Questo è l'ultimo post dedicato ai fenici nel Mediterraneo. Da domani inizieranno i siti in Sardegna. Buona lettura.
Palermo
Come ci dice Tucidide è una delle prima fondazioni mediterranee in Sicilia, insieme a Mozia e Solunto. La città antica si trova sotto quella attuale e abbiamo il solito problema degli scarsi indizi della storia passata. Dal VII a.C. fino ad oggi vi è la sovrapposizione continua degli strati. La città punica è nota solo dalle fortificazioni e dalle sepolture. L’area di quella antica corrisponde all’attuale nucleo medievale (mura bizantine, arabe e normanne) denominato “Cassaro”. La cinta muraria di questo quartiere ha 9 porte di età medievale e si trova ad una certa distanza dal mare, ma in antico un’insenatura consentiva all’acqua di arrivare a lambire l’abitato. Questo allontanamento della città è dovuto all’azione di due fiumi, oggi asciutti, che scorrevano ai due lati della città: il Papireto e il Kemùnia. Un altro fiume oggi asciutto, l’Oreto posto a sud, contribuiva anch’esso al trasporto dei detriti a valle, con il conseguente innalzamento di tutta l’area.
Sappiamo dalle fonti che Palermo aveva una paleopolis (città vecchia) e una neapolis (città nuova), ambedue identificate all’interno del Cassaro. In un’area che corrisponde oggi al tratto fra la Chiesa di San Francesco e Piazza Marina (il quartiere commerciale Transkemonia) sono stati ritrovati materiali di età ellenistica. Tutti i materiali ritrovati, compresi quelli all’interno del Cassaro, sono tardi e fuori contesto e si riferiscono ad età ellenistica, a partire dal III a.C.
Si ipotizza un’ascendenza punica della città per il fatto che nella zona sud vicina alle mura, vicino al Palazzo dei Normanni in Piazza Vittorio e in Corso Vittorio Emanuele, vi è un impianto viario molto regolare di tipo ortogonale, con una divisione in isolati che secondo alcuni studiosi corrisponderebbe al cubito punico.
Le fortificazioni dell’area del Cassaro mostrano in alcuni punti una chiara origine punica perché sono presenti blocchi squadrati, messi in opera a secco con alternanza di testa e di taglio, che presentano segni grafici punici e una torre aggettante rispetto al filo delle mura nella quale è evidente la tecnica di realizzazione punica. Altri tratti delle mura sono realizzati con una tecnica greca ascrivibile al V-IV a.C. Anche un tratto della caserma della Legione dei Carabinieri è realizzato con blocchi squadrati di testa e di taglio ma si nota una risega di fondazione sporgente e delle lettere puniche che sono chiari segnali che l’origine dei blocchi è di cava più antica. Queste tracce si trovano nelle attuali zone di Santa Caterina, Via dei Candelabri e sotto il Palazzo Reale, quello dei Normanni, dove durante il rifacimento di una cappella Cinquecentesca, sotto il pavimento, è stato individuato parte del primo impianto delle mura del fine VI-V a.C. con una postierla, una piccola porta di servizio che la popolazione usava per uscire dalle mura della città in tempo di pace. La parte sommitale della postierla è arcuata ed è difesa da una piccola torre aggettante. Nella stessa area vi era una porta larga oltre 5 m fiancheggiata da 2 torri, tutto messo in opera a secco con blocchi di calcare perfettamente combacianti, anche se in alcuni tratti si notano anche delle strutture di fondazione con blocchi bugnati di stile greco. Non dimentichiamo che l’elemento greco e quello punico vennero in contatto in modo conflittuale e i punici acquisirono le tecniche costruttive greche proprio per difendersi dagli assalti con gli arieti, specialità del nemico.
Le tracce maggiori della città antica le abbiamo nella necropoli, ubicata a sud fuori dalla cinta muraria, nell’area attigua all’attuale Corso Calatafimi. Dall’Ottocento sono state individuate molte tombe, soprattutto a camera con modulo di accesso a dromos. Gli scavi più recenti sono stati condotti presso la caserma Tukory e la campagna di scavo è stata valorizzata con una musealizzazione. Sono state realizzate delle passerelle in metallo che consentono la fruizione del sito. Oggi la ricostruzione delle tombe è completata dall’inserimento del corredo del defunto anche se, ovviamente, nei sepolcri sono state inserite delle copie. La necropoli è stata individuata in un’area destinata alla realizzazione di un parcheggio. Alcune delle tombe sono mediterranee ad incinerazione, scavate direttamente nella roccia e risalgono alla fine del VII a.C. Bisogna considerare che nonostante gli abitati risalgano spesso al VIII a.C., le tombe più antiche sono sempre circa un secolo più tarde. Il tipo più diffuso in età punica è quello delle tombe a camera con inumazione del defunto posto in posizione supina all’interno di sarcofagi litici. La roccia è friabile e i moduli a dromos non si sono conservati bene. Una caratteristica che a Palermo costituisce un unicum nel panorama punico è la copertura dei sarcofagi realizzata con tegoloni fittili di tipo greco affiancati anziché chiusi con la tradizionale copertura litica. Nei corredi abbiamo una fortissima incidenza di materiali greci, di importazione coloniale oppure prodotti in loco ma influenzati dalla cultura greca (ceramica micenea, ceramica figurata, skifos, coppe pregiate). Ricordiamo che Palermo è la città punica più influenzata dal mondo greco in tutto il panorama mediterraneo. Abbiamo anche sepolture ad enchitrismòs, di solito superficiali o poste direttamente nel dromos delle tombe. Anche a Palermo dal IV a.C. si assiste ad un ritorno al rito dell’incinerazione con deposizione secondaria, all’interno di pentole in ceramica di vario tipo o in cinerari litici conformati alla maniera greca con cassetta parallelepipeda e copertura a doppio spiovente.
È stata rinvenuta una grande quantità di cippi funerari. Sono semplici o con alla sommità una vaschetta per bruciare degli incensi in occasione dei rituali funerari o nel corso di cerimonie celebrate durante l’anno.
Nell’Ottocento sul Monte Pellegrino è stata recuperata fuori contesto una stele con sommità timpanata, affiancata da acroteri, con al centro l’immagine di un personaggio con la mano alzata in segno benedicente. Presenta un’iscrizione che dice: “Alla signora Tanìt, volto di Baal e al signor Baal Ammon che ha dedicato…e il nome del dedicante”. Si tratta di un chiaro indizio della presenza di un tophet ancora non individuato, forse perché questa traccia è troppo distante dal Cassaro.
Solunto
Si trova sulla costa ad est di Palermo, vicino a Santa Flavia. Tucidide riferisce questo centro ad età fenicia intorno all’VIII a.C. descrivendolo come una delle più antiche colonizzazioni della Sicilia ma la città, che conosciamo fin dall’Ottocento, è quella localizzata sul Monte Catalfano, una zona impervia posta ad una certa distanza dalla costa che presenta soltanto strutture ellenistiche a partire dal IV a.C. Tuttavia negli anni Novanta gli scavi di Caterina Greco hanno individuato delle strutture artigianali di età arcaica nella zona di Sòlanto, in contrada San Cristoforo. Si è così ipotizzato che la città arcaica non sia sul promontorio perché quest’ultima fu edificata quando i soluntini si allontanarono dalla città in occasione della guerra con Dionigi di Siracusa (397 a.C.) che oltre distruggere Mozia, distrusse anche Solunto. Gli abitanti si rifugiarono in un punto elevato, e quindi troviamo l’abitato arcaico sulla costa e la città ellenistica sul promontorio di Monte Catalfano. La necropoli si trova a metà strada fra i due centri.
Per evitare incomprensioni dobbiamo dettagliare la differenza fra due parole: ellenico è un termine culturale che corrisponde a “greco” ed ellenistico è un termine cronologico che indica quella fase che segue la morte di Alessandro Magno, dal 330 a.C.
La Solunto ellenistica, cioè quella nuova sul promontorio, è una città che a prima vista sembrerebbe di impianto greco, con un tessuto urbano costituito da strade parallele e perpendicolari che formano un reticolo che delimita degli isolati regolari. Lo schema prevede una diversa destinazione per le varie aree, con edifici pubblici (Agorà, teatro, odeon e ginnasio) in periferia, plateie (strade larghe principali) con edifici commerciali, abitazioni ai lati della plateia e stenopòi (strade strette non percorribili da carri) che intersecano le plateie con gradini che recuperano il dislivello del promontorio. Le case sono di tipo greco e si articolano attorno ad una corte centrale su cui si aprono i diversi ambienti. L’area in forte pendenza consente il passaggio dal tetto di una casa al pavimento di quella posta più in alto. Lo schema costruttivo è mantenuto anche in età romana quando viene impiantato un peristilio (colonnato) in parte coperto. Anche a Solunto, quindi, i punici subirono una fortissima influenza dal mondo culturale greco, tanto che nel momento in cui si sono trovati a costruire da zero una nuova città hanno deciso di adottare uno schema greco. Ci sono tre edifici di culto. Il più noto si affaccia sulla plateia principale ed è denominato “area sacra con altare a tre betili”. Davanti è composto da tre vani non comunicanti fra loro, e l’altare in pietra è intonacato. É caratterizzato da tre elementi betilici e conserva su un lato una vasca e delle canalette. Si è ipotizzato che in quest’area si effettuassero dei sacrifici animali, sono infatti stati trovati resti bovini e ovini bruciati.
Un'altra struttura importante è quella denominata “edificio di culto a due navate”, che presenta due ambienti affiancati non comunicanti che presentano sul lato di fondo un bancone-altare circondato da gradini. Nell’Ottocento venne rinvenuta una statua di Zeus e si è pensato che provenisse da una delle due stanze di questo tempio mentre nell’altra ci sarebbe stata la paredra femminile, ma non abbiamo modo di documentarlo. Si è pensato all’ascendenza punica proprio per la presenza di un culto a due divinità affiancate: Baal-Ammon e Tanìt. Anche l’archeologo Tusa ha ipotizzato che la statua di Zeus, individuata nel 1800 e conservata a Palermo, provenga da questo sito.
L’ultimo tempio è il cosiddetto “edificio a forma di labirinto”. Benché all’interno non siano stati individuati dei materiali di chiara matrice cultuale, Tusa ha ipotizzato che sia un tempio per la pianta molto articolata, con nicchie e altri elementi.
In località Sola di San Cristoforo, in prossimità del promontorio, c’è un’area artigianale che ha restituito dei forni: uno piccolo ad omega, le cui strutture si datano nell’ambito del V a.C. ma impiantata in una zona frequentata già dal VI a.C. perché negli strati sotto il forno sono stati scavati materiali etruschi e greci datati appunto al VI a.C. Questo forno è costituito da un vano bilobato diviso da un muretto centrale e a lato c’è il vano di attizzaggio, funzionale al funzionamento della camera di combustione.
A Sòlanto, vicino alla costa, è stata individuata un’altra fornace arcaica e a pochi metri vi era una tomba a forno, dell’inizio del secondo Millennio a.C., svuotata in età ellenistica e riempita con materiale di scarto di età arcaica. I materiali sono datati dal 625 a.C. ad età ellenistica. Tra gli scarti di fornace sono stati rinvenuti elementi di ambito funerario come, ad esempio, vasi con orlo a fungo. A 50 m da questo contesto si trovavano un pozzo e un altro forno ad omega, riempiti con materiali di scarto e datati sempre dal 625 a.C. in poi. C’è anche un forno ellenistico di III a.C. di dimensioni enormi, con un diametro di 5 m. La camera di combustione è circolare, con la suola sorretta da un pilastro centrale che crea un corridoio anulare con volta ad arco, una specie di galleria. La camera di cottura è solo impostata perché, come negli altri forni, veniva smontata ad ogni utilizzo. Il vano di attizzaggio è molto grande e ha restituito due frammenti di cippo a trono e una stele trono. Si ipotizza quindi che nelle vicinanze ci fosse il tophet.
A metà strada tra Monte Catalfano e Solanto si trova la necropoli, le cui tombe purtroppo sono andate distrutte o si trovano sotto gli attuali palazzi. Vicino alla stazione di Santa Flavia gli scavi mostrano tombe puniche integre ma non abbiamo tombe mediterranee ad incinerazione. Gli scavi più importanti sono quelli del Tusa alla fine degli anni Sessanta e di Caterina Greco negli anni Novanta. Sono state individuate circa 100 tombe non arcaiche, databili dal VI a.C. fino ad età ellenistica. Il bancone di roccia è stato scavato con fosse parallelepipede che presentano una risega perimetrale, funzionale all’inserzione della copertura di lastre litiche giustapposte. Le tombe hanno spesso una sorta di cuscino per la testa risparmiato nella roccia e vedono sempre la pratica dell’inumazione. Altre tombe a fossa hanno una nicchia laterale che va sotto il livello del suolo.
Le tombe a camera sono sempre con modulo di accesso a dromos stretto, con gradini sul lato breve. Presentano dei letti funebri e delle nicchie. Altre tombe hanno il dromos molto largo, quasi quanto la camera, con 3/4 gradini per accedere e sul lato sud si nota un bancone utilizzato per la deposizione delle offerte e del corredo funebre. In qualche tomba ci sono sepolture ad enkitrismòs in corrispondenza del dromos. Le camere erano chiuse con lastroni.
In Sicilia abbiamo anche il centro indigeno di Erice (Elimo) e la città greca Selinunte che, dopo essere stata conquistata (alla fine del V a.C.) conobbe 150 anni di dominazione punica.
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