mercoledì 19 gennaio 2011

I Giganti di Monte Prama, di Marco Rendeli, 3° e ultima parte

Monte e Prama: 4875 punti interrogativi
di Marco Rendeli - 3° e ultima parte

Anche per quel che concerne i modelli di nuraghi complessi dal restauro e dalla ricostruzione dei monumenti litici viene fuori una sostanziale omogeneità (che certo non può sorprendere) con modellini in bronzo ben noti alla letteratura: nel caso della scultura in pietra, rispetto agli esemplari in bronzo si nota, casomai, una straordinaria volontà di rendere questi modelli quasi irreali con soluzioni che da un punto di vista ingegneristico e fisico appaiono ai limiti della realtà (fig. 4).
Orbene, questi confronti, particolarmente calzanti per le statue antropomorfe anche nella resa di peculiarità dell’armatura, delle vesti e perfino di particolari anatomici se non possono offrire una risposta alla domanda che prima avevamo posto possono però definire il successo di tipi che sono connessi alla natura militare dei personaggi raffigurati che, in alcuni casi, hanno caratteristiche sovrannaturali come nel cosiddetto demone dai quattro occhi e dalle quattro braccia. Questo dato, seppure non offre una risposta alla domanda prima posta, è importante perché dimostra l’irradiamento di modelli su scala certamente non locale o cantonale ma in buona parte dell’Isola.

Presi singolarmente i tipi di Monte Prama e quelli rappresentati nei bronzetti potrebbero essere sufficientemente esaustivi se non fossero presenti sulle statue alcune peculiarità che mi hanno fatto sospettare possibili influenze altre: la resa di certe parti anatomiche, certi dettagli delle vesti o dell’armatura, lo stesso tipo di acconciatura dei guerrieri riporta a confronti che legano queste peculiarità al mondo orientale (d’Oriente) soprattutto per quella fase di contatto, scambio e interazione con il mondo ellenico. In essi potrebbero rivelarsi una serie di motivi firma che connoterebbero la bottega che ha lavorato nell’alto Sinis definendo una possibile provenienza degli artisti coinvolti in questo straordinario complesso sperimentale. Questa ricerca è solo all’inizio ma tra i motivi analizzati uno in particolare ha attratto la mia attenzione, una sorta di sciarpa che scende dal petto di uno degli arcieri: il motivo, del tutto particolare e unico nel complesso di Monte Prama, ha un confronto con l’abbigliamento di un personaggio regale presente su di una stele funeraria rinvenuta a Marash (nell’Anatolia sud orientale) che è ascritta a un filone artistico aramaico databile nel corso della seconda metà dell’VIII a.C. (fig. 13).
Ma c’è di più: mi sono spesso chiesto se è giusto operare nel senso di un semplice confronto dei singoli pezzi con singoli pezzi o se invece non si dovesse immaginare piuttosto una scena complessa. Fulvia Lo Schiavo, in un recentissimo contributo sulla navicella nuragica rinvenuta nella Tomba del Duce a Vetulonia, sottolinea la necessità di leggere le figure rappresentate su di essa come un unico contesto, un’unica storia che appartiene all’universo nuragico e che ne esemplifica il suo mondo: questa straordinaria intuizione può essere una guida lungo la quale si può sviluppare l’interpretazione del complesso monumentale di Monte Prama.
Un’idea di queste scene in cui fossero presenti luoghi fortificati, assedianti e assediati è ben presente nei rilievi assiri: anche se a migliaia di chilometri dall’isola e da contesti socialmente e culturalmente lontani rispetto a quelli che possiamo ricostruire in Sardegna, in alcuni rilievi rappresentanti scene di assedio del palazzo di Assurbanipal sono presenti uno accanto all’altro i tre tipi riconosciuti a Monte Prama (fig. 14). Ora se l’arciere e il portatore di scudo rotondo non stupiscono, i rilievi assiri possono portare un contributo importante per il cosiddetto pugilatore: esso infatti rappresenta un particolare personaggio nella tecnica obsidionale al quale era richiesto di creare brecce nelle fortificazioni avversarie portando sopra la testa, tenuto da una delle braccia, uno spesso scudo afflosciato. Dunque la possibilità anche nel caso di Monte Prama di poter riconoscere nei diciotto pugilatori una falange specializzata (che oggi chiameremmo del genio guastatori) per le tecniche di assedio e/o assalto a postazioni fortificate del nemico.

Il confronto con i rilievi del Palazzo di Assurbanipal a Niniveh produce come conseguenza una consapevolezza, ovvero quella di essere di fronte non semplicemente a una serie di singoli oggetti quanto piuttosto a un insieme che deve essere letto in maniera programmaticamente unitaria. L’ambientazione in un contesto funerario ha naturalmente la sua importanza: da questo punto di vista la disposizione delle tombe (in forma di un unico, lungo serpentone) potrebbe fornire lo spunto per un lontano riecheggiamento al passato sia a una struttura ipogeica ma anche al tipo tombale più noto nel corso del Bronzo, ovvero la tomba dei giganti pur nell’assenza di qualsiasi elemento che possa far pensare alla presenza di un’esedra. Il parziale e limitato riuso delle tombe di giganti nel corso dell’età del Ferro non osta a questa ricostruzione che si fonda sulla volontà di un gruppo emergente di esaltare nuovi valori nel solco di una secolare, quanto ben nota, tradizione. In questo caso però se ne differenzia in maniera chiara e programmatica perché non si tratta di un poliandron ma di singole sepolture a cassa accostate una accanto all’altra: questa annotazione può essere di certa importanza perché rappresenta assieme ai betili e ai modelli di nuraghe un collegamento diretto, ma diverso, con il passato, ovvero con il mantenimento di quella identità funeraria che ha accompagnato le sepolture nuragiche dalla media età del Bronzo. La differenza sta proprio nell’emergere di una élite, per riecheggiare le parole di Colonna a proposito del fenomeno delle tombe principesche nell’Italia centrale tirrenica, nelle singole volontà di formare un gruppo coeso. Da ciò può dipendere la volontà di autorappresentare la propria storia familiare, la natura dei propri eroi antenati, che tali sono proprio in virtù di quella sostanziale diversità riscontrata fra corpi e volti delle statue.
Ma potrebbe essere anche qualcosa di più: abbiamo detto, presentando il contesto, che molte delle statue presentavano chiari i segni di bruciatura dovuta a un incendio e di una distruzione volontaria del complesso. Ciò presuppone che esso fosse stato ambientato in un contesto chiuso o semichiuso nel quale fosse presente abbondante legno: a livello di ipotesi, peraltro azzardata, mi pare che all’interno di quelli che vengono chiamati modelli di nuraghe esistano almeno tre pezzi che si differenzino sostanzialmente dagli altri: in primo luogo per dimensioni, sicuramente maggiori (sia del diametro della supposta torre, sia della supposta base del nuraghe); poi perché fra i pochi ad avere al centro del fusto un largo e profondo incavo rettangolare che potrebbe fungere da tenone. In altre parole se rovesciamo il pezzo e lo guardiamo sotto sopra questo si potrebbe trasformare da modello di nuraghe monotorre a fusto e capitello di una possibile colonna, o meglio di tre possibili colonne (fig. 15). Questa ipotesi può trovare un riscontro in una visita compiuta nell’area della necropoli dove, in due ammassi di pietre formatisi probabilmente per lo spietramento del campo coltivato a cereali, ho potuto riconosce almeno altri due possibili rocchi di ipotetiche colonne.
Se questa ipotesi può cogliere nel vero si potrebbe ricostruire una struttura, in parte litica e in parte lignea, che poteva fungere da contenitore e da sfondo della storia narrata attraverso le statue, i betili e i modelli di nuraghe: se possiamo trarre dalla piccola bronzistica delle idee, si potrebbe immaginare una struttura simile a quella del bronzetto di Ittireddu (fig. 15): qui a un modellino di nuraghe complesso si affianca un edificio realizzato in forma di casa-capanna quadrangolare che presenta sul colmo del tetto almeno due statue acroteri ali in forma di volatili (un edificio sacro?). A prescindere dalla possibilità che si tratti di un edificio chiuso, del tipo Ittireddu per intenderci, la presenza di queste colonne potrebbe comunque far pensare a quella struttura coperta a questo punto necessaria per giustificare le tracce di combustione presenti sulle statue e dovute a un incendio. Ciò peraltro impone anche altre riflessioni sulla natura e sulla interpretazione da dare al contesto e sulla storia che potrebbe essere stata narrata con queste statue: infatti un edificio costruito al di sopra dell’area funeraria modifica in maniera determinante la natura stessa del luogo e l’interpretazione degli oggetti: in altre parole quello che può essere definito un complesso statuario che esalta un gruppo aristocratico e gentilizio attraverso la realizzazione di una serie di statue che rappresentano gli antenati protettori (similmente a quanto vediamo attestato in Etruria a Ceri, Cerveteri, Casale Marittimo, Vetulonia e, più tardi, nel palazzo di Murlo) può trasformarsi in qualcosa di diverso perché l’area può aver assunto una natura e una connotazione differente.

La presenza di un edificio, infatti, potrebbe aver trasformato l’area funeraria in un’area cultuale sovrapposta a tombe assumendo quindi una valenza sacra: l’interpretazione del contesto come quella degli antenati del gruppo gentilizio potrebbe assumere una connotazione più alta, dove alla semplice eroizzazione dei defunti potrebbe essersi sovrapposta la volontà di riconoscere in essi gli dei protettori almeno del gruppo aristocratico di pertinenza. Non mi stupirei, sia in virtù del successo delle iconografie presenti, sia del tipo di distruzione compiuto nel corso del IV a.C. (dai cartaginesi?), se quest’area potesse aver assunto, forse anche da una fase antica, significati più alti: ovvero, quello di rendere in forma monumentale la storia sarda, la rappresentazione del kosmos nuragico che si compie per mano di un gruppo gentilizio e aristocratico che vuole rappresentare la sua essenza, la sua natura e che per fare ciò emerge ed esce allo scoperto.
La saga, che non riesco a ricostruire, appartiene a quelle storie di fondazione che percorrono il Mediterraneo nel corso dei millenni, una “storia delle origini mitiche e degli eventi posti in un passato assoluto” ricordati da Assmann nella sua memoria culturale e giustamente ricordati da Sirigu in un suo recente contributo su Monte Prama. Una storia che non appare dissimile da quelle che conosciamo per altre civiltà e per altre regioni del Mediterraneo e che inserisce a pieno titolo in questo contesto la Sardegna con le sue statue di guerrieri, con i suo betili e i suoi modelli di nuraghe, con i suoi edifici sacri. Su questo stesso piano si poneva il pionieristico contributo di G. Lilliu (1975-1977, pp. 142-144) al quale questo piccolo contributo è, immodestamente, dedicato.

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