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giovedì 1 luglio 2010
Phoenike - Fenici - L'Andalusia Mediterranea
La zona Mediterranea Andalusa
Fra l’area atlantica e l’area dell’Andalusia mediterranea vi sono notevoli differenze negli insediamenti. L’organizzazione politica ed economica dell’area atlantica vede Cadice che svolge un ruolo predominante mentre nell’area Andalusa mediterranea vi sono molti piccoli centri, che non possono definirsi città. Occupano una consistente fascia della zona costiera e sono tutti insediamenti che sorgono in promontori sulla costa, ad eccezione di Cerro de Villar che si trova su un isolotto. Le zone interne erano controllate dagli indigeni. Gli insediamenti sono poco monumentali, privi di edifici importanti. Si notano tracce di muri con zoccolo in pietrame brutto, unito con malta di fango e alzato in mattoni crudi. Tutte le strutture erano destinate ad ospitare una popolazione dedita alla pesca e ad attività economiche agricole e commerciali con le popolazioni indigene dell’interno. Si praticava anche la trasformazione del pescato con impianti industriali per la conservazione. Un'altra attività era la tintura delle pelli e dei tessuti con i pigmenti color porpora che si estraevano dai murici.
I centri principali erano Cerro de Villar, Toscanos, Malaka, Morro de Mezquitilla, Chorreras, Almuñecar, Adra, Almeria, Villaricos.
L’apporto di materiale fluviale ha allontanato notevolmente i centri dal mare e ora abbiamo distanze fino a cinque km. Inglobato nella costa abbiamo “Cerro de Villàr”; anticamente era un isolotto e ha restituito documentazione di attività di pesca: tonni che venivano essiccati ed esportati. L’attività era redditizia ed è stata individuata un’officina per la realizzazione di anfore per il trasporto del pesce. In tutti i siti che prevedevano attività che necessitavano di trasporto, troviamo officine per la lavorazione delle anfore.
Un ambiente ospitava il tornio e un altro era utilizzato per l’essicazione dei vasi. La cottura avveniva all’esterno in alcuni forni. Sono stati ritrovati degli strumenti (lisciatoi) per lavorare esternamente le anfore.
Anche in Andalusia le necropoli avevano caratteristiche particolari: erano sempre ubicate nel lato opposto delle foci dei fiumi nei quali sorgevano gli abitati, quasi a distinguere con un limite fisico ben definito i due mondi dei vivi e dei morti. Prendiamo in esame le necropoli di Morro de Mezquitilla e di Almuñecar. Altra importante è quella di Villaricos ma si riferisce ad un periodo successivo.
A Morro de Mezquitìlla: sono state ritrovate tracce di lavorazione del metallo e una serie di manufatti, chiamati boccolari o tuyers, che sono tubi in ceramica che presentano spesso forti tracce di combustione. Ci sono forni per lavorare metallo, in parte infossati, realizzati in ceramica. Il minerale era posto all’interno del forno per separare il metallo. Per mantenere alta la temperatura doveva esserci una quantità di ossigeno sufficiente e l’aria veniva immessa forzatamente attraverso questi tubi, probabilmente con dei mantici. Sono stati ritrovati anche a Tharros e Cartagine.
La zona funeraria di Morro de Mezquitilla si chiama Trayamar ed è costituita solo da 5 tombe. È datata al VII a.C. e si caratterizza per le tombe a camera costruite, di tradizione orientale. Si tratta di tombe che hanno una camera funeraria, cui si accede tramite una rampa, che vengono costruite in profondità. Si scavava una grande fossa, si costruiva la camera e si foderava il tutto con blocchi squadrati messi in opera a secco.
L’accesso alla camera era garantito da una rampa inclinata scavata nella terra. La copertura spesso era realizzata con una trave centrale e un doppio spiovente in tavole di legno, pertanto nulla si è conservato e rileviamo solo gli incastri per le travi. Questo tipo di copertura è attestata quasi esclusivamente in Spagna. La tomba a camera invece è documentata in oriente, in Libano, a Cipro, in Sardegna e in Marocco ma solo in pochissimi casi si hanno coperture in legno poiché la copertura è principalmente in pietra.
Almuñecar (Sexi)
Si trova alla foce di un fiume che ha modificato la linea di costa. Sulla città antica insiste la città moderna e i ritrovamenti sono due delle tre necropoli al di là del fiume. L’unica traccia importante dell’abitato è un impianto di salagione del pesce in località El Majuèlo; sullo stesso sito ci sono delle mura del VIII a.C. Le altre città andaluse hanno attività legate alla pesca e ai commerci con le popolazioni indigene dell’interno. In pratica c’era una rete capillare di piccole città costiere per lo sfruttamento della pesca e i prodotti venivano poi commerciati con le grandi città interne, governate dagli indigeni. Le derrate conservate con la salagione erano poi trasportate e commercializzate. Altra attività è la tintura dei tessuti.
La necropoli Laurìta (dal nome dell’archeologa che la scavò) a Cerro di San Cristobal è una delle tre di Almuñecar. Si trova sotto una serie di villette a schiera ed era costituita da 20 sepolture che si datano intorno al VIII-VII a.C. Le tombe sono a pozzo con imboccatura irregolare, ovale, e nel fondo c’è una nicchia, scavata nel lato e coperta da lastre in pietra, contenente il corredo funerario e l’urna cineraria, perché come nelle altre tombe arcaiche della Spagna si praticava l’incinerazione. Veniva poi riempita con terra di risulta e non più riaperta. Le urne cinerarie generalmente sono vasi e anfore in ceramica, ma in questo sito abbiamo vasi di pregio in alabastro (di importazione egiziana) che conservano il cartiglio in geroglifico con il nome del faraone sotto cui furono realizzati e possono quindi essere datati. Sono antichi, della XXII dinastia (IX-VIII a.C.). Non sono importati direttamente dall’Egitto perché non sono attestati casi di rapporti fra le colonie spagnole e l’Egitto. Erano i levantini a mediare i rapporti commerciali ed è per questo che troviamo questo tipo di vasi. Probabilmente venivano importati da Tiro come contenitori di olio e vino e poi portati ad Almuñecar, a dimostrazione che la colonia era abitata da un ceto ricco, di rango elevato. Molti di questi vasi antichi si trovano nel museo di Almuñecar. Ci sono vasi con orlo a fungo e con orlo trilobato. Il rivestimento caratteristico mediterraneo orientale è rossiccio e si chiama “red slip”. Scompare nel VI a.C., conteneva ossidi di ferro, è liscio e compatto e occupa dapprima tutto il vaso, poi solo la parte superiore. Aveva la funzione di impermeabilizzare, quindi nei piatti e nelle lucerne si mantiene anche oltre il VI a.C. per limitare l’evaporazione dei liquidi. La ricchezza della popolazione è dimostrata anche da un corredo ceramico costituito da vasi greci di produzione corinzia denominati Kotilay (singolare Kotile). I vasi di produzione attica sono chiamati invece Skifoi (singolare Skifos). Anche la necropoli di Puente de Noy si trova ad Almuñecar. È più recente, viene datata dal VII e arriva al I a.C. Occupa un’area molto vasta, musealizzata, con 170 tombe di diversi tipi. Le più antiche sono a camera monumentale costruita con blocchi regolari e coperture in legno non conservate, sulle pareti ci sono gli scalini per la discesa. Ci sono anche tombe di età punica scavate in fosse e si vede il passaggio dal rito dell’incinerazione a quello dell’inumazione. Il resto della necropoli è tradizionale, con semplici fosse parallelepipede scavate nel banco roccioso. Abbiamo anche tombe a camera costruite, con pareti in pietra che foderano la fossa. La copertura veniva realizzata in legno, con trave centrale a doppio spiovente.
Nell'immagine in alto il sito di Morro de Mezquitilla
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