gli Umbri (dei Budrio, villaggi da loro costruiti, ne sono stati contati ben 48 solo in Romagna), i Latini, e gli Illiri. Illirico è il primitivo nome di Bagnacavallo, cioè Gabellum. Si tratta di popoli che risultano ben presenti in queste zone e ci sarebbe molto da dire al riguardo della loro provenienza.
Gli Argonauti
Per Argonauti si intende un gruppo di eroi greci partiti da Iolco in Tessaglia, destinazione Colchide (mar Nero), scopo, conquista del Vello d’oro.
Non è chiaro cosa in antico si intendesse per vello d’oro. Per il mito era la pelle dell’ariete alato che Zeus avrebbe mandato per salvare Frisso ed Elle da un sacrificio. Dagli antichi era generalmente considerato un simbolo di dignità reale e di sovranità. Per Isodoro (Orig libro III) e Igino (Fab CXXXIII), era la pelle del montone nato da Nettuno, per Tzetze (Licofrone 562) ed Apollodoro (libro I), era invece il montone di Mercurio; aggiunge Simonie (Apoll Rodio libro IV), che era di colore porpureo, per Giovenale era d’oro, altrettanto per Pindaro. Che questo montone avesse fatto il viaggio dalla Grecia in Colchide volando per aria, lo dicono Apollodoro (libro I), Omero (Iliade libro VIII), Luciano (Dialoghi), Nonno (libro X), Filostrato (Icon Glauc) e Sant’Agostino (De civit dei libro XVIII). Che ci sia andato invece a nuoto, ne sono convinti Manilio ed Ovidio. Per la stragrande maggioranza degli antichi scrittori era una pelle, per Diodoro Siculo (libro III), confermando Palefato, era invece il tesoriere di Atamante che portava con sé una statua d’oro; per Seneca (Medea), era un libro in cui era scritto come tramutare in oro ogni metallo; per Eustazio, era l’oro che i Colchi avevano raccolto con le pelli di animali, per Newton (Chronologie 104) lo scopo della spedizione Argonautica non era un vello ma il tentativo di convincere le popolazioni del Mar Nero a ribellarsi allo strapotere degli Egiziani. Per arrivare a destinazione, gli Argonauti fanno tappa a Lemmo, Samotracia, passano il Bosforo, costeggiano le rive orientali del Mar Nero e dopo alterne vicende conquistano il vello d’oro. Questo, salvo pochissime eccezioni, è il percorso dell’andata che ci hanno tramandato gli scrittori antichi. Ben diverse sono invece le testimonianze antiche al riguardo del viaggio di ritorno. Per Apollonio Rodio (IV 259) e per Pompeo Trogo (Justin XXXII 3,14), sarebbe fiume Danubio, fiume Risano, mare Adriatico, fiume Po, fiume Rodano, Mar Tirreno, Tessaglia,
Per Timeo (FGH66), fiume Don, mar Baltico, oceano Atlantico, stretto di Gibilterra, mar Mediterraneo, mar Tirreno, Tessaglia. Per Esiodo (framm 64), Ecateo (FGH1) e Pindaro (Pitiche V 251), fiume Fasi, oceano Indiano, mar Rosso, mar Mediterraneo, Tessaglia. Per Euripide (Medea 431) e Callimaco, il tragitto del ritorno sarebbe stato identico a quello dell’andata. Da una delle più antiche leggende che descrivono questo viaggio, la così detta Leggenda Minia, apprendiamo, diversamente da quasi tutti gli altri commentatori antichi, che l’itinerario dell’andata non avrebbe interessato le sponde del mar Nero, ma le sponde dell’Adriatico (Sgubbi 1999), conseguentemente gli unici riferimenti geografici concordanti fra i vari racconti, sarebbero il Po e le isole Elettridi, ma con una sostanziale differenza: per la leggenda Minia riguardano il viaggio di andata e quello del ritorno, per tutti gli altri racconti riguardano solo il viaggio del ritorno. Per la leggenda Minia, la destinazione degli Argonauti non era la Colchide, ma la Colicaria (Graves1983 pag 732), zona della bassa mantovana ricordata nell’Itinerario Antonini. Questa Colicaria ha ricevuto tale nome dai Liguri-Ligyes, che a sua volta avevano dato il nome alla Colchide, cioè alla località da loro abitata in tempi remotissimi. Il fiume che risalirono non era il Fasi, ma il Po; scopo della spedizione non era una pelle di montone, ma l’ambra, preziosa resina provenienti dai paesi Baltici, che aveva le isole Elettridi come punto di smistamento. Considerato che Circe si sarebbe trovata nella isola di Lussino, gli Argonauti non ebbero più bisogno di andare nel Tirreno. Oltre a questa leggenda vi sono altre testimonianze che ritengono solamente Adriatica la saga degli Argonauti; quella di Eumelo di Corinto (Capovilla 1957 pag 749) e quella di Igino (Fabula 23). Occorre anche tener presente che per Omero la nave Argo non era andata nella Colchide. Licofrone (Alex 1364), dice che gli Argonauti sono Pelasgi; nelle Argonautiche Orfiche (95) è scritto che gli Argonauti sono pure detti Mini, cioè antichi abitanti della Tessaglia, ebbene, abbiamo già detto che i Pelasgi sono i Tessali, e essenzialmente Tessala è la saga Argonautica: Tessala è la sede sia della partenza che del ritorno, Tessali sono i componemti della spedizione, Tessalo l’oracolo a cui si rivolsero, Tessala la dea Artemide a cui gli Argonauti eressero ovunque dei templi. Sia gli Argonauti che i Tessali approdarono alle isole Elettride. Le gesta degli Argonauti sono una perfetta fotocopia delle gesta Pelasghe, ed i loro tragitti dalla Grecia alle nostre zone sono, a loro volta, la fotocopia del tragitto Iperboreo. Sia gli Argonauti che i Pelasgi avevano per patrona la Hera Pelasga, ebbene, dice Strabone (V,1), che un tempio a lei dedicato, si trovava dalle nostre parti. A loro volta, come in parte vedremo, quasi tutti miti ambientati in alto Adriatico sono in qualche modo collegati agli Argonauti. Con un articolo, dal titolo “Le radici della Romagna affondano nella saga Argonautica,” (Sgubbi 1999), ho fedelmente descritto l’importanza che la saga Argonautica ha avuto per le nostre zone.
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Da Rolando Berretta
RispondiEliminaSgubbio, autore dell'argomento, scrive che Roma, dopo aver conquistato la Grecia, fu ammessa...
Siamo nel 229; Consoli Gneo Fulvio e Aulo Postumio. Roma deve dimostrare alla regina Teuta, degli Illiri, che non è saggio uccidere
ambasciatori romani: e fu sistemata la regina Teuta.
Prosegue Polibio:
-Tali furono dunque le circostanze e le ragioni del primo passaggio
in forze dei Romani in Illiria e nelle circostanti parti dell’Europa e
dei loro primi rapporti diplomatici con le popolazioni della Grecia. I
Romani inviarono ben presto altri ambasciatori presso i Corinzi e gli Ateniesi, e allora per la prima volta i Corinzi li ammisero a
partecipare ai Giochi Istmici.
Affermare che Roma, dopo aver conquistato la Grecia, fu ammessa ai giochi di Corinto…. è sbagliato.
Roma fu ammessa perché gli spettava. Forse sarebbe corretto,storicamente, capirne il perché.
Credo, mia personalissima interpretazione, che bisognerebbe partire da Damarato di Corinto che, con la sua gente, andò in esilio a
Tarquinia. Gli Etruschi non permisero loro di occupare nessuna carica politica.
Tarquinio Prisco andò a Roma e ne divenne Re. Suo figlio, Tarquinio il Superbo, fece venire molti artigiani etruschi per sistemare Roma.
Tutto raccontato da Livio. Credo che quegli artigiani etruschi parlassero, ancora, corinzio.
Rolando Berretta