di Mario Frau
I sardi e gli etruschi erano consanguinei, ovvero buoni cugini, come sostiene Lilliu nel libro intitolato “Gli etruschi e i cugini nuragici”. Anch'essi in Etruria e a Roma, quando erano al potere, condivisero responsabilità politiche ed economiche. Tutti i sardi e gli etruschi che si salvarono dalle guerre del periodo, rientrarono in Sardegna e ripresero a vivere con molta umiltà nelle terre dei loro avi, ma l'avventura non era ancora finita in quanto i romani, dopo aver distrutto e cancellato anche Cartagine, trasformarono in uno dei tanti granai di Roma anche i numerosi villaggi che si trovavano ad Aioddha e in tutte le terre circostanti, in quanto avevano trovato anche in quelle contrade i Lucumoni Sardi, ossia gli stessi nemici che avevano a Roma e in etruria.
I romani avviarono in queste terre una politica di controllo militare delle popolazioni non urbanizzate dell'interno, contro le quali, nei primi secoli della conquista, attivarono vere e proprie operazioni belliche. In una delle tante azioni militari, rasero al suolo il villaggio federale di Santa Vittoria di Serri, e gli altri villaggi che si trovavano numerosi nella zona di Aioddha e Guzzini, e occuparono le miniere e le fonderie di Rapinosa-Gadoni e di Corru e Boi.
Fecero passare in queste contrade la via Ab Ulbia-Caralis per mediterranea, e ubicarono nelle vicinanze dei villaggi distrutti le statio di Biora, Baracci e Valenzia, nella vallata di Serri, Isili, Nurallao e Nuragus, mentre la statio di Domus Novas venne ubicata nel territorio di Ovodda e quella di Sorabile nel territorio di Fonni. Chi alzava le mani e si arrendeva ai romani andò a vivere in una di queste cittadelle, mentre gli altri rientrarono nelle zone interne da dove erano partiti i loro avi, e per sfamarsi mangiavano selvaggina e animali domestici. In questo immenso territorio numerosi animali si trovavano allo stato brado, e il pane era confezionato con argilla finissima, ghiande, castagne e nocciole macinate, per poter meglio digerire il cibo in quanto non potevano più contare sul grano che proveniva da Ayoddha.
Detto questo, non è difficile capire il motivo per cui gli storici romani, in particolar modo Plinio il Vecchio, sostennero che nelle su menzionate terre abitavano gli Iliesi, in quanto anche il nome di questo popolo, così come era avvenuto precedentemente con gli etruschi e con i cartaginesi, era stato annientato e solo oggi riappare dall'analisi filologica e linguistica dei toponimi relativi ai comuni suddetti. Da tutto quanto detto, siamo di fronte a semplici analogie, o alla presenza di un popolo nuragico che visse nelle zone interne della Barbagia, a seguito di flussi migratori?
In conclusione, l'ipotesi della presenza di questo popolo nelle zone interne della Barbagia e nel territorio preso in esame, se per certi versi può essere suggestiva, all'esperto potrebbe risultare assai problematica. Certamente, avere la presunzione di certezze non è nei miei intendimenti, se mai può riguardare altri soggetti, specialisti o accademici. Il mio, è appena il caso di ribadire, vuole fornire un contributo a questo tipo di ricerca dal quale altri possono muovere per uno studio più approfondito. In ogni caso, resto convinto della presenza di questo popolo nuragico nell'area esaminata, per tutte le motivazioni prima indicate, come dimostrano i toponimi, le vestigia archeologiche e le ricerche degli studiosi fra i più illustri. Non v'è dubbio che a tutt'oggi quelle migrazioni continuano: si tratta di disperati delle carrette del mare che non migrano più in Occidente alla ricerca di nuove terre, di rame e di ossidiana, ma sono i disperati che provengono dalle medesime terre, spinti dalla fame, alla ricerca di cibo e libertà.
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