Storia dei popoli: seminiamo il seme della cultura nei nostri figli perché il futuro è ancora da costruire.
sabato 3 luglio 2010
Phoenike - Fenici nella costa del nord Africa: Cartagine I
La costa del nord Africa: Cartagine I
Un’altra area importante è quella del Magreb, in particolare della Tunisia, con Cartagine, una città fondata dai Tiri nel 814-813 a.C. che riesce, a partire dal VI a.C., ad imporre la propria supremazia nel Mediterraneo Centrale e Occidentale. I rapporti con l’oriente diventano sempre più labili e i cartaginesi decidono di stabilire proprio in questa città nord-africana la base per il futuro.
Vicinissima all’odierna Tunisi, svolge il ruolo che nella Spagna Atlantica fu svolto da Cadice. L’area è urbanizzata, sede di un vasto agglomerato residenziale nonché dei vari consolati dei principali Stati, pertanto è difficile individuare le tracce del passato. Il mito di fondazione risale al 814-813 a.C.. Si parla di Elissa (la Didone greca), una principessa tiria, sorella del re Pigmalione di Tiro e sposata con Acherbas, il sacerdote più importante del tempio di Melqart. Pigmalione, per appropriarsi del tesoro del tempio, uccide il cognato Acherbas ed Elissa, che non vuole finire sotto il controllo del fratello, decide di allontanarsi da Tiro. Prende con sé il tesoro del tempio e i rappresentanti delle famiglie più importanti e fonda una nuova colonia in Occidente, Cartagine appunto. Fa una prima tappa a Cipro dove imbarca 80 fanciulle destinate al culto della dea Astarte, la principale divinità di Cipro, che divengono le sacerdotesse di un culto ben attestato nel mondo mediterraneo e punico, la prostituzione sacra, attività che si svolgeva all’interno del tempio. Era una funzione sacra ma allo stesso tempo economica, quella che vedeva come oggetto l’incremento del tesoro del tempio. Elissa arriva nella costa tunisina, in mano ad una popolazione indigena forte, i libici (gli attuali “berberi”).
La principessa incontra re Iàrba, capo dei libici, con il quale contratta la possibilità di fondare una colonia acquistando, con uno stratagemma, un territorio abbastanza grande. Aveva pattuito una grandezza pari alla pelle di un bue e fece tagliare delle sottili strisce di pelle unendole poi in lunghezza ottenendo una striscia lunga circa 400 m equivalente ad un’area pari ad un ettaro. Esisteva già Utica (città antica) e i rapporti con gli indigeni non furono idilliaci: Iàrba voleva sposarla per controllare la colonia, diventata importante, ed Elissa finse di voler sacrificare alla memoria del marito prima di sposarsi, poi rifiutò il matrimonio e preferì suicidarsi lanciandosi nelle fiamme piuttosto che consegnare la città in mano al re.
Questo mito dimostra che Cartagine nasce come città importante, fondata dalla principessa di Tiro con l’apporto del tesoro del tempio di Melqart. Per diversi secoli Cartagine mantenne un legame forte con Tiro e inviò regolarmente la decima come tributo poiché c’era la volontà di mostrarsi figlia di Tiro. L’elemento indigeno non venne mai completamente integrato, vi fu sempre la distinzione fra l’origine orientale della città e i libici.
Nel territorio di Cartagine abbiamo l’abitato, con tracce dell’VIII a.C. nella piana costiera, racchiusa alle spalle da una serie di colline che nella prima fase vengono destinate alle necropoli (VIII-VI a.C.). La stessa tipologia di urbanizzazione avvenne a Cagliari con l’abitato situato nella zona di Santa Gilla e la necropoli nella collina di Tuvixeddu. Le colline di Cartagine sono Byrsa, Junòn, Duimèt e Dermech. L’abitato arcaico è stato scavato da diverse missioni tedesche (sovrintendente fu Rakob). Presenta un impianto ortogonale di vie perpendicolari che precede di vari secoli l’impianto greco. Le case sono semplici e i muri sono rozzi, con zoccolo in pietrame brutto cementato con malta di fango e pavimenti in terra battuta. Gli scavi presentano strati sovrapposti e gli archeologi, quando scavano questa tipologia, si trovano davanti a strutture difficili da interpretare perché i vari muri si incastrano fra loro.
A scavo effettuato, per valorizzare l’area si deve decidere come conservare la struttura e bisogna far cadere la scelta su cosa mettere in evidenza. Dopo aver scelto la fase che si vuole rendere fruibile si ricoprono le altre e il visitatore si troverà davanti una zona ben evidenziata relativa ad un determinato periodo. Durante gli scavi sono stati individuati materiali mediterranei sia di produzione che di importazione. I materiali eubòici e nuragici mostrano la collaborazione fra questi e i tiri. In periferia ci sono gli impianti artigianali per la lavorazione della ceramica, dei metalli e del pesce che sono tenuti lontani dall’abitato per questioni di scorie, calore, gas, rumori e odori. Questo stesso sistema è diffuso nel mondo mediterraneo e punico, e ancora oggi vediamo che tutte le società cercano di costruire le zone industriali lontano dal centro abitato.
Col passare del tempo l’abitato si allarga e va ad occupare le aree delle necropoli arcaiche, che precedentemente erano occupate dal quartiere artigianale. Le necropoli si spostano verso l’esterno e le più recenti sono infatti all’estrema periferia degli abitati.
Intorno al V a.C. l’abitato si sviluppa verso sud e arriva fino all’area del tophet; successivamente l’espansione interessa anche le altre direzioni. La città arcaica, ubicata in prossimità della costa, è stata scavata da varie equipe di tedeschi (Rakob, Neemayer) e da una missione olandese con a capo Dauteck. Gli scavi hanno operato in ampie aree andando ad intaccare la stratigrafia in profondità. Per rendere fruibili i vari strati si è pensato di ricostruire i vari periodi andando a ricoprire gli scavi con pietrame di vari colori per evidenziare i vari periodi (ad esempio l’area di Magone). In pratica ogni livello ha pietrisco di diverso colore. Anche a Nora hanno fatto una ricostruzione simile.
In tutti gli scavi di Cartagine sotto gli strati bizantini, romani e punici sono venute fuori strutture più antiche: lacerti mediterranei e materiali vari che mostrano già dall’VIII a.C. un commercio intenso con i nuragici e con i greci. L’impianto urbanistico ortogonale è collegabile con l’area sui colli nella quale si trova la Byrsa che in età arcaica era occupata da numerose tombe. La Byrsa nel V a.C. viene raggiunta da un quartiere artigianale, sono visibili infatti tracce di impianti metallurgici con scorie di lavorazione, frammenti di fornace e tuyer. Nel II a.C. la zona è raggiunta dall’urbanizzazione. Secondo le fonti la Byrsa era la sede dell’acropoli. Appiano racconta che i romani nel 146 a.C. conquistarono la città combattendo casa per casa e distruggendo tutto. Considerato che i cartaginesi avevano perso già due guerre contro i romani dobbiamo ritenere che ebbero le capacità per risollevarsi e riorganizzare un’economia fiorente.
Dopo l’abbandono degli ultimi cartaginesi avvenuto in seguito alla sconfitta nella III guerra punica, Roma decise di spianare la Byrsa per edificare il nuovo foro della città, proprio per romanizzare l’area. In età Augustea si decise di ristrutturare la città e Cartagine divenne la città più importante dell’Africa. Quando i romani tagliarono la sommità della collina per ampliare l’area della Byrsa, gettarono i detriti a valle, ricoprendo con uno strato alto sette metri che sigillò le strutture puniche, quelle dell’ultima fase dell’urbanizzazione. L’ambiente abitativo è quindi ben conservato.
Le strutture puniche più recenti sono state usate solo per circa 50 anni, e oggi possiamo studiare la tipologia dell’edilizia popolare di quell’epoca. Una missione archeologica francese ha scavato la zona e sotto tonnellate di detriti è stato ritrovato il quartiere cartaginese della Byrsa. Secondo Appiano le case erano alte fino a sei piani con alzato in mattoni crudi e soffitti in legno. Le case presentano una pianta caratteristica: si affacciano su una corte centrale interna dalla quale prendono luce, aria e acqua grazie alle cisterne nelle quali confluiva l’acqua piovana che veniva canalizzata. L’ingresso è collegato alla corte attraverso un corridoio. La fronte della casa, quella sulla strada, era occupata da alcuni vani che generalmente erano destinati alle attività economiche, dunque aperti al pubblico o agli animali. Gli ambienti interni al pianterreno erano quelli di vita: cucina e locali per vivere, mentre la notte si andava nei piani alti per dormire.
Le case erano costruite su uno zoccolo in pietra grossa e alzato in mattoni crudi cementati con malta di fango. I muri erano intonacati con calce, anche per garantire che l’acqua piovana non si infiltrasse nelle camere. Gli alzati probabilmente erano progressivamente più sottili perché dovevano reggere un peso minore. Le scale mostrano la presenza della zona notte. La copertura del tetto con lastre di pietra a doppio spiovente convogliava l’acqua piovana in canalette che la indirizzavano poi verso la cisterna. Lo smaltimento delle acque reflue avveniva con dei canali che confluivano nella strada dove lo scarico era assicurato da pozzetti. Ogni casa aveva la sua cisterna realizzata con intonaco idraulico e spigoli stondati per una più agevole pulizia. Se vi era un banco roccioso sotto la casa veniva scavato un vano per ottenere la cisterna, altrimenti si scavava il terreno e si costruiva un muretto con blocchetti, a loro volta rivestiti in argilla. Le cisterne erano chiuse con lastre a piattabanda e avevano un pozzetto per attingere l’acqua. L’intonaco con il quale si rivestiva l’interno della cisterna era grigio perché era costituito da malta, inerti e piccoli carboncini per aumentare l’impermeabilizzazione. In alternativa si utilizzava il cocciopisto, materiale utilizzato anche per il tipico pavimento punico. Per ottenerlo si miscelavano degli inerti, calce e frammenti di ceramica che sono quelli che danno il colore rosato. Le strade, ortogonali, erano in terra battuta e per recuperare la pendenza presentano scale, quindi non erano percorse da carri. Le fonti parlano di una Cartagine del II a.C. in forte declino ma i riscontri archeologici, a partire dalle strutture portuali, descrivono una realtà completamente diversa e mostrano una città fiorente.
Domani la 2° e ultima parte
Signor Montalbano i suoi scritti,per qualche minuto,mi fanno dimenticare il caldo pazzesco che c'è a Firenze:Pur sapendo di essere monotona le riconfermo che leggere i suoi articoli è molto interessante e avvincente e domani leggerò la seconda ed ultima parte.Mi sento una parassita perchè immagino quanti studi deve fare prima di rendere così piacevoli i suoi scritti.Ma perchè c'è questa simpatica incomprensione tra lei e il Signor Gigi Sanna?
RispondiEliminaSiamo buoni amici, non si preoccupi. Io ho difficoltà a seguire i suoi argomenti sulla scrittura nuragica perché non sono esperto (anzi sono proprio ignorante in materia). Lui si occupa di altri ambiti e nei confronti di questi argomenti ha le stesse difficoltà come se fossimo...speculari.
RispondiEliminaGrazie per il tempo che dedica a questo blog.